Codice Civile art. 1575 - Obbligazioni principali del locatore.InquadramentoLa locazione è il contratto col quale una parte si obbliga a far godere all'altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo: come ampiamente chiarito nel commento all'art. 1571 c.c., si assiste, dunque, ad uno scambio, protratto nel tempo, tra la concessione in godimento di una cosa ed il pagamento di un corrispettivo (il cd. canone o pigione), i cui predicati – come detto – portano a discorrerne in termini di contratto a) consensuale, b) ad effetti meramente obbligatori, c) a prestazioni corrispettive, d) oneroso e e) di durata (ovvero, seguendo le definizioni codicistiche, ad esecuzione continuativa o periodica). Gli artt. 1575-1586 c.c. individuano, dunque, le obbligazioni del locatore, volte a garantire al conduttore il pieno e pacifico godimento del bene: tra queste, alcune rappresentano un naturale negotii e, dunque, sono necessariamente connesse alla natura del contratto; altre, al contrario, hanno carattere accessorio e, pertanto, sono derogabili convenzionalmente. Ad esse, inoltre, possono aggiungersene altre, di carattere convenzionale, siccome introdotte nel contratto a seguito di specifici accordi intercorsi tra le parti. In dottrina (Trifone, 74), si suole discutere anche in termini di obbligazioni tipiche ed atipiche, principali e secondarie, essenziali e non essenziali, chiarendosi in ogni caso come l'obbligazione principale gravante sul locatore consiste nella consegna in buono stato del bene concesso in locazione e nella sua manutenzione. In particolare, l'art. 1575 c.c. (che sostanzialmente riprende, sia pure con qualche variazione di carattere lessicale, l'art. 1575 del codice civile del 1865) enuclea le obbligazioni principali del locatore, individuandole nell'obbligo di a) consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione, nonché b) di mantenerla in stato da servire all'uso convenuto e, infine, c) di garantirne il pacifico godimento durante la locazione. In dottrina (Mirabelli, 235) è stato osservato che “delle tre attività che la norma prevede come oggetto di obbligo del locatore una soltanto si pone come elemento ineliminabile della prestazione e come oggetto di una obbligazione in senso proprio, ed è la consegna della cosa. Delle altre due attività l'una, l'attività di mantenimento o manutenzione che dir si voglia, si concreta in obblighi e prestazioni meramente eventuali, la cui nascita e` condizionata al verificarsi di un evento che possa recare menomazione o disturbo al godimento del conduttore, mentre l'altra, quella di garanzia, non costituisce né un'obbligazione né una prestazione, ma fissa soltanto il contenuto e i limiti della responsabilità del locatore, nell'eventualità che si verifichino eventi che incidano sul godimento del conduttore o la cui incidenza non possa essere eliminata con una prestazione da parte del locatore”. In via di prima approssimazione è possibile osservare che: a) la consegna rappresenta la principale delle obbligazioni del locatore, giacché il godimento della cosa da parte del conduttore non è neppure ipotizzabile se il bene non gli viene consegnato (sulle modalità con cui può avvenire la consegna, v. infra; b) quanto, invece, all'adempimento dell'obbligazione di mantenimento, non è detto che il locatore debba fare alcunché, mentre ben può accadere che egli debba attenersi ad una condotta negativa di non facere, giacché l'obbligazione di mantenimento si articola, a ben vedere, in due aspetti, quello positivo della manutenzione in senso stretto – consistente essenzialmente nelle riparazioni della cosa locata e condizionato al soltanto ipotetico, eventuale, verificarsi di guasti successivi alla consegna – e quello negativo dell'astensione dalle innovazioni, ex art. 1582 c.c.; c) quanto, infine, alla garanzia del pacifico godimento durante la locazione, il riferimento è ad una serie eterogenea di obbligazioni ed altre posizioni passive – suscettibili di rimanere quiescenti ed inoperanti per l'intero arco di durata del rapporto – quali, ad esempio, la garanzia per vizi della cosa locata o quella per molestie. Gli obblighi del locatore stabiliti dall'art. 1575 c.c. gravano anche sull'Istituto Autonomo Case Popolari (I.A.C.P.), qualora dal contratto si desuma che le parti abbiano inteso regolare i loro rapporti sulla base delle norme vigenti in materia di locazione (Cass. III, n. 10310/1991). L'obbligo di consegnaL'art. 1575, n. 1), c.c. prevede, a carico del locatore, l'obbligo, primario, di consegnare al conduttore il bene oggetto di locazione: si tratta – probabilmente – dell'essenza del contratto di locazione, in quanto l'obbligo in questione è funzionale alla realizzazione della causa del contratto, consistente nell'immissione del conduttore nel godimento del bene verso il pagamento del canone. Chiarisce bene il concetto Cass. III, n. 766/1970, la quale osserva che, perfezionandosi la locazione con l'accordo delle parti, la consegna della cosa non rientra nella fase formativa del rapporto, ma costituisce il primo ed ineliminabile obbligo del locatore, che condiziona la nascita degli obblighi e delle responsabilità ulteriori nonché il consolidarsi della posizione del conduttore quale titolare di un diritto personale di godimento. A tale obbligo corrisponde quello, stavolta a carico del conduttore, di prendere in consegna il medesimo bene, alla luce di quanto previsto dal successivo art. 1587, n. 1) c.c. Dalla corrispondenza di dette obbligazioni a carico delle parti emerge la natura commutativa del contratto di locazione, non dipendendo le prestazioni dal caso o dal rischio. La consegna si sostanzia, dunque, nel compimento delle attività necessarie perché il godimento possa essere esercitato secondo le previsioni contrattuali e che, in via esemplificativa, possono individuarsi nella consegna materiale o da mano a mano del bene mobile, nella consegna simbolica (quale la dazione delle chiavi del bene immobile), nel c.d. constitutum possessorium o nella traditio brevi manu (Mirabelli, 358): tale eterogeneità di modi con cui il massa a disposizione del bene in favore del conduttore può realizzarsi da parte del locatore ha dunque portato a discorre della consegna in esame in termini di prestazione atipica di fare, quale strumento di attuazione della trasmissione del godimento del bene locato. Consegue, “a valle” da quanto precede che: 1) la consegna rappresenta un adempimento in senso tecnico ovvero un atto non negoziale ovvero, ancora, un atto dovuto; 2) risultano, per l'effetto irrilevanti la capacità ovvero eventuali vizi della volontà del solvens (v. l'art. 1191 c.c.), come l'accettazione del conduttore; 3) i criteri per stabilire se la prestazione di consegna sia stata esattamente compiuta non possono essere fissati in astratto, ma vanno determinati in concreto, in riferimento allo specifico contenuto del contratto ed alla varietà di aspetti che il godimento locativo può assumere (Mirabelli, 357; Gabrielli, Padovini, 232). In caso di inadempimento dell'obbligo in esame da parte del locatore, il conduttore può ricorrere all'esecuzione in forma specifica ex artt. 2930 c.c. e 605 ss. c.p.c., sempre che non preferisca chiedere la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno (Mirabelli, 374). L'adempimento coatto risulta, però, di difficile attuazione allorché la consegna non consista nella classica dazione (traditio), ma in un comportamento e, soprattutto, nello svolgimento di una attività giuridica: in queste ipotesi, infatti, occorre distinguere quei casi in cui “l'attività non soltanto ha contenuto giuridico e non materiale, ma va esplicata nei confronti di terzi, da quelli in cui consiste in una attività negoziale nei confronti dello stesso conduttore...Il primo gruppo di casi sembra che non possa essere compreso né nella previsione contenuta nel successivo art. 2931 c.c., che prevede l'esecuzione in forma specifica di obblighi di fare, ma che si deve ritenere riferirsi esclusivamente allo svolgimento di attività materiali e fungibili; il secondo gruppo, invece, potrebbe rientrare nella previsione contenuta nel primo comma dell'art. 2932 c.c., sì che non sembra che possa essere escluso che sia ammissibile la pretesa di ottenere una sentenza che produca gli effetti del negozio non posto in essere” (Mirabelli, 374). Non può egli, al contrario, quale titolare di un diritto di credito verso il locatore, procedere al diretto impossessamento del bene, restando in caso contrario soggetto all'azione di spoglio da parte del locatore (Cass. II, n. 4021/1983). La mancata consegna dell'immobile locato da parte del locatore esclude, inoltre, l'obbligo del conduttore di pagare il canone (Cass. III, n. 9666/2020): l'obbligo di pagamento del canone ha il suo necessario presupposto nell'avvenuta consegna del bene da parte del locatore, atteso che il sinallagma contrattuale comporta un ineludibile rapporto di condizionamento fra l'adempimento dell'obbligazione del locatore di «consegnare al conduttore la cosa locata» (art. 1575, n. 1 c.c.) e l'obbligazione del conduttore di «prendere in consegna la cosa» e dare il corrispettivo nei termini convenuti» (art. 1587, nn. 1 e 2 c.c.). Una simile soluzione peraltro appare in linea con la giurisprudenza (cfr. infra) che, pur orientata a negare la legittimità della sospensione o dell'autoriduzione del canone a fronte di una residua utilità del bene, è pacifica nell'affermare che la sospensione è comunque legittima qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti. L'obbligo di consegna coinvolge, pur nel silenzio delle norme dettate in materia di locazione e salvo che ciò sia espressamente escluso dal contratto, anche accessori e pertinenze del bene locato, secondo il principio, dettato dall'art. 818 c.c. per cui accessorium sequitur principale. Analoga è la posizione della giurisprudenza, per cui vanno consegnati, in uno con il bene locato, anche gli accessori e le pertinenze dello stesso, normalmente necessari in relazione all'uso convenuto, salvo patto contrario (v. anche Cass. III, n. 2938/1975 e, più recentemente, Cass. II, n. 2976/2019, per cui il contratto di locazione immobiliare, se non diversamente convenuto, include anche le pertinenze, con la conseguenza che la specifica esclusione del rapporto pertinenziale tra due porzioni immobiliari ad opera dell'originario proprietario di entrambe non consente di affermare la sussistenza del relativo vincolo, pur ove possa apparire ragionevole l'utilità della cosa accessoria rispetto a quella principale): sicché, ad esempio, qualora una cantina risulti pertinenza di un appartamento, si dovrà ritenerla compresa nell'oggetto del contratto di locazione, ancorché ad essa non sia stato fatto cenno alcuno (Cass. III, n. 1231/1965). Analogamente, in applicazione di tali principi Cass. III, n. 16801/2015 chiarisce che, la domanda di rilascio dell'immobile locato include anche quella diretta al rilascio delle pertinenze, sicché quest'ultima non costituisce domanda nuova e può essere proposta, per la prima volta, anche in appello. In dottrina (Trifone 1984, 464), si suggerisce un criterio parzialmente diverso, di natura sostanzialmente empirica e casistica, nel senso che si ritiene che con la cosa principale dovrebbero essere consegnate – sì – anche le pertinenze, salvo che, in considerazione dell'uso pattuito, esse debbano considerarsi escluse. Quanto, poi, al criterio da adoperare al fine di considerare un bene pertinenziale rispetto ad un altro, vanno seguiti i principi generali sviluppati dalla giurisprudenza di legittimità: sicché va in linea generale affermato che perché il vincolo pertinenziale, tra due beni autonomi e distinti, siano essi mobili o immobili, possa costituirsi e il relativo regime possa funzionare, occorre che il proprietario della cosa principale abbia la piena disponibilità anche della cosa accessoria e che la destinazione pertinenziale, specie quando essa derivi da un atto non negoziale, sia attuale ed effettiva e non meramente potenziale, dovendo risultare da un comportamento oggettivamente valutabile (Cass. I, n. 5262/1993). In particolare, ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale avuto riguardo alle c.d. pertinenze urbane e, in specie, ai beni mobili posti ad ornamento di edifici, è necessaria la presenza del requisito oggettivo dell'idoneità del bene a svolgere la funzione di servizio od ornamento rispetto ad un altro, ponendosi in collegamento funzionale o strumentale con questo, nonché del requisito soggettivo dell'effettiva volontà dell'avente diritto di destinare durevolmente il bene accessorio a servizio od ornamento del bene principale; sicché, di regola, va esclusa la natura di pertinenza delle suppellettili, degli arredi e dei mobili che riguardino esclusivamente la persona del titolare del diritto reale sulla cosa principale e non la cosa in sé considerata (Cass. VI, n. 12731/2019: nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la sussistenza di tale vincolo tra un immobile e due specchiere affermando che queste ultime costituivano beni mobili non inseriti stabilmente nella struttura muraria dell'edificio e che l'atto di trasferimento dell'immobile aveva consapevolmente escluso che la vendita riguardasse anche le specchiere). Peculiare, infine, è l'ipotesi di immobile locato ricompreso in un condominio (ovvero in un complesso residenziale o immobiliare allo stesso equiparato, quoad effectum, dall'art. 1117-bis c.c.): in questo caso, infatti, l'obbligo di consegna concerne anche i (diritti del locatore sui) beni comuni, originando il contratto di locazione il godimento, da parte del conduttore, non solo delle porzioni in proprietà esclusiva, ma anche – per l'appunto – delle parti comuni, tanto da riconoscergli la facoltà di apporre targhe ed insegne sul muro perimetrale (Cass. II, n. 6229/1986. Contra, però, App. Roma 4 ottobre 2010, per cui l'utilizzazione della cosa comune presuppone la sussistenza di un titolo sulle parti comuni dell'edificio che, in quanto riconducibile alla categoria dei diritti reali, compete solo al condomino e non anche al conduttore, titolare solo di un diritto di credito nascente dal contratto, con conseguente preclusione, allo stesso, non solo della facoltà di alterare e modificare la cosa locata ma, a maggior ragione, delle parti comuni dell'edificio). Sicché il conduttore può (recte, deve) liberamente godere ed eventualmente modificare le parti comuni dell'edificio, al pari del proprietario e fatte salve eventuali limitazioni specifiche contenute nel titolo negoziale (Cass. II, n. 205/1964), purché in funzione del godimento o del miglior godimento dell'unità immobiliare oggetto primario della locazione (limite c.d. interno) e purché non risulti alterata la destinazione di dette parti, né pregiudicato il pari suo uso da parte degli altri condomini (limite c.d. esterno) (Cass. II, n. 3874/1997; Cass. II, n. 2331/1981). Logica conseguenza del principio appena esposto è l'ulteriore affermazione per cui il conduttore, il cui godimento del bene – nei termini di cui alle previsioni contrattuali – risulti ridotto o escluso per fatti sopravvenuti, ha diritto al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dall'inadempimento dell'obbligo di mantenere la cosa locata – comprensiva, se si tratta di immobile sito in un condominio, delle parti e dei servizi comuni – in condizioni da servire all'uso convenuto, ove quei fatti gli producano pregiudizi ulteriori e diversi rispetto alla diminuzione o perdita del godimento del bene locato (Cass. III, n. 19181/2003). Segue. Il buono stato manutentivo L'art. 1575, n. 1), c.c. impone al locatore, inoltre, di consegnare la cosa locata in buono stato di manutenzione al fine di servire all'uso convenuto, in base alle pattuizioni in concreto intercorse tra le parti (rispondendo, conseguentemente, solo ove la cosa al momento della consegna o successivamente risulti affetta da vizi occulti, tali da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la pattuita destinazione contrattuale. Cass. III, n. 38084/2021). . Si tratta, tuttavia, di una norma derogabile. È derogabile la norma del codice civile (art. 1575, n. 1 c.c.) che prevede l'obbligo per il locatore di consegnare la cosa in buono stato di manutenzione, con i conseguenti obblighi, in capo allo stesso, di mantenimentoex art. 1575, n. 2), c.c. e di riparazioneex art. 1576 c.c. adeguati allo stato della cosa al momento della consegna e non migliorativi (Trib. Firenze 10 novembre 2000; analogamente Cass. III, n. 6158/1998). La norma va collegata al successivo art. 1590, comma 2, c.c., in virtù del quale il conduttore deve restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui l'ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'uso della cosa in conformità del contratto, presumendosi, in mancanza di descrizione, che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione. Ne consegue che, solitamente, all'atto della consegna le parti redigono un verbale di immissione nella detenzione del bene (c.d. verbale di consegna), ovvero includono nel contratto una specifica clausola, donde risulti la descrizione dello stato del bene: la dichiarazione del conduttore di riscontrare che la cosa si trova in buono stato manutentivo ovvero la specifica clausola inserita nel contratto esonerano il locatore da responsabilità per consegna in buono stato manutentivo, giacché contenendo il verbale o la clausola essenzialmente dichiarazioni di scienza provenienti dalle parti, tali dichiarazioni, per quanto riferiscono fatti sfavorevoli, posseggono efficacia di confessione, ai sensi dell'art. 2730 c.c. e, più precisamente, essendo resa al di fuori del giudizio, di confessione stragiudiziale che, siccome rivolta alla controparte, fa piena prova della verità dei fatti dichiarati contro colui che ha reso la dichiarazione, ex art. 2735 c.c. “Per quanto ha rilievo in questa sede, si può in definitiva concludere che, una volta che il conduttore, al momento della stipulazione del contratto, abbia consapevolmente ritenuto la cosa adatta all'uso, il locatore non è tenuto se non a consegnarla quale essa è: l'obbligo della consegna resta quindi circoscritto alla cosa come contrattata ed accettata, sicché la formula dell'art. 1575, n. 1) c.c., sta ad indicare lo stato di manutenzione che il conduttore ha reputato buono, ossia idoneo a consentire l'uso che egli intende realizzare” (così Di Marzio, Falabella, 802). Quanto alla natura giuridica di tale “descrizione”, essa viene ritenuta una dichiarazione confessoria reciproca dei contraenti, relativa alle condizioni della cosa locata al momento della consegna; in mancanza, soccorre la presunzione di buono stato di manutenzione contemplata dall'art. 1590, comma 2, c.c., avente tuttavia carattere relativo (o iuris tantum ) (Mirabelli, 482). Al contrario, nessuna analoga presunzione di restituzione in buono stato di manutenzione trova applicazione a favore nel conduttore, con riferimento alla riconsegna, in mancanza della redazione di un apposito verbale: ove quest'ultimo non sia stato redatto, infetti, il locatore, ancorché abbia tralasciato di constatare in quel momento l'esistenza di eventuali danni cagionati dal conduttore, ha sempre diritto di richiederne giudizialmente il risarcimento. Conforme è la posizione della giurisprudenza, per la quale (Cass. III, n. 14305/2005) la disposizione del secondo comma dell'art. 1590 c.c. si applica a tutte le locazioni (nonché al rapporto d'affitto di cosa produttiva. Cfr. Cass. III, n. 3166/1991), qualunque ne sia la durata ed impone al conduttore, per vincere la presunzione suddetta, l'onere di provare rigorosamente che le condizioni dell'immobile alla data di inizio della locazione erano dipendenti dall'incuria del locatore nella ordinaria e straordinaria manutenzione dell'immobile stesso. Al contrario, né l'art. 1590 c.c. né altra disposizione di legge stabiliscono una presunzione a favore del conduttore nel senso che se alla fine della locazione non si proceda ad accertare l'esistenza di danni alla cosa locata, questa si debba intendere restituita in buono stato locativo. Il locatore anche se abbia tralasciato di constatare, all'atto della riconsegna della cosa locata, la esistenza di danni cagionati dal conduttore ha sempre diritto di chiederne giudizialmente il risarcimento fino a quando la relativa azione non sia estinta per prescrizione o per rinunzia, spettando al giudice di merito accertare (ed il suo convincimento e incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato) se il locatore abbia fornito la prova dell'esistenza dei danni lamentati (Cass. III, n. 1119/1972). L'obbligazione di consegna della cosa in buono stato manutentivo, in quanto essenziale al tipo di contratto cui inerisce, non viene meno, inoltre, neppure nell'ipotesi in cui il conduttore non abbia aderito all'offerta di prender visione del bene prima della conclusione del contratto (Cass. III, n. 9089/2006). Sennonché, se tali principi trovano pacificamente applicazione nel campo della responsabilità civile, non altrettanto può dirsi con riferimento alla responsabilità penale, qualora dalla consegna del bene nello stato di presunta buona manutenzione derivi la morte del conduttore: Cass. pen. 5 aprile 1982, infatti, ha ritenuto responsabile del delitto di omicidio colposo il locatore che, prima di consegnare l'appartamento al conduttore, ometta di provvedere al controllo ed alla sostituzione di elementi difettosi nei vari impianti, qualora dal funzionamento anormale di essi derivi un evento mortale (nella specie, la fuoriuscita di ossido di carbonio dal tubo usurato di uno scaldabagno a gas e la mancanza di ventilazione avevano cagionato la morte dell'inquilino mentre questi faceva il bagno). Segue. L'obbligo di consegna di un bene idoneo a realizzare l'interesse del conduttore Negli obblighi del locatore di consegnare la cosa in buono stato di manutenzione e di mantenerla in stato da servire all'uso convenuto (v. il n. 2 del medesimo art. 1575, nonché il successivo art. 1576 c.c.) non rientra quello di apportare alla cosa stessa le modifiche e aggiunte occorrenti per renderla idonea alla destinazione pattuita né, tantomeno, quella di assicurare al conduttore la possibilità di apportarvele egli stesso, pur potendo le parti accordarsi in tal senso. La conclusione è confermata dalla granitica giurisprudenza di legittimità, la quale osserva che l'art. 1575 c.c. non impone invece al locatore alcun obbligo di apportare alla cosa da locare le modifiche necessarie per renderla idonea allo scopo cui intende destinarlo il conduttore (neppure se imposte da disposizioni di legge o dall'autorità e sopravvenute alla consegna). Così Cass. III, n. 24987/2014; Cass. III, n. 2458/2009. V. anche, per la giurisprudenza di merito, Trib. Roma, 3 novembre 2009, per cui in applicazione dell'art. 1575 n. 2) c.c., il locatore non è tenuto all'adeguamento degli impianti esistenti nell'immobile alla normativa vigente, a meno che non si verifichino guasti sopravvenuti che richiedano interventi di riparazione e/o manutentivi ordinari o straordinari, posto che al momento della stipula del contratto, pur se successiva all'entrata in vigore della normativa di riferimento, il locatore non ha assunto alcun impegno circa l'effettuazione di lavori di modifica di detti impianti, a meno che quell'obbligo non venga concordato con patto espresso, non essendo sufficiente la mera enunciazione, nel contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l'attestazione del riconoscimento dell'idoneità dell'immobile da parte del conduttore. In particolare, tale obbligo non può discendere da quello, espressamente posto dalla norma a carico del locatore, di mantenere la cosa locata in stato da servire all'uso convenuto, giacché questo consiste nel provvedere a tutte le riparazioni necessarie a conservare la res nelle condizioni in cui si trovava al momento della conclusione del contratto in relazione alla destinazione considerata. Sicché il locatore non è di regola tenuto a compiere successive modificazioni e trasformazioni, non previste dal contratto, attinenti alla specifica idoneità dell'immobile all'esercizio di una determinata attività industriale o commerciale, per la quale è stato locato, anche se l'esecuzione delle opere di modificazione o trasformazione sia imposta da disposizioni di legge o dell'autorità sopravvenute alla consegna; né il locatore è tenuto a rimborsare al conduttore le spese sostenute per la realizzazione di tali opere, salva l'operatività degli artt. 1592 e 1593 c.c. in tema di miglioramenti e addizioni (Trib. Torre Annunziata 17 gennaio 2014). Conseguentemente è stato chiarito che, salvo diversa pattuizione, l'inidoneità della cosa locata rispetto all'uso pattuito non legittima il conduttore a chiedere al locatore un adeguamento della cosa stessa attraverso una sua ristrutturazione (Cass. III, n. 3341/2001). Peraltro, nell'ipotesi di consegna di cosa che risulti inidonea a realizzare l'interesse del conduttore, una responsabilità del locatore non è configurabile, neppure in astratto, quando risulti che il conduttore conoscesse la possibile inidoneità della cosa e, ciononostante, ne abbia accettato il rischio economico (Cass. III, n. 14659/2002). Grava, d'altronde, sul conduttore l'onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell'attività ripromessasi (Cass. III, n. 3441/2002). Diversa – ed assai dibattuta in giurisprudenza – è, invece, la questione concernente la sussistenza, a carico del locatore, di consegnare un immobile dotato a) del certificato di agibilità o abitabilità e, in ogni caso, b) delle autorizzazioni necessarie allo svolgimento dell'attività che intende svolgervi il conduttore. Questione che si confonde con quella, più ampia, concernente l'oggetto del “buono stato manutentivo” che va garantito dal locatore: se, cioè, esso concerna le sole qualità della cosa locata, ovvero investa anche quelle giuridiche. Si registrano, in proposito, tre diversi orientamenti nella giurisprudenza di legittimità. Secondo un primo indirizzo (Cass. III, n. 5836/2007; Cass. III, n. 13395/2007; Cass. III, n. 25278/2009 e Cass. III, n. 1735/2011, Cass. III, n. 14731/2018; Cass. III, n. 14067/2023) nei contratti di locazione relativi ad immobili destinati ad uso non abitativo, grava sul conduttore l'onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell'attività che egli intende esercitarvi, nonché al rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative; ne consegue che, ove il conduttore non riesca ad ottenere tali autorizzazioni, non è configurabile alcuna responsabilità per inadempimento a carico del locatore, e ciò anche se il diniego sia dipeso dalle caratteristiche proprie del bene locato; la destinazione particolare dell'immobile, tale da richiedere che lo stesso sia dotato di precise caratteristiche e che attenga specifiche licenze amministrative, diventa rilevante, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell'obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell'immobile in relazione all'uso convenuto, solo se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, in contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l'attestazione del riconoscimento dell'idoneità dell'immobile da parte del conduttore. Secondo un diverso orientamento (Cass. III, n. 7081/2006; Cass. III, n. 20067/2008; Cass. III, n. 12286/2011), che dà, a vario titolo, rilievo al difetto della documentazione in parola, nel contratto di locazione di un immobile per uso diverso da quello di abitazione, la mancanza delle autorizzazioni o concessioni amministrative che condizionano la regolarità del bene sotto il profilo edilizio – e, in particolare, la sua abitabilità e la sua idoneità all'esercizio di un'attività commerciale – costituisce inadempimento del locatore che giustifica la risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1578 c.c., a meno che il conduttore non sia a conoscenza della situazione e l'abbia consapevolmente accettata. In base ad una più recente teoria - mediana tra le precedenti - riconducibile a Cass. III, n. 2791/2025, Cass. III, n. 20796/2018, Cass. III, n. 15377/2016 nonché a Cass. III, n. 13651/2014, infine, nella locazione di immobili per uso diverso da quello abitativo, convenzionalmente destinati ad una attività il cui esercizio richieda specifici titoli autorizzativi dipendenti anche dalla situazione edilizia del bene (abitabilità dello stesso e sua idoneità all'esercizio di un'attività commerciale), l'inadempimento del locatore può configurarsi quando la mancanza di tali titoli dipenda da carenze intrinseche o da caratteristiche proprie del bene locato, sì da impedire in radice il rilascio degli atti amministrativi necessari e, quindi, l'esercizio lecito dell'attività del conduttore conformemente all'uso pattuito, ovvero quando il locatore abbia assunto l'obbligo specifico di ottenere i necessari titoli abilitativi, restando invece escluso allorché il conduttore abbia conosciuta e consapevolmente accettata l'assoluta impossibilità di ottenerli. Aderendo a tale ultima impostazione, peraltro, l'inidoneità assoluta dell'immobile ai fini del conseguimento dell'abitabilità (o agibilità) non rende annullabile il contratto per errore sulla qualità dell'oggetto, ma determina il mancato rispetto delle qualità che l'immobile deve possedere e dunque un vizio della cosa locata, con conseguente esperibilità del rimedio risolutorio previsto dall'art. 1578 c.c. L'obbligo di mantenimento in stato da servire all'uso convenutoL'art. 1575, n. 2) c.c. sancisce, poi, a carico del locatore, l'obbligo di mantenere l'immobile locato in stato da servire all'uso convenuto e quindi di assicurare al conduttore il godimento del bene in conformità del contratto (c.d. obbligazione di mantenimento o di manutenzione): tale obbligo deve considerarsi violato non solo quando, per incuria del locatore, il bene locato sia divenuto specificamente inidoneo all'uso, ma anche quando, sempre per fatto imputabile al locatore, la concreta utilizzazione dell'immobile locato non sia possibile. Ad esso corrisponde il simmetrico obbligo, gravante sul conduttore, di tollerare le riparazioni che, nel corso della locazione la cosa, non possano differirsi fino al termine del contratto, anche quando queste importino privazione del godimento di parte della cosa locata (v. l'art. 1583 c.c.). Si è osservato, in dottrina (Di Marzio, Falabella, 821) che tale obbligazione del locatore si sostanzia nel mantenere inalterato il godimento della cosa non solo attraverso la vera e propria manutenzione, ma anche attraverso l'astensione dalle innovazioni di cui all'art. 1582 c.c. La “manutenzione”, ossia l'esecuzione delle opere necessarie alla conservazione dell'attitudine della res al godimento, invece, appare essere solo un aspetto – l'aspetto positivo – del mantenimento, che, come accennato, si estrinseca anche nell'adempimento dell'obbligazione negativa di non apportare innovazioni alla cosa. La “conservazione”, infine, coglie con precisione lo scopo al quale l'adempimento dell'obbligazione tende, ma appare meno felice nel rispecchiare la soluzione letterale prescelta dal legislatore. Sicché, in ultima analisi, l'obbligazione in commento si articolerebbe in una obbligazione, positiva, di mantenimento in senso proprio ed in una, negativa, di astensione dalle innovazioni. L'art. 1575, n. 2) c.c. non può, allora, essere letto da solo, ma va coordinato con le altre disposizioni che impongono specifici obblighi, positivi e negativi, al locatore, tra le quali, le principali sono: a) l'art. 1576, comma 1, c.c., per cui il locatore deve eseguire, durante la locazione, tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore; b) l'art. 1576, comma 2, c.c., stando al quale, se si tratta di cose mobili, le spese di conservazione e di ordinaria manutenzione sono, salvo patto contrario, a carico del conduttore; c) l'art. 1609, comma 1, c.c., alla cui stregua le riparazioni di piccola manutenzione, che a norma dell'art. 1576 devono essere eseguite dall'inquilino a sue spese, sono quelle dipendenti da deterioramenti prodotti dall'uso, e non quelle dipendenti da vetustà o da caso fortuito; d) l'art. 1610, comma 1, c.c., per cui lo spurgo dei pozzi e delle latrine è a carico del locatore; e) l'art. 1582 c.c., in base al quale il locatore non può compiere sulla cosa innovazioni che diminuiscano il godimento da parte del conduttore. Si tratta, in ogni caso, di una norma derogabile È derogabile la norma del codice civile (art. 1575, n. 1 c.c.) che prevede l'obbligo per il locatore di consegnare la cosa in buono stato di manutenzione, con i conseguenti obblighi, in capo allo stesso, di mantenimento exart. 1575 n. 2), c.c. e di riparazione exart. 1576 c.c. adeguati allo stato della cosa al momento della consegna e non migliorativi (Trib. Firenze 10 novembre 2000; analogamente Cass. III, n. 6158/1998). Ancor più chiara Cass. III, n. 11856/1992, che osserva come le disposizioni degli artt. 1575, n. 2), e 1576 c.c. possono essere derogate dalle parti nell'ambito della loro autonomia negoziale, non trattandosi di norme di ordine pubblico. L'obbligo in questione dura, finché il contratto è in vita: dopo la cessazione de iure della locazione, l'obbligazione di manutenzione viene meno, giacché il conduttore in mora nella restituzione dell'immobile ne mantiene solo abusivamente la detenzione, restando obbligato al pagamento del canone di locazione, ai sensi dell'art. 1591 c.c., solo a titolo di risarcimento del danno, senza che ciò implichi, a carico del locatore, la persistenza delle obbligazioni nascenti dal contratto di locazione ormai cessato. In tal senso, Cass. III, n. 12543/1991, per cui l'obbligazione del locatore di assicurare al conduttore il godimento della cosa locata, mantenendola in buono stato locativo, si protrae per tutta la durata del rapporto di locazione ma non dopo che questo è cessato per qualsiasi causa, perché da questo momento il conduttore in mora nella restituzione dell'immobile ne mantiene solo abusivamente la detenzione, restando obbligato al pagamento del canone di locazione, ai sensi dell'art. 1591 c.c., solo a titolo di risarcimento del danno, senza che ciò implichi, a carico del locatore, la persistenza delle obbligazioni nascenti dal contratto di locazione ormai cessato; sicché il conduttore in mora nella restituzione dell'immobile non può chiedere al locatore i danni subiti per omessa manutenzione del bene durante il periodo della mora (contra, però, Cass. III, n. 9669/1997, alla cui stregua il conduttore in mora nella restituzione del bene locatogli non diviene, per ciò stesso, occupante abusivo). A tale riguardo, tuttavia, occorre considerare – in senso mitigativo rispetto a tale conclusione – che intendendo il termine per il rilascio dell'immobile, concesso ai sensi dell'art. 56 della l. n. 329/1978, quale termine di adempimento dell'obbligazione di rilascio, “non può non ritenersi che il locatore rimanga assoggettato alle obbligazioni poste a suo carico fino alla scadenza di esso” (così Di Marzio, Falabella, 871). Passando, dunque, alla disamina del contenuto dell'obbligo in questione e per quanto concerne il primo profilo (obbligazione positiva di mantenimento), una volta consegnata la cosa idonea all'uso pattuito, il locatore deve effettuare i necessari interventi di manutenzione per far sì che l'originario equilibrio del rapporto rimanga invariato nel corso del tempo. Detto in altri termini, l'attività di manutenzione imposta al locatore comprende tutte le riparazioni necessarie a conservare la cosa nello stato in cui si trovava al momento della conclusione del contratto, in relazione alla destinazione considerata (Cass. III, n. 12085/1998). Sicché, ad esempio, nell'ipotesi in cui venga approvata una delibera condominiale di dismissione dell'impianto centralizzato di riscaldamento, il locatore deve dotare l'immobile locato di un impianto di riscaldamento autonomo che, tenuto conto delle circostanze del caso, risulti essere “equivalente” a quello condominiale dimesso (Trib. Bari 18 novembre 2005; Pret. Torino 14 gennaio 1997); in caso di locazione di immobile ad uso abitativo, che sia dotato di elettrodomestici, quale uno scaldabagno, compete certamente al locatore, ex art. 1575, n. 2), c.c., la sostituzione o riparazione di tali accessori, che si renda necessaria non in conseguenza di un'utilizzazione inadeguata o anomala da parte del conduttore, ma in esito a normale processo di deterioramento nel tempo, dopo un uso normale (Cass. III, n. 772/1982). Tale obbligo di riparazione non si estende, però, fino al punto di costringere il locatore alla ricostruzione della cosa distrutta totalmente o parzialmente o, comunque, in misura tale da non poter più servire all'uso al quale era destinata: in tal caso, infatti, il contratto di locazione si risolve per impossibilità sopravvenuta della prestazione, in base a quanto disposto dagli artt. 1463 e 1464 c.c. (Mirabelli, 392). Chiara, in proposito, anche Cass. III, n. 3974/2019 (in senso conforme, v. anche Cass. III, n. 4119/1995), per cui la distruzione del bene locato, la quale fa venir meno l'obbligo di manutenzione a carico del locatore rendendo applicabile la disciplina dell'impossibilità sopravvenuta (totale o parziale) della prestazione, ricorre non solo quando il bene locato sia totalmente distrutto, ma anche quando la rovina, pur essendo parziale, riguardi gli elementi principali e strutturali del bene pregiudicandone definitivamente la funzionalità e l'attitudine a prestarsi al godimento previsto dalle parti con il contratto, fermo restando che la distruzione di un singolo elemento essenziale o strutturale non equivale a distruzione parziale dell'immobile locato solo se gli altri elementi, rimasti in efficienza, assicurino la consistenza complessiva dell'immobile e la sua funzionalità. La dottrina (Di Marzio, Falabella, 824) osserva, in proposito che, sebbene il legislatore sembri propendere per un'utilizzazione indifferenziata delle due espressioni, quasi che l'una si risolva nell'altra – si rammenti che l'art. 1575, n. 1) c.c., prescrive la consegna della cosa “in buono stato di manutenzione”, il quale va conservato dal locatore, ai sensi della norma successiva, mediante le “riparazioni necessarie”, eccezion fatta per quelle “di piccola manutenzione” a carico del conduttore – si è al contrario evidenziato che il concetto di riparazione non sempre coincide con quello di manutenzione: la riparazione, difatti, presuppone che la cosa locata abbia subito un guasto – tale l'espressione preferibilmente utilizzata dalla dottrina – capace di pregiudicarne il godimento, mentre la manutenzione ben può essere attuata in prevenzione, indipendentemente dal verificarsi di esso, attraverso l'esecuzione di quelle opere periodiche tendenti ad evitare che il semplice decorso del tempo e l'uso continuo della cosa la degradino progressivamente, rendendola a poco a poco sempre meno idonea all'uso cui è destinata. Sicché, la nozione di “manutenzione” è più ampia e ricomprende in sé la nozione di “riparazione”, sebbene possa convenirsi che l'ipotesi del “guasto”, con la conseguente necessità di riparazione, sia, nel concreto svolgersi del rapporto locativo, quella di maggior rilievo pratico. La giurisprudenza, peraltro, ha inteso l'obbligo di mantenimento in senso ampio, tale da ricomprendevi finanche l'esecuzione di opere di manutenzione su di un immobile, sempre di proprietà del locatore e confinante con quello locato: Cass. III, n. 759/1991 ha, infatti, affermato che, se per il normale svolgimento del rapporto locativo sono richiesti lavori di conservazione anche su entità immobiliari diverse, sempre di proprietà del locatore, la relativa esecuzione risulta strumentale all'osservanza dell'obbligo del locatore di cui al citato art. 1575, n. 2) c.c. La manutenzione va eseguita, ad opera del locatore, non appena questi ha conoscenza dell'inconveniente e cioè, secondo quanto previsto in linea generale dall'art. 1183 c.c., nell'immediatezza, tenendo conto del tempo all'uopo necessario, anche sotto un profilo organizzativo, in relazione alla natura ed all'entità del guasto. Il conduttore è tenuto a “sopportare” l'esecuzione di tali interventi, pur con l'osservanza di alcuni limiti: a) deve trattarsi di interventi indifferibili (v. l'art. 1583 c.c.); b) se l'esecuzione delle riparazioni si protrae per oltre un sesto della durata della locazione e, in ogni caso, per oltre venti giorni, il conduttore ha diritto a una riduzione del corrispettivo, proporzionata all'intera durata delle riparazioni stesse e all'entità del mancato godimento (v. l'art. 1584, comma 1, c.c.); c) relativamente alle locazioni ad uso abitativo ed indipendentemente dalla durata delle riparazioni, se la loro esecuzione rende inabitabile quella parte della cosa che è necessaria per l'alloggio del conduttore e della sua famiglia, il conduttore può ottenere, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto (v. l'art. 1584, comma 2, c.c.). È stato chiarito da Cass. III, n. 372/1997 che gli artt. 1583 e 1584 c.c. disciplinano due fattispecie diverse che hanno in comune il presupposto della necessità di riparazioni improcrastinabili della cosa locata, ma si differenziano, perché l'una attiene alla privazione temporanea parziale del godimento della cosa locata (artt. 1583 e 1584, comma, 1 c.c.), e la seconda all'impedimento temporaneo di ogni godimento della cosa (art. 1584, comma 2, c.c.) nel caso in cui “l'esecuzione delle riparazioni rende inabitabile quella parte della cosa che è necessaria per l'alloggio del conduttore e della sua famiglia”. Il contenuto dell'obbligo di mantenimento: ordinaria e straordinaria manutenzione Rinviando per l'approfondimento dell'argomento al commento all'art. 1576 c.c., in questa sede occorre comunque fornire qualche chiarimento sui concetti che tale disposizione associa all'obbligazione (positiva) di mantenimento che grava sul locatore: riparazione e manutenzione e, all'interno di quest'ultima, manutenzione ordinaria, straordinaria e piccola. L'attività di manutenzione imposta al locatore comprende tutte le riparazioni necessarie a conservare la cosa nello stato in cui si trovava al momento della conclusione del contratto, in relazione alla destinazione considerata (Cass. III, n. 12085/1998); essa riguarda, inoltre, sia la parte dell'immobile di esclusiva proprietà del locatore sia le parti comuni dell'edificio, trattandosi di un obbligo strettamente connesso con quello, a suo carico, di riparazione e manutenzione dell'immobile locato (Cass. III, n. 15372/2010). La dottrina (Di Marzio, Falabella, 824) osserva, in proposito che, sebbene il legislatore sembri propendere per un'utilizzazione indifferenziata delle due espressioni, quasi che l'una si risolva nell'altra – si rammenti che l'art. 1575, n. 1) c.c., prescrive la consegna della cosa “in buono stato di manutenzione”, il quale va conservato dal locatore, ai sensi della norma successiva, mediante le “riparazioni necessarie”, eccezion fatta per quelle “di piccola manutenzione” a carico del conduttore – si è al contrario evidenziato che il concetto di riparazione non sempre coincide con quello di manutenzione: la riparazione, difatti, presuppone che la cosa locata abbia subito un guasto – tale l'espressione preferibilmente utilizzata dalla dottrina – capace di pregiudicarne il godimento, mentre la manutenzione ben può essere attuata in prevenzione, indipendentemente dal verificarsi di esso, attraverso l'esecuzione di quelle opere periodiche tendenti ad evitare che il semplice decorso del tempo e l'uso continuo della cosa la degradino progressivamente, rendendola a poco a poco sempre meno idonea all'uso cui è destinata. Tale obbligo di riparazione non si estende, però, fino al punto di costringere il locatore alla ricostruzione della cosa distrutta totalmente o parzialmente o, comunque, in misura tale da non poter più servire all'uso al quale era destinata: in tal caso, infatti, il contratto di locazione si risolve per impossibilità sopravvenuta della prestazione, in base a quanto disposto dagli artt. 1463 e 1464 c.c. (Mirabelli, 392). Chiara, in proposito, anche Cass. III, n. 3974/2019 (in senso conforme, v. anche Cass. III, n. 4119/1995), per cui la distruzione del bene locato, la quale fa venir meno l'obbligo di manutenzione a carico del locatore rendendo applicabile la disciplina dell'impossibilità sopravvenuta (totale o parziale) della prestazione, ricorre non solo quando il bene locato sia totalmente distrutto, ma anche quando la rovina, pur essendo parziale, riguardi gli elementi principali e strutturali del bene pregiudicandone definitivamente la funzionalità e l'attitudine a prestarsi al godimento previsto dalle parti con il contratto, fermo restando che la distruzione di un singolo elemento essenziale o strutturale non equivale a distruzione parziale dell'immobile locato solo se gli altri elementi, rimasti in efficienza, assicurino la consistenza complessiva dell'immobile e la sua funzionalità. Sicché, in ultima analisi, può concludersi nel senso che la nozione di “manutenzione” è più ampia e ricomprende in sé la nozione di “riparazione”, sebbene possa convenirsi che l'ipotesi del “guasto”, con la conseguente necessità di riparazione, sia, nel concreto svolgersi del rapporto locativo, quella di maggior rilievo pratico. Alla elaborazione di un criterio discretivo tra manutenzione ordinaria e manutenzione straordinaria, invece, concorrono più disposizioni: all'ordinaria manutenzione fa riferimento l'art. 1576, comma 2, c.c., in tema di locazione mobiliare, mentre le riparazioni straordinarie sono considerate dall'art. 1621 c.c., in materia di affitto; il concetto di ordinaria manutenzione è, poi, utilizzato dall'art. 9 della l. n. 392/1978, a proposito del riparto degli oneri condominiali accessori connessi al rapporto locativo, mentre a quello di straordinaria manutenzione ricorre l'art. 23 della medesima legge n. 392, con precipuo riferimento alla disciplina dell'integrazione del canone equo. Volendo semplificare al massimo le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza di legittimità, Cass. III, n. 27540/2013 ha chiarito che, assumendo quali utili parametri di riferimento la norma di cui all'art. 1005 c.c. e le ulteriori disposizioni in materia di locazione sopra citate, la manutenzione ordinaria va qualificata come quella diretta ad eliminare guasti della cosa o che comunque abbia carattere di periodica ricorrenza e di prevedibilità, essendo connotata inoltre da una sostanziale modicità della spesa, mentre rientrano nell'ambito della manutenzione straordinaria quelle riparazioni non prevedibili e di costo non modico, eccezionali nell'ambito dell'ordinaria durata del rapporto locatizio ovvero anche quelle di una certa urgenza e di una certa entità necessarie al fine di conservare o di restituire alla cosa la sua integrità ed efficienza. La qualificazione delle opere in termini di ordinaria ovvero straordinaria manutenzione e l'attribuzione dei lavori all'una o all'altra categoria spettano, in ogni caso, al giudice di merito, involgendo indagini di fatto e il relativo apprezzamento si sottrae a censura in sede di legittimità, se sia sorretto da esatti criteri nomativi e sia adeguatamente motivato (Cass. III, n. 27540/2013, cit.; Cass. III, n. 4064/2003; Cass. III, n. 10/1969). Quanto, invece, alle opere di c.d. piccola manutenzione, che l'art. 1576, comma 1, c.c. pone, in caso di locazione avente ad oggetto beni immobili, a carico del conduttore, queste ultime, come chiarito dal successivo art. 1609 c.c., sono quelle dipendenti da deterioramenti prodotti dall'uso, e non quelle dipendenti da vetustà o da caso fortuito (le quali ultime, indipendentemente dalla loro entità, restano a carico del locatore). Le riparazioni di piccola manutenzione, peraltro, ai sensi dell'art. 1609, comma 2, c.c., in mancanza di patto, sono determinate dagli usi locali. Nello stesso senso anche la giurisprudenza, la quale ha osservato che gli obblighi imposti dagli artt. 1576, comma 1, e 1609 c.c. non comportano che il conduttore sia tenuto, al momento del rilascio, ad eliminare a sue spese le conseguenze del deterioramento subito dalla cosa locata per l'uso fattone durante la durata del contratto in conformità di questo e con l'impiego di una media diligenza, giacché il deterioramento derivato da tale uso si pone come limite all'obbligo del conduttore di restituire la cosa, al termine del rapporto, nello stato in cui l'aveva ricevuta (Cass. III, n. 880/1990). Segue. Obbligazione di mantenimento in buono stato e garanzia per vizi L'obbligazione di mantenimento della cosa locata in buono stato ex art. 1575, n. 2), c.c., nella sua declinazione positiva (quale fonte, cioè, dell'obbligo del locatore di procedere alle riparazioni), va distinta dall'obbligazione di garanzia per i vizi della cosa locata prevista e disciplinata dagli artt. 1578 ss. c.c.: distinzione che si sovrappone a quella tra guasto e vizio. Accreditata dottrina (Mirabelli, 419) ha osservato, in proposito, che, “dall'ambito della nozione di vizio e dei rimedi relativi esulano quelli che, siano chiamati guasti, degradazioni o deterioramenti, consistono in alterazioni della cosa, che parimenti comportano diminuzione dell'utilizzabilità, ma possono essere eliminati con opere di riparazione e danno luogo, pertanto, al corrispondente obbligo che – come si è detto – grava sul locatore; la distinzione viene posta, dunque, tradizionalmente a seconda che si tratti di difetti preesistenti, non eliminabili con opere, o di difetti sopravvenuti che possono essere eliminati con lavori opportuni. Ma è stato anche giustamente rilevato che questo criterio di distinzione, agevole a configurarsi sul piano astratto e nella maggior parte dei casi anche ad applicarsi nelle situazioni concrete, può dar luogo a gravi incertezze, giacché possono presentarsi vizi derivanti da fattori intrinseci e strutturali che potrebbero anche essere eliminati con opere adeguate e, può aggiungersi, deterioramenti sopravvenuti di tale gravità, che l'opera di riparazione non appaia sufficiente a riportare la cosa alla necessaria utilizzabilità. Tuttavia, la distinzione va mantenuta secondo i criteri tradizionali, nel senso che se si tratta di difetti che già esistevano al momento dell'inizio del rapporto, anche se si siano rilevati successivamente, si rientra nell'ambito dei vizi; se si tratta di alterazioni verificatesi successivamente si cade nell'ambito dell'obbligo di riparazioni; ed invero questo secondo attiene al più generale obbligo di mantenimento della cosa quale era, mentre i primi concernono le conseguenze dello stato della cosa all'inizio del rapporto”. Il proposto criterio cronologico ha, però, destato il disappunto di chi, prendendo le mosse dal successivo art. 1581 c.c., ha evidenziato come tale norma, stabilendo che le disposizioni in tema di vizi “si osservano in quanto applicabili, anche nel caso di vizi della cosa sopravvenuti nel corso della locazione”, sembra escludere la validità del criterio temporale. Se ne è allora tratta la conclusione (Provera, 212) per cui la distinzione tra guasto e vizio non sarebbe enucleabile in termini generali ed astratti, ma andrebbe ricercata caso per caso, mediante l'utilizzazione di più criteri concorrenti, incluso (ma senza riconoscergli carattere di esclusività) quello temporale: sembra però agevole replicare che l'art. 1581 estende la garanzia dovuta dal locatore ai “vizi della cosa sopravvenuti nel corso della locazione. Ora, per vizi sopravvenuti non possono evidentemente intendersi quelli già esistenti al momento della consegna e scoperti successivamente, perché tale nozione si attaglia in modo perfetto anche ai vizi previsti dall'articolo in esame [i.e., l'art. 1578 c.c.], vizi la cui rilevanza, ai fini della garanzia, dipende appunto dalla loro scoperta a consegna ormai effettuata. Né si dica che la norma di cui all'art. 1581 è stata dettata al solo scopo di evitare una falsa interpretazione dell'articolo in esame, il cui tenore letterale (“se al momento della consegna la cosa locata è affetta da vizi”) potrebbe far pensare a vizi scoperti all'atto della consegna (mentre si tratta evidentemente sempre di vizi scoperti dopo). Tale opinione ci sembra scarsamente attendibile: infatti, solo un'interpretazione letterale (e perciò stesso erronea) del testo della norma potrebbe condurre alla conclusione sopra indicata. E non è perciò credibile che il legislatore, preoccupato di evitare all'interprete un errore così grossolano, abbia voluto correre ai ripari dettando l'art. 1581 c.c., che invece fa riferimento ad un'ipotesi speciale di vizi della cosa. Il criterio sopra indicato non è perciò utilizzabile ai fini della distinzione tra vizio e guasto o almeno non è utilizzabile da solo, anche perché non crediamo che un vizio non possa sorgere [...] dopo la consegna della cosa [...] Ma se per vizi sopravvenuti devono intendersi quelli che non solo vengono accertati dopo la consegna, ma che sorgono anche dopo questo momento, è evidente che la distinzione fra vizio e guasto non può accogliersi alla luce del criterio in esame. Ma non può accogliersi nemmeno in funzione della circostanza che il guasto, a differenza del vizio, sarebbe prontamente eliminabile o almeno eliminabile con una spesa proporzionata al risultato. Infatti, non è escluso che il vizio possa essere eliminato senza eccessive difficoltà: il fatto è piuttosto che il conduttore, mentre può pretendere la riparazione del guasto, non può pretendere l'eliminazione del vizio. A ben vedere, dunque, la distinzione non è di carattere ontologico; essa va accolta perciò utilizzando insieme diversi criteri, dal cui esame comparativo potrà ricavarsi di volta in volta se si tratta di vizio oppure di guasto. I dati che interessano la soluzione del problema sono offerti dalla comune esperienza, la quale insegna ad esempio che il vizio, a differenza del guasto, non è normalmente eliminabile se non a prezzo di un sacrificio economico sproporzionato al risultato che si vuole conseguire. Il vizio non è di norma prontamente accertabile, mentre lo è quasi sempre il guasto. Il vizio preesiste secondo l'id quod plerumque accidit alla consegna della cosa, mentre il guasto è un deterioramento che si produce dopo la consegna in seguito ad un fatto naturale o volontario che altera la cosa [...] Il vizio, come d'altra parte le molestie, non è rilevante in sé e per sé, ma solo in quanto incide in modo apprezzabile sul godimento della cosa, rendendola meno idonea o del tutto inidonea all'uso pattuito. Sulla stessa linea la giurisprudenza di legittimità, la quale ha evidenziato che, ove la distinzione tra vizio e guasto venga a fondarsi sul carattere originario o meno del difetto, non può non osservarsi come la disciplina dell'art. 1578 c.c. sia applicabile anche ai vizi che si manifestano successivamente alla conclusione del contratto di locazione, come si evince dall'equiparazione sancita dall'art. 1581 (Cass. III, n. 2605/1995). Così, muovendosi alla ricerca di criteri discretivi diversi, Trib. Milano, 30 gennaio 2019 evidenzia come i vizi della cosa locata rilevanti exart. 1578 c.c. incidono sulla struttura materiale della cosa, alterandone l'integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se sono eliminabili e si manifestano successivamente alla conclusione del contratto di locazione. Tali vizi alterano l'equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sull'idoneità all'uso della cosa locata, ed i rimedi previsti sono solo la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo, restando esclusa l'esperibilità dell'azione di esatto adempimento, non potendosi configurare in presenza di tali vizi intrinseci e strutturali un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ex art. 1575 c.c. Invece, guasti o deterioramenti della cosa locata, dovuti alla naturale usura, effetto del tempo, o ad accadimenti accidentali, che determinino disagi limitati e transeunti nell'utilizzazione del bene, possono rilevare rispetto all'obbligo di manutenzione, posto dalla legge a carico del locatore, quale proiezione nel tempo dell'obbligo di consegna in buono stato di manutenzione ex art. 1575 c.c.), e rispetto all'obbligo di riparazione exart. 1576 c.c., l'inosservanza dei quali determina l'inadempimento contrattuale. Sostanzialmente nel medesimo senso Cass. III, n. 24459/2011, per cui costituiscono vizi della cosa locata agli effetti dell'art. 1578 c.c. – la cui presenza non configura un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ai sensi dell'art. 1575 c.c., ma altera l'equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sull'idoneità all'uso della cosa stessa e consentendo la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo, ma non l'esperibilità dell'azione di esatto adempimento – quelli che investono la struttura materiale della cosa, alterandone l'integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se eliminabili e manifestatisi successivamente alla conclusione del contratto di locazione: pertanto va escluso che possano essere ricompresi tra i vizi predetti quei guasti o deterioramenti dovuti alla naturale usura o quegli accadimenti che determinino disagi limitati e transeunti nell'utilizzazione del bene, posto che in questo caso diviene operante l'obbligo del locatore di provvedere alle necessarie riparazioni ai sensi dell'art. 1576 c.c., la cui inosservanza determina inadempimento contrattuale. Del pari Trib. Bari 12 ottobre 2006, per cui l'obbligazione ex art. 1575, n. 2) c.c., è del tutto distinta dalla garanzia per vizi prevista dall'art. 1578 c.c. in quanto quest'ultima norma si applica solo nell'ipotesi in cui la cosa presenti difetti che, a differenza di quelli contemplati dall'art. 1575, n. 2) c.c., incidono esclusivamente sullo stato di conservazione della cosa e ne compromettono la struttura materiale alterandone l'integrità; ne deriva una tutela differenziata del conduttore in funzione della presenza nell'immobile locato di anomalie conseguenti all'omesso adempimento della obbligazione di cui all'art. 1575 c.c. o di veri e propri vizi. Come anticipato, però, se in alcuni casi la differenza tra le due discipline è chiara, in altri essa permane sfumata: così ad esempio, mentre in caso di locazione di immobile ad uso abitativo, che sia dotato di elettrodomestici, quale uno scaldabagno, compete certamente al locatore, ex art. 1575, n. 2) c.c., la sostituzione o riparazione di tali accessori, che si renda necessaria non in conseguenza di un'utilizzazione inadeguata od anomala da parte del conduttore, ma in esito a normale processo di deterioramento nel tempo, dopo un uso normale (Cass. III, n. 772/1982), al contrario, Trib. Brindisi, 15 marzo 2018, osserva che il crollo anche parziale del solaio può rilevare tanto ai fini dell'eventuale violazione dell'obbligo di mantenimento in buono stato locativo, ex art. 1575, n. 2) c.c. quanto sul piano di dimostrare la sussistenza di vizi del bene locato che ne diminuiscono in maniera apprezzabile l'idoneità all'uso convenuto, ex art. 1578 c.c., al punto da giustificare la risoluzione del contratto per inadempimento. Le due richiamate discipline, quella relativa alle obbligazioni del locatore, cui lo stesso è risultato essersi reso inadempiente, e quella dei vizi della cosa locata possono concorrere nel produrre, quale conseguenza, la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento, determinando altresì i connessi effetti risarcitori a carico del locatore ivi compreso per quanto riguarda la corresponsione dell'indennità per la perdita dell'avviamento, dovuta in esito alla risoluzione del rapporto. In presenza dell'inadempimento del locatore all'obbligo (positivo) di mantenimento in buono stato locativo (ma la medesima questione si pone in relazione all'esistenza di vizi), infine, il conduttore non può, restando nella detenzione dell'immobile, sospendere il pagamento del canone mentre può, anche in via di eccezione riconvenzionale, chiedere una sua riduzione ovvero, in alternativa, la risoluzione del contratto. Chiarisce al riguardo Cass. III, n. 3441/2001 (conforme la successiva Cass. III, n. 3991/2004) che il pagamento del canone costituisce la principale e fondamentale obbligazione del conduttore, al quale non è consentito astenersi dal versare il corrispettivo o di determinare unilateralmente il canone nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione del godimento del bene, anche quando si assuma che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore e ciò perché la sospensione totale o parziale dell'adempimento di detta obbligazione, ai sensi dell'art. 1460 c.c., è legittima soltanto quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte (in tale senso, Cass. III, n. 9863/1998; Cass. III, n. 3411/1983; Cass. III, n. 1172/1962). Il principio è solo parzialmente da condividere, poiché esso porta ad escludere l'applicabilità dell'eccezione di cui all'art. 1460 in ipotesi di inesatto adempimento, limitandola all'exceptio inadimpleti contractus. Infatti, il comma 2 dell'art. 1460 c.c., ove non si voglia ritenere meramente ripetitivo del primo, secondo la più attenta dottrina, va riferito anche al caso in cui la controparte potrebbe aver già adempiuto la propria prestazione, ma in maniera inesatta. In questo caso l'eccezione sarebbe quella di non rite adimpleti contractus. Sennonché l'exceptio non rite adimpleti contractus, a cui è egualmente applicabile l'art. 1460 c.c., postula la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, ma in relazione alla oggettiva proporzione degli inadempimenti stessi, riguardata con riferimento all'intero equilibrio del contratto ed alla buona fede (Cass. III, n. 4457/1982; Cass. III, n. 250/1985; Cass. III, n. 5694/1996). Pertanto, se il conduttore ha, in ogni caso, continuato a godere dell'immobile, per quanto lo stesso presentasse vizi, e quindi ha ricevuto la prestazione, per quanto nei termini predetti, non può lo stesso sospendere l'intera sua prestazione, perché in questo caso mancherebbe la proporzionalità tra i due inadempimenti. Segue. L'obbligazione (negativa) di mantenimento, quale divieto di innovazioni Nel precedente par. 3 si è chiarito che l'obbligazione di manutenzione fissata dall'art. 1575, n. 2) c.c. si snoda in due obbligazioni diverse, una positiva, di facere, cd. di mantenimento in senso proprio (di cui si è ampiamente discusso nei paragrafi precedenti) ed una negativa, di non facere, consistente nel divieto di apportare innovazioni alla cosa locata. Con riguardo a tale profilo, non ogni innovazione deve intendersi preclusa, vietando l'art., 1582 c.c. solo quelle “che diminuiscano il godimento da parte del conduttore”: risolvendo un dubbio interpretativo insorto nella vigenza del codice civile del 1865, la norma prevede che non ogni innovazione debba intendersi preclusa, ma solo quella che diminuisce il godimento, secondo la considerazione – a monte di tale ragionamento – per cui è il godimento della cosa, e non la cosa in sé, a rappresentare il vero oggetto del rapporto; sicché risulta essenziale, al fine di comprendere la portata di entrambe le previsioni codicistiche – non solo l'art. 1582 c.c., ma anche l'art. 1575, n. 2) c.c. – quali siano le innovazioni – non ammesse – rientranti in siffatta categoria e quelle – invece possibili – esulanti da tale divieto. Così anche la giurisprudenza afferma che rientra nel divieto di cui all'art 1582 c.c. l'innovazione nella cosa locata che, per la sua pericolosità, sia suscettibile di arrecare un pregiudizio al conduttore, in quanto si risolva in una diminuzione del godimento della cosa stessa (Cass. III, n. 772/1973). In particolare, l'innovazione pregiudizievole per il godimento della cosa locata, vietata al locatore dall'art. 1582 c.c., è solo quella che viene posta in essere attraverso un mutamento dello stato di fatto, con riferimento al quale sia ipotizzabile un divieto di modificazione che trovi la sua origine nel contenuto tipico delle obbligazioni contratte dal locatore secondo lo schema negoziale delineato dalla legge o per effetto di specifica clausola contrattuale: deve, dunque, trattarsi di un un opus novum in senso proprio – sicché essa non può essere ravvisata in una qualsiasi attività (o sua cessazione) che rechi indiretto pregiudizio al godimento (ad esempio, Cass. III, n. 11093/1992 esclude che possa essere inquadrata nella fattispecie indicata dall'art. 1582 c.c., ancorché idonea ad influire sull'utilità che il conduttore può trarre dalla cosa locata, l'innovazione consistente nella cessazione di un'attività, in senso lato, imprenditoriale del locatore, la cui prosecuzione, inerendo la libertà di iniziativa economica di una delle parti, non rientra nello schema tipico della locazione, salvo che sia espressamente previsto in contratto) – e l'alterazione che ne deriva al godimento può essere di carattere qualitativo, quantitativo o temporale. Si è, in proposito, conformemente osservato in dottrina (Di Marzio, Falabella, 934) che diviene perciò necessario chiarire, al fine di distinguere le innovazioni vietate da quelle lecite, la nozione di “diminuzione del godimento”. Essa, è stato detto, può assumere tanto un rilievo quantitativo che qualitativo: a) nel primo caso, l'esecuzione delle innovazioni impedisce al conduttore l'utilizzazione di una parte del bene; b) nel secondo caso (si pensi alla chiusura di una finestra o alla soppressione del riscaldamento) il godimento si deteriora. Ha inoltre rilievo l'aspetto temporale: la diminuzione del godimento va cioè commisurata non solo all'effetto dell'innovazione sulla cosa locata, ma anche al tempo necessario per realizzarla, rapportato al transitorio impedimento al godimento. Non è richiesto, invece, perché sorga il diritto ad opporsi alle innovazioni, che queste rechino danno al conduttore, ossia che gli producano una diminuzione patrimoniale sotto il profilo del danno emergente o del lucro cessante, ex art. 1223 c.c. E si è altresì aggiunto (Mirabelli, 398) che il divieto posto dall'art. 1582 c.c. concerne anche le innovazioni apportate alle pertinenze o agli accessori, nella misura in cui le une e gli altri sono compresi nella locazione. Si ritiene comunemente che il divieto di innovazioni non riguardi soltanto la cosa principale oggetto della locazione, ma anche pertinenze ed accessori, nella misura in cui sono questi sono compresi nella locazione e la loro alterazione determina una diminuzione (non già della materialità, quanto) del godimento del bene (Mirabelli 1972, 398). Meno univoca, al contrario, è la posizione della dottrina in relazione all'estensibilità del divieto anche relativamente ad opere eseguite dal locatore non già sulla cosa locata, bensì su altri beni nella sua disponibilità, qualora da ciò derivi una diminuzione del godimento nei termini previsti dall'art. 1582 c.c. (si rinvia, per l'approfondimento della relativa questione, al commento all'art. 1582 c.c.). Sempre la dottrina (Gabrielli, Padovini, 292) esclude dall'ambito di operatività del divieto in esame, invece, gli interventi imposti autoritativamente sulla cosa locata, come accade, ad esempio, nel caso dell'adeguamento degli impianti di riscaldamento a fini di risparmio energetico ovvero degli impianti elettrici a fini di sicurezza: ricostruito il divieto di innovazioni quale espressione di una vera e propria obbligazione contrattuale a carico del locatore, va da sé che le innovazioni imposte a questi per factum principis non costituiscono inadempimento contrattuale a lui imputabile, secondo la regola generale fissata dall'art. 1218 c.c.; anzi, ragionando a contrario, l'esecuzione dell'opera richiesta può paradossalmente manifestarsi alla stregua di un (doveroso) adempimento dell'obbligazione (positiva) di mantenimento posta dall'art. 1575, n. 2) c.c. Quanto, poi, alla riduzione del godimento sulla cosa, applicando analogicamente l'art. 1578, comma 1, c.c., dettato in tema di vizi della cosa locata, la dottrina (Mirabelli, 397; contra, però, Tabet, 423) ritiene che il pregiudizio causato dall'innovazione alla realizzazione del godimento debba essere apprezzabile. Ne consegue che, ove la diminuzione sia lieve ovvero, al contrario, la cosa diventi assolutamente inidonea a servire, neppure in misura ridotta od incongrua, all'uso pattuito, la norma diviene inoperante e, mentre nel primo caso alcun rimedio è offerto al conduttore, in relazione alla seconda evenienza, torna invece attuale il riferimento alla categoria generale della risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione. La previsione contenuta all'art. 1582 c.c. ha pacificamente carattere meramente dispositivo, nel senso il diritto del conduttore all'integrale godimento della cosa locata ed il diritto al risarcimento del danno, in caso di diminuzione dello stesso godimento, sono infatti diritti disponibili e, dunque, convenzionalmente derogabili (Trifone, 476; in senso parzialmente contrario, però, Tabet, 418, il quale ritiene nullo il patto o la clausola che escludano del tutto l'operatività del divieto fino a privare totalmente il conduttore del godimento). La deroga può avere carattere generale, consentendo il conduttore a che il locatore effettui ogni tipo di innovazione limitativa del proprio godimento del bene, ovvero speciale, relativamente, cioè, alla realizzazione della singola innovazione. Conforme è la posizione della giurisprudenza (Cass. III, n. 1136/1958) per la quale il diritto del conduttore all'integrale godimento della cosa ed il diritto al risarcimento del danno, in caso di diminuzione del godimento, sono diritti disponibili e, quindi, limitabili per volontà dei contraenti, con conseguente validità del patto con cui le parti abbiano escluso ogni risarcimento, in caso di diminuzione del godimento dell'immobile locato in occasione di opere di restauro, di riparazione, modificazioni o miglioramento eseguite dal locatore. Proprio a tale ultimo proposito, rinviando al commento all'art. 1582 c.c. per quanto concerne l'approfondimento delle tematiche appena affrontate, per completezza di trattazione va evidenziato che, in caso di violazione del divieto di innovazioni, il conduttore può: a) invocare il diritto al risarcimento dei danni (ove provati); b) ottenere la risoluzione del contratto, qualora l'inadempimento si “colori” della gravità prevista all'art. 1455 c.c. (come nel caso di modesta diminuzione del godimento, ma protratta lungamente nel tempo); c) chiedere l'eliminazione dell'opera eseguita in violazione del divieto, sì da conseguire l'adempimento dell'obbligazione negativa gravante sul locatore, nelle forme e nei modi previsti dall'art. 2933 c.c.. È invece discusso se il conduttore possa vantare il diritto alla riduzione del corrispettivo, analogamente a quanto previsto dagli artt. 1578 e 1584 c.c., rispettivamente per il caso di vizi della cosa locata e di riparazioni. La garanzia del pacifico godimento durante la locazioneL'ultima delle obbligazioni “principali” gravanti sul locatore, prevista dal n. 3) dell'art. 1575 c.c., consiste nel garantire al conduttore il pacifico godimento della cosa locata durante lo svolgimento del rapporto negoziale: ciò implica che il locatore deve rimuovere qualsiasi ostacolo all'attuazione del godimento del conduttore secondo la destinazione contrattuale, proveniente da sé stesso ovvero da terzi estranei al rapporto locativo. La questione si intreccia, con evidenza, con quanto previsto dall'art. 1585 c.c., norma che, dettando la disciplina della “garanzia per molestie” gravante sul locatore, specifica che questi: a) è tenuto a garantire il conduttore dalle molestie che diminuiscono l'uso o il godimento della cosa, arrecate da terzi che pretendono di avere diritti sulla cosa medesima; b) non è tenuto a garantirlo dalle molestie di terzi che non pretendono di avere diritti, salva al conduttore la facoltà di agire contro di essi in nome proprio. Sicché, ricapitolando, gli impedimenti all'attuazione del godimento del conduttore possono essere determinati dallo stesso locatore oppure da terzi: 1) nel primo caso, il locatore contravviene all'impegno assunto di far godere (art. 1571 c.c.) la cosa locata ed incorre, pertanto, in un inadempimento contrattuale, contro il quale il conduttore può esperire i rimedi tipici previsti in via generale dall'art. 1453 c.c. e, cioè, l'azione di adempimento in alternativa a quella di risoluzione, salvo in ogni caso il risarcimento del danno; 2) nel secondo caso, invece, l'esposizione del locatore alla garanzia discende dall'obbligazione scaturente dalla previsione contenuta nell'art. 1585 c.c. e, per sistematicità di disciplina, dovrebbero trovare applicazione i rimedi di cui all'art. 1578 c.c. Si osserva, in dottrina (Mirabelli, 451), che, in una prospettiva di inquadramento sistematico nel contesto dei diversi rimedi alle deficienze di attuazione del godimento, la garanzia per molestie andrebbe regolata in stretta analogia con la garanzia per vizi rilevanti e comprenderebbe, quindi, tutti gli strumenti che l'art. 1578 c.c. assegna al conduttore, quali la risoluzione del contratto, riduzione del corrispettivo e risarcimento del danno (v. anche Trifone 1984, 473). Non troverebbe, invece, applicazione, la disciplina concernente la prova liberatoria contemplata dall'art. 1578, comma 2, c.c. Entrambe le discipline sono dunque coessenziali alla garanzia (intesa in senso lata) del pacifico godimento del bene da parte del conduttore, sicché va riconosciuto il nesso di collegamento tra l'art. 1575, n. 3), e l'art. 1585 c.c. (Cass. III, n. 1321/1971). La dottrina è, invece, divisa, tra chi ritiene che nella previsione dell'art. 1575, n. 3) c.c. rientrino tutti gli eventi che disturbano la normale attuazione del rapporto locatizio, posti in essere dallo stesso locatore o da terzi (Mirabelli, 380) e chi, al contrario, restringe l'operatività della norma alle sole molestie arrecate da terzi (Tabet, 369). Muovendo, anzitutto, dall'esame delle molestie arrecate dal locatore, le stesse sono state individuate, in dottrina (Mirabelli, 434), nel disporre della cosa locata in modo contrastante con il godimento locativo, nella costituzione di servitù, nella locazione ad altri la stessa cosa ovvero nell'attribuzione ad altro conduttore dell'uso esclusivo di cose comuni; nella concessione di altra parte dell'immobile a conduttori ed esercenti industrie rumorose, commerci immorali; nelle turbative alla persona del conduttore per parte del locatore o suoi preposti. Sennonché, il medesimo Autore ha osservato come, in realtà, nella maggior parte dei casi predetti, la molestia dipende non tanto dal compimento dell'attività giuridica posta in essere dal locatore quanto, piuttosto, dall'attività materiale svolta dai terzi in forza di essa. Sicché residuano, quali ipotesi effettive di “molestie” del locatore – che, come detto si atteggiano quale inadempimento dell'obbligazione di far godere la cosa locata – da un lato, i casi di immissione, totale o parziale, del locatore nella detenzione della cosa locata e, dall'altro lato, di turbative arrecate dal locatore o da suoi preposti alla persona del conduttore (Di Marzio, Falabella, 1019). Quanto, in particolare, alla prima evenienza (immissione, totale o parziale, del locatore nella detenzione della cosa locata), è indubitabile che il locatore non si trova, rispetto alla cosa locata, in un rapporto di totale estraneità: non è, cioè, un terzo qualunque, ma conserva un residuale potere sulla cosa, nonostante il vincolo contrattuale in essere. Così, ad esempio, Cass. III, n. 21788/2015 evidenzia che al proprietario dell'immobile locato sono riconducibili in via esclusiva i danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, di cui conserva la custodia anche dopo la locazione. Ne discende il principio, espresso da una risalente pronunzia di legittimità (Cass. III, n. 2489/1962) ma tuttora valido, per cui gli obblighi del conduttore di custodire e conservare la cosa locata e di restituirla al termine del rapporto di locazione nello stato in cui l'ha ricevuta, nonché quello di informare il locatore della sopravvenuta necessita di riparazione a suo carico, non eliminano il potere del locatore di vigilare sulla cosa locata, potere giustificato dal fine di accertare se il conduttore, in adempimento dell'obbligo stabilito dall'art. 1587, n. 1) c.c., che è sempre operante nel corso della locazione, indipendentemente dall'obbligo di restituzione disciplinato dall'art. 1590 c.c., osservi la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsi della cosa locata per l'uso consentitogli dal contratto o dalle circostanze, se la cosa sia stata deteriorata o comunque abbia bisogno di riparazioni la cui necessità non sia stata comunicata dal conduttore a norma dell'art. 1577 c.c. ed in genere per controllare l'osservanza degli obblighi che a norma del contratto o della legge gravano sul conduttore: tale potere di vigilanza e di visita, giustificato e riconosciuto dal sistema della legge, può essere esercitato, salva diversa volontà contrattuale, quando l'uso di esso sia reso necessario dalle circostanze e, in ogni caso, compatibilmente con il diritto di godimento che il rapporto di locazione assicura al conduttore e trattandosi di locazione di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, col rispetto dovuto e legalmente sanzionato all'altrui domicilio. Inoltre, dalla stessa lettera della legge si coglie che, se il locatore è assoggettato all'obbligazione di rispettare il godimento pattuito, a contrario può procedere a qualsiasi immissione che non si ponga in contrasto con tale godimento: la questione assume rilevanza per quanto concerne la visita all'immobile di possibili acquirenti. Cass. III, n. 5133/1979 ha chiarito che il conduttore deve usare la cosa da buon padre di famiglia (art 1587 c.c.) e, quindi, nel godimento di essa, non deve compiere alcun abuso, il quale può consistere in qualsiasi comportamento lesivo degli interessi del locatore; ne consegue che il ripetuto, ingiustificato rifiuto del conduttore a consentire la visita dello immobile posto in vendita, a coloro che siano disposti ad acquistarlo, costituisce grave inadempimento del contratto di locazione e, quindi, causa della sua risoluzione. Sostanzialmente nel medesimo senso Cass. III, n. 4316/1974 che ulteriormente chiarisce che il locatore, nonostante il silenzio del titolo, può visitare e far visitare la cosa locata, con le modalità di cui agli usi, al fine di poter stipulare altro contratto di locazione, allo scadere di quello in corso o di vendere la cosa: il conduttore, che opponga ingiustificati rifiuti all'effettuazione di tali visite, incorre in inadempimento, che può costituire causa di risoluzione del contratto. Per quanto attiene, invece, alle molestie arrecate da terzi, il locatore è tenuto a garantire il conduttore qualora il pregiudizio derivi da molestie di diritto e non anche nel caso di molestie di fatto, sussistenti allorquando non venga posto in discussione il diritto al godimento della cosa locata. Si ha molestia di fatto – contro la quale il locatore non è tenuto a garantire il conduttore, ai sensi del secondo comma dell'art. 1585 c.c. – qualora il pregiudizio al conduttore medesimo derivi da un atto illecito aquiliano del terzo, senza che venga posto in questione, né direttamente né indirettamente, il diritto di quello al godimento della cosa locata (Cass. III, n. 5450/1985). Si ha, al contrario, molestia di diritto non soltanto quando il terzo tenda a togliere al conduttore il godimento della cosa locata, reclamando un diritto su di essa, ma anche in ogni altro caso in cui il terzo neghi di essere tenuto ad osservare un'obbligazione dalla cui regolare esecuzione dipenda anche l'osservanza da parte del locatore della sua obbligazione di mantenere la cosa locata in stato di servire all'uso, cui era destinata: in tale caso è lo stesso locatore che deve prendere l'iniziativa di agire contro l'autore della turbativa ed, ove si rifiuti, si rende inadempiente agli obblighi per lui nascenti dal contratto di locazione; ogni altra molestia, che non abbia alcuna incidenza nel contratto di locazione, è semplice molestia di fatto, che non impegna la responsabilità del locatore (Cass. III, n. 3261/1972). Anche la dottrina ha indugiato sul criterio discretivo tra le due ipotesi. Si è così osservato (Mirabelli, 439) che l'unico punto fermo che sembra sia stato raggiunto è quello di definire le molestie di fatto quali provenienti da un fatto illecito del terzo del tutto estraneo al rapporto tra locatore e conduttore e, al contrario, turbative di diritto quelle che comunque si appoggiano ad una pretesa di diritto sulla cosa; “ma quello che, benché chiaramente percepito, non è stato mai adeguatamente sottolineato, è che, in effetti, l'ipotesi della molestia di fatto si verifica ben raramente ed ha scarsissima rilevanza, laddove il fenomeno delle molestie cosiddette di diritto, da un canto, è molto, molto più vasto di quanto una logica applicazione di quei criteri distintivi, quali comunemente sono enunciati, lascerebbe credere e, dall'altro, è l'unico che ha effettiva rilevanza; solo tali molestie fanno scattare il meccanismo della ‘garanzia', sì che solo ad esse si addice la denominazione di molestie rilevanti nella locazione, senza altra qualificazione. La realtà è, infatti, che, nonostante la formulazione apparentemente restrittiva del primo comma dell'art. 1585 c.c. e delle disposizioni che lo hanno preceduto, il locatore subisce le conseguenze di tutte le limitazioni di godimento che il conduttore riceve, in quanto tale, sia da parte di chi vi abbia diritto sia da parte di chi diritto non abbia, e resta estraneo soltanto a quegli eventi di danno o che colpiscono il conduttore non in quanto tale, ma meramente come soggetto esposto alle offese altrui, nella persona e nei beni”. 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