Responsabilità civile del MMG alla luce delle più recenti novelle legislative e dei conseguenti atteggiamenti giudiziari

03 Marzo 2020

È fenomeno sociale manifesto l'incremento continuo ed al momento inarrestabile delle controversie giudiziarie (sia in ambito civilistico e, in misura relativamente più modesta, in ambito penalistico) che interessano i sanitari in generale ed i medici in particolare; né, al momento, ha prodotto gli attesi vantaggi la nota norma legislativa mirata 24/17 (cd. Gelli-Bianco dal nome dei due estensori alla Camera ed al Senato); ciò per una svariata serie di motivi, sia prettamente giuridici che legati al ritardo della promulgazione di decreti attuativi mirati che avrebbero dovuto fissare alcuni criteri nodali (tra i più attesi quelli “assicurativi”); per tutte tali questioni si rimanda alla ampia esistente letteratura ed articolistica di branca; lo scopo di queste pagine è quello di individuare ruolo, coinvolgimento e rischi di una figura diversa da quella dell'ospedaliero classico (che per solito è preso a modello di riferimento) ma non per questo meno esposta, vale a dire quella del Medico di Medicina Generale.
Appunti sulle definizioni

Al di là di quanto affermato in Accordi Nazionali, regionali e aziendali, la medicina generale è una medicina territoriale di attesa, aperta a tutti coloro che hanno diritto a usufruire del SSN.

Il MMG è un libero-professionista convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale. È stato definito un rapporto di lavoro “parasubordinato” (Cfr., ex pluribus, Tar Basilicata, sent. 31 luglio 2015 n. 467).

Nella MG di Assistenza Primaria (la medicina di famiglia o medicina di base) il lavoro si svolge essenzialmente nei confronti dei cittadini che abbiano esercitato attivamente la scelta di quel determinato medico convenzionato (E dei cittadini che abbiano eventualmente scelto un medico dell'associazione della quale fa parte il MMG stesso).

L'assistenza ha luogo a livello ambulatoriale secondo orari stabiliti e a livello domiciliare sui pazienti valutati come non trasferibili. Se il medico è associato in rete e gruppo gli orari di apertura sono più ampi e i medici dell'associazione possono accedere alle schede sanitarie individuali elettroniche tenute dagli altri componenti dell'associazione. Va rammentato che, anche se lo studio è organizzato per appuntamenti ed anche se è presente personale di segreteria, l'accesso è e deve essere comunque libero per le così dette “urgenze”, poiché il medico deve sempre essere a disposizione (sia dal punto di vista convenzionale che da un punto di vista deontologico) dei pazienti che chiedono il suo aiuto.

Come detto, la medicina generale è una medicina di attesa. L'esercizio dell'attività medica si estrinseca essenzialmente nel problem-solving e nel campo della prevenzione, per quei cittadini che si rivolgono al MMG. Fanno tuttavia eccezione particolari progetti concordati a livello nazionale e/o con le regioni e/o con le aziende. In questi casi, la medicina generale da medicina di attesa può diventare medicina di iniziativa, ma secondo specifiche regole e percorsi di prevenzione, diagnosi e terapia che vengono o dovrebbero essere definiti con precisione nei vari livelli decisionali (da nazionale a locale).

Peculiari problematiche di ordine medico-legale

- Fattore tempo: 1. il tempo della visita e l'organizzazione degli accessi. Va sottolineato che, nella migliore delle ipotesi, solo nel 30% dei casi l'accesso allo studio del medico di famiglia ha la possibilità di avere luogo in un lasso di tempo adeguato, durante il quale il paziente ha e deve avere il tempo di spiegare le proprie problematiche ed il medico il tempo di fare ipotesi e decidere percorsi diagnostici o terapeutici. Negli altri casi fattori esterni impediscono di fatto lo svolgersi del rapporto di cura lungo le normali direttrici del rapporto medico-paziente. A titolo di esempio, questo avviene nel rilascio di ripetizioni di ricette, nella prescrizione di esami già programmati routinariamente, nel rilascio di certificati di malattia che facciano riferimento ad episodi patologici giudicati banali e altrettanto banalmente risolti. In tutti questi casi, il contatto medico – paziente avviene in tempi più ristretti, che tengono anche conto del sovraffollamento dello studio.

- Fattore tempo: 2. il tempo della diagnosi e della cura, sul territorio. L'introduzione dei codici di priorità sulla ricetta medica (U, B, D e P) (Secondo il Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa per il triennio 2010-2012 «Nelle procedure di prenotazione delle prestazioni ambulatoriali specialistiche garantite dal SSN deve essere previsto l'uso sistematico dell'indicazione di prima visita e controllo, del quesito diagnostico e delle classi di priorità definite come di seguito: - U (Urgente), da eseguire nel più breve tempo possibile e, comunque, entro 72 ore; - B (Breve), da eseguire entro 10 giorni; - D (Differibile), da eseguire entro 30 giorni per le visite o 60 giorni per gli accertamenti diagnostici; - P (Programmata)») ha solo parzialmente risolto il problema del tempo di diagnosi. A parte il fatto che, ovviamente, anche la scelta di uno di questi codici comporta conseguenze di carattere medico-legale e non è affatto chiaro quando utilizzare l'uno o l'altro, non esistendo, in proposito, specifiche e validate linee guida, basate su rigorose considerazioni tecniche, ma solo sintetiche interpretazioni riportate in alcune Delibere di Giunta regionale o, addirittura, in accordi decentrati di natura sindacale. D'altro canto, appare necessario sottolineare un concetto facente parte della medicina di famiglia e spesso non del tutto intuitivo: il fattore tempo, se ben ponderato, può essere anche un utile elemento di diagnosi. Come detto, tale elemento non è di immediata comprensione: non è facilmente accettato dal paziente e non sempre è chiaro nell'analisi che viene condotta ex post. Di fatto, invece, dal punto di vista dei percorsi diagnostici da attuare, è del tutto legittimo, per la larga maggioranza dei casi che si presentano in studio, avere un atteggiamento attendista e dovrà essere compito di chi giudicherà la vicenda clinica in un secondo momento, stabilire se tale scelta sia stata corretta oppure no, tenendo però conto del fatto che la situazione che si presenta sul territorio è profondamente diversa da quella che si presenta in ambiente ospedaliero.

- Mancanza di una traccia scritta. La scheda sanitaria individuale non è una cartella clinica, non è documento dotato di fede privilegiata. Inoltre, molti colleghi ne sottovalutano l'importanza poiché le cause contro i MMG sono ancora relativamente poche. Le schede sanitarie individuali spesso non differenziano bene gli accessi allo studio e vengono messi assieme gli accessi per la ripetizione di prescrizioni di farmaci e di esami da ripetere di routine con gli accessi per vere e proprie visite. In altri termini, questi documenti non sono predisposti alla registrazione con valenza legale di quanto è successo.

Inquadramento del ruolo amministrativo e lavorativo del MMG

L'interpretazione nitidamente ricorrente è che, pur non essendo l'attività del MMG amministrativamente inquadrabile quale subordinata, pur tuttavia i vincoli contrattuali, gli obblighi convenzionali, la natura continuativa della prestazione, la sudditanza gerarchica economico amministrativa col committente, rendono tale attività del tutto assimilabile (in tema di responsabilità) a quella del dipendente; ed ecco dunque che, sotto il profilo puramente intellettivo della l. n. 24/2017, il MMG dovrebbe essere in toto assimilato all'ausiliario ospedaliero e dunque essere gravato da responsabilità extra-contrattuale (meno gravosa) anziché contrattuale con i relativi vantaggi: primo fra tutti la “re-inversione” dell'onere della prova che torna ad essere a carico di chi agisce e non di chi è chiamato in giudizio; gli altri vantaggi teorici attesi sono il dimezzamento della prescrizione (che scende a cinque anni dai dieci della responsabilità contrattuale) e un tetto alla possibile rivalsa erariale (massimo il triplo della retribuzione annua). Peraltro, come noto, la Legge Gelli–Bianco non ha fatto altro che recepire e rafforzare una tendenza giurisprudenziale che già aveva statuito che l'azienda sanitaria locale rispondesse dei danni al paziente in solido con il professionista, anche se costui fosse “solo” convenzionato con il servizio sanitario nazionale e non dipendente. «Il medico convenzionato non è, infatti, parte di detto rapporto giuridico obbligatorio, di durata, ma interviene nella fase del suo svolgimento, per rendere la prestazione curativa che la USL è tenuta per legge ad erogare secondo livelli prestabiliti normativamente» (cfr. Cass. civ., Sez. III, sent. n. 6243/2015).

Ma resta il fatto che, non trovando ancor piena applicazione la l. n. 24/2017 in tema di extracontrattualità sia in generale che con riferimento alla prestazione del MMG (di fatto l'attività dei consulenti d'ufficio non è ancora tarata a questo doppio binario, vuoi per carenze degli stessi vuoi per carenze di quesito posto dai Magistrati ai CTU), lo strumento difensivo più efficace allorquando si è esposti a controversia (sia in fase pre che intragiudiziaria) resta la cartella clinica o documento ad essa equiparabile; è solo questo strumento che permette a posteriori di poter dimostrare il proprio iter logico (diagnostico in primis, terapeutico successivamente) e la correttezza dei processi decisionali intrapresi, beninteso alla luce sia delle Linee Guida che, in loro carenza, delle buone pratiche accreditate che delle specificità del caso concreto (perché così vogliono sia la norma che la consolidata giurisprudenza).

In buona sostanza, giusto o sbagliato che sia, ciò che non è documentato di fatto risulta tamquam non esset; e dunque contrariamente a superate convinzioni del passato che “meno ci si espone (anche nel proprio scritto) meglio è” e “meno si sbaglia”, più si documenta e meno si rischia a fronte della precostituzione di una prova privilegiata. Ma, come si accennava poc'anzi, la situazione del medico di famiglia è peculiare in quanto la sua “scheda sanitaria”, ancorché correttamente compilata e simigliante ad una cartella, non ha valore certo di atto pubblico e dunque non ha la medesima vis probatoria; naturalmente l'interpretazione giurisprudenziale non è univoca laddove le più benevole interpretazioni ad essa la assimilano mentre le più rigorose la equiparano ad un promemoria e comunque ad una scrittura privata laddove storia clinica, diagnostica-terapeutica sono solo utili annotazioni o comunque documenti di valenza amministrativa sotto possibili verifica e controllo da parte dell'Azienda Sanitaria.

Dunque, questo strumento è un'arma spuntata in parte; ciò è un problema ed un peccato e di certo non è consolante il possibile contrappeso di talune circostanze a volte incautamente considerate dei vantaggi (la compilazione di “atto pubblico” comporta di per sé obblighi e responsabilità connaturati alla peculiarità del documento stesso)

Al di là delle interpretazioni giurisprudenziali di merito rese via via, le differenti fonti normative originarie sono pur sempre il T.U. delle Leggi Sanitarie (r.d. 27 luglio 1934, n. 1265) con riferimento alla cartella clinica (con precisa indicazione delle caratteristiche obbligatorie, i contenuti, i requisiti formali e sostanziali) ed il Contratto nazionale di categoria (ai sensi dell'art. 48 l. 23 dicembre 1978 n. 833) con riferimento alla “Scheda clinica del MMG” con descrizioni e disposizioni effettivamente differenti (Scheda sanitaria individuale ad uso del medico e ad utilità dell'assistito, quale strumento tecnico professionale che, oltre a migliorare la continuità assistenziale, consenta al medico di collaborare ad eventuali indagini epidemiologiche mirate e a quanto previsto dagli accordi regionali").

E' stato ipotizzata da taluni la natura di “atto pubblico” della scheda per effetto del ruolo di Pubblico Ufficiale che il MMG riveste durante la propria attività; ed invero il medico convenzionato è da ritenersi tale ma, d'altra parte, non è automatico che ogni atto posto in essere da un Pubblico Ufficiale costituisca atto pubblico; del resto l'art. 2699 c.c. definisce atto pubblico il «documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato»; e successivamente si è via via consolidato il principio che costituisce atto pubblico solo ciò il Pubblico Ufficiale compie utilizzando i suoi "poteri autoritativi o certificativi" a lui attribuiti dalla Legge al fine di attribuire una “pubblica fede”.

Da ciò dovrebbe discendere che il MMG è Pubblico Ufficiale quando emette una certificazione o particolari tipi di ricette (non tutte, ma quelle implicanti una certificazione implicita e presunta: ad esempio soddisfazione di una nota AIFA) ma non quando compila la scheda clinica (così come definita negli Accordi Collettivi) la quale dunque non contempla quel potere "autoritativo o certificativo" necessaria a qualificarla quale atto pubblico; e dunque l'arma continua ad essere spuntata al di là delle possibili eccezioni potenzialmente costituite da alcuni documenti quali una certificazione ai fini dell'ottenimento di un'invalidità civile o allorquando ne sia prevista normativamente la sua esibizione (ad esempio in occasione di ricovero ospedaliero laddove vengono trasmessi dati clinici anamnestici e terapeutici giustappunto estratti dalla scheda in questione); ecco che in tale occasione il documento prodotto può tornare ad acquisire dignità di atto d'ufficio.

Un altro aspetto che allontana (quanto a potere fidefacente) la scheda del MMG dalla cartella clinica è quanto avviene al momento della cessazione dell'attività; la cartella clinica, in quanto atto pubblico, deve essere conservata di fatto illimitatamente mentre la scheda, dunque giuridicamente "diversa", non ha regole precise al riguardo se non quelle regolamentate alla normativa sulla cosiddetta Privacy relativamente ai dati sensibili (distruzione piuttosto che conservazione per uso non professionale ovvero trasmissione ad altro professionista subentrante).

Questo è lo stato delle cose; qualche novità al riguardo potrebbe in futuro configurarsi allorquando l'afflusso dei dati relativi ai pazienti in un archivio generale informatico potrebbe rimettere in discussione la connotazione giuridica della suddetta scheda clinica.

Inevitabilmente, tutto quanto detto fin qui porta ai seguenti problemi:

- discordanza tra il racconto dei fatti del paziente ed il racconto della vicenda clinica da parte del MMG. Le differenze possono essere, in alcuni casi, davvero rilevanti;

- accuse di ritardo nella diagnosi e/o nella terapia non solo per le imperite (o presunte tali) conclusioni tratte dal medico, ma anche per l'erronea (o presunta tale) gestione del fattore tempo che, a torto o a ragione, viene imputata al MMG.

In Lombardia, il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) potrebbe essere uno strumento interessante per chi viene chiamato a giudicare quanto è avvenuto. In realtà il FSE aiuta poco ed anzi può perfino essere confusivo. Innanzi tutto, si tratta di un documento che viene arricchito non da tutte le strutture e non in maniera costante e attendibile. Inoltre, il paziente può non avere prestato il consenso alla sua consultazione da parte del MMG e dei medici non facenti parte alle strutture di emergenza-urgenza. Le registrazioni che troviamo al suo interno, quindi, possono essere utili ma solo parzialmente. Anche perché non si può avere nessuna prova che il MMG vi abbia potuto accedere. Infatti, anche se è presente il consenso, è semplicemente impossibile che il MMG possa materialmente consultare quotidianamente l'aggiornamento del fascicolo per 1750 pazienti. Infine, spesso la consultazione dei singoli referti incontra insormontabili problemi di ordine tecnico (il sistema si blocca, etc).

Sempre in Lombardia, da oramai più di quattro lustri, funziona il Sistema Informativo Socio Sanitario (SISS). Il CTU può e deve poter accedere al SISS chiedendo l'integrale copia del prescritto per quel paziente in quel determinato lasso di tempo. Le informazioni che si traggono da questa consultazione sono molto interessanti e utili ma non esaustive. Infatti, la copia del prescritto consente di stabilire con precisione tutti i medici che sono intervenuti nella cura e nell'assistenza di un determinato cittadino e le relative tempistiche di intervento. Non vi è chi non veda che, ovviamente, nulla si può dedurre in merito agli episodi clinico-assistenziali dai quali non è scaturita una prescrizione di farmaci o di esami o comunque una prescrizione di tipo elettronico a sistema funzionante. Non va infatti dimenticato che, se pur raramente (oggi), il SISS ha delle défaillance di tipo tecnico e talvolta va in avaria.

Per concludere sul punto “cartella-scheda”: dall'attenta disamina che precede emerge chiaramente che, malauguratamente, non può al momento proporsi una soluzione; i dati oggettivi e giuridici sono quelli che sono; la scheda sanitaria del MMG non ha dunque, nel complesso, la forza probante di un atto pubblico fidefacente fino a prova contraria e le debolezze dimostrative a posteriori non sono di poco conto; ciò nondimeno è bene e meglio che la stessa esista (al di là degli obblighi

Un primum movens è venuto dal nostro Codice Deontologico che fin dal 2006 (art. 62 – attività medico-legale), in via quasi pionieristica, sanciva che “...in casi di particolare complessità clinica ed in ambito di responsabilità professionale, è doveroso che il medico legale richieda l'associazione con un collega di comprovata esperienza e competenza nella disciplina coinvolta”; successivamente (2014) si è completato questo concetto affermando che vale evidentemente anche il contrario (lo specialista di branca interessato deve avvalersi di medico-legale); naturalmente, finché questa è rimasta una norma deontologica e non legislativa, la cosa non ha preso granché piede presso i Magistrati che, al di là dei casi di ricevimento da buona norma, godevano evidentemente di libertà assoluta in termini di nomina dei loro periti.

Ma, finalmente, il riferimento normativo è arrivato (appunto l. n. 24/2017, art. 15) a supporto, stavolta con peso “legislativo” ad affermare che «nei procedimenti civili e nei procedimenti penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, l'autorità giudiziaria affida l'espletamento della consulenza tecnica e della perizia a un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento».

Ma è successo di più: in data 11 aprile 2018 il CSM (Consiglio Superiore della Magistratura) è entrato a piedi pari nell'argomento e ne è sortita (in accordo protocollari d'intesa con il Consiglio Nazionale Forense e con la “nostra” FNOMCeO) una delibera, dettagliata e pragmatica, che fissa i criteri di armonizzazione e le procedure di formazione degli Albi dei Consulenti Tecnici; nella buona sostanza per appartenere agli stessi “non pare … quindi essere esaustiva una mera indicazione limitata all'acquisizione del titolo (…) mentre la prospettiva è quella della costituzione di una sorta di fascicolo del perito e del consulente”; segue una criteriologia di valutazione della speciale competenza (titolo di specialità, esperienze professionali, corsi frequentati, pubblicazioni, riconoscimenti accademici, attività di docenza, indicazione di precedenti incarichi, corsi di aggiornamento, attività formative e di docenza, ruoli svolti, pubblicazioni, branche operative effettivamente maturate, periodo minimo di svolgimento dell'attività professionale); ed inoltre è stato stabilito un periodo di minimo di attività dal conseguimento del titolo specialistico, di 5 anni per gli specialisti (non medico-legali) che salgono a 10 per gli odontoiatri e per i MMG.

Quest'ultima notazione riveste particolare interesse in quanto, di fatto e per la prima volta, è sancito il criterio che a giudicare eventuali “ colpe professionali” del MMG, unitamente al “regista” medico-legale, non sarà più il “super-specialista” della branca interessata a quella specifica vicenda (il cui giudizio, come si diceva prima, è per così dire viziato dal riferimento di giudizio alla miglior prestazione possibile) bensì un MMG (del tutto assimilato ad una figura di specialista nell'ambito della individuazione di quelle effettive ed operative sottocategorie la cui individuazione il Tribunale sta incoraggiando) patentato a svolgere il ruolo di CTU nei casi in cui sia coinvolto un MMG ed il cui giudizio, diversamente, terrà conto dell'ambito e del contesto del tutto peculiari, prima tratteggiati, in cui opera questo professionista.

È questo un atteso passo avanti notevole che verrà al banco di prova ma le premesse, per quanto al momento valutabili in astratto, sono promettenti; non fosse altro che perché la suddetta delibera non è rimasta lettera morta; in ottobre 2018 (vale a dire solo sei mesi dopo) analogo protocollo d'intesa è stato stilato in Milano (tra Presidenza del Tribunale, Ordine degli Avvocati, Ordine dei Medici); ne è seguita una sorta di complesso e delicato prolungato “censimento” (organizzato da quest'ultimo) sotto l'egida del Comitato Albo (sempre composto da rappresentanti di questi tre istituti) che sta conducendo proprio in questi giorni alla creazione di questo Albo “speciale” al quale i Magistrati accederanno per la nomina dei CTU.

Esempi di casi giudiziari coinvolgenti il MMG

1. Ritardo diagnostico di pochi mesi, in un pz. maschio di mezza età, di un K corpo del pancreas che anche al ricovero risultava non diagnosticabile con l'eco addome e in cui la stessa TAC addome dava un esito controverso; venne contestata al medico la mancata diagnosi poiché, a fronte di un dolore dorsale, egli fece fare una rx dorsolombare che mise in evidenza spondiloartrosi e gli esiti di una frattura di un soma vertebrale del terzo distale della colonna dorsale di antica data e il paziente venne trattato per quella patologia. La CTU concluse per la mancanza del nesso tra ritardo diagnostico e morte del paziente sia per la particolare aggressività e letalità della forma tumorale sia per il fatto che l'eco addome eseguita era comunque negativa anche quando il paziente venne ricoverato. Il ritardo diagnostico è frequentemente oggetto di contestazioni nella Medicina di Famiglia (soprattutto in campo oncologico, ma anche in altri ambiti, come vedremo nel caso successivo), poiché i tempi della diagnosi sono diversi da quelli dell'ambiente ospedaliero. Come abbiamo già precisato, la diversità riguarda non solo la diversa tempistica di esecuzione degli esami sul territorio, ma anche la diversa considerazione del fattore tempo che, correttamente, il medico ha e deve avere nel processo diagnostico.

2. Ritardo nel trattamento di un'insufficienza renale (poi diventata terminale) di un paziente maschio di mezza età con una glomerulonefrite in lento peggioramento; il pz, avvalendosi anche della testimonianza di un amico, affermò di essersi recato dal MMG numerose volte senza che questi lo indirizzasse mai a visita nefrologica. Il Medico riuscì a scagionarsi parzialmente portando i dati della scheda sanitaria individuale del paziente: da questo documento risultavano accessi molto sporadici allo studio. Fondamentale fu l'acquisizione dai sistemi informatici regionali dell'intero prescritto in favore del paziente: i dati a disposizione del CTU combaciavano perfettamente con quelli della scheda elettronica portati dal MMG. Il caso si commenta da sé: è necessario che il MMG diventi avvezzo a tenere puntuale traccia di tutti passaggi in studio dei propri pazienti.

3. Mancata vaccinazione antipneumococcica in un paziente giovane, splenectomizzato dopo una rottura di milza postraumatica; dopo alcuni anni, il paziente va in shock settico per un'infezione (diventata sistemica) da pneumococco e decede; i parenti fanno causa all'ospedale ove avvenne la splenectomia, l'ospedale chiama il MMG in causa affermando che doveva essere lui ad occuparsi della vaccinazione in questione; anche in questo caso i racconti divergono, poiché da un lato viene affermato che il paziente si era recato dal MMG raccontandogli puntualmente la propria storia clinica (la scelta del medico era avvenuta dopo la splenectomia) e per numerosi episodi di faringite; il MMG nega tali circostanze. Anche in questo caso, si ripropone la necessità, per il MMG, di annotare, nei limiti del tempo a disposizione, tutto quanto è relativo ad ogni contatto avuto con il paziente.

4. Paziente 75enne dimesso da reparto di cardiologia dopo episodio di fibrillazione atriale; ripristinato il ritmo ed effettuati gli opportuni controlli il soggetto era dimesso con prescrizione di terapia farmacologica, ivi compresa quella anticoagulante; il paziente, per propria scelta di quotidianità, non afferiva ad un centro specialistico TAO per la gestione dei dosaggi di quest'ultima ma era il MMG a gestirla (prelievi domiciliari, ritiro del risultato da parte di familiari, riaggiustamento terapeutico del warfarin da parte del curante); nel corso dei 40-50 giorni successivi l'indice INR si rilevava superiore agli obiettivi da raggiungere e dunque il curante prescriveva l'abbassamento della dose del farmaco; ciò avveniva più volte; ma il paziente decedeva una notte per emorragia cerebrale. A posteriori si è ricostruito che il paziente e il suo coniuge, anziani e confusi, non hanno verosimilmente mai abbassato la dose (confondendo il nome del farmaco con un altro similare) sicché la dose di warfarin assunta era sempre la stessa (sovradosaggio) ciò che ha condotto a morte il paziente. Nonostante il MMG, ancorché tutte le sue prescrizioni (corredate da un suo esplicativo appunto anche su lavagnetta dei pazienti) fossero tecnicamente corrette (e la CTU concluse, sostanzialmente, per scagionare il medico), è stato condannato (e peraltro era scoperto da copertura assicurativa trovandosi in un periodo finestra tra due diverse stipule) per non avere posto in essere i migliori accorgimenti del "buon padre di famiglia" non essendo state giudicate bastevoli le sole giuste prescrizioni ad assicurarsi, dato il particolare contesto, che ciò effettivamente avvenisse. In questo caso, la conoscenza dell'entourage familiare da parte del MMG, che rappresenta un'atout della Medicina di Famiglia, è diventata motivo di contestata responsabilità professionale per il Collega.

5. Giovane paziente con dolori addominali si reca in pronto soccorso di ospedale milanese; qui si verifica un grossolano errore professionale per sottovalutazione di taluni elementi (elevato numero di GB in particolare) che dovevano fare includere nella diagnosi differenziale anche un addome acuto; il paziente veniva dimesso dopo poche ore; si aggravava lentamente; dopo qualche giorno era chiamato a domicilio il MMG che nulla di particolare rilevava e confermava generica prescrizione farmacologica antispastica; ulteriore aggravamento dopo due giorni con accesso a PS e decesso per infarto intestinale; in CTU, al di là del primo passaggio colposo nitido, si è individuato un concorso anche nell'operato del MMG il quale, pur a fronte del “blasone” della struttura di primo PS, non essendo un mero recettore di prestazioni specialistiche altrui ma avendo piena dignità professionale con autonomia decisionale valutativa, avrebbe avuto tutti gli elementi “scolastici” per individuare l'errore (o comunque per formulare una diversa interpretazione del tutto) e per rinviare immediatamente in Pronto Soccorso il soggetto; naturalmente poi la condanna fu di diverso “peso” anche perché la diagnosi in quinta giornata anziché in prima non avrebbe di certo garantito le medesime chances di un miglior andamento. In questo caso, quello che difetta è il classico meccanismo della proliferazione delle ipotesi che ci dovrebbe sempre guidare nell'attività clinica. Meccanismo da porre in essere soprattutto sul territorio, ove le risorse a disposizione sono spesso limitate alla sola semeiotica classica.

6. Paziente donna quarantaquattrenne (obesa; assunzione anticoncezionali estroprogestinici); trauma sciistico in seguito al quale viene trasportata in PS, in montagna; diagnosi di distorsione del ginocchio con prescrizione di terapia del caso, scarico parziale un arto inferiore, fans, osservazione presso il medico curante. Il MMG la visita il giorno dopo e rileva netto aumento della tumefazione - immobilizzazione di fatto: letto-divano; nessuna variazione prescrittiva. La paziente decede in quarta giornata per tromboembolia polmonare. Viene avanzata una richiesta risarcitoria al curante da parte degli eredi con individuazione di colpa solo a carico del MMG (sec. LLGG effettivamente non necessaria profilassi antitrombotica prima giornata; mandatoria in seconda, vista l'immobilizzazione); condanna penale per omicidio colposo del MMG; in sede civilistica transazione con risarcimento senza causa. Il caso è interessante perché sottolinea l'importanza della presa in carico a 360° da parte del MMG del paziente dimesso dalla struttura ospedaliera, senza limitarsi alla pedissequa applicazione di quanto prescritto ma intervenendo attivamente nel processo di cura, laddove sia necessario e laddove le condizioni cliniche siano mutate.

In conclusione

Nelle prime fasi storiche del filone giudiziario della colpa medica (dunque ormai qualche decennio fa) questo professionista (il MMG) è rimasto per qualche tempo ai margini delle richieste risarcitorie dei presunti danneggiati ma, col progredire sociale del fenomeno, è oggi sempre più coinvolto in presunte vicende di colpa professionale sia commissiva che, più frequentemente, omissiva (per lo più negligenza); ciò può avvenire sia per coinvolgimento diretto che per chiamata in causa di svariate figure professionali laddove uno dei passaggi clinici interessava il medico di famiglia; risulta dunque rilevante individuare le peculiarità di questi professionisti a partire dall'inquadramento amministrativo (da cui può dipendere la connotazione della natura giuridica della responsabilità) per continuare con l'assetto organizzativo della loro attività (ciò che assai rileva relativamente alla tenuta dei dati) e le possibilità materiali di utilizzo dei vari strumenti difensivi.

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