I genitori devono controllare i figli minorenni nell’utilizzo dello strumento tecnologico. Anche se ultraquattordicenni?

24 Marzo 2020

Gli obblighi inerenti la responsabilità genitoriale impongono ai genitori non solo il dovere di impartire ai figli una adeguata educazione all'utilizzo dei mezzi di comunicazione, ma anche...
Massima

Gli obblighi inerenti la responsabilità genitoriale impongono ai genitori non solo il dovere di impartire ai figli una adeguata educazione all'utilizzo dei mezzi di comunicazione, ma anche, tenuto conto della pericolosità del mezzo utilizzato, di compiere quell'attività di verifica e controllo sulla effettiva acquisizione dei valori trasmessi da parte del minore

Il caso

A seguito del ricorso del Pubblico Ministero Minorile si apriva, nei confronti di un minore, un procedimento amministrativo in seno al Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta ai sensi dell'art. 25 r.d.l. n. 1404/34.

In particolare, il Pubblico Ministero Minorile, che aveva ricevuto nota informativa dalla Legione dei Carabinieri, segnalava che il minore si era reso responsabile di condotte illecite in danno ad altra minore, molestandola con condotte reiterate utilizzando il sistema di messaggistica Whatsapp e provocando in lei un perdurante e grave stato d'ansia e di paura «costringendola a modificare le proprie abitudini di vita, per il fondato timore per l'incolumità propria e dei propri cari».

Il minore risultava essere affidato alle cure della sola madre, essendo il padre decaduto dalla responsabilità genitoriale nei confronti del figlio con provvedimento emesso, qualche anno prima, dal medesimo Tribunale per i Minorenni.

Il Giudice minorile ha provveduto dunque a sentire il minore, che ha raccontato di non aver mai conosciuto il padre e di non avere un buon rapporto con la madre: dall'ascolto è emerso il dispiacere e il pentimento del ragazzo per le sue condotte.

Anche la madre, sentita sui fatti che hanno dato luogo all'apertura del procedimento nei confronti del figlio, ha espresso consapevolezza in ordine alla gravità della condotta posta in essere dal figlio e in relazione all'importanza del dovere di educazione e vigilanza verso il minore.

Il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta, nel provvedimento qui commentato, ha sottolineato, in primis, che l'utilizzo, da parte del minore, dello strumento tecnologico consente «l'esercizio di un diritto di libertà, ossia del diritto di ricevere e comunicare informazioni e idee».

In secondo luogo, pur ricordando che la libertà di espressione (da cui il diritto all'informazione e alla comunicazione), è cristallizzata nel primo comma dell'art. 10 della Convenzione di Roma del 1950, ed è tutelata, oltre che dall'art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea del 7 dicembre del 2000, anche dall'art. 21 della Costituzione, il Giudice minorile ha osservato che tale libertà trova un limite nella tutela della dignità della persona, specie se minore di età.

In quanto soggetti deboli, infatti, i minori necessitano di apposita protezione nel mondo della comunicazione, dovendo essere tutelati da interferenze arbitrarie o illegali con riferimento alla vita privata, alla corrispondenza e al domicilio, come previsto dall'art. 16 della Convenzione sui diritti del fanciullo approvata a New York il 20 novembre 1989: nell'ambito del bilanciamento fra i diversi valori costituzionali, fra cui la libertà di espressione e il diritto all'informazione del minore, prevale dunque l'interesse superiore del minore, cristallizzato nell'art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York.

La questione

La questione in esame è la seguente: il genitore ha il dovere di controllare il figlio minore nell'utilizzo dello strumento tecnologico, fino al compimento della maggiore età? Se sì, con quali limiti?

Le soluzioni giuridiche

Il decreto in commento trae origine da un impulso del Pubblico Ministero, il quale apre un procedimento amministrativo ex art. 25 r.d.lgs n. 1404 del 1934 dinanzi al Tribunale per i Minorenni.

Si tratta di un procedimento il cui scopo è quello di “rieducare” i minori che diano manifesta prova di irregolarità nel carattere e nella condotta, ovverosia che pongano in essere comportamenti anomali che, se pur non riconducibili a condotte penalmente rilevanti, possano mettere in pericolo o più generalmente arrecare pregiudizio al minore stesso (Trib. min. Caltanissetta, 26 giugno 2018).

L'ampiezza del dettato normativo, che non prevede una casistica chiusa, consente di applicare la citata disciplina a una moltitudine di vicende che possono riguardare i minori. Si potranno dunque applicare le misure previste, a titolo esemplificativo, in caso di allontanamento del minore da casa, in caso di abbandono scolastico, oppure nei casi più gravi, quali la tossicodipendenza, l'alcolismo, ma anche il c.d. bullismo nei confronti di altri minori.

Il Giudice minorile svolge innanzitutto una indagine, che viene condotta a mezzo del Servizio Sociale territorialmente competente, onde comprendere se sia necessario intervenire e, in caso positivo, quale tipologia di interventi attuare.

L'Art. 25 r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404 prevede due misure: 1) l'affidamento del minore al servizio sociale minorile ovvero 2) il collocamento in una casa di rieducazione od in un istituto medico-psico-pedagogico.

Nel primo caso, l'Art. 27 prevede che all'atto dell'affidamento al Servizio Sociale debbano essere indicate le prescrizioni che il minore dovrà seguire: ad esempio, l'obbligo di frequentazione di determinati corsi formativi o terapie, anche psicologiche, come pure il divieto di frequentazione di determinati luoghi.

Sia nel caso di affidamento all'ente, sia in caso di collocamento in una casa di rieducazione, il Giudice minorile si preoccupa anche di fornire le linee guida dell'assistenza, alle quali il minore deve essere sottoposto, e vigila, a mezzo del Servizio incaricato ovvero tramite l'Istituto ove il minore è ricoverato, sulla osservanza delle prescrizioni e sull'opera di rieducazione, anche al fine di valutare la modifica ovvero la revoca delle misure.

Si tratta di un procedimento in cui, in ogni caso, è previsto l'intervento del minore. Oltre al diretto interessato, vengono sentiti i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale o la tutela, come pure il Pubblico Ministero. Diversamente dai procedimenti ex artt. 330 e 333 c.c., l'intervento, spesso richiesto dagli stessi genitori, è volto ad ottenere un supporto, da parte dell'apparato statale, onde consentire un inserimento sociale ed al fine di ovviare ad una acutizzazione delle problematiche del minore.

Il decreto in commento non è il primo provvedimento edito in materia di illecito civile commesso da un minore a seguito dell'utilizzo dello “smartphone”, al vaglio di un Tribunale per i Minorenni.

Già nel recente passato proprio il Giudice Minorile nisseno era stato chiamato a esprimersi, sull'argomento, in quanto il Pubblico Ministero aveva chiesto l'apertura di un procedimento ex artt. 333 e 336 c.c. (si veda Trib. min. Caltanissetta, 16 luglio 2018). Nella fattispecie, l'utilizzo dello strumento tecnologico non si era estrinsecato in una condotta del minore in danno ad altri, bensì in danno al minore stesso.

Una ragazzina quattordicenne aveva inviato al fidanzato, a mezzo del proprio smartphone, alcune immagini che la ritraevano nell'intimità e queste immagini erano state poi a loro volta inviate, da parte del ragazzino, ad altri amici e conoscenti: tutto questo aveva provocato, nella minore, uno stato d'ansia ed angoscia.

Il procedimento era stato aperto, su impulso del P.M., sulla base dell'assunto tale per cui un utilizzo così sconsiderato del telefonino, da parte della minore, potesse essere sintomatico di una scarsa educazione e vigilanza da parte dei genitori. Espletate le dovute indagini a mezzo del Servizio Sociale incaricato, che aveva svolto un'attività di monitoraggio e supporto della minore e del nucleo familiare, sentiti i genitori e la stessa minore, il procedimento era stato definito senza alcun provvedimento limitativo o ablativo della responsabilità genitoriale.

In motivazione, il Giudice minorile aveva dato atto delle adeguate capacità dei genitori, che avevano manifestato consapevolezza in relazione alla pericolosità del comportamento della propria figlia, collaborando con i Servizi incaricati nel superiore interesse della giovane, come pure dell'esito positivo del percorso di sostegno alla minore, avendo questa ricostruito un rapporto di dialogo con i propri genitori e di osservanza delle regole imposte da questi ultimi.

Osservazioni

Il decreto in commento affronta la tematica relativa all'utilizzo dello strumento tecnologico, da parte del minorenne, dal punto di vista del rapporto genitori-figli; in particolare, il Giudice minorile si è soffermato sugli obblighi inerenti la responsabilità genitoriale non solo ricordando il dovere di impartire al minore una adeguata educazione, ma anche affermando un vero e proprio dovere di porre in essere quella attività di vigilanza e di controllo, sul minore, in relazione all'utilizzo dello strumento stesso.

La questione riguarda l'esercizio di diritti fondamentali da parte del minore e il rapporto fra questi e la responsabilità genitoriale: concetto, quest'ultimo, che si estrinseca non solo nel diritto e nel dovere, costituzionalmente previsti, a educare, istruire, mantenere il figlio (art. 30 cost.), ma anche in una responsabilità civile che permane, in proprio, in capo al genitore, sino al compimento della maggiore età da parte del minore.

Ebbene, il provvedimento emanato dal Giudice nisseno impone alcune riflessioni.

Il legislatore, in poco più di trent'anni, ha profondamente innovato, a più riprese, la disciplina della filiazione: dal 1975, con la riformulazione dell'art. 147 c.c. lo schema della potestà del genitore nei confronti del figlio, intesa come potere-soggezione, ha dovuto far spazio ad una nuova dinamica relazionale, maggiormente aderente al testo costituzionale.

Il superamento della concezione di famiglia come formazione sociale chiusa, un tempo ritenuta impermeabile ad ingerenze esterne e in seguito il passaggio da “potestà” a “responsabilità” genitoriale (l. 219/2012 e d.lgs n. 154/2013) cui si è accompagnata, nella riforma della filiazione, la consacrazione del minore quale soggetto investito di diritti e doveri, a prescindere dall'età (art. 315-bis c.c.), sono punti di riferimento normativi che hanno riverbero anche nella fenomenologia delle relazioni familiari.

Il legislatore nazionale, ormai consapevole, anche per via di una disciplina pattizia internazionale ormai granitica, che la minore età conosca distinte fasi evolutive, cui si accompagna anche una differente capacità di discernimento, ha poi legato la partecipazione attiva del soggetto minorenne, all'interno dell'ordinamento, a determinati requisiti di età, anticipandone, per certi versi, la capacità di agire rispetto al raggiungimento della maggiore età.

Oggi, la capacità di discernimento del minore non deve essere più (sempre e solo) valutata caso per caso, secondo modelli astratti, bensì secondo il raggiungimento di una determinata soglia di età. Lo scopo è quello di assicurare, in sintonia con i valori e le regole dell'ordinamento, il rispetto delle abilità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del soggetto non ancora “adulto”.

Maggiore è la maturità di giudizio del soggetto, minore potrà essere l'ampiezza della etero-determinazione delle decisioni da assumersi nel suo interesse, da cui il diritto, oggi espressamente previsto per il minore ultra dodicenne, di partecipare alle scelte esistenziali che lo riguardano ovvero di assumerle personalmente.

Le riforme hanno dunque comportato una graduazione del contenuto dei poteri genitoriali e una sempre maggiore libertà, per il minore, di esprimere la propria personalità. La potestà (ora responsabilità) del genitore vacilla dinanzi agli aspetti più intimi della personalità del fanciullo, in particolar modo del “grande minore”, a tal punto che il diritto alla riservatezza del minore, oggi, si ritiene azionabile erga omnes, anche nei confronti del genitore.

Il minore, infatti, può avere accesso ad atti sanitari a prescindere dal consenso o dissenso (e anche all'insaputa) dei genitori ovvero del soggetto esercente la responsabilità genitoriale. Ma si tratta pur sempre di casi espressamente previsti per legge: ci si riferisce agli accertamenti diagnostici ed alle cure per le malattie trasmesse sessualmente (art. 4 legge 25 luglio 1956, n. 837 e artt. 9 e 14 d.P.R. 27 ottobre 1962, n. 2056), ai trattamenti di prevenzione, cura e riabilitazione della tossicodipendenza (l. 22 dicembre 1975 n. 685 e d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309), all'interruzione della gravidanza e alla possibilità di ottenere la prescrizione medica di esami, farmaci e dispositivi contraccettivi (l. 27 maggio 1978 n. 194) anche escludendo i genitori (Garante Privacy, 17 novembre 2010).

Recentemente, il legislatore ha emanato due riforme che si inseriscono nel solco già tracciato, che vuole il minore sempre più investito di diritti, man mano che si approssima alla maggiore età. La prima, in ordine di tempo, è la legge sul cyberbullismo (l. 29 maggio 2017, n. 71), secondo la quale, al compimento dei quattordici anni di età, il minore vittima di tali atti può autonomamente richiedere al titolare del trattamento dei dati, ovvero al gestore del sito internet o del social media l'adozione di provvedimenti a propria tutela, quali «l'oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi altro dato personale» che lo riguarda.

La seconda novità è data dal d.lgs 10 agosto 2018, n. 101, che ha adeguato il Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196) alle disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR). Grazie al suddetto decreto, oggi, “il minore che ha compiuto i quattordici anni può esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali in relazione all'offerta diretta di servizi della societa' dell'informazione.” (Art. 2-quinquies, Capitolo I, Par. I, Capo II d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196).

Si tratta di riforme che di fatto concedono, al minore, la facoltà di esercitare, autonomamente, diritti fondamentali della persona: la normativa di nuovo conio, tuttavia, deve essere letta alla luce del ruolo genitoriale definito dagli artt. 147, 316 e 315-bis c.c. e dagli artt. 30 e 31 della Costituzione.

Senza dimenticare che la responsabilità genitoriale è strettamente connessa alla responsabilità civile dei genitori per il danno cagionato dal fatto illecito commesso dal figlio minorenne (problema sollevato anche dal Giudice minorile nel decreto in commento). E' una responsabilità che non solo vede il genitore quale soggetto legittimato passivo in proprio sino alla maggiore età del figlio, ma la cui prova liberatoria (cfr. art. 2048 c.c. «soltanto se provano di non avere potuto impedire il fatto»), si configura come una vera e propria probatio diabolica data la impossibilità, per i genitori, di impedire in ogni momento il compimento di fatti illeciti da parte dei figli, soprattutto con l'approssimarsi della maggiore età (cfr. ex plurimis, Cass. civ., sez. III , 06 dicembre 2011, n. 26200).

Con le ultime riforme, dunque, pare che il legislatore sia orientato a individuare il compimento del quattordicesimo anno quale età del “consenso digitale” del minore. Se tale presa di posizione ha il vantaggio di uniformare, a livello ordinamentale, l'età in cui il minore possa essere investito di diritti e obblighi scaturenti dalla sua socializzazione digitale, d'altro lato, questo filone riformista pone un problema di coordinamento fra la suddetta normativa, le norme in tema di responsabilità genitoriale e quelle relative alla responsabilità civile dei genitori nei confronti dei figli.

Quanto alla responsabilità genitoriale, allo stato, le novità introdotte con le ultime riforme, pur segnando un passo significativo nell'affermazione del diritto all'autodeterminazione del minore, non appaiono idonee a sancire una limitazione della responsabilità genitoriale con riferimento al diritto-dovere, dei soggetti che la esercitano, di porre in essere quell'attività di verifica e controllo la cui ratio altro non è che la tutela della dignità del minore medesimo, anche nell'utilizzo dello strumento tecnologico.

Il dovere di vigilanza, tuttavia, deve essere esercitato nell'interesse superiore del minore, (art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York) e non può giustificare qualsiasi intromissione indebita nella sua sfera privata. Dovrà essere assicurato, al minore, l'esercizio della libertà di espressione, il diritto all'informazione e alla comunicazione, protetti da norme di rango superiore nazionali (artt. 2 e 21 Cost.) e internazionali (art. 10 della Convenzione di Roma del 1950 e art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea del 7 dicembre del 2000).

Al contempo, il genitore non può, per il solo fatto di essere titolare ed esercente la responsabilità genitoriale, violare il diritto alla vita privata e familiare del figlio (art. 8 C.E.D.U.) diffondendo le foto del minore in rete, contro il volere di quest'ultimo (Così ord. Trib. Roma, 23 dicembre 2017). L'intromissione indebita nella sfera privata del minore, inoltre, può avere conseguenze non strettamente civilistiche. A mero titolo esemplificativo, la condotta del genitore che registra il contenuto delle conversazioni telefoniche tra il figlio minore e l'altro genitore può essere sussumibile nella fattispecie delittuosa di cui all'art. 617 c.p.; la Suprema Corte, sul punto, ha sottolineato come detta condotta non possa essere scriminata ai sensi dell'art. 51 c.p. nemmeno per prevenire il pericolo di una asserita “cattiva influenza sui figli” da parte dell'altro genitore (Cass. pen. sez. V, 17 luglio 2014, n. 41192).

Con riferimento, invece, alle norme in tema di responsabilità civile, è di tutta evidenza che i c.d. grandi minori costituiscano ormai una realtà ineludibile, non essendo più assimilabili a quei soggetti ritenuti bisognosi di sostegno altrui, incapaci di comprendere direttamente gli effetti delle loro azioni od omissioni. Eppure solo di recente la Suprema Corte è giunta ad affermare «che la complessiva evoluzione sociale è coerente ormai con il riconoscere nelle persone di età prossima ai 18 anni una maturazione psicofisica ormai completa, e quindi idonea a giustificare una loro autoresponsabilità come responsabilità diretta ed esclusiva» (Cass. civ., Sez. III, 31 gennaio 2018, n. 2334).

Occorre dunque che la giurisprudenza, prendendo atto della chiara presa di posizione da parte del legislatore europeo e di quello nazionale, oltre che della evoluzione, nel tempo, dei costumi sociali, voglia riconoscere, in senso unanime, una graduazione, proporzionale al crescere dell'età del minore, della responsabilità in capo al genitore, ovvero una attenuazione dell'ardua prova liberatoria. Va da sé, infatti, che la generale diffusione di strumenti tecnologici anche fra i minori, ora dotati dal legislatore di speciali diritti connessi alla loro emancipazione digitale, possa determinare l'insorgenza di illeciti che, per loro natura, sfuggono al monitoraggio dei genitori ovvero dei soggetti esercenti la responsabilità genitoriale.

In ogni caso, come ricordato dall'Autorità Garante per la Privacy in occasione della elaborazione dello schema di decreto legislativo sul Regolamento 2016/679/UE (Gdpr), non ci si può esimere dal sottolineare che la mancanza di una consapevolezza digitale è un problema che affligge non solo i minori, ma anche gli adulti: i noti provvedimenti in materia di divieto di pubblicazione delle immagini che ritraggono i figli minorenni, da parte dei genitori, ne sono triste conferma.

È dunque improcrastinabile che le istituzioni predispongano e attuino, quanto prima, programmi educativi che abbiano il fine di accompagnare minori e genitori alla necessaria consapevolezza nell'utilizzo dello strumento tecnologico. Se è vero infatti che il “catalogo” dei diritti riconosciuti al minore è destinato ad ampliarsi, spetta all'ordinamento, in primis, far sì che il ruolo attivo, concesso al minore all'interno della società sia, innanzitutto, un ruolo consapevole.

Guida all'approfondimento

I. FAMULARO, La responsabilità genitoriale per mancato controllo dei figli su Facebook, in Libertà di manifestazione del pensiero e diritti fondamentali, Profili applicativi nei social networks, Giuffré Editore S.p.A., 2016

C. SALVI, La responsabilità civile, in Tratt. Di dir. priv., Iudica e Zatti, Giuffré Editore S.p.A., 1998, p. 132 ss.

P. STANZIONE, Persona minore di età e salute, diritto all'autodeterminazione, responsabilità genitoriale, in www.comparazionedirittocivile.it

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