Codice Civile art. 1574 - Locazione senza determinazione di tempo.Locazione senza determinazione di tempo. [I]. Quando le parti non hanno determinato la durata della locazione [1616], questa s'intende convenuta: 1) se si tratta di case senza arredamento di mobili o di locali per l'esercizio di una professione, di una industria o di un commercio, per la durata di un anno, salvi gli usi locali; 2) se si tratta di camere o di appartamenti mobiliati, per la durata corrispondente all'unità di tempo a cui è commisurata la pigione; 3) se si tratta di cose mobili, per la durata corrispondente all'unità di tempo a cui è commisurato il corrispettivo; 4) se si tratta di mobili forniti dal locatore per l'arredamento di un fondo urbano, per la durata della locazione del fondo stesso. InquadramentoLa locazione è il contratto con il quale una parte si obbliga a far godere all'altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo: come ampiamente chiarito nel commento all'art. 1571 c.c., si assiste, dunque, ad uno scambio, protratto nel tempo, tra la concessione in godimento di una cosa ed il pagamento di un corrispettivo (il cd. canone o pigione), i cui predicati – come detto – portano a discorrerne in termini di contratto a) consensuale, b) ad effetti meramente obbligatori, c) a prestazioni corrispettive, d) oneroso e e) di durata (ovvero, seguendo le definizioni codicistiche, ad esecuzione continuativa o periodica). La protrazione “per un dato tempo” (v. l'art. 1571 c.c.) del rapporto rappresenta, cioè, una condizione essenziale affinché il contratto possa realizzare la sua stessa funzione: dalla riconduzione della locazione a tale categoria di contratti conseguono, poi, alcuni effetti, quali 1) la non retroattività degli eventi che producono scioglimento del vincolo rispetto all'esecuzione già avvenuta, 2) la risolubilità per eccessiva onerosità sopravvenuta, 3) la sospensione della controprestazione nel caso di non esecuzione parziale della prestazione per causa non imputabile, 4) la decorrenza della prescrizione, nell'ipotesi di prestazione reiterata, dalle singole scadenze, 5) l'applicabilità della rinnovazione tacita e della proroga. Sulla configurazione in tal senso del contratto di locazione, è chiara anche la giurisprudenza (Cass. III, n. 3019/1996), la quale ha evidenziato che la locazione ha natura di contratto ad esecuzione continuata, non concretandosi il contratto locatizio nella mera corresponsione del canone, ma integrandosi anche nel godimento del bene (protrattosi nel tempo), rivelandosi inconferente a tale riguardo la circostanza che i canoni vengano corrisposti quando ormai è stata pronunciata la risoluzione della locazione. Con la disposizione in commento, dunque, il legislatore detta alcune regole suppletive per determinare la durata minima del rapporto negoziale, nel caso in cui le parti non vi provvedano convenzionalmente, onde prevenire declaratorie di nullità del contratto per difetto di un elemento essenziale. D'altra parte, ad ulteriore conferma di quanto precede si osservi che l'art. 1574 c.c. va posto in correlazione con l'art. 1596, comma 2, c.c., secondo cui la locazione senza determinazione di tempo non cessa se prima della scadenza stabilita a norma dell'art. 1574 c.c. una delle parti non comunica all'altra disdetta nel termine determinato dalle parti o dagli usi. Concorde è la posizione della dottrina, la quale evidenzia come la norma sia diretta a preservare la validità del contratto privo dell'elemento essenziale della durata, con funzione evidentemente integrativa della volontà delle parti (Tabet, 1982, 1011): in tal senso si è detto che la norma, più che porre una presunzione legale, introduce autoritativamente l'elemento essenziale della durata. Contra, però, si è chiarito (Guarino, 35) per cui “i termini fissati dagli artt. 1574 e 1630 non possono considerarsi suppletivi di un elemento essenziale, che sarebbe nella specie il termine convenzionale tralasciato dalle parti. A prescindere dalle difficoltà che solleva la costruzione della clausola terminale come elemento essenziale (o sia pure, come altri dicono, naturale) del contratto, basta riflettere che l'apposizione del termine non è certamente ritenuta indispensabile nell'affitto (non di fondi rustici) e che, d'altro canto, il legislatore non è affatto contrario a che la locazione in senso stretto e l'affitto di fondi rustici possano essere tacitamente prorogati. Più consono al sistema sembra il considerare i termini degli artt. 1574 e 1630 c.c. come presunzioni legali”. In sostanza, “il legislatore del 1942 ha capovolto la disciplina previgente ed ha inteso regolamentare la mancata individuazione del termine finale della locazione attraverso la predeterminazione della cadenza temporale raccordata alle diverse tipologie del rapporto. Insomma, il codice civile non conosce più locazioni senza determinazione di tempo, giacché queste, attraverso l'art. 1574 c.c., si convertono anch'esse in locazioni a tempo determinato. Un'analoga soluzione è stata introdotta per l'affitto di fondi rustici (art. 1630 c.c.), mentre la disciplina dell'affitto in generale ammette il recesso dal contratto previo congruo avviso (art. 1616 c.c.)” (così Di Marzio - Falabella, 217). Ciò ha portato la giurisprudenza ad osservare come non esistono vere e proprie locazioni a tempo indeterminato, poiché tutte le locazioni hanno, in realtà, una durata, fissata dai contraenti ovvero, in difetto, stabilita dall'art 1574 c.c. Sicché, quando il locatore convenga in giudizio il conduttore per far valere pretese connesse ad una locazione di durata indeterminata (e, cioè, legale) e il conduttore eccepisca invece una locazione di durata convenzionale, il locatore-attore non è tenuto a fornire alcuna prova in ordine alla scadenza del contratto, in quanto il rapporto locatizio rispetto al quale non risulti obbiettivamente dimostrata la fissazione di una data di scadenza è da ritenersi, ope legis, sottoposto alla durata legale e il conduttore-convenuto non può validamente resistere alla pretesa se non provando l'esistenza di un termine di scadenza negoziale diverso da quello stabilito dalla legge (Cass. III, n. 434/1978). Ai fini dell'operatività della norma occorre, in ogni caso, che l'elemento temporale, costituente naturale negotii, non sia soltanto indeterminato, ma nemmeno determinabile in base ad altri elementi convenuti (Cass. III, n. 2022/1984). Il carattere residuale dell'art. 1574 c.c.Sennonché la disciplina suppletiva in commento ha, ormai, una rilevanza limitata e residuale, dovuta all'introduzione di inderogabili previsioni contenute, per le locazioni ad uso abitativo, dapprima nella l. n. 392/1978 ed ora nella l. n. 431/1998 e, per le locazioni ad uso diverso, nell'art. 27 della l. n. 392 citata. L'estensione della portata di tali norme speciali – e, dunque, del carattere sostanzialmente recessivo della disciplina dell'art. 1574 c.c. – è consacrata in numerose decisioni della giurisprudenza di legittimità, ove si osservato che la scarsa rilevanza dell'art. 1574 c.c. è dovuta, per l'appunto, alla circostanza che pressoché tutte le locazioni, o per previsione contrattuale o per l'intervento normativo, hanno una determinata efficacia nel tempo (Cass. III, n. 434/1978; nella giurisprudenza di merito, in senso conforme, Trib. Bari 19 febbraio 2008): sicché all'omessa pattuizione del termine finale della locazione, supplisce ancora, in linea di principio, l'art. 1574 c.c., ma in primo luogo per come integrato dalla legislazione speciale e, in specie, dagli artt. 1, 26 e 27 della l. n. 392/1978 (così Cass. III, n. 2022/1984). Ad ulteriore riprova di quanto precede si consideri, ad esempio, quanto affermato da Cass. III, n. 13483/2011, per cui la disciplina di cui alla l. n. 431/1998 trova applicazione per tutte quelle locazioni che soddisfano il bisogno primario della disponibilità di un alloggio, indispensabile per la stessa estrinsecazione della persona umana, e le sole eccezioni sono quelle da essa stessa previste; sicché essa si applica anche alla locazione per abitazione ad uso di seconda casa, caratterizzata dalla protratta permanenza del conduttore per cospicui periodi dell'anno ed anzi dalla tendenziale fruizione dell'immobile secondo le disponibilità del tempo libero di quegli senza uno schema prefissato, in quanto finalizzata a soddisfare esigenze abitative certamente complementari, ma di rango uguale a quelle della prima casa, in quanto relative al tempo libero e quindi al soddisfacimento di interessi e passioni dell'individuo e quindi funzionali al pieno sviluppo della sua personalità. Analogamente, per le locazioni ad uso diverso, Cass. III, n. 24035/2009 afferma che l'applicabilità della disciplina di cui agli artt. 27 ss. della l. n. 392/1978 deve essere affermata quando, pur in difetto di un rapporto pertinenziale (in senso proprio), risulti un collegamento funzionale di detto immobile con una delle attività contemplate dal citato art. 27, svolta in altro locale di cui il conduttore abbia la disponibilità a qualsiasi titolo (proprietà, locazione con altro locatore, comodato ecc.), e risulti altresì che tale collegamento, ancorché discendente da un'autonoma iniziativa del conduttore, debba considerarsi legittimo, sulla base delle originarie clausole contrattuali, ovvero del successivo comportamento delle parti, quale una cosciente tolleranza del locatore ai sensi dell'art. 80 della l. n. 392 citata. Le quattro ipotesi contemplate dall'art. 1574 c.c.L'art. 1574 c.c. prevede quattro diverse ipotesi, distinguendo a seconda della tipologia di contratto stipulato senza determinazione della durata minima; in particolare: a) se si tratta di case senza arredamento di mobili o di locali per l'esercizio di una professione, di una industria o di un commercio, il contratto si intende stipulato si per la durata di un anno, salvi gli usi locali; b) se si tratta di camere o di appartamenti mobiliati, il contratto si intende stipulato per la durata corrispondente all'unità di tempo a cui è commisurata la pigione; c) se si tratta di cose mobili, il contratto si intende stipulato per la durata corrispondente all'unità di tempo a cui è commisurato il corrispettivo; d) se si tratta di mobili forniti dal locatore per l'arredamento di un fondo urbano, il contratto si intende stipulato per la durata della locazione del fondo stesso. Si tratta, peraltro, di un'elencazione di carattere esemplificativo e non tassativo, essendo l'art. 1574 c.c. volto a regolare la durata di ogni specie di locazione: così, ad esempio, Cass. III, n. 11701/2002 ha chiarito che tra le locazioni ricadenti sotto la disciplina del n. 1) dell'art. 1574 c.c. va ricompresa anche – benché non espressamente indicata dalla norma – quella avente ad oggetto locali adibiti a deposito. Sostanzialmente nel medesimo senso Trib. Salerno 13 aprile 2007, per cui la mancata prova che l'utilizzo del bene a titolo di deposito risulti collegato, in senso spaziale e o funzionale, con una delle attività economico-produttive previste dall'art. 27 della l. n. 392/1978, implica la non sottoponibilità del contratto in questione alla suddetta legge ed il suo assoggettamento, come locazione di deposito, alla durata determinata di cui all'art. 1574 c.c., il quale prevede che, quando le parti non hanno determinato la durata della locazione, questa, se si tratta di casa senza arredamento di mobili o di locali per l'esercizio di una professione, di una industria o di un commercio, debba intendersi convenuta per la durata di un anno, salvi gli usi locali. Passando, quindi, all'esame dei singoli casi contemplati dalla norma in esame, il primo è relativo alla locazione di case senza arredamento di mobili per l'esercizio di una professione, un'industria o un commercio. Si è osservato, in dottrina (Tabet, 1982, 1011), che, attribuendo particolare rilevanza alla destinazione dell'immobile, la previsione si riferisce esclusivamente alle case – anche solo astrattamente – adibite ad abitazione e ai locali destinati all'esercizio di una professione, del commercio o dell'industria; secondo altra opinione, invece, la norma andrebbe interpretata estensivamente, fino al punto di ricomprendervi qualunque tipo di immobile urbano, non fornito di mobilio, con la sola esclusione di aree scoperte (quali, ad esempio, i campi sportivi) (Guarino, 36). Questa tesi ha trovato sponda in chi (Falabella, 218) afferma che non assume rilievo determinante, ai fini dell'applicazione della previsione di cui all'art. 1574, n. 1) c.c., la circostanza che l'attività svolta all'interno dell'immobile non sia riconducibile a quella professionale, industriale o commerciale. Sennonché, la questione più problematica posta dalla norma consiste nel chiarire a cosa la stessa faccia riferimento allorché, fissando in un anno la durata della locazione, fa “salvi gli usi locali”. È intervenuta a fare chiarezza, sul punto, Cass. III, n. 6861/1993, per cui l'art. 1574, n. 1) c.c., a norma del quale, quando le parti non hanno determinato la durata della locazione, questa, se si tratta di casa senza arredamento di mobili o di locali per l'esercizio di una professione, di una industria o di un commercio, si intende convenuta per la durata di un anno, salvi gli usi locali, si riferisce tanto agli usi che prevedono una diversa durata del rapporto quanto a quelli che prevedono una diversa scadenza, con la conseguenza che, nel caso di tacita riconduzione di una casa senza arredamento, la nuova scadenza della locazione, che, ove non sia applicabile la legge sull'equo canone, ha la durata prevista dall'art. 1574 c.c., espressamente richiamato dall'art. 1597 dello stesso codice, deve essere determinata in coincidenza con la data della locale scadenza consuetudinaria, ove di essa sia accertata l'esistenza. In senso conforme, in passato, Cass. III, n. 2238/1961, la quale aveva osservato che nel caso di tacita riconduzione, la locazione, a norma dell'art. 1574 c.c., richiamato dall'art. 1597 c.c., scade al termine dell'anno a decorrere dall'inizio del rapporto locatizio originario tacitamente rinnovato soltanto quando non esista un uso locale, debitamente accertato che, fissando una diversa scadenza comporti una diversa durata o che, fissando una diversa durata comporti una diversa scadenza; analogamente Cass. III, n. 3553/1968, per cui il problema della legittimità di un uso locale che disciplini in modo uniforme la durata delle locazioni, qualunque ne sia l'oggetto, può sorgere unicamente in relazione alle ipotesi previste negli altri numeri dell'art. 1574 c.c., ma non in ordine a quelle contemplate nel n. 1), per le quali la norma si richiama espressamente agli usi locali e ne stabilisce la prevalenza rispetto alla disciplina meramente dispositiva della legge. La dottrina (Tabet, 1982, 1011) riconosce agli usi richiamati dall'art. 1574, n. 1) c.c. il valore di usi normativi (cfr. l'art. 8 disp. att. c.c.), in considerazione dell'esplicito richiamo ad essi contenuto nella norma; essi, inoltre, secondo la dottrina prevalente (Mirabelli, 270), possono stabilire, anziché una durata, una scadenza fissa. Quanto alle altre tre ipotesi contemplate dall'art. 1574 c.c., la disciplina non pone problemi di sorta, non essendo previsto, al pari di quanto invece disposto per la fattispecie contemplata dal n. 1), il ricorso a criteri sussidiari dettati degli usi, sicché la durata del contratto va commisurata al tempo in relazione al quale il conduttore versa il corrispettivo. Secondo la dottrina (Guarino, 36), anzi, tale criterio dovrebbe trovare applicazione generalizzata, in tutte le ipotesi non considerate dall'art. 1574 c.c. L'operatività dell'art. 1574 c.c. nel caso di cessione del bene concesso in locazioneSingolare ipotesi di operatività dell'art. 1574 c.c. si ha nel caso di trasferimento della proprietà del bene concesso in locazione, allorché quest'ultima non sia opponibile all'acquirente, ai sensi dell'art. 1599 c.c., per mancanza di data certa o di sua trascrizione (se stipulata per un periodo superiore al novennio), ma rispetto alla quale il conduttore si trovi comunque nella detenzione del bene anteriormente al trasferimento della sua proprietà in favore del terzo. In tal caso, infatti, l'art. 1600 c.c. dispone che l'acquirente non è tenuto a rispettare la locazione che per una durata corrispondente a quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato. Eccezionalmente, dunque, la prova dell'anteriorità della locazione rispetto alla cessione non è tratta dalla data certa o dalla trascrizione, ma dalla situazione di fatto preesistente al trasferimento della cosa locata. Nella ricorrenza di tale presupposto, il locatore è comunque tenuto a rispettare la locazione in corso, per una durata corrispondente a quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato, sicché, mancando la piena prova del contratto, l'attuazione del rapporto e l'attualità del godimento divengono un presupposto essenziale ai fini della (sia pure limitata) opponibilità del vincolo negoziale esistente con l'alienante. Pienamente concorde la dottrina, la quale osserva come, nella specie, la prova della anteriorità della locazione viene desunta, in via eccezionale, da una situazione di fatto che preesiste alla alienazione della cosa (Provera, 439); la detenzione anteriore al trasferimento si pone, in altri termini, quale forma sostitutiva della pubblicità del contratto rispetto allo scritto (Trifone, 531). A mente dell'art. 1600 c.c., nel caso di locazione non avente data certa, l'acquirente è tenuto a rispettare la locazione per una durata corrispondente a quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato, solo se la detenzione del conduttore sussista all'atto del trasferimento (Cass. III, n. 1669/1949): a tal fine occorre, però, che la detenzione sia riconoscibile in capo al conduttore e non a qualsiasi occupante dell'immobile (Cass. III, n. 4576/1957). Quanto alla individuazione del dies a quo in relazione al quale fa decorrere il rapporto negoziale con l'acquirente, parte della dottrina (Guarino, 49) ritiene che debba farsi riferimento al momento in cui si perfeziona l'alienazione; altra opinione (Mirabelli, 607), invece, ritiene che, in applicazione della regola generale posta dall'art. 1599, comma 3, c.c., il periodo “di rispetto” comincia a decorrere dalla data di inizio della locazione, ove sia possibile accertarla, o dalle scadenze d'uso (se previste) o dall'inizio della detenzione. Relativamente, invece, alla durata del rapporto, la norma rinvia, come anticipato, ai termini fissati dall'art. 1574 c.c. 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