Assegno divorzile: il nuovo orientamento giurisprudenziale non rientra tra i giustificati motivi della revisione

Sabina Anna Rita Galluzzo
17 Marzo 2020

Il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fatto ed è necessario, a monte, che esso sia accertato dal giudice perché possa procedersi al giudizio di revisione dell'assegno divorzile, da rendersi, poi, al lume dei rinnovati principi giurisprudenziali...
Massima

Il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fatto ed è necessario, a monte, che esso sia accertato dal giudice perché possa procedersi al giudizio di revisione dell'assegno divorzile, da rendersi, poi, al lume dei rinnovati principi giurisprudenziali. Consentire pertanto l'accesso al rimedio della revisione dando alla formula dei “giustificati motivi” un significato che si riferisca alla sopravvenienza di tutti quei motivi che possano far sorgere l'interesse ad agire per il mutamento, tra i quali, quindi, anche a una diversa interpretazione avallata dal diritto vivente giurisprudenziale è un'opzione esegetica non percorribile, in quanto non considera che l'interpretazione giurisprudenziale costituisce una chiave di lettura dei dati di fatto rilevanti per il diritto e non li produce essa stessa né nel mondo fenomenico né, come si è visto, quale fonte normativa.

Il caso

Un uomo proponeva istanza in Tribunale al fine di essere assolto dall'obbligo di versare l'assegno di divorzio che doveva corrispondere alla ex moglie e di vedersi diminuito l'assegno per il mantenimento della figlia. Assumeva in proposito che la donna percepiva un reddito da lavoro, aveva beneficiato di un'eredità, e che lui, dal canto suo, era in pensione, si era risposato e doveva accudire l'anziana madre. Il Tribunale prima e la Corte d'Appello poi respingevano l'istanza. La Corte territoriale in particolare rilevava che le condizioni poste alla base della richiesta di revisione erano già tutte presenti quando il diritto all'assegno era stato riconosciuto e i giudici ne avevano tenuto conto nel quantificarne l'importo. Contro tale provvedimento l'ex marito proponeva ricorso per Cassazione. La Suprema Corte, trattandosi di questione di rilievo nomofilattico, disponeva la trattazione della causa in pubblica udienza.

La questione

Com'è noto due importanti sentenze di legittimità (Cass. civ. n. 11504/2017 e Cass. civ., sez. un. n 18287/2018) hanno radicalmente mutato i criteri di attribuzione e determinazione dell'assegno divorzile introducendo nuovi principi e facendo sorgere delicate questioni.

In particolare nel caso in esame si pone innanzitutto il problema di capire se il nuovo orientamento giurisprudenziale è applicabile anche nei procedimenti di modifica delle condizioni di divorzio e soprattutto se una diversa linea interpretativa possa rientrare tra quei “giustificati motivi” che consentono, ai sensi dell'art. 9 l. 898/1970, di azionare il giudizio di revisione dell'assegno divorzile.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione con un articolato provvedimento respinge il ricorso. I giudici si soffermano innanzitutto sullo stato della giurisprudenza in materia con un excursus sui recenti innovativi provvedimenti. In breve la Corte evidenzia che il consolidato trentennale orientamento (da Cass. civ., sez. un. n. 11490/1990), finalizzato a garantire al coniuge più debole il mantenimento di un tenore di vita corrispondente a quello goduto in costanza di matrimonio, è stato superato dalla ben nota sentenza n.11504/2017. In tale arresto in particolare la Cassazione, in tema di assegno divorzile, precisava come il parametro di riferimento cui rapportare il giudizio sulla adeguatezza, inadeguatezza dei mezzi del coniuge che richiede l'assegno di divorzio e sulla possibilità o impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive va individuato nel raggiungimento della indipendenza economica del richiedente. Si affermava il principio dell'autoresponsabilità economica di ciascun coniuge, ormai persona “singola”.

Successivamente la sentenza a Sezioni Unite n. 18287/2018, modificava ulteriormente la situazione precisando che l'assegno di divorzio ha una funzione oltre che assistenziale, compensativa e perequativa. Per l'assegno, sosteneva la Cassazione, si deve adottare un criterio composito che tenga conto delle rispettive condizioni economico-patrimoniali e dia particolare rilievo al contributo fornito dall'ex coniuge al patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all'età.

L'assegno divorzile, sottolineavano altresì le Sezioni Unite, non è finalizzato alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situazione attuale.

Ne esce un quadro interpretativo ben diverso da quello proprio del provvedimento di merito che nel caso in esame (si trattava del 2012) aveva stabilito l'assegno divorzile oggetto della querelle .

Fondamentale diviene pertanto capire se è possibile utilizzare il nuovo orientamento interpretativo nell'ambito del giudizio di revisione e se la mutata visione dell'assegno, dettata in particolare dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite e quindi nella “sua massima espressione nomofilattica”, possa costituire di per sé uno di quei giustificati motivi che, ai sensi dell'art. 9 l. 898/70, può dar vita ad un giudizio di revisione.

La Cassazione, con il provvedimento in esame, conformandosi ai suoi precedenti in materia, rileva che ai fini della revisione dell'assegno divorzile è necessario che siano sopravvenuti dei mutamenti delle condizioni economiche degli ex coniugi idonei a modificare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell'assegno (Cass. civ. n.787/2017, Cass. civ. n. 11177/2019). In tale giudizio infatti non possono essere prese in considerazione circostanze e fatti che sono già stati oggetto dell'attenzione del giudice in sede di determinazione dell'assegno stesso. Nella specie, invece si precisa, la situazione economica delle parti, così come portata all'attenzione della Cassazione, era già stata valutata in precedenza e le circostanze allegate dal ricorrente non erano pertanto sopravvenute.

D'altro canto, precisano i giudici, non è possibile far rientrare tra i “giustificati motivi”, che possono far sorgere l'interesse ad agire, “anche la diversa interpretazione avallata dal diritto vivente giurisprudenziale”. La giurisprudenza infatti, si sottolinea in proposito, ha da sempre identificato i c.d. “giustificati motivi” in fatti nuovi quali a mero titolo esemplificativo la perdita del lavoro, la nascita di un figlio, condizioni di salute particolari, eredità, ecc. tutte situazioni che possono alterare l'equilibrio stabilito in sede di giudizio di divorzio.

Una simile soluzione, sottolinea la Cassazione, non è accettabile, in quanto non considera che l'interpretazione giurisprudenziale costituisce una chiave di lettura dei dati di fatto rilevanti per il diritto e non li produce essa stessa né nel mondo fenomenico né quale fonte normativa.

Si consideri inoltre, aggiunge la Corte, che “la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell'esistenza e del contenuto della regula iuris, non già creativa della stessa”, e un mutamento di orientamento reso in sede di nomofilachia non è assimilabile allo ius superveniens ed è suscettibile di essere disatteso dal giudice di merito. La giurisprudenza ha, pertanto, si legge nel provvedimento in esame, “un'efficacia non cogente ma solo persuasiva”.

Del resto, prosegue la Corte, anche nel diverso caso di successione della legge nel tempo, l'applicazione del nuovo provvedimento normativo trova il suo limite nell'intervenuto giudicato sul rapporto dedotto in giudizio, senza che ciò comporti un vulnus al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. In assenza di “eventi” nuovi, infatti, il diritto all'assegno si fonda sul giudicato fondato sulla situazione valutata come era al momento.

Non si può pertanto, concludono gli Ermellini, adire il tribunale chiedendo la revisione dell'assegno sulla base di un'interpretazione giurisprudenziale differente rispetto a quella applicata nel momento in cui la coppia ha ottenuto il divorzio. Per dar vita ad un giudizio di revisione è necessario infatti un mutamento della situazione di fatto che cambi gli equilibri tra i coniugi. In quella sede poi il giudice può procedere alla revisione prendendo in considerazione i rinnovati principi giurisprudenziali.

Lo stesso principio era già stato oggetto di altri provvedimenti giurisprudenziali. In particolare Cass. n.15481/2017 richiamando la natura bifasica del giudizio relativo all'accertamento e quantificazione dell'assegno divorzile e del giudizio di revisione, precisava che in sede di modifica è innanzitutto necessario accertare la sussistenza di fatti nuovi e solo in un secondo momento, nel caso di esito positivo di tale accertamento, il giudice può applicare la nuova interpretazione giurisprudenziale.

Più attinenti nello specifico alla possibilità di considerare come “giustificati motivi” una nuova linea interpretativa sono alcuni provvedimenti di merito che hanno precisato che la mutata visione giurisprudenziale è applicabile anche ai procedimenti di revisione dell'assegno divorzile sempre che si sia in presenza di fatti sopravvenuti modificativi della situazione economica in relazione alla quale erano stati adottati i provvedimenti relativi al mantenimento del coniuge, ossia solamente se via sia “ in concreto” una modificazione che giustifichi il ricorso all'autorità giudiziaria (Trib. Milano, decr., 31 maggio 2018, n. 11830). Non è pertanto sufficiente a giustificare il giudizio di revisione il mero mutamento di giurisprudenza sui criteri da utilizzare per commisurare l'assegno poiché, altrimenti, si verrebbe ad estendere a rapporti esauriti e coperti dal giudicato, una diversa interpretazione della regola giuridica a suo tempo applicata, si tratterebbe di un'efficacia retroattiva di regola non consentita nemmeno alla legge. Né può essere utilmente invocato il principio del c.d. “prospective overruling” atteso che il mutamento di giurisprudenza ha riguardato una norma di carattere sostanziale e non processuale (Trib. Mantova, Sez. 1, Sent. 24 aprile 2018).

Osservazioni

La Corte nel dettare le sue motivazioni si oppone, come da lei stessa affermato, a quella parte della dottrina che auspica, l'accesso al rimedio della revisione dando alla formula dei “giustificati motivi” un significato che si riferisca alla sopravvenienza di tutti quei motivi che possano far sorgere l'interesse ad agire per il mutamento, tra i quali, quindi, anche a una diversa interpretazione avallata dal diritto vivente giurisprudenziale (tra gli altri Tommaseo F., Famiglia e diritto 1/2019). Si evidenzia peraltro come altri commentatori sostengono che l'impostazione portata avanti dalla Cassazione sia “assolutamente in linea con la ratio della validità rebus sic stantibus delle sentenze o dei provvedimenti camerali di separazione e divorzio e con il limite generale dell'intangibilità del giudicato” (Dosi).

Guida all'approfondimento

Tommaseo F., Famiglia e diritto 1/2019

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