Il divieto del c.d. avvalimento premiale e i suoi possibili effetti anticoncorrenziali
20 Marzo 2020
Il caso. In primo grado la società ricorrente impugnava l'esito della una procedura di gara lamentando, inter alia, che per l'offerta tecnica le era stato attribuito un punteggio erroneo in quanto, in sede di valutazione, non era stata considerata la capacità tecnica che avrebbe potuto raggiungere grazie all'avvalimento tecnico-operativo. Il TAR accoglieva il ricorso (TAR Lazio, 5 marzo 2019, n. 2884) ritenendo illegittima la mancata considerazione dell'avvalimento ai fini dell'assegnazione dei punteggi all'offerta tecnica (discendendone, in prospettiva conformativa, l'obbligo di riedizione della gara, relativamente alla fase di valutazione delle offerte). La stazione appaltante sottoponeva la questione al Consiglio di Stato dolendosi del fatto che il primo giudice, in violazione dell'art. 89 d.lgs. n. 50 del 2016, avesse legittimato il ricorso all'avvalimento c.d. premiale, finalizzato non già alla acquisizione dei requisiti operativi per la partecipazione alla gara, bensì alla mera acquisizione di un punteggio aggiuntivo.
La soluzione del Consiglio di Stato. Il Collegio ha ritenuto l'appello fondato per le seguenti ragioni. Anzitutto dagli atti di gara era risultato che: a) la Commissione di gara aveva deliberato di non tenere in considerazione, ai fini dell'ammissione alla gara, l'avvalimento in questione in quanto, per un verso, la società (odierna resistente) aveva dichiarato “di essere già in possesso di tutti i requisiti di capacità tecnica ed economica richiesti nel bando di gara ai fini della partecipazione” e, per altro verso, l'impresa ausiliaria aveva dichiarato di mettere a disposizione i requisito di alcune capacità utili esclusivamente “ai fini dell'attribuzione del punteggio per l'offerta tecnica”; b) la Commissione, nella fase di esame in dettaglio delle offerte tecniche aveva ribadito che non avrebbe preso in considerazione la richiesta di avvalimento, perché l'art. 89 d.lgs. n. 50 del 2016 circoscrive espressamente l'ambito di applicazione dell'istituto dell'avvalimento alla fase di partecipazione, sicché questo non avrebbe potuto “tramutarsi in uno strumento volto a consentire il conseguimento di un punteggio più alto in sede di gara migliorando la collocazione in graduatoria dell'impresa ‘avvalente' nell'ambito di gare alle quali essa [avrebbe potuto] comunque partecipare in base ai suoi propri requisiti”. A detta del Collegio, dunque, la circostanza che l'impresa non avesse bisogno di ricorrere all'avvalimento (in quanto già in possesso di tutti i requisiti di partecipazione richiesti dalla lex specialis) risultava dalle stesse dichiarazioni trasfuse negli atti di gara e veniva confermata anche dallo stesso contratto di avvalimento, in cui si dava atto che l'impresa. era già “tecnicamente ed economicamente organizzata” ai fini della partecipazione alla gara. Ciò apparirebbe ulteriormente comprovato (a posteriori) dalla circostanza che, ammessa alla gara anche senza la valorizzazione premiale dell'avvalimento, la società si è utilmente classificata, benché non aggiudicataria. In tal senso l'operato della stazione appaltante è risultato corretto in quanto conforme al principio, disatteso dal primo giudice, secondo cui, nelle procedure ad evidenza pubblica, “l'avvalimento ha la funzione di consentire al concorrente sfornito di alcuni requisiti di ammissione alla gara, di parteciparvi acquisendo i requisiti mancanti da altro operatore economico che li possieda, ma questo non ne fa uno strumento per conseguire una più elevata valutazione dell'offerta” (cfr. Cons. Stato, V, 22 dicembre 2016, n. 5419; Id., VI, 19 marzo 2015, n. 1422; Id., V, 8 novembre 2012, n. 5692). Tale principio sarebbe desumibile anche solo dalla lettera dell'art. 89 d.lgs. n. 50 del 2016, che prevede la possibilità di avvalersi delle capacità di altri soggetti solo per “soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale […] necessari per partecipare ad una procedura di gara”. Tra tali possibilità non rientrerebbe quella di incrementare i titoli valutabili o per ottenere un punteggio più elevato. In aggiunta a ciò il Collegio ha ricordato la ratio stessa dell'istituto dell'avvalimento. Quest'ultimo, infatti, rappresenta uno strumento preordinato a garantire una più ampia partecipazione alle gare, in una prospettiva proconcorrenziale ed “è per questa immanente finalità (…) che se ne consente l'utilizzo anche solo per conseguire un punteggio più elevato in sede di apprezzamento dell'offerta tecnica”. Diversamente, ove si accedesse all'idea che tale istituto sarebbe teso anche ad incrementare i titoli, si produrrebbe l'effetto opposto, ossia quello di falsare la concorrenza. In tal caso, infatti, non si determinerebbe un ampliamento della platea dei concorrenti, bensì “l'artificiosa prevalenza” di imprese che non sono davvero in possesso dei caratteri preferenziali richiesti dalla lex specialis: con il rischio, tra l'altro, di premiare, nell'ambito della competizione, l'azienda meno organizzata, meno attrezzata, tecnologicamente meno avanzata e con personale meno specializzato. Inoltre, argomentando diversamente, non si riuscirebbe neanche a comprendere la regola di cui all'art. 89, comma 3, c.c.p., che consente la sostituzione della impresa ausiliaria, sul presupposto che essa rilevi solo ai fini della partecipazione e non ai fini della graduazione della qualità dell'offerta.
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