Codice Civile art. 1593 - Addizioni.Addizioni. [I]. Il conduttore che ha eseguito addizioni sulla cosa locata ha diritto di toglierle alla fine della locazione qualora ciò possa avvenire senza nocumento della cosa, salvo che il proprietario preferisca ritenere le addizioni stesse. In tal caso questi deve pagare al conduttore un'indennità pari alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore delle addizioni al tempo della riconsegna [986 2]. [II]. Se le addizioni non sono separabili senza nocumento della cosa e ne costituiscono un miglioramento, si osservano le norme dell'articolo precedente [986 3]. InquadramentoL'art. 1575, n. 1) c.c., con previsione derogabile (Trib. Firenze 10 novembre 2000; analogamente Cass. III, n. 6158/1998), impone al locatore di consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione. Tale previsione va collegata a quella contenuta nell'art. 1590 c.c. che, al comma 1, prevede che la restituzione – quale obbligo simmetrico gravante sul conduttore – debba avvenire nello stato medesimo in cui il conduttore l'ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'uso della cosa in conformità del contratto e, al comma 2, pone una presunzione in virtù della quale, in mancanza di descrizione, si deve ritenere che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione. Il dovere di restituire il bene, pur non essendo espressamente previsto dall' art. 1587 c.c. tra le obbligazioni principali nascenti dal contratto di locazione a carico del conduttore, va, dunque, certamente annoverato tra queste ultime. Anche la dottrina più autorevole (Lazzaro, Di Marzio, 1081) ascrive tale obbligazione nell'orbita applicativa della sopramenzionata disposizione codicistica, connotandosi l'obbligo di restituzione della cosa locata gravante sulla parte conduttrice quale effetto essenziale del contratto di locazione, per essere quest'ultimo sempre stipulato per un tempo predeterminato a monte dalle parti. In sostanza, “le predette obbligazioni [di consegna e restituzione, cioè] non sono, in effetti, riferibili ad obblighi autonomi (ovvero l'uno sganciato dall'altro) ma si risolvono in un'unica complessiva obbligazione che trova fondamento nell'obbligo di far godere la cosa come previsto dall'art. 1571 c.c. (che contiene la nozione stessa del contratto di locazione), da cui discendono, secondo un meccanismo di concatenazione logica e sistematica, gli obblighi di consegna, di manutenzione funzionale all'uso pattuito e quello diretto ad evitare le turbative ad opera di terzi nel godimento della cosa locata”. A tal proposito, si è, perciò, affermato che “l'obbligazione globale (e fondamentalmente unitaria) incombente sul locatore riveste un contenuto essenzialmente positivo ed implica l'insorgenza a suo carico di obblighi che si sviluppano per tutta la durata del contratto e che svolgono, in sostanza, una funzione strumentale e rafforzativa rispetto a quello della consegna iniziale. Per contro, i suddetti obblighi contrattuali facenti capo al locatore cessano di trovare applicazione allorquando sia decorso il termine del rapporto, ossia nei casi in cui lo stesso venga dichiarato risolto, anche se il conduttore permanga illegittimamente nella disponibilità dell'immobile” (così Carrato, 2014, 818). In giurisprudenza è stato chiarito che l'obbligo in commento a) sorge nel momento stesso in cui il conduttore accetta la consegna della cosa (Cass. III, n. 2008/1972), b) va adempiuto nel luogo dove la consegna originaria è avvenuta (Cass. III, n. 265/1977), c) configura un'ipotesi di responsabilità contrattuale (Cass. III, n. 1189/2007; Cass. III, n. 2458/1977), avente ad oggetto un facere atipico (consistente, per l'appunto, nella restituzione della res locata) anche se non di carattere sinallagmatico (Cass. III, n. 1189/2007, cit.), conseguendo alla natura propria della locazione, quale contratto a termine e che d) va eseguito nei confronti del locatore, indipendentemente dalla circostanza che ne sia o meno il proprietario (Cass. III, n. 539/1997). La restituzione, peraltro, deve avere ad oggetto il medesimo bene locato: ne consegue che, solitamente, all'atto della consegna le parti redigono un verbale di immissione nella detenzione del bene (c.d. verbale di consegna), ovvero includono nel contratto una specifica clausola, donde risulti la descrizione dello stato del bene; la dichiarazione del conduttore di riscontrare che la cosa si trova in buono stato manutentivo ovvero la specifica clausola inserita nel contratto esonerano il locatore da responsabilità per consegna in buono stato manutentivo, giacché contenendo il verbale o la clausola essenzialmente dichiarazioni di scienza provenienti dalle parti, tali dichiarazioni, per quanto riferiscono fatti sfavorevoli, posseggono efficacia di confessione, ai sensi dell'art. 2730 c.c. e, più precisamente, essendo resa al di fuori del giudizio, di confessione stragiudiziale che, siccome rivolta alla controparte, fa piena prova della verità dei fatti dichiarati contro colui che ha reso la dichiarazione, ex art. 2735 c.c. È in questo contesto che si collocano le previsioni di cui agli artt. 1592 e 1593 c.c. che, rispettivamente, dettano la disciplina di eventuali miglioramenti ed addizioni apportati alla cosa locata da parte del conduttore: in particolare, benché collocate nella disciplina relativa ad obblighi e diritti del conduttore, entrambe le previsioni individuano, accanto alle obbligazioni disciplinate dall'art. 1575 c.c. – e tralasciando le diverse obbligazioni del locatore disciplinate dalla legislazione speciale – ulteriori obbligazioni che gravano sul locatore. Trattasi di previsioni derogabili (Cass. III, n. 6158/1998; analogamente Cass. III, n. 192/1991, per la quale in tema di miglioramenti ed addizioni alla cosa locata, le disposizioni di cui agli artt. 1592 e 1593, non essendo di carattere imperativo, sono derogabili dalle pattuizioni contenute nel contratto) che non trovano, però, applicazione nell'affitto di azienda, per il quale non è previsto uno ius tollendi in capo all'affittuario al termine del rapporto. Infatti, dal combinato disposto degli artt. 2561, comma 4, e 2562 c.c., emerge che la differenza tra le consistenze di inventario all'inizio e al termine dell'affitto è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell'affitto, sia essa derivata da mutamenti quantitativi o soltanto qualitativi delle componenti aziendali (Cass. I, n. 10623/2007). Se poi le parti, derogando alla disciplina legale prevista dagli artt. 1592 e 1593 c.c., pattuiscono l'obbligo del locatore di rimborsare al conduttore le spese occorrenti per l'avvenuta realizzazione di miglioramenti ed addizioni, il relativo debito non muta la natura che gli attribuisce la legge, dovendosi calcolare in base all'integrale valore di esse, così modificandosi soltanto il criterio legale della minor somma tra lo speso e il migliorato (Cass. III, n. 4608/1997). In particolare, quanto alle addizioni, il principio generale espresso dalla norma in commento è quello per cui il conduttore che ha eseguito addizioni sulla cosa locata ha diritto di toglierle alla fine della locazione qualora ciò possa avvenire senza nocumento della cosa, salvo che il proprietario preferisca ritenerle, previo pagamento al conduttore di un'indennità pari alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore delle addizioni al tempo della riconsegna; se, invece, le addizioni non sono separabili senza nocumento della cosa e ne costituiscono un miglioramento, si osservano le norme dell'articolo precedente. La ratio della norma va rinvenuta, chiaramente, nella volontà del legislatore di evitare che si produca un indebito arricchimento in capo al locatore. La nozione di “addizione”Costituiscono “addizioni” – rilevanti ai fini della disciplina ex art. 1593 c.c. – quelle opere che, mantenendo la propria individualità ed identità rispetto alla cosa locata, ne determinano un accrescimento estrinseco di carattere quantitativo. Sulla medesima linea si pone la giurisprudenza, che considera addizioni solo quelle innovazioni o quegli incrementi, qualitativi o quantitativi che ineriscono alla cosa locata, lasciandone però integra la struttura fondamentale e l'organizzazione funzionale autonoma (Cass. III, n. 5747/1988), purché sia rispettato l'obbligo di non immutare la natura e la destinazione economica della cosa (Cass. III, n. 9744/1996): in tal caso, infatti, si verserebbe in presenza di un inadempimento del conduttore che, lungi da determinare l'operatività dell'art. 1593 c.c., andrebbe ricondotto alla disciplina della risoluzione per violazione delle obbligazioni principale del conduttore, ex art. 1587 c.c. (Cass. III, n. 3867/1953). In tale ultimo caso, cioè, si verserebbe in un caso di vero e proprio abuso nel godimento della cosa locata, perpetrato dal conduttore mediante alterazioni, sia pure parziali, la cui gravità ed importanza, ai fini della pronuncia di risoluzione del contratto, è rimessa al giudice, chiamato 1) ad accertare se se l'incidenza delle opere e delle demolizioni sugli elementi strutturali dell'immobile sia tale da alterarne l'originaria consistenza e da costringere, al termine della locazione, il locatore proprietario, che non intende accettare le modifiche apportate dal conduttore, ad effettuare onerosi lavori per ripristinare le condizioni originarie dell'immobile locato e 2) a valutare gli effetti di queste modifiche anche con riguardo all'interesse del locatore alla conservazione dell'immobile nello stato originario, come manifestato nel contratto di locazione con specifica clausola diretta a vietare al conduttore qualsiasi modifica, anche migliorativa, senza il consenso del locatore (Cass. III, n. 3586/1992; Cass. III, n. 9622/1999). Sicché, non può discutersi di addizioni allorché gli incrementi consistano in alterazioni strutturali intrinseche che abbiano come conseguenza la trasformazione della cosa locata o, addirittura, la perdita dell'autonomia propria del bene, così da realizzare una nuova ed unica entità patrimoniale (Cass. III, n. 4706/1984; Cass. III, n. 5747/1998). Le suesposte conclusioni sono accolte anche in dottrina, laddove è stato chiarito (Mirabelli, 528) che l'addizione consiste in un'attività materiale tramite la quale si unisce ad una cosa principale una cosa accessoria, che costituisca un'utilità per la prima. In ciò risiederebbe, dunque, la differenza principale tra addizioni e miglioramenti, intendendosi per questi ultimi quei mutamenti della cosa locata di carattere intrinseco ed obiettivo (percepibile, cioè, in modo oggettivo e non soggettivo o presunto), che la rendono maggiormente produttiva di vantaggi e ne elevano l'aspetto esteriore, la qualità, la funzionalità e persino lo stato di manutenzione. In altri termini, costituisce miglioramento l'attività materiale che determina un incremento economico della cosa locata (Mirabelli, 528). Ma non solo: nel senso che si è altresì osservato che, mentre i miglioramenti non sono separabili dalla cosa, le addizioni possono essere eliminate, riportando la cosa allo status quo ante, proprio perché l'elemento aggiunto (ulteriore ed accessorio) non si fonde con la res locata, né perde la sua individualità (Trifone, 481), sostanziandosi in una mera aggiunta materiale (Tabet, 1972, 576). La struttura della norma, però, impone una precisazione in proposito, nel senso che impone di distinguere tra addizioni separabili e non separabili, giacché qualora un'addizione assuma anche i caratteri del miglioramento (v. il comma 2 dell'art. 1593 c.c.), si applicherà a tale fattispecie il combinato disposto degli artt. 1592 e 1593 c.c. Viene chiarito, in proposito, da Cass. III, n. 10959/1996 che la disciplina in esame è applicabile anche alle accessioni operate dal conduttore che, originariamente separabili per la loro natura fisica, siano divenute giuridicamente inseparabili per disposizione di legge o per vincolo amministrativo, dovendosi ritenere che la volontà di legge, come attuata, si sia sostituita al consenso del locatore in ordine alle addizioni al proprio immobile, per la regolamentazione di più beni originariamente separabili come entità indivisibile (nella fattispecie concreta il vincolo era stato imposto con decreto del Ministro dei Beni Culturali e Ambientali ai sensi dell'art. 2 della l. n. 1089/1939 per la destinazione d'uso e gli arredi interni di un locale commerciale di particolare interesse artistico e storico ed era nata controversia alla cessazione del rapporto di locazione sulla sorte degli arredi e sul diritto all'indennizzo a favore del conduttore). Quanto alle addizioni non separabili il problema è, poi, quello di individuare il regime di titolarità della cosa: per la dottrina (Catelani, 295) il concetto di “addizione non separabile” presenta evidenti analogie con l'accessione, con un richiamo al principio posto ex art. 936 c.c., rispetto al quale l'art. 1593 c.c. si pone in termini di species a genus, contemplando la possibilità per il conduttore, a differenza di quanto previsto dall'art. 936 c.c., lo ius tollendi (Tabet, 1972, 580). Ampia è la giurisprudenza su tutti gli aspetti innanzi evidenziati. Per Cass. III, n. 10959/1996, per la quale la disciplina degli artt. 1592 e 1593 c.c., oltre che ai miglioramenti, si applica anche alle accessioni operate dal conduttore che, seppur originariamente separabili per la loro natura fisica, siano divenute giuridicamente inseparabili per disposizione di legge o per vincolo amministrativo. Del medesimo tenore la più recente Cass. III, n. 6094/2006, per la quale con riguardo alle addizioni effettuate dal conduttore, se il locatore vi ha prestato consenso e queste, non separabili senza nocumento della cosa locata, costituiscano anche un miglioramento della cosa locata, comportando un incremento di valore della cosa stessa, il locatore non può pretenderne la rimozione ed il conduttore ha diritto all'indennità prevista dall'art. 1592 c.c., mentre qualora non vi sia stato il consenso, il conduttore non ha diritto ad alcuna indennità, a nulla rilevando che il locatore acquisisca le addizioni. Nel caso, invece, in cui le addizioni comportino deterioramento della cosa locata, il locatore può chiedere il risarcimento del danno in forma specifica mediante l'eliminazione da parte del conduttore delle opere da lui abusivamente eseguite. Quanto al rapporto tra l'art. 936 c.c. e l'art. 1593 c.c., Cass. VI, n. 2501/2013 precisa che gli incrementi del bene locato, in applicazione del principio generale dell'accessione, divengono di proprietà del locatore, proprietario della cosa locata, pur con le specifiche modalità dettate dall'art. 1593 c.c., rimanendo, tuttavia, in facoltà delle parti di prevedere apposita clausola derogatrice volta ad escludere che il bene immobilizzato nel suolo sia ritenuto dal proprietario di quest'ultimo; in presenza di tale accordo, pertanto, il contratto di locazione, per tutta la sua durata, costituisce titolo idoneo a impedire l'accessione, configurandosi il diritto del conduttore sul bene costruito come diritto non reale, che si estingue con il venir meno del contratto stesso e con il riespandersi del principio dell'accessione. Nel medesimo senso Cass. S.U., n. 2486/1971, per cui il principio dell'accessione non è affermato dall'art 934 c.c. con carattere di assolutezza ma, al contrario, è limitato alle sole ipotesi in cui non risulti dal titolo o dalla legge che l'opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene ad un soggetto diverso dal proprietario di questo: sicché, per quanto riguarda le addizioni effettuate dal conduttore, il proprietario dell'immobile locato ne acquista la proprietà solo se esse non siano separabili senza nocumento della cosa, ovvero egli preferisca ritenerle, pagando al conduttore le dovute indennità secondo il disposto dell'art. 1593 c.c. La disciplina delle addizioni: a) lo ius tollendi del conduttoreil conduttore che ha eseguito addizioni sulla cosa locata ha diritto di toglierle alla fine della locazione qualora ciò possa avvenire senza nocumento della cosa. A tal fine occorre, però, che il conduttore preavvisi il locatore delle sue intenzioni, affinché quest'ultimo possa esercitare lo ius retinendi (Cass. II, n. 395/1972); sicché, a) ove l'esercizio dello ius tollendi preceda il termine del rapporto negoziale, il conduttore deve darne notizia al locatore, che si può opporre (Cass. III, n. 395/1972, cit.) mentre b) ove il conduttore intenda esercitare il proprio diritto successivamente alla cessazione del rapporto locatizio, in tal caso pur non essendo fissato un termine, lo ius tollendi è subordinato alla volontà del proprietario di non voler ritenere per sé le addizioni (Cass. III, n. 14871/2000). Si osserva in dottrina che la facoltà, per il conduttore, di asportare l'addizione sussiste unicamente quando questa sia separabile senza nocumento della cosa locata: sicché è separabile solo quell'addizione che può essere tolta od asportata, senza comportante grave detrimento della cosa o senza opere costose e di lunga durata (Provera, 332). Segue. b) lo ius retinendi (ovvero il consenso del locatore) Si è detto che il conduttore che ha eseguito addizioni sulla cosa locata ha diritto di toglierle alla fine della locazione qualora ciò possa avvenire senza nocumento della cosa; ciò tuttavia è possibile solo alla condizione che il proprietario non preferisca ritenere delle addizioni, previo pagamento al conduttore di un'indennità pari alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore delle addizioni al tempo della riconsegna. Lo ius tollendi del conduttore è subordinato, dunque, alla verificazione di una duplice evenienza: a) che l'addizione sia separabile materialmente dalla cosa (principale) locata e b) che il locatore non intenda far propria l'addizione, manifestando tale volontà al conduttore e corrispondendo allo stesso un'indennità per l'avvenuta realizzazione della stessa. Emerge da quanto precede che, nel conflitto tra le due contrarie facoltà giuridiche del conduttore (ius tollendi) e del locatore (ius retinendi), prevale la tutela della sfera giuridica di quest'ultimo, rispetto all'esercizio del potere di rimozione del conduttore. Si badi, l'art. 1593 c.c. fa riferimento, quale titolare dello ius retinendi, al proprietario: sicché si pone il dubbio che essa sia rivolta solo al titolare del diritto reale sul bene locato. Sennonché, il rapporto che nasce dal contratto di locazione e che si instaura tra locatore e conduttore ha natura personale: ne consegue che chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione, non rilevando che il locatore non sia anche il proprietario o il titolare di altro diritto reale sul bene. Chiara in proposito è Cass. III, n. 27021/2016 (in senso conforme v. anche Cass. III, n. 22346/2014), per cui la natura personale del rapporto che si instaura tra locatore e locatario consente a chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, di concederlo validamente in locazione, compreso il nudo proprietario, la cui legittimazione a chiedere l'adempimento dell'obbligo di versamento dei canoni non può essere pertanto contestata dal conduttore convenuto, adducendo l'esistenza della posizione dell'usufruttuario, in quanto essa è estranea al rapporto personale di godimento insorto con la locazione. Del pari, la legittimazione a locare un immobile è stata riconosciuta anche in capo al detentore di fatto, a meno che la detenzione non sia stata acquistata illecitamente e, a maggiore ragione, a chi, acquistato il possesso (o la detenzione) sulla scorta di un valido ed efficace titolo giuridico, abbia conservato tale possesso, non opponendosi il proprietario, dopo la scadenza dell'efficacia di tale titolo (Cass. III, n. 8411/2006; Cass. III, n. 15443/2011). In dottrina si sostiene, ancora, che sono legittimati a locare, senza che ciò leda alcun diritto di terzi, oltre al proprietario, anche l'usufruttuario, l'enfiteuta, il superficiario, il creditore anticretico, il sequestratario e lo stesso conduttore (Guarino, 32; Tabet,1982, 1004). Ne consegue che in dottrina si concorda circa l'uso improprio dell'espressione “proprietario” contenuta nell'art. 1593 c.c., dovendosi – piuttosto – far riferimento al concetto di “locatore” (Tabet, 1972, 580): ciò implica, a “cascata”, il locatore non proprietario che ritiene l'addizione, potrebbe poi separala a proprio esclusivo vantaggio, ma potrebbe esser costretto a subire l'esercizio dei poteri attribuiti dall'art. 936 c.c. al proprietario (Provera, 334). Altra parte della dottrina, al contrario, nega il diritto di ritenere le addizioni spetti al locatore che non sia anche proprietario del bene (Miccio, 194). Sostanzialmente del medesimo avviso la giurisprudenza, per la quale, sebbene l'art. 1593 c.c. utilizzi l'espressione proprietario – lasciando quindi presumere che il diritto di ritenere le addizioni spetti solo al proprietario e non anche al locatore non dominus – ha sempre fatto riferimento al locatore (Trib. Monza 19 novembre 1986). Peraltro, qualora il locatore decida di ritenere l'opera – avente le caratteristiche dell'addizione – eseguita nell'alloggio locato a cura del conduttore, ciò non può configurare un atto di spoglio, anche nel caso in cui l'ex conduttore abbia manifestato volontà contraria (Cass. III, n. 10477/1991). Se, ancora, il locatore ha prestato consenso alle addizioni realizzate dal conduttore e queste, non separabili senza nocumento della cosa locata, costituiscano anche un miglioramento della cosa locata, comportando un incremento di valore della cosa stessa, il locatore non può pretenderne la rimozione ed il conduttore ha diritto all'indennità prevista dall'art. 1592 c.c. mentre, qualora non vi sia stato il consenso, il conduttore non ha diritto ad alcuna indennità, a nulla rilevando che il locatore acquisisca le addizioni. Come per i miglioramenti (v. il commento all'art. 1592 c.c.) il consenso del locatore alle addizioni apportate dal conduttore: – che legittima la richiesta di indennizzo del conduttore – non può fondarsi, peraltro, sulla sola conoscenza o sulla tolleranza o sulla la mancata opposizione del locatore all'iniziativa comportante il miglioramento (Cass. III, n. 6094/2006), dovendo essere inequivoco. Nel medesimo senso Cass. III, n. 10884/1993, per cui il diritto del conduttore ad essere indennizzato per i miglioramenti apportati alla cosa locata a norma dell'art. 1592, comma 1, c.c. postula che detti miglioramenti siano stati effettuati con il consenso del locatore, non essendo sufficiente a tal fine la sola scienza o la mancata opposizione del locatore medesimo. Il consenso in questione può essere dato anche successivamente, con una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà, da cui possa desumersi l'esplicita approvazione delle eseguite innovazioni e che si manifesti in fatti concludenti, ossia in un comportamento incompatibile con un contrario proposito (Cass. III, n. 4532/2019; Cass. III, n. 22986/2013; Cass. III, n. 2494/2009). In presenza del consenso del locatore, dunque, il conduttore ha diritto a conseguire un'indennità per i miglioramenti apportati alla res locata, quantificabile nella minor somma tra l'importo della spesa e il valore del risultato utile al tempo della riconsegna tra speso e migliorato. Viceversa, se le addizioni comportano deterioramento della cosa locata, il locatore può chiedere il risarcimento del danno in forma specifica mediante l'eliminazione da parte del conduttore delle opere da lui abusivamente eseguite (Cass. III, n. 6094/2006). Segue. b) l'indennità Poiché l'entità dell'indennizzo va calcolata in ragione della minor somma tra l'importo della spesa ed il valore del risultato utile al tempo della riconsegna, è con riferimento a tale ultimo momento che va essere calcolato l'incremento di valore della cosa, per effetto delle opere eseguite dal conduttore, e l'entità dell'indennizzo deve risultare dal confronto tra l'importo della spesa e la quantità di moneta in cui può esprimersi il maggior valore acquistato dal bene, dovendosi corrispondere al conduttore la minor somma tra le due (Provera, 328). Il debito del locatore per l'indennità in questione, peraltro, costituisce debito di valore, soggetto a rivalutazione monetaria, in quanto avente la funzione di indennizzare il conduttore della diminuzione sofferta nei limiti del plusvalore economico conseguito dal locatore, considerando quello che è il potere di acquisto della moneta al tempo della liquidazione, purché, comunque, gli effetti positivi dei miglioramenti sussistano al momento della riconsegna della cosa locata (Provera, 328). L'azione volta ad ottenere, ai sensi dell'art. 1592 c.c., l'indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata non può essere proposta dal conduttore prima dell'avvenuta riconsegna al locatore del bene locato (Cass. III, n. 2777/2003), potendo solo in tale occasione operarsi una utile comparazione tra l'importo delle spese sostenute dal conduttore e l'incremento di valore conseguito dall'immobile (Cass. III, n. 11551/1998). La riconsegna della cosa, però, non va intesa quale condizione di proponibilità della domanda di indennità per i miglioramenti, ma quale presupposto per un provvedimento favorevole o sfavorevole sulla domanda stessa, vale a dire per una pronuncia nel merito (Cass. III, n. 17861/2007). Quanto al criterio di calcolo dell'indennità, va fatto riferimento al valore della cosa prima dell'esecuzione delle opere (Cass. III, n. 2476/1972); individuata, così, l'indennità spettante al conduttore, deve poi calcolarsi l'incidenza dell'eventuale svalutazione monetaria fino al momento della liquidazione (Cass. III, n. 1258/1971). Se le parti, nell'esercizio della loro autonomia contrattuale, derogano alla disciplina legale di cui agli artt. 1592 e 1593 c.c., pattuendo in ogni caso l'obbligo del locatore di rimborsare le spese occorrenti per le corrispondenti opere, il relativo debito non cambia la natura che gli attribuisce la legge, dovendosi calcolare in base all'integrale valore di esse, modificandosi, pertanto, solo il criterio legale (Cass. III, n.4608/1997). Quanto al soggetto tenuto al pagamento dell'indennità, problemi interpretativi si pongono in relazione all'ipotesi di vendita del bene locato nel corso del rapporto: orbene, nel caso di cessione dell'immobile locato, l'acquirente cui il contratto di locazione sia opponibile – perché avente data certa anteriore al trasferimento, ovvero perché trascritto (in caso di locazioni ultranovennali) – si surroga nella posizione dell'originario locatore, acquistando, dal momento dell'acquisto, i medesimi diritti ed obblighi verso il conduttore, che aveva il cedente (v. gli artt. 1599-1602 c.c.). La cessione del contratto di locazione, in mancanza di una volontà contraria dei contraenti, determina, ai sensi degli artt. 1599 e 1602 c.c., la surrogazione del terzo che subentra nei diritti e nelle obbligazioni del locatore-venditore senza necessità del consenso del conduttore (Cass. III, n. 18536/2018; nella giurisprudenza di merito, Trib. Bari 3 luglio 2018; Trib. Teramo 17 giugno 2014). All'ipotesi di compravendita va equiparata – in base all'interpretazione fornita a proposito dell'art. 1599 c.c. in relazione al concetto di “terzo acquirente” – quella della donazione (Cass. III, n. 13833/2013; Trib. Bari 3 luglio 2018), della permuta (Cass. III, n. 975/1978), della costituzione di usufrutto (Cass. III, n. 11828/1990), nonché, più in generale, qualsiasi altra ipotesi di acquisto a titolo derivativo o derivativo-costitutivo (Cass. III, n. n. 2356/1985). In particolare, il trasferimento a titolo particolare della cosa locata comporta, sul piano sostanziale ed in applicazione dell'art. 1599 c.c., il subentro – a latere locatoris – dell'acquirente all'alienante nel rapporto locatizio, producendo altresì, sul piano processuale, gli effetti previsti e disciplinati dall'art. 111 c.p.c. La dottrina ritiene che quella in esame configuri un'ipotesi di successione nella posizione contrattuale o di cessione del contratto ex lege, cui applicare – quantomeno analogicamente – le norme generali in materia di cessione del contratto (Carrara, Ventura, 454; in senso contrario all'applicazione analogica delle norme dettate sulla cessione del contratto in generale, però, Guarino, 47; Provera, 414): ma si è altresì sostenuto (Trifone, 526) che la qualificazione del fenomeno (in termini di successione nel contratto o cessione di esso) non abbia una importanza pratica, rilevando, a contrario, gli effetti di esso, consistenti in una surrogazione del terzo acquirente nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione e avendo l'art. 1602 il precipuo intento di regolare i rapporti tra alienante ed acquirente della cosa locata. È, invece, pacifico che il subentro del terzo si verifica integralmente ed in via automatica e istantanea dal giorno del suo acquisto (Tabet, 1972, 654). L'acquirente subentra nei diritti e negli obblighi che derivano dal contratto di locazione dal momento dell'acquisto del bene locato: sicché il subingresso non ha effetto retroattivo (Cass. III, n. 24222/2019) e determina il sorgere di due rapporti di locazione distinti i cui effetti si producono nei confronti di colui che risulta essere locatore nel rispettivo periodo di riferimento (Cass. III, n. 19747/2012; Cass. III, n. 22669/2004; Cass. III, n. 8328/2001). Ne consegue che nella prospettata ipotesi, poiché la facoltà del conduttore va necessariamente esercitata al momento della riconsegna della res locata (Cass. III, n. 2777/2003), l'indennità deve essere corrisposta dall'acquirente che, avendo in consegna l'immobile, esercita il diritto di ritenere le cose amovibili (Cass. III, n. 2326/1985): l'obbligo di indennizzare i miglioramenti apportati dal conduttore va infatti correlato con l'esercizio dello ius retinendi del locatore che, nel caso di alienazione durante la pendenza del rapporto, spetta in favore dell'acquirente del bene. BibliografiaAlpa, Mariconda, Codice civile commentato telematico, Milano, 2007; Azzaro, Subcontratto, in Dig. disc. priv., agg., I, Torino, 2000; Balena, Contributo allo studio delle azioni dirette, Bari, 1990; Ballerini, Riduzione del canone per vizi della cosa locata, ripartizione delle spese di registrazione e clausola di indicizzazione, in Nuova giur. civ. comm. 2009, 1122; Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, Torino, 1962; Benatti, Appunti in tema d'azione diretta, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1964, 647; Bernardi, Coen, Del Grosso, Art. 4, in AA.VV., Commento alla legge 27 luglio 1978, n. 392, Padova, 1980; Bessone, Le clausole di esonero e di limitazioni della responsabilità. 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