Separazione e divorzio: per trasferire un immobile basta il giudice o serve il notaio? La parola alle SS. UU.

05 Marzo 2020

La sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio su ricorso congiunto degli ex coniugi può direttamente contenere una clausola con cui si attui il trasferimento del diritto reale su un bene immobile o può solo contenere l'impegno preliminare alla successiva stipula per atto notarile? La contrapposte soluzioni derivano dall'interpretazione controversa dell'art. 19 d.l. n. 78/2010 (conv. nella l. n. 122/2010) e nel caso di specie sono l'occasione per la rimessione alle Sezioni Unite ad opera dell'ordinanza della prima sezione Civile della Corte di Cassazione n. 3089/2020.

Tale in sintesi il contenuto dell'ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione n. 3089/20, depositata il 10 febbraio, che ora andiamo ad analizzare più da vicino.

Separazione e trasferimento di bene immobile, basta il giudice o serve il notaio?

Alle Sezioni Unite il compito di chiarire la questione. L'occasione della rimessione alle Sezioni Unite è data dall'impugnazione, da parte di due ex coniugi, della sentenza con cui la Corte d'Appello ha confermato la sentenza di primo grado asserendo che la sentenza che pronuncia la cessazione degli effetti civili del matrimonio su ricorso congiunto delle parti non può contenere una clausola che attui il trasferimento dell'immobile, ma solo l'impegno preliminare ad effettuarlo successivamente.

Il notaio è l'unico operatore che può garantire il controllo indiretto statale sul trasferimento dell'immobile? La Corte motiva la decisione affermando che, pur potendo gli ex coniugi, nell'ambito di una regolazione complessiva dei propri rapporti, prevedere il trasferimento di un diritto reale anche su un bene immobile, tuttavia, l'atto che trasferisce il diritto per opera diretta delle parti è diverso dall'atto pubblico redatto dal notaio, la cui assistenza soltanto assicura il rispetto delle prescrizioni imposte dall'art. 19 d.l. n. 78/2010 (conv. nella l. n. 122/2010) (l'indicazione del comma quattro in sentenza deve considerarsi un refuso, atteso che la previsione è contenuta nel comma quattordici).

La norma prevede che «Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un'attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari».
Sulla base di tale previsione, per la Corte d'Appello il notaio è l'unico soggetto – restando escluso anche il giudice - autorizzato alle dette verifiche e dunque la connessa tutela degli interessi pubblici coinvolti, assicurata con il detto controllo (un controllo detto “indiretto statale”), non può che essere realizzata nella sede dell'atto pubblico notarile.

Separazione, divorzio e atti traslativi: il sistema impone l'assistenza del notaio? Le parti, a loro volta, nel ricorso, innanzitutto asseriscono l'indispensabilità del trasferimento in parola nell'ambito del complessivo e definitivo assetto dei loro interessi. Inoltre, spiegano di avere allegato all'atto la relazione tecnica giurata contenente attestazione di conformità energetica, elettrica, visura e planimetria catastale; e che si sono impegnati ad effettuare la trascrizione (e/o altre richieste di pubblicità immobiliare), a depositare la ricevuta della presentazione per la richiesta di pubblicità e la nota di trascrizione, esonerando la cancelleria da ogni responsabilità. Solo in subordine hanno poi chiesto che l'accordo fosse qualificato come preliminare (evidenziando però il dispendio di spese che avrebbe comportato tale via nonché «la necessità di cristallizzare tempestivamente la soluzione concordata»).

A tal fine, il ricorso denuncia la violazione di una serie di norme.
In primis, si contesta la violazione dell'art. 1322 c.c. e dunque del principio di autonomia contrattuale, in particolare in relazione al diritto di raggiungere accordi atipici patrimoniali meritevoli di tutela, quale deve ritenersi l'accordo di separazione e divorzio (e cioè atto negoziale meritevole di tutela), il quale incontra il favor del Legislatore, come attestano le norme sulla negoziazione assistita.
Ulteriori norme che si assumono violate sono quelle contenuta negli artt. 1362, che valorizza, nell'interpretazione del contratto, l'elemento dell'intenzione dei contraenti e 1376 c.c. ove, in relazione ai contratti con effetti reali, si prevede che «Nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato». I Giudici hanno quindi errato nel non tenere in considerazione la volontà delle parti, tesa all'immediato trasferimento della titolarità del bene.
Inoltre, si assume violata la stessa norma richiamata dalla sentenza impugnata: l'art. 19, d.l. n. 78/2010, per come interpretata dalla Corte d'Appello, affermandosi che, invece, «la norma ritiene soddisfatte le finalità di controllo mediante attestazioni di conformità e autodichiarazioni». Tutti adempimenti assolti e corredati dall'impegno di procedere direttamente alla trascrizione e ad ogni altra forma di pubblicità e di depositare in cancelleria, entro venti giorni dal deposito del provvedimento, la ricevuta della richiesta di trascrizione e della nota di trascrizione.
Inoltre, i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 1350 c.c. (che indica gli atti che devono farsi in forma scritta e cioè per atto pubblico o scrittura privata) e 2657 c.c. (che, per quello che qui interessa, ammette alla trascrizione in forza di sentenza, atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente); da detto punto di vista, la sentenza impugnata avrebbe errato nel non ritenere che nell'art. 19 in parola il riferimento all'intervento del notaio sia circoscritto ai soli casi in cui le parti decidano di farvi ricorso, non escludendosi però la liceità di trasferimenti operati con scrittura privata autenticata da altro pubblico ufficiale autorizzato. Nella specie, il verbale di udienza, autenticato dal cancelliere quale pubblico ufficiale rivestirebbe la forma dell'atto pubblico ex art. 2699 c.c..

Separazione, divorzio, accordi traslativi e intervento del notaio, una questione aperta. L'orientamento sposato dalla corte territoriale non è condiviso uniformemente: la prassi anzi, porta esempi di soluzioni ben diverse, di accordi traslativi attuati anche tramite ausiliari dei giudici, secondo le indicazioni di un albo tenuto presso il Tribunale e, previo accordo con il Consigli dell'ordine degli avvocati, contenuto in un protocollo comune (si menziona il caso del Tribunale di Bologna).

Si osserva inoltre che le parti hanno interesse a predeterminare un accordo separativo o divorzile che regoli nella maniera più completa le conseguenze economico-patrimoniali derivanti dallo scioglimento del vincolo matrimoniale, senza aggravi temporali ed economici dovuti alla successiva stipula davanti al notaio.
Il contrasto interpretativo, prosegue la Corte, sta nella funzione da attribuire al controllo notarile in relazione alla validità dell'atto, nell'ambito dell'art. 19, comma 14 citato.
Da un lato si asserisce che la previsione di nullità nel testo della norma è riferita ai primi due periodi, quelli che prescrivono l'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione di conformità e la sua sostituzione con l'attestazione rilasciata dal tecnico abilitato; dunque, la nullità non sarebbe riferita all'intervento del notaio, per la cui assenza non sarebbe prevista sanzione.
La nullità sarebbe collegata ad elementi oggettivi e non alla presenza o all'assenza di un determinato soggetto. Per conseguenza, si afferma che l'atto traslativo (verbale di separazione consensuale o sentenza che recepisce le condizioni divorzili congiunte) deve certamente rispondere ai requisiti prescritti dalla legge - diverrà infatti un atto pubblico di trasferimento di un bene immobile - ma che il controllo circa la conformità attribuito al notaio può essere effettuato da un ausiliario del giudice.
Una conclusione diversa lederebbe il principio di libera determinazione delle parti (da attuarsi anche) in sede di definizione delle condizioni di separazione o divorzio.
La stessa giurisprudenza di legittimità ha ammesso che gli atti traslativi tra ex coniugi possono essere perfezionati non solo in atti giudiziali (nel verbale di separazione, ex art. 711 c.p.c. o in quello di comparizione nel procedimento divorzile su domanda congiunta ex art. 4, comma 6, l. n. 898/1970) ma anche in atti stragiudiziali spesso, ma non sempre in esecuzione di impegni assunti in giudizio (si menziona Cass. civ., n. 17612/2018).
Coerenti con tale interpretazione gli orientamenti della sezione tributaria della Corte di Cassazione in relazione all'interpretazione dell'art. 19, l. n. 74/1987 (a mente del quale «Tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonchè ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli articoli 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa»).
L'ordinanza richiama all'uopo le sentenze nn. 8104/2017 e 7966/2019, dove si è statuito che gli atti di trasferimento contenuti nell'atto di separazione consensuale e nella sentenza di divorzio che recepisce l'accordo tra gli ex coniugi se avvengono prima dei cinque anni dall'acquisto dell'immobile, non producono (come accadrebbe normalmente ai sensi delle norme ai sensi del d.P.R. n. 131/1986), la perdita dei benefici prima casa e ciò per via del favor verso la complessiva negoziazione dei rapporti patrimoniali degli ex coniugi, che si rinviene anche dalla esclusione di aggravi fiscali verso tali operazioni.
Infine, la sentenza ricorda che una disciplina ispirata alla stessa ratio è nelle norme sulla negoziazione assistita, per quanto non applicabili ai rapporti familiari; in particolare, l'art. 5, d.l. n. 132/2014 conv. in l. n. 162/2014, prevede tra l'altro che «“Se con l'accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato».
La norma sembra escludere, osserva la Corte, la necessità dell'atto pubblico innanzi al notaio.
Ricordiamo che identica previsione è contenuta nel d.lgs. n. 28/2010 con riguardo agli accordi di mediazione.
Secondo l'orientamento sposato dalla sentenza impugnata, invece, il notaio è indispensabile ed insostituibile nel controllo relativo alla validità e alla legalità dell'atto. La natura inderogabile delle norme e degli obblighi di conformità e la complessità delle verifiche che ne conseguono richiedono la capacità del notaio e la sua funzione pubblicistica. Laddove il controllo del giudice può operare solo sul piano formale.
La questione è quindi rimessa alle Sezioni Unite ritenendo i Giudici la sua controversa interpretazione di notevole impatto, trattandosi di questione di massima di particolare importanza sia per la novità che per la complessità dei temi prospettati.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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