Responsabilità professionale dell'avvocato

Giulio Amodio
12 Marzo 2020

L'ordinanza in commento affronta il problema della sindacabilità in sede di legittimità della valutazione prognostica compiuta dal giudice sul probabile esito dell'attività professionale omessa dall'avvocato.
Massima

In tema di responsabilità professionale dell'avvocato è ravvisabile un error iuris sindacabile in sede di legittimità nell'ipotesi in cui la valutazione prognostica compiuta dal giudice di merito circa l'esito che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa si traduca nella violazione o falsa applicazione di norme di diritto.

Il caso

In un giudizio intrapreso nei confronti del proprio legale, l'attore assumeva di aver subito una condanna al risarcimento dei danni in favore di un soggetto terzo a causa della errata attività defensionale espletata dal professionista incaricato in un precedente giudizio.

In particolare, l'attore imputava al proprio legale l'esito infausto del precedente giudizio, contestando al professionista una serie di condotte omissive, consistenti nella mancata opposizione ai rinvii richiesti da controparte per l'escussione dei propri testimoni, nonché nella mancata proposizione della eccezione di decadenza dalla prova testimoniale, per mancata intimazione e assenza ingiustificata dei testi; assumeva l'attore, dunque, che la condotta doverosa omessa gli avrebbe consentito di ottenere un esito vittorioso del giudizio risarcitorio in cui era convenuto.

La domanda volta a conseguire la declaratoria di responsabilità del legale e la sua condanna al risarcimento dei danni patiti veniva accolta dal Tribunale ma successivamente rigettata dalla Corte d'appello.

Proponeva ricorso in cassazione il cliente deducendo, quale unico motivo di ricorso, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, comma 2, 2236, 1223 e 2909 c.c.

In particolare, il ricorrente riteneva che la sentenza avrebbe, da un lato, violato le norme in tema di accertamento del nesso causale e, dall'altro, erroneamente omesso l'esame di un fatto decisivo per il giudizio, così incorrendo altresì in violazione del giudicato formatosi con riguardo alle risultanze istruttorie del precedente giudizio.

La Corte di cassazione riteneva improcedibile e, in ogni caso, infondato il ricorso.

La questione

La prima questione analizzata nell'ordinanza in commento concerne l'individuazione del tipo di apprezzamento che il giudice della causa sulla responsabilità professionale dell'avvocato può fare delle circostanze fattuali emerse nel giudizio in cui il legale ebbe a svolgere la propria attività.

Chiarito tale aspetto preliminare, l'ordinanza affronta il problema della sindacabilità in sede di legittimità della valutazione prognostica compiuta dal giudice sul probabile esito dell'attività professionale omessa dall'avvocato.

Le soluzioni giuridiche

L'ordinanza in commento, nel dichiarare infondato il ricorso basato sulla presunta violazione del giudicato e delle norme in tema di accertamento del nesso causale, consente di ricostruire, sia pure brevemente, quali siano i presupposti della responsabilità professionale dell'avvocato, nonché di interrogarsi sul tipo di valutazione che il giudice è chiamato a effettuare rispetto alle risultanze del giudizio in cui l'avvocato ha svolto la propria attività.

Come noto, la dottrina e la giurisprudenza tradizionali sono concordi nel ritenere che le obbligazioni inerenti all'esercizio dell'attività professionale siano obbligazioni di mezzi, e non di risultato, atteso che il professionista si impegna a prestare la propria opera in modo funzionale al risultato avuto di mira dal cliente, pur non potendone garantire il perseguimento. Ne consegue che la mancata vittoria del processo non può certamente configurare inadempimento dell'avvocato che, invece, può desumersi dalla violazione del dovere di diligenza, avuto riguardo alla natura dell'attività prestata.

Certamente superato, dunque, appare l'orientamento seguito da alcune risalenti pronunce giurisprudenziali secondo cui in tema di responsabilità forense non sarebbe possibile individuare alcun danno risarcibile anche in presenza di un'accertata negligenza professionale, essendo la vittoria del processo un evento dipendente da plurimi fattori, molti dei quali esterni all'operato dell'avvocato (Cass. civ. 10 febbraio 1931, n. 495).

Invero, negli ultimi anni la Suprema Corte ha ulteriormente ampliato l'ambito della responsabilità professionale dell'avvocato, tendendo a configurare la prestazione del professionista anche come obbligazione di risultato, con conseguente onere della prova più favorevole in capo al (ex) cliente.

La tendenza evolutiva richiamata risulta coerente con la trasformazione dello stesso ruolo dell'avvocato, sovente chiamato non solo a prestare assistenza giudiziale ma anche consulenza stragiudiziale, nonché a redigere pareri e contratti.

In siffatte ipotesi, la Suprema Corte ha riconosciuto che la redazione di un parere stragiudiziale - al pari del compimento di alcuni atti processuali (es. notifiche, atti interruttivi della prescrizione) - costituisce una obbligazione di risultato, atteso che l'opus richiesto rappresenta l'obiettivo avuto di mira dal cliente (Cass. civ., 14 novembre 2002, n. 16023).

Svolte tali considerazioni di carattere generale, ricostruendo i rapporti tra cliente ed avvocato in termini di creditore e debitore, è possibile individuare i seguenti presupposti della responsabilità del professionista:

  1. la condotta inadempiente del professionista;
  2. l'imputabilità dell'inadempimento all'avvocato;
  3. il nesso causale tra la condotta del professionista e il risultato dannoso derivatone;
  4. il nesso causale tra l'evento di danno e le conseguenze dannose risarcibili da parte dell'avvocato.

Con riguardo al giudizio di accertamento di tale responsabilità deve tenersi presente che la prova del danno-evento può essere indagata esclusivamente mediante un giudizio prognostico sull'esito che avrebbe avuto il giudizio qualora la condotta professionale doverosa non fosse stata omessa.

Secondo una impostazione restrittiva, il danneggiato sarebbe tenuto a fornire la prova in termini di certezza che una diversa attività del professionista avrebbe consentito al cliente di ottenere un risultato positivo, attesa l'alta possibilità di incidenza di fattori esterni e imprevedibili sull'esito del processo (Cass. civ., n. 8728/1991).

In un'ottica di maggiore garantismo delle esigenze di tutela del debitore, la giurisprudenza ha superato il criterio della certezza, aderendo alla regola del «più probabile che non».

Condividendo tale impostazione giurisprudenziale prevalente, l'ordinanza in commento ha riconosciuto che sia il nesso causale fra la condotta omissiva del professionista e l'evento di danno, che il nesso tra quest'ultimo e il cd. danno-conseguenza, deve essere accertato secondo la regola del «più probabile che non», così proseguendo il percorso di avvicinamento della responsabilità professionale alle regole che governano la responsabilità civile.

In tale prospettiva, l'ordinanza ha riconosciuto che la Corte di merito non aveva disatteso i principi richiamati, avendo accertato che l'esito sfavorevole del giudizio precedente non era dipeso dalle condotte omissive contestate al professionista.

Tanto premesso in ordine ai presupposti della responsabilità professionale, l'ordinanza in commento chiarisce che il giudice della causa sulla responsabilità dell'avvocato ha un potere di autonomo apprezzamento delle circostanze oggetto del giudizio in cui il legale ha prestato la propria attività. Ne consegue che il giudice può verificare la correttezza dell'operato professionale e accertare l'eventuale pregiudizio subito dall'assistito in seguito alla condotta negligente dell'avvocato, e ciò senza incorrere in alcuna violazione del giudicato eventualmente formatosi sul precedente giudizio.

Tale valutazione della condotta e dell'eventuale danno etiologicamente riconducibile all'operato dell'avvocato non è censurabile in sede di legittimità. Nel caso di specie, difatti, l'attore intendeva censurare un apprezzamento meramente fattuale delle risultanze istruttorie acquisite nel precedente giudizio, onde l'insussistenza di qualsivoglia vizio denunciabile con il ricorso per cassazione.

Sulla base di tali principi, si comprende il motivo per il quale la Suprema Corte, nell'ordinanza che ci occupa, abbia ritenuto infondato il ricorso.

Osservazioni

Il cliente che intenda far valere la responsabilità professionale del suo avvocato è tenuto a provare la condotta inadempiente imputabile al professionista e il nesso causale - secondo la regola del «più probabile che non» - tra la condotta del professionista e il risultato sfavorevole derivatone, nonché il nesso causale tra l'evento di danno e le conseguenze dannose risarcibili da parte dell'avvocato.

È esperibile il ricorso per cassazione al fine di censurare la valutazione che il giudice della causa di responsabilità professionale abbia fatto delle circostanze oggetto del giudizio in cui è stata prestata l'attività professionale, purché la parte individui un «error iuris» nella decisione, «sub specie» di vizio di sussunzione delle norme che governano l'accertamento del nesso causale tra la condotta omissiva del professionista e l'evento di danno lamentato dal cliente.

In caso contrario, la valutazione, da parte del giudice del merito della causa di responsabilità professionale, delle risultanze istruttorie acquisite nel precedente giudizio costituisce un apprezzamento meramente fattuale non sindacabile in sede di legittimità.

Guida all'approfondimento
  • P. Calamandrei, Limiti di responsabilità del legale negligente, in Riv. Crit. Dir. priv., 1931, II, 260;
  • R. Conte, Profili di responsabilità civile dell'avvocato, in Nuova giur. civ. comm., 2004, II, 144 ss.;
  • D. Covucci, G. Ponzanelli, La responsabilità civile dell'avvocato: un sistema in evoluzione, in Nuova giur. civ. comm., 2008, II, 421.

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