Codice Civile art. 1582 - Divieto d'innovazione.Divieto d'innovazione. [I]. Il locatore non può compiere sulla cosa innovazioni che diminuiscano il godimento da parte del conduttore. InquadramentoL'obbligazione di manutenzione fissata dall'art. 1575, n. 2) c.c. a carico del locatore si snoda – come ampiamente esposto nel commento all'art. 1575 c.c., in due obbligazioni diverse, una positiva, di facere, c.d. di mantenimento in senso proprio ed una negativa, di non facere, consistente nel divieto, contemplato dall'art. 1582 c.c., di apportare innovazioni alla cosa locata. Non ogni innovazione deve intendersi, però, preclusa: risolvendo un dubbio interpretativo insorto nella vigenza del codice civile del 1865, la norma prevede che non ogni innovazione debba intendersi preclusa, ma solo quella che diminuisce il godimento, secondo la considerazione – a monte di tale ragionamento – per cui è il godimento della cosa, e non la cosa in sé, a rappresentare il vero oggetto del rapporto; sicché risulta essenziale, al fine di comprendere la portata di entrambe le previsioni codicistiche – non solo l'art. 1582 c.c., ma anche l'art. 1575, n. 2) c.c. – quali siano le innovazioni – non ammesse – rientranti in siffatta categoria e quelle – invece possibili – esulanti da tale divieto. Così anche la giurisprudenza afferma che rientra nel divieto di cui all'art 1582 c.c. l'innovazione nella cosa locata che, per la sua pericolosità, sia suscettibile di arrecare un pregiudizio al conduttore, in quanto si risolva in una diminuzione del godimento della cosa stessa (Cass. III, n. 772/1973). Si è in proposito osservato, in dottrina (Di Marzio, Falabella, 934) che “diviene perciò necessario chiarire, al fine di distinguere le innovazioni vietate da quelle lecite, la nozione di “diminuzione del godimento”. Essa, è stato detto, può assumere tanto un rilievo quantitativo che qualitativo: a) nel primo caso, l'esecuzione delle innovazioni impedisce al conduttore l'utilizzazione di una parte del bene; b) nel secondo caso (si pensi alla chiusura di una finestra o alla soppressione del riscaldamento) il godimento si deteriora. Ha inoltre rilievo l'aspetto temporale: la diminuzione del godimento va cioè commisurata non solo all'effetto dell'innovazione sulla cosa locata, ma anche al tempo necessario per realizzarla, rapportato al transitorio impedimento al godimento. Non è richiesto, invece, perché sorga il diritto ad opporsi alle innovazioni, che queste rechino danno al conduttore, ossia che gli producano una diminuzione patrimoniale sotto il profilo del danno emergente o del lucro cessante, exart. 1223 c.c.”. E si è altresì aggiunto (Mirabelli, 398) che il divieto posto dall'art. 1582 c.c. concerne anche le innovazioni apportate alle pertinenze o agli accessori, nella misura in cui le une e gli altri sono compresi nella locazione. In caso di violazione del divieto di innovazioni, il conduttore può: a) invocare il diritto al risarcimento dei danni (ove provati); b) ottenere la risoluzione del contratto, qualora l'inadempimento si “colori” della gravità prevista all'art. 1455 c.c. (come nel caso di modesta diminuzione del godimento, ma protratta lungamente nel tempo); c) chiedere l'eliminazione dell'opera eseguita in violazione del divieto, sì da conseguire l'adempimento dell'obbligazione negativa gravante sul locatore, nelle forme e nei modi previsti dall'art. 2933 c.c.. È invece discusso se il conduttore possa vantare il diritto alla riduzione del corrispettivo, analogamente a quanto previsto dagli artt. 1578 e 1584 c.c., rispettivamente per il caso di vizi della cosa locata e di riparazioni. Si ritiene che la norma abbia carattere meramente dispositivo, nel senso il diritto del conduttore all'integrale godimento della cosa locata ed il diritto al risarcimento del danno, in caso di diminuzione dello stesso godimento, sono infatti diritti disponibili e, dunque, convenzionalmente derogabili (Trifone, 476; in senso parzialmente contrario, però, v. Tabet 1972, 418, il quale ritiene nullo il patto o la clausola che escludano del tutto l'operatività del divieto fino a privare totalmente il conduttore del godimento). Ove si ritenga ammissibile, la deroga può avere carattere generale, consentendo il conduttore a che il locatore effettui ogni tipo di innovazione limitativa del proprio godimento del bene, ovvero speciale, relativamente, cioè, alla realizzazione della singola innovazione. Conforme è la posizione della giurisprudenza (Cass. III, n. 1136/1958), per la quale il diritto del conduttore all'integrale godimento della cosa ed il diritto al risarcimento del danno, in caso di diminuzione del godimento, sono diritti disponibili e, quindi, limitabili per volontà dei contraenti, con conseguente validità del patto con cui le parti abbiano escluso ogni risarcimento, in caso di diminuzione del godimento dell'immobile locato in occasione di opere di restauro, di riparazione, modificazioni o miglioramento eseguite dal locatore. L'ambito di operatività dell'art. 1582 c.c.: a) il concetto di innovazioneL'innovazione pregiudizievole per il godimento della cosa locata, vietata al locatore dall'art. 1582 c.c., è solo quella che viene posta in essere attraverso un mutamento dello stato di fatto, con riferimento al quale sia ipotizzabile un divieto di modificazione che trovi la sua origine nel contenuto tipico delle obbligazioni contratte dal locatore secondo lo schema negoziale delineato dalla legge o per effetto di specifica clausola contrattuale: deve, dunque, trattarsi di un opus novum in senso proprio – sicché essa non può essere ravvisata in una qualsiasi attività (o sua cessazione) che rechi indiretto pregiudizio al godimento (ad esempio, Cass. III, n. 11093/1992 esclude che possa essere inquadrata nella fattispecie indicata dall'art. 1582 c.c., ancorché idonea ad influire sull'utilità che il conduttore può trarre dalla cosa locata, l'innovazione consistente nella cessazione di un'attività, in senso lato, imprenditoriale del locatore, la cui prosecuzione, inerendo la libertà di iniziativa economica di una delle parti, non rientra nello schema tipico della locazione, salvo che sia espressamente previsto in contratto) – e l'alterazione che ne deriva al godimento può essere di carattere qualitativo, quantitativo o temporale. L'illiceità dell'innovazione apportata alla cosa locata discende dal fatto che essa rende impossibile la sua utilizzazione secondo i patti contrattuali e con mezzi normali ed adeguati, in relazione alla natura ed alle possibilità di godimento della cosa stessa (così Cass. III, n. 1926/1961). La mancata diminuzione del godimento, alla quale l'art 1582 c.c. subordina la possibilità di dare corso ad innovazione della cosa locata, va accertata con particolare riguardo allo stato della cosa stessa al momento in cui il contratto ebbe a perfezionarsi, senza tenere conto della maggiore funzionalità che per effetto di essa l'immobile può conseguire (Cass. III, n. 180/1962). In senso contrario, però, si è osservato che non può ravvisarsi alcuna violazione del divieto posto dall'art. 1582 c.c. nel caso di innovazione che non sia obiettivamente né gravosa, né voluttuaria e che anzi apporti un miglioramento alle condizioni di utilizzabilità del bene: così Cass. III, n. 7001/1993 evidenzia che, qualora l'installazione del servizio di riscaldamento in un edificio in condominio risulti, in relazione alle caratteristiche ed alla situazione logistica dell'immobile, non gravosa né voluttuaria, tale innovazione, se approvata nei modi prescritti, è vincolante per tutti i condomini, con la conseguenza che, nell'ipotesi di un locale dato in locazione, come il proprietario-locatore è tenuto a sostenere pro quota le spese di impianto, parimenti il conduttore non può sottrarsi (trattandosi di innovazione lecita exart. 1582 c.c.) al pagamento delle spese di esercizio fin dal momento dell'attuazione del servizio stesso, ancorché questo sia stato introdotto nel corso della locazione, essendo l'aumento degli oneri accessori conseguente all'applicazione dell'art. 9 della l. n. 392/1978, senza alterazione del rapporto sinallagmatico, posto che a fronte di una maggiore spesa per il conduttore vi è un obiettivo miglioramento delle condizioni di utilizzabilità del bene. Detto in altri termini, la diminuzione del godimento può derivare (a) dall'impedimento frapposto al conduttore in relazione all'utilizzazione di una parte del bene (alterazione quantitativa), ovvero (b) da una modifica in senso peggiorativo della cosa locata (alterazione qualitativa) ovvero, ancora (c) dal tempo necessario alla realizzazione dell'innovazione, rapportato al transitorio impedimento al godimento della cosa locata. Il divieto, peraltro, concerne il solo locatore e non anche il proprietario che non sia anche locatore, il quale può compiere sulla cosa qualsiasi modificazione (Trifone, 475). Le innovazioni vietate consistono in sostanza in ogni modificazione dell'essenza originaria della cosa locata, che incida direttamente sul tempo, sulla quantità o qualità, ovvero sulla dimensione spaziale del godimento pattuito (Trifone, 475). Secondo parte della dottrina, poi, l'obbligazione di astensione concerne anche comportamenti non concretizzantisi in veri e propri lavori (Cosentino, Vitucci, 71). La dottrina (Gabrielli, Padovini, 292) esclude, invece, dall'ambito di operatività del divieto in esame gli interventi imposti autoritativamente sulla cosa locata, come accade, ad esempio, nel caso dell'adeguamento degli impianti di riscaldamento a fini di risparmio energetico ovvero degli impianti elettrici a fini di sicurezza: ricostruito il divieto di innovazioni quale espressione di una vera e propria obbligazione contrattuale a carico del locatore, va da sé che le innovazioni imposte a questi per factum principis non costituiscono inadempimento contrattuale a lui imputabile, secondo la regola generale fissata dall'art. 1218 c.c.; anzi, ragionando a contrario, l'esecuzione dell'opera richiesta può paradossalmente manifestarsi alla stregua di un (doveroso) adempimento dell'obbligazione (positiva) di mantenimento posta dall'art. 1575, n. 2), c.c. Del pari, il conduttore è tenuto a tollerare la realizzazione sul bene di tutti quegli atti di trasformazione materiale e perfino di godimento che non siano in contrasto con l'attribuzione locativa (Mirabelli, 397). Si ritiene comunemente, infine, che il divieto di innovazioni non riguardi soltanto la cosa principale oggetto della locazione, ma anche pertinenze ed accessori, nella misura in cui sono questi sono compresi nella locazione e la loro alterazione determina una diminuzione (non già della materialità, quanto) del godimento del bene (Mirabelli, 398). Meno univoca, al contrario, è la posizione della dottrina in relazione all'estensibilità del divieto anche relativamente ad opere eseguite dal locatore non già sulla cosa locata, bensì su altri beni nella sua disponibilità, qualora da ciò derivi una diminuzione del godimento nei termini previsti dall'art. 1582 c.c. Secondo una prima impostazione (Mirabelli, 400), “quel che occorre accertare è se per il godimento pattuito sia necessario che la situazione dei luoghi circostanti permanga quale era, oppure no, non quale potesse essere la convinzione del conduttore; deve raffrontarsi, cioè, la destinazione contrattuale con l'incidenza dell'innovazione su tale destinazione, e non appare sufficiente compiere una mera valutazione dello stato dei luoghi all'inizio del rapporto; può peraltro essere considerato inadempimento a questa obbligazione l'autorizzazione data dal locatore ad altro inquilino o ad altro terzo, in genere, di esercitare attività o compiere opere che diminuiscano il godimento pattuito, sempre, appunto, che queste ostino all'attuazione della destinazione contrattuale”. Altro orientamento (Cosentino, Vitucci, 72, Tabet, 420), al contrario nega tale estensione facendo perno ora sulla formulazione dell'art. 1582 c.c. (per cui il locatore non può compiere innovazione “sulla cosa”, ora sul rilievo che l'innovazione su beni estranei alla locazione rappresenta attività di per sé lecita, salvo non assuma il carattere di molestia, come tale vietata al locatore ad altro titolo. La giurisprudenza ha avuto modo si soffermarsi sull'argomento in una sola occasione (Cass. III, n. 2268/1964), nella quale si è chiarito che il locatore che abbia appaltato l'esecuzione di lavori di costruzione su un terreno di sua proprietà confinante con quello su cui sorge l'edificio locato, risponde, a titolo di responsabilità contrattuale, nei confronti degli inquilini, dei danni a questi derivati, dall'esecuzione delle opere avendo egli l'obbligo di garantire ai conduttori il pacifico godimento della cosa locata. Segue. b) La diminuzione del godimento Le innovazioni rilevanti agli effetti dell'art. 1582 c.c. sono, poi, quelle “che diminuiscano il godimento da parte del conduttore”. Si ritiene, applicando analogicamente l'art. 1578, comma 1, c.c., dettato in tema di vizi della cosa locata, che il pregiudizio causato dall'innovazione alla realizzazione del godimento debba essere apprezzabile (Mirabelli, 397; v. contra, però, Tabet 1972, 423). Ne consegue che, ove la diminuzione sia lieve ovvero, al contrario, la cosa diventi assolutamente inidonea a servire, neppure in misura ridotta od incongrua, all'uso pattuito, la norma diviene inoperante e, mentre nel primo caso alcun rimedio è offerto al conduttore, in relazione alla seconda evenienza, torna invece attuale il riferimento alla categoria generale della risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione. In relazione a tale seconda evenienza, appare opportuno riportare alcuni arresti di legittimità in tema di vizi: Cass. III, n. 14342/2000 chiarisce che l'art. 1579 c.c., norma che sancisce l'inefficacia del patto di esonero della responsabilità del locatore per i vizi che rendano impossibile il godimento della cosa locata, si applica anche ai vizi conosciuti o riconoscibili dal conduttore, atteso che la conoscibilità o meno dei vizi assume rilevanza, ai sensi del precedente art. 1578 c.c. – escludendo la risoluzione del contratto di locazione o la riduzione del corrispettivo – nei soli casi in cui i vizi stessi incidano solo parzialmente sul godimento della cosa locata, senza escluderlo, onde possa risultare ragionevole la preventiva e concorde valutazione delle parti di addossare al conduttore i rischi ad essi relativi. Sicché, Cass. III, n. 3968/1978 ne ha tratto la conclusione per cui la totale e definitiva instabilità dell'edificio, esistente al momento della conclusione del contratto, ne determina la nullità assoluta, rilevabile d'ufficio ex art. 1421 c.c.; se, al contrario, essa si verifica nel corso del rapporto, costituisce causa di risoluzione per sopravvenuta impossibilità della prestazione. È sufficiente, peraltro, che il pregiudizio sia anche solo potenziale, non occorrendo che l'innovazione abbia già prodotto il danno (Cass. III, n. 1926/1961). La tolleranza del conduttore all'esecuzione dell'innovazioneQuestione direttamente connessa all'applicazione dell'art. 1582 c.c. è quella concernente il rilievo da dare al comportamento eventualmente tollerante, se non proprio accondiscendente del conduttore all'esecuzione delle opere da parte del conduttore: la valutazione, a ben vedere, è di tipo casistico. Varie sono state, infatti, le ipotesi considerate in dottrina: a) nel caso di innovazione eseguita alla presenza del conduttore, si ritiene doversi valutare il comportamento di quest'ultimo alla stregua di una rinuncia al diritto di opporsi all'innovazione (Mirabelli, 400); b) tale soluzione non appare, al contrario percorribile, nel caso in cui il conduttore sia assente ed abbia mantenuto uno stato di silenzio, nonostante fosse a conoscenza della realizzazione dell'opera: in simile ipotesi si ritiene essersi in presenza di mera tolleranza, improduttiva di qualunque effetto sul diritto ad opporsi alle innovazioni vietate (v. l'art. 1144 c.c.). Peraltro, ove anche si ritenesse che un simile comportamento determini una rinuncia al diritto di opporsi all'innovazione, si sostiene (Mirabelli, 401) che non per questo potrebbe dedursene l'implicita rinunzia al risarcimento del danno derivante da tale attività. Ulteriore questione concerne, poi, la possibilità per il locatore, nel caso in cui il conduttore abbia prestato consenso all'esecuzione delle innovazioni, ovvero non si sia opposto ad esse, di eliminare l'opus novum e per il conduttore, di goderne. Si è acutamente osservato, in dottrina (Mirabelli, 403) che, “se l'innovazione consiste in una opera costruita dal locatore per soddisfare un proprio bisogno ed il cui godimento non ha alcuna connessione con quello attribuito al conduttore, appare ovvio che il godimento di questo non si estenda alla nuova opera; se si tratta di opere che incidono nella sfera del godimento secondo la destinazione contrattuale, senza diminuirlo od anche, come avverrà di solito, in modo da facilitarlo o migliorarlo, il conduttore avrà di certo il diritto a goderne, ma non perché il suo godimento si estende all'innovazione, sebbene perché egli continuerà il godimento pattuito sulla cosa modificata. Ma argomentare da questa soluzione per sostenere che il locatore, una volta compiuta l'innovazione, non abbia diritto di eliminarla sembra veramente assurdo, o, per meglio dire, rende necessario ben distinguere le situazioni: se si è trattato di un accordo tra locatore e conduttore che, modificando il contenuto del rapporto in corso, abbia mutato l'oggetto del godimento, tale accordo, come qualsiasi contratto modificativo, va rispettato da entrambe le parti ed il locatore non può pretendere di ripristinare, unilateralmente, il precedente rapporto, consensualmente modificato; ma se la modificazione sopravvenuta è consistita unicamente nella rinuncia del conduttore ad opporsi all'innovazione od a pretenderne l'eliminazione, sì che questi abbia accettato di godere una cosa modificata, ma non abbia impegnato il locatore a mantenerla così mutata, nessuna pretesa può il conduttore avanzare al mantenimento dell'innovazione, neppure se, in effetti, egli possa avervi obiettivamente interesse; omettendo di stipulare una pattuizione specifica a soddisfacimento di tale interesse, egli, infatti, non si è provveduto di alcun mezzo per tutelarlo”. Le azioni esperibili dal conduttoreIn presenza di innovazioni vietate si determina un inadempimento del locatore alle proprie obbligazioni principali, cui evidentemente consegue la responsabilità contrattuale dello stesso nei confronti del conduttore. Trattandosi di responsabilità ex art. 1218 c.c. (in tal senso, v. anche Mirabelli, 396 e Tabet, 419), il debitore può liberarsi da responsabilità solo provando che il suo comportamento è stato determinato da causa a lui non imputabile (Cosentino, Vitucci, 71), come nel caso di immobile locato in condominio, laddove l'innovazione sia il frutto di una delibera dell'assemblea (ad esempio, la soppressione o riduzione dei servizi comuni): essendosi in presenza, cioè, di una vera e propria obbligazione, al fine di configurare una responsabilità del locatore occorre la volontarietà dell'atto. In caso di contravvenzione del locatore al divieto di cui all'art. 1582 c.c., il conduttore può, alternativamente, chiedere: 1) la risoluzione del contratto, in caso di inadempimento di non scarsa importanza ovvero 2) l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di non fare, ex art. 2933 c.c., per ottenere la condanna alla rimozione delle opere eseguite dal locatore ovvero in via di completamento, fermo in ogni caso 3) il risarcimento del danno. Onde evitare il completamento dell'opera il conduttore può altresì ricorrere alla tutela cautelare atipica exart. 700 c.p.c. mentre non può ricorrere alle azioni nunciatorie, ex artt. 1171 e 1772 c.c. difettando in capo allo stesso la qualità di possessore. Va invece riconosciuta al conduttore, quale detentore qualificato del bene, la possibilità di agire in sede possessoria nei confronti del locatore, allorché l'innovazione sia compiuta da quest'ultimo immettendosi violentemente o fraudolentemente nella detenzione della cosa. È invece discusso se, procedendo ad un'applicazione analogica dei principi posti, in tema di vizi e di riparazioni, dagli artt. 1578, 1581 e 1584 c.c., il conduttore, ove preferisca sopportare il disagio ed il pregiudizio delle innovazioni, possa chiedere una riduzione del corrispettivo in proporzione alla diminuzione del godimento (a favore di tale soluzione Mirabelli, 399; in senso contrario, Bucci, Malpica, Redivo, 89 che, tuttavia, giungono, nella pratica, al medesimo risultato, riconoscendo al conduttore la possibilità di ricorrere alla disciplina dell'impossibilità sopravvenuta parziale, ai sensi dell'art. 1464 c.c.). La diminuzione (temporanea o parziale) del godimento che si accompagni, tuttavia, ad un successivo incremento di esso, se non priva il conduttore, nella ricorrenza dei presupposti, della facoltà di esperimento delle azioni risolutoria e risarcitoria, cionondimeno dovrà essere oggetto di valutazione in termini di compensatio lucri cum damno. Le innovazioni realizzate dal conduttorePer concludere sul punto, va infine segnalato come la tematica delle innovazioni si intrecci anche con gli obblighi che gravano sul conduttore e, precisamente, con quanto disposto dall'art. 1592, comma 1, c.c., per cui salvo disposizioni particolari della legge o degli usi, il conduttore non ha diritto a indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata, salvo che il locatore abbia manifestato il proprio consenso in merito, nel qual caso lo stesso è tenuto a pagare al conduttore un'indennità corrispondente alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore del risultato utile al tempo della riconsegna. In particolare, gli artt. 1592 e 1593 c.c. dettano la disciplina – rispettivamente – di eventuali miglioramenti ed addizioni apportati alla cosa locata da parte del conduttore: In particolare, quanto ai miglioramenti, il principio generale espresso dalla norma in commento è quello per cui il conduttore ha diritto ad un ristoro (in specie, un'indennità) per gli eventuali miglioramenti solo se vi è stato consenso del locatore giacché, diversamente – ove, cioè, ne avesse sempre diritto – da un lato si sentirebbe libero di apportare qualsiasi modifica e, dall'altro, potrebbe incidere unilateralmente nella sfera giuridica del locatore. Trattasi di previsioni derogabili (Cass. III, n. 6158/1998; analogamente Cass. III, n. 192/1991, per la quale in tema di miglioramenti ed addizioni alla cosa locata, le disposizioni di cui agli artt. 1592 e 1593, non essendo di carattere imperativo, sono derogabili dalle pattuizioni contenute nel contratto) che non trovano, però, applicazione nell'affitto di azienda, per il quale non è previsto uno ius tollendi in capo all'affittuario al termine del rapporto. Infatti, dal combinato disposto degli artt. 2561, comma 4, e 2562 c.c., emerge che la differenza tra le consistenze di inventario all'inizio e al termine dell'affitto è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell'affitto, sia essa derivata da mutamenti quantitativi o soltanto qualitativi delle componenti aziendali (Cass. I, n. 10623/2007). Precisamente, costituiscono “miglioramenti” – rilevanti ai fini della disciplina ex art. 1592 c.c. – quelle opere che, con trasformazioni o sistemazioni diverse apportano all'immobile un aumento di valore, accrescendone in modo durevole il godimento, la produttività e la redditività, senza presentare una propria individualità rispetto al bene in cui vanno ad incorporarsi Assolutamente concorde, sul punto, la giurisprudenza di legittimità (Cass. III, n. 21223/2014; Cass. III, n. 13070/2004), la quale fa rientrare nella nozione ogni intervento che, senza mutare la natura del bene locato, ne comporti un miglioramento oggettivo, qualitativo o quantitativo, tale da accrescerne il valore aumentandone in modo durevole il godimento, la produttività e la redditività (Cass. III, n. 6094/2006; Cass. III, n. 4871/1998). Analogamente in dottrina si reputano miglioramenti quei mutamenti della cosa locata di carattere intrinseco, che la rendono maggiormente produttiva di vantaggi e ne elevano l'aspetto esteriore, la qualità, la funzionalità e persino lo stato di manutenzione: i miglioramenti, cioè, rappresentano un accrescimento qualitativo della natura intrinseca della cosa ed in ciò risiederebbe la differenza rispetto alle addizioni (disciplinate dal successivo art. 1593 c.c.), che costituiscono un incremento estrinseco quantitativo (Tabet 1972, 574). In altri termini, costituisce miglioramento l'attività materiale che determina un incremento economico della cosa locata (Mirabelli, 528). Il miglioramento, dunque, deve essere obiettivo e, cioè, percepibile in modo oggettivo (e non soggettivo o presunto) e rappresenta altro rispetto all'intervento meramente manutentivo, o preordinato ad eliminare guasti o danni insorgenti, che ricade – piuttosto – nell'ambito di quella nozione di “piccola manutenzione” disciplinata dagli artt. 1576, 1609 e 1610 c.c. (Tabet 1972, 574; Provera, 324). Sicché i miglioramenti si distinguono tanto dalle a) addizioni, quanto dalla b) trasformazione della cosa locata. In relazione alle prime, si è già detto che il criterio differenziale risiede nell'incremento, intrinseco apportato alla qualità della cosa locata e non solo meramente estrinseco, di carattere quantitativo. Ma non solo. Nel senso che si è altresì osservato che, mentre i miglioramenti non sono separabili dalla cosa, le addizioni possono essere eliminate, riportando la cosa allo status quo ante, proprio perché l'elemento aggiunto (ulteriore ed accessorio) non si fonde con la res locata, né perde la sua individualità (Trifone, 481), sostanziandosi in una mera aggiunta materiale (Tabet 1972, 576). Peraltro, qualora un'addizione assuma anche i caratteri del miglioramento, si applicherà il combinato disposto degli artt. 1592 e 1593 c.c. In questo senso Cass. III, n. 10959/1996, per la quale la disciplina degli artt. 1592 e 1593 c.c., oltre che ai miglioramenti, si applica anche alle accessioni operate dal conduttore che, seppur originariamente separabili per la loro natura fisica, siano divenute giuridicamente inseparabili per disposizione di legge o per vincolo amministrativo. Del medesimo tenore, la più recente Cass. III, n. 6094/2006, per la quale con riguardo alle addizioni effettuate dal conduttore, se il locatore vi ha prestato consenso e queste, non separabili senza nocumento della cosa locata, costituiscano anche un miglioramento della cosa locata, comportando un incremento di valore della cosa stessa, il locatore non può pretenderne la rimozione ed il conduttore ha diritto all'indennità prevista dall'art. 1592 c.c., mentre qualora non vi sia stato il consenso, il conduttore non ha diritto ad alcuna indennità, a nulla rilevando che il locatore acquisisca le addizioni. Nel caso invece in cui le addizioni comportino deterioramento della cosa locata, il locatore può chiedere il risarcimento del danno in forma specifica mediante l'eliminazione da parte del conduttore delle opere da lui abusivamente eseguite. Quanto invece, alla differenza con la trasformazione, quest'ultima si sostanzia – a differenza dei miglioramenti – nel vero e proprio mutamento di struttura della res locata. Così Cass. III, n. 5747/1988 e Cass. III, n. 4706/1984 chiariscono che la trasformazione consiste in un'attività implicante alterazioni strutturali tali da rendere la cosa locata diversa da quella originaria o, comunque, da mutarne la natura. In tal caso – qualora, cioè, si superino i limiti per la configurabilità dei miglioramenti e verta in ipotesi di vera e propria trasformazione del bene – il conduttore potrebbe incorrere in responsabilità contrattuale nei confronti del locatore, per violazione degli artt. 1587, n. 1) c.c. e 1590 c.c. In tal senso si osservato, in dottrina (Catelani, 574) che il conduttore potrebbe effettivamente incorrere nella violazione dell'art. 1587, n. 1) c.c., alla cui stregua lo stesso deve usare la cosa locata con la diligenza del buon padre di famiglia e servirsene per l'uso determinato nel contratto, con conseguente inadempimento contrattuale, suscettibile di condurre alla risoluzione del contratto. Del pari, si è chiarito che, qualora al termine del contratto il bene locato presenti deterioramenti, ovvero si accerti una consistente immutazione rispetto alle sue caratteristiche originarie, il locatore potrà legittimamente rifiutarsi di riprendere in consegna il bene rilasciato in condizioni deteriori (Provera, 309) o potrà ricevere in consegna la cosa e, successivamente, proporre azione contro il conduttore per il pessimo stato di manutenzione del bene, mentre incomberà sul conduttore l'onere di provare l'esclusione della sua responsabilità per danni (Provera, 312). Medesima è la posizione della giurisprudenza, per la quale ove l'intervento realizzato dal conduttore consista in un'alterazione unilaterale (ossia realizzata senza il consenso del locatore) che importi un uso anormale della cosa o comunque che sia tale da stravolgere l'originaria conformazione e struttura della cosa, l'alterazione è da ritenersi illecita e costituisce inadempimento delle obbligazioni di cui agli artt. 1587 e 1590 (Trib. Reggio Calabria, 14 gennaio 2003). Analogamente Cass. III, n. 12977/2013 ha in proposito chiarito che, allorché il conduttore abbia arrecato gravi danni all'immobile locato, o compiuto sullo stesso innovazioni non consentite, tali da rendere necessario per l'esecuzione delle opere di ripristino l'esborso di somme di notevole entità, in base all'economia del contratto e tenuto comunque conto delle condizioni delle parti, il locatore può legittimamente rifiutare di ricevere la restituzione del bene finché tali somme non siano state corrisposte dal conduttore, il quale, versando in mora, agli effetti dell'art. 1220 c.c., rimane tenuto altresì al pagamento del canone exart. 1591 c.c., quand'anche abbia smesso di servirsi dell'immobile per l'uso convenuto; del pari, Cass. III, n. 16685/2002 evidenzia che, nella ipotesi in cui la cosa locata, offerta in restituzione dal conduttore, si trovi in stato non corrispondente a quello descritto dalle parti all'inizio della locazione, ovvero, in mancanza di descrizione, non si trovi in buono stato locativo, per accertare se sia giustificato il rifiuto del locatore di ricevere la cosa occorre distinguere a seconda che a) la cosa locata sia deteriorata per non avere il conduttore adempiuto durante il corso della locazione all'obbligo di eseguire le opere di piccola manutenzione (artt. 1576 e 1609 c.c.) ovvero che b) la difformità del bene, rispetto allo stato esistente all'inizio della locazione, dipenda dall'avvenuta effettuazione di trasformazioni ed innovazioni da parte del conduttore. Nel primo caso, trattandosi di rimuovere deficienze che non alterano la consistenza e la struttura della cosa e non implicano la esplicazione di una attività straordinaria e gravosa, l'esecuzione delle opere occorrenti rientra nel dovere di ordinaria diligenza, cui il locatore è tenuto per non aggravare il danno, sicché illegittimo è il suo rifiuto di ricevere la restituzione salvo il suo diritto a richiedere i danni; nel secondo caso, invece, poiché la esecuzione delle opere di ripristino implica la esplicazione di una attività straordinaria e gravosa, il locatore può rifiutare l'offerta di restituzione della cosa locata in quello stato (in senso conforme, Cass. III, n. 6798/1993, Cass. III, n. 6856/1986, Cass. III, n. 5459/2006 e Cass. III, n. 12977/2013). Si rinvia per l'approfondimento, sul punto, al commento agli artt. 1587 e 1590-1591 c.c. 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