Codice Civile art. 1585 - Garanzia per molestie.Garanzia per molestie. [I]. Il locatore è tenuto a garantire il conduttore dalle molestie che diminuiscono l'uso o il godimento della cosa, arrecate da terzi che pretendono di avere diritti sulla cosa medesima [949 2]. [II]. Non è tenuto a garantirlo dalle molestie di terzi che non pretendono di avere diritti, salva al conduttore la facoltà di agire contro di essi in nome proprio [1168 2]. InquadramentoL'ultima delle obbligazioni “principali” gravanti sul locatore, prevista dal n. 3) dell'art. 1575 c.c., consiste nel garantire al conduttore il pacifico godimento della cosa locata durante lo svolgimento del rapporto negoziale: ciò implica che il locatore deve rimuovere qualsiasi ostacolo all'attuazione del godimento del conduttore secondo la destinazione contrattuale, proveniente da sé stesso ovvero da terzi estranei al rapporto locativo. La questione si intreccia, con evidenza, con quanto previsto dall'art. 1585 c.c., norma che, dettando la disciplina della “garanzia per molestie” gravante sul locatore, specifica che questi: a) è tenuto a garantire il conduttore dalle molestie che diminuiscono l'uso o il godimento della cosa, arrecate da terzi che pretendono di avere diritti sulla cosa medesima; b) non è tenuto a garantirlo dalle molestie di terzi che non pretendono di avere diritti, salva al conduttore la facoltà di agire contro di essi in nome proprio. Entrambe le discipline sono dunque coessenziali alla garanzia (intesa in senso lata) del pacifico godimento del bene da parte del conduttore, sicché va riconosciuto il nesso di collegamento tra l'art. 1575, n. 3), e l'art. 1585 c.c. (Cass. III, n. 1321/1971). Sicché, ricapitolando, gli impedimenti all'attuazione del godimento del conduttore possono essere determinati dallo stesso locatore oppure da terzi: 1) nel primo caso, che esula dalla disciplina in esame, il locatore contravviene all'impegno assunto di far godere (art. 1571 c.c.) la cosa locata ed incorre, pertanto, in un inadempimento contrattuale, contro il quale il conduttore può esperire i rimedi tipici previsti in via generale dall'art. 1453 c.c. e, cioè, l'azione di adempimento in alternativa a quella di risoluzione, salvo in ogni caso il risarcimento del danno; 2) nel secondo caso, invece, l'esposizione del locatore alla garanzia discende dall'obbligazione scaturente dalla previsione contenuta nell'art. 1585 c.c. (e, per sistematicità di disciplina, dovrebbero trovare applicazione i rimedi di cui all'art. 1578 c.c.) La dottrina è, invece, divisa, tra chi ritiene che, nella previsione dell'art. 1575, n. 3) c.c., rientrino tutti gli eventi che disturbano la normale attuazione del rapporto locatizio, posti in essere dallo stesso locatore o da terzi (Mirabelli, 380) e chi, al contrario, restringe l'operatività della norma alle sole molestie arrecate da terzi (Tabet, 369). Si osserva ulteriormente (Mirabelli, 451) che, in una prospettiva di inquadramento sistematico nel contesto dei diversi rimedi alle deficienze di attuazione del godimento, la garanzia per molestie andrebbe regolata in stretta analogia con la garanzia per vizi rilevanti e comprenderebbe, quindi, tutti gli strumenti che l'art. 1578 c.c. assegna al conduttore: la risoluzione del contratto, riduzione del corrispettivo e risarcimento del danno (Trifone 1984, 473). Non troverebbe, invece, applicazione, la disciplina concernente la prova liberatoria contemplata dall'art. 1578, comma 2, c.c. La norma differenzia, poi, a seconda che si tratti di molestie di diritto o di fatto, individuando il criterio discretivo nella circostanza che il terzo autore della condotta molestatrice pretenda o meno di avere diritti sulla cosa locata e differenziando, in conseguenza, il trattamento delle due ipotesi, poiché solo nel primo caso il locatore è tenuto alla garanzia, mentre nel secondo il conduttore può agire direttamente in nome proprio contro i terzi: detto in altri termini, le molestie di fatto sono estranee alla materia della garanzia dovuta dal locatore. Conforme è la posizione della giurisprudenza (Cass. III, n. 11514/2008; Cass. III, n.1693/2010; Cass. III, n. 25219/2015), per la quale si configurano quali molestie di diritto – per le quali il locatore è tenuto a garantire il conduttore ex art. 1585, comma 1 – quelle che si concretano in pretese di terzi che accampino diritti contrastanti con quelli del conduttore o contestando il potere di disposizione del locatore o rivendicando un diritto reale o personale che infirmi o menomi quello del conduttore. Nel caso, invece, in cui il terzo non avanzi pretese di natura giuridica ma arrechi, con il proprio comportamento illecito, pregiudizio al godimento materiale del conduttore, la molestia è di fatto, ed il conduttore può agire direttamente contro il terzo ai sensi dell'art. 1585, comma 2, c.c. Si ha molestia di fatto, dunque, qualora il pregiudizio al conduttore medesimo derivi da un atto illecito aquiliano del terzo, senza che venga posto in questione, né direttamente né indirettamente, il diritto di quello al godimento della cosa locata (Cass. III, n. 5450/1985); si ha, al contrario, molestia di diritto non soltanto quando il terzo tenda a togliere al conduttore il godimento della cosa locata, reclamando un diritto su di essa, ma anche in ogni altro caso in cui il terzo neghi di essere tenuto ad osservare un'obbligazione dalla cui regolare esecuzione dipenda anche l'osservanza da parte del locatore della sua obbligazione di mantenere la cosa locata in stato di servire all'uso, cui era destinata: in tale caso è lo stesso locatore che deve prendere l'iniziativa di agire contro l'autore della turbativa ed, ove si rifiuti, si rende inadempiente agli obblighi per lui nascenti dal contratto di locazione; ogni altra molestia, che non abbia alcuna incidenza nel contratto di locazione, è semplice molestia di fatto, che non impegna la responsabilità del locatore (Cass. III, n. 3261/1972). Anche la dottrina ha indugiato sul criterio discretivo tra le due ipotesi. Si è così osservato (Mirabelli, 439) che l'unico punto fermo che sembra sia stato raggiunto è quello di definire le molestie di fatto quali provenienti da un fatto illecito del terzo del tutto estraneo al rapporto tra locatore e conduttore e, al contrario, turbative di diritto quelle che comunque si appoggiano ad una pretesa di diritto sulla cosa; “ma quello che, benché chiaramente percepito, non è stato mai adeguatamente sottolineato, è che, in effetti, l'ipotesi della molestia di fatto si verifica ben raramente ed ha scarsissima rilevanza, laddove il fenomeno delle molestie cosiddette di diritto, da un canto, è molto, molto più vasto di quanto una logica applicazione di quei criteri distintivi, quali comunemente sono enunciati, lascerebbe credere e, dall'altro, è l'unico che ha effettiva rilevanza; solo tali molestie fanno scattare il meccanismo della “garanzia”, sì che solo ad esse si addice la denominazione di molestie rilevanti nella locazione, senza altra qualificazione. La realtà è, infatti, che, nonostante la formulazione apparentemente restrittiva del primo comma dell'art. 1585 c.c. e delle disposizioni che lo hanno preceduto, il locatore subisce le conseguenze di tutte le limitazioni di godimento che il conduttore riceve, in quanto tale, sia da parte di chi vi abbia diritto sia da parte di chi diritto non abbia, e resta estraneo soltanto a quegli eventi di danno o che colpiscono il conduttore non in quanto tale, ma meramente come soggetto esposto alle offese altrui, nella persona e nei beni”. Le molestie di dirittoCome anticipato, dunque, la norma disciplina l'ipotesi di molestie di diritto arrecate da terzi al conduttore, tali da essere idonee a diminuire il godimento o l'uso della cosa: si tratta, cioè, di quelle pretese di terzi che accampino diritti contrastanti con quelli del conduttore, contestando il potere di disposizione del locatore, o rivendicando un diritto che infirmi o menomi quello del conduttore. Concordando con la giurisprudenza (v. anche il paragrafo che precede) anche la dottrina (Bucci, Malpica, Redivo, 233; Tabet 1972, 532) individua nella molestia di diritto il comportamento di un terzo che produca una modificazione dello stato di fatto esistente al momento della locazione, reclamando un diritto sulla cosa locata oppure opponendo un diritto contrastante con la posizione del conduttore, che possa privarlo in tutto o in parte del godimento della cosa locata. Non integra gli estremi della molestia rilevante ai fini che in questa sede rilevano, allora, il comportamento del terzo di per sé considerato, se non attinge il godimento spettante al conduttore secondo la previsione contrattuale: se ne trae la conclusione per cui dovrebbe escludersi dalla riconducibilità alla sfera di applicazione della norma le cd. molestie di mera iattanza, consistenti nella sola affermazione, da parte del terzo, di un diritto che, qualora esercitato, comprometterebbe il godimento del conduttore (Di Marzio, Falabella, 980). Occorre, dunque, che il diritto venga reclamato – ciò che generalmente avviene in sede giudiziale, tanto in via principale che riconvenzionale (Cosentino, Vitucci, 92) – da un terzo estraneo, mentre non rileva che tale pretesa sia fondata. Cass. III, n. 16826/2018 traccia una netta distinzione tra le categorie di elementi idonei ad incidere sul pacifico godimento del bene locato: a) costituiscono vizi della cosa locata, agli effetti dell'art. 1578 c.c., quelli che incidono sulla struttura materiale della cosa, alterandone l'integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale o legale; b) si configurano, invece, come molestie di diritto, per le quali, ai sensi dell'art. 1585, comma 1, c.c., il locatore è tenuto a garantire il conduttore, quelle che si concretano in pretese di terzi che accampino diritti contrastanti con quelli del conduttore, sia contestando il potere di disposizione del locatore, sia rivendicando un diritto reale o personale che infirmi o menomi quello del conduttore; nel caso, infine, in cui il terzo non avanzi pretese di natura giuridica ma arrechi, col proprio comportamento illecito, pregiudizio al godimento del conduttore, la molestia è di fatto e il conduttore può agire direttamente contro il terzo ai sensi dell'art. 1585, comma 2, c.c. pur persistendo, al riguardo, autonoma e concorrente legittimazione ad agire in capo al locatore (in senso conforme Cass. III, n. 25219/2015; Cass. III, n. 23447/2014; Cass. III, n. 1693/2010; Cass. III, n. 11514/2008; nella giurisprudenza di merito, v. App. Roma, 15 giugno 2010; Trib. Salerno, 11 febbraio 2014). Precisa ulteriormente Cass. III, n. 6010/2018, che la molestia di diritto, dalla quale il conduttore ha diritto di essere garantito dal locatore ai sensi dell'art. 1585 c.c., può essere anche realizzata dal comportamento del terzo volto a contraddire il diritto del conduttore al pieno godimento della cosa attraverso una menomazione materiale del bene che ne limiti il godimento e dimostri, al contempo, la volontà di contestare il diritto del locatore contrapponendovi un diritto proprio (in senso conforme v. anche Cass. III, n. 13774/1991); del pari, Cass. III, n. 21793/2016 chiarisce che la molestia di diritto, per la quale è stabilito l'obbligo di garanzia del locatore, si verifica quando un terzo, reclamando sul bene locato diritti reali o personali in conflitto con le posizioni accordate al conduttore dal contratto locativo, compia atti di esercizio della relativa pretesa implicanti la perdita o la menomazione del godimento del conduttore, con la conseguenza che, qualora la molestia non possa essere riferita alle posizioni accordate dal locatore sulla cosa locata (come nella specie, in cui il locatore non aveva concesso in godimento anche le aree esterne non di sua proprietà), ma riguardi altre autonome situazioni di godimento dello stesso conduttore, non giustificate dalla specifica detenzione autonoma derivante dal contratto di locazione, si versa in ipotesi diversa da quella disciplinata dalla norma di cui all'art. 1585 c.c. (v. anche Cass. III, n. 2531/2006). Perimetrato l'ambito di operatività della garanzia, occorre verificare in cosa la stessa consista: in proposito, la garanzia in questione implica che il locatore sia tenuto a gestire la lite nei confronti del terzo, nel senso che è il locatore a dovere sostenere la condotta processuale necessaria a contrastare la pretesa del terzo. Se ne è dunque tratta la conclusione per cui la garanzia ex art. 1585 c.c. ha dunque un contenuto ed una funzione esclusivamente processuale (Catelani, 240; Tabet, 536). In sostanza, avvalendosi della garanzia in questione, il conduttore deve dare avviso al locatore affinché lo stesso agisca verso il terzo “molestatore”, mentre non ha azione diretta verso quest'ultimo, per far accertare l'insussistenza della pretesa che contrasti con il diritto personale di godimento. Conforme è la posizione della giurisprudenza di legittimità, per cui in caso di molestia di diritto è lo stesso locatore che deve prendere l'iniziativa di agire contro l'autore della turbativa giacché, ove si rifiuti, si rende inadempiente agli obblighi per lui nascenti dal contratto di locazione (Cass. III, n. 3261/1972). Nel medesimo senso Cass. III, n. 5607/1979 per cui, mentre di fronte ad atti di molestia che precludano o, comunque, incidano sull'uso o sul godimento dello immobile il conduttore è legittimato ad agire contro il terzo, qualora, invece, la molestia si sostanzi nella pretesa di diritti sulla cosa, il conduttore ha la legittimazione a resistere al terzo che agisca in via giudiziaria, ma non è legittimato ad agire nei confronti del terzo molestante e deve dare pronto avviso della molestia al locatore. L'operatività della garanzia presuppone, però, che il conduttore avvisi il locatore dell'esistenza delle molestie: in tal senso, anzi, si osserva come il successivo art. 1586, comma 1, c.c. pone a carico del conduttore un vero e proprio obbligo di avviso (svincolato da requisiti di forma), come si evince dalla previsione per cui, in caso di inadempimento, il conduttore stesso non è sanzionato con la perdita della garanzia ma con il risarcimento dei danni nei confronti del locatore. Conforme la posizione della dottrina pressoché unanime (Mirabelli, 445; Tabet, 543; Cosentino, Vitucci, 97), la quale evidenzia come solo una simile ricostruzione si armonizza con la natura della garanzia per molestie, la quale costituisce rimedio alla deficiente attuazione del godimento, operante indipendentemente dalla condotta del conduttore. Peraltro, poiché il mancato avviso non implica la decadenza dalla garanzia (e, dunque, non esclude che il locatore debba risarcire il conduttore per il pregiudizio patito in conseguenza della compressione o soppressione del suo godimento), si osserva in dottrina (per quanto la conclusione possa apparire paradossale) come potrebbe verificarsi l'evenienza che le parti del rapporto siano reciprocamente tenute al risarcimento (Mirabelli, 446). La responsabilità per il risarcimento dei danni, cui l'omissione dell'avviso da parte del conduttore è collegata, va però intesa non come risarcimento dei danni che il locatore ha subito a causa delle pretese dei terzi, ma come risarcimento per i danni che lo stesso dimostri avrebbe potuto evitare se fosse stato tempestivamente avvisato (Tabet 1972, 543). L'obbligo di avviso sorge non appena le molestie vengono esercitate. Si discute in dottrina, piuttosto, in ordine al livello di nocumento che tali molestie devono arrecare al conduttore affinché insorga l'obbligo di avviso al locatore, nel senso che, poiché il conduttore non ha garanzia contro le molestie cd. di mera iattanza (che, in quanto tali, non gli recano pregiudizio), dovrebbe conseguirne che, in tal caso, difetta altresì l'obbligo di avviso. Sennonché, sulla scorta della Relazione del Guardasigilli al progetto preliminare, n. 359, la dottrina (Mirabelli, 445, Provera, 260) giunge a conclusioni opposte osservando che “l'interesse del locatore appare meritevole di tutela anche in tale ipotesi, e non sembra che l'impostazione dell'obbligo costituisca un aggravio ingiustificato al conduttore, giacché è in relazione alla attuazione del rapporto che egli è venuto a conoscenza della pretesa ed in tale attuazione deve ritenersi sempre presente l'obbligo di correttezza e di buona fede”. L'avviso, inoltre, deve essere “pronto”, nel senso che esso va dato non appena il conduttore sia venuto conoscenza della molestia o, comunque, entro un lasso spazio-temporale sufficientemente ristretto al fine di evitare pregiudizio locatore. In proposito la dottrina interpreta la norma nel senso di far sorgere l'obbligo di avviso, in capo al conduttore, a prescindere da una formale contestazione del terzo, già dal momento in cui il conduttore viene a conoscenza della attualità e concretezza della pretesa (Mirabelli, 446). Quanto precede non toglie, però, che il conduttore possa comunque agire, a titolo di responsabilità extracontrattuale, nei confronti del terzo autore della turbativa, senza che ciò implichi alcuna rinunzia alla garanzia ex art. 1585 c.c. verso il locatore: le due azioni, infatti, ben possono essere proposte cumulativamente nello stesso giudizio, traendo origine da due titoli diversi ma tra loro concorrenti e compatibili (Cass. III, n. 2568/1967; Cass. III, n. 950/1979; Cass. III, n. 2658/1967). Ove la molestia di diritto sia invece esercitata direttamente per il tramite di un'azione giudiziaria da parte del terzo, tanto in via principale, quanto in via riconvenzionale, la garanzia si manifesta nel senso che locatore è tenuto a assumere la lite, qualora sia chiamato nel processo, mentre il conduttore deve esserne estromesso con la semplice indicazione del locatore, se non ha interesse a rimanervi (v. l'art. 1586, comma 2, c.c.). La sussistenza della garanzia, però, non è condizionata alla chiamata in causa da parte del conduttore, potendo il locatore essere convenuto direttamente da parte del terzo, ovvero chiamato in causa dallo stesso dopo la laudatio auctoris del conduttore, ovvero per ordine del giudice (Cosentino, Vitucci, 98; Tabet 1972, 536). Il vero problema posto dalla norma concerne, però, il caso in cui non si provveda alla chiamata in giudizio del locatore, giacché l'art. 1586, comma 2, c.c. facoltizza il conduttore alla chiamata, ma non lo obbliga: la chiamata in giudizio del locatore, cioè, non è prevista come obbligatoria sicché, ove egli rimanga del tutto estraneo al giudizio, la pronuncia che eventualmente affermi l'esistenza di diritti sulla cosa a favore del terzo gli resta inopponibile, non esplicando alcun effetto nei suoi confronti. D'altra parte, quando il conduttore non è legittimato passivo rispetto all'azione proposta dal terzo, potrebbe limitarsi ad eccepire il difetto di legittimazione passiva e chiedere il rigetto della domanda (Bucci, Malpica, Redivo, 83; Tabet 1972, 539). Conforme è la posizione della dottrina (Mirabelli, 447), per la quale, in caso di mancato intervento in causa del locatore chiamato, la sentenza resa nei confronti del conduttore non produce effetto verso di esso, salvo il diritto al risarcimento del danno e la possibilità di proporre opposizione di terzo. Il locatore può astenersi infatti dall'assumere la qualità di parte nel processo, ovvero può riconoscere la fondatezza della pretesa del terzo: rimane comunque soggetto sul piano sostanziale alle conseguenze della garanzia per molestie (Cosentino, Vitucci, 98). Quanto, poi, alla estromissione del conduttore, Cass. I, n. 892/1962 chiarisce che, se è vero che il detentore nomine alieno, convenuto nell'azione di rivendicazione, acquista il diritto di essere estromesso dal giudizio se indica la persona nel cui nome detiene e che, per acquistare tale diritto, come si rileva dall'art 1586 c.c. è sufficiente la semplice indicazione del proprietario, è, però, anche vero che tale principio presuppone, come è detto testualmente nel secondo comma dell'art 1586 c.c., che il detentore nomine alieno mostri, con la laudatio auctoris, che non abbia interesse a rimanere nella lite e, quindi, non si opponga all'azione del terzo che in via giudiziale pretenda di aver diritto sulla cosa rivenduta o locata. Precisa ulteriormente Cass. III, n. 2068/1986 che nella controversia promossa per il rilascio di immobile, nei confronti di chi si assuma occuparlo senza titolo, la circostanza che il convenuto, allegando un rapporto di locazione con un terzo, indichi il nome del locatore, non può implicarne l'estromissione, con la prosecuzione della causa contro detto locatore, secondo la previsione dell'art. 1586, comma 2 c.c., qualora l'attore neghi la sussistenza di quel rapporto di locazione, atteso che permane in tal caso la legittimazione passiva del convenuto stesso rispetto all'oggetto della lite. Avuto riguardo, poi, agli eventuali esiti negativi della lite assunta dal locatore, si fronteggiano due orientamenti: da un lato, v'è chi sostiene (Mirabelli, 453) che dovrebbe farsi applicazione analogica delle previsioni in tema di vizi, sicché dovrebbe riconoscersi al conduttore la facoltà di agire per la risoluzione del contratto, la riduzione del corrispettivo ed il risarcimento dei danni; dall'altro, al contrario, si sostiene (Tabet, 532) che al conduttore dovrebbe riconoscersi solamente la possibilità di agire per risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno; un terzo orientamento (Cosentino, Vitucci, 92), infine, afferma che al conduttore spetterebbe agire per il risarcimento del danno e la riduzione del corrispettivo, ma non la risoluzione del contratto. Le molestie di fattoLa molestia di fatto colpisce il conduttore indipendentemente dalla sua posizione soggettiva, nel senso che essa si verifica allorché il terzo pregiudica il godimento del conduttore, pur senza contestare il diritto di servirsi dalla cosa locata per l'uso cui essa è destinata. In conseguenza di quanto precede, dunque, tali molestie possono provenire tanto da terzi (propriamente detti) estranei al rapporto locatizio, quanto dallo stesso locatore. Appartengono alla prima categoria le ipotesi di infiltrazioni di acqua provenienti dall'appartamento sovrastante (Cass. III, n. 1693/2010; Cass. III, n. 12220/2003; il conduttore ha infatti diritto alla tutela risarcitoria nei confronti del terzo che con il proprio comportamento gli arrechi danno nell'uso o nel godimento della res locata; in particolare, qualora nell'appartamento locato si verifichi una infiltrazione d'acqua da un appartamento sovrastante, il conduttore, ex art. 1585, comma 2 c.c., gode di una autonoma legittimazione per proporre l'azione di responsabilità nei confronti dell'autore del danno: così Cass., III, n. 8466/2020; Cass. III, n. 17881/2011), di potatura di siepi al confine (Cass. III,n. 939/1995), di lavori eseguiti nell'appartamento sovrastante (Trib. Napoli 12 dicembre 1988), di stillicidio di acqua piovana avanti alla vetrina dell'immobile locato ed adibito a negozio, proveniente da un balcone sovrastante in proprietà a terzi (Pret. Chieti 25 giugno 1996), di difettosa manutenzione di un tubo di scarico che abbia provocato danni al conduttore (Cass. III, n. 2410/1971), di immissioni olfattive derivanti da immobili vicini, le quali esulano dal concetto di vizio della cosa locata, rilevante ai fini dell'art. 1578 c.c., in quanto non attengono alla intrinseca struttura della medesima né all'interazione della medesima con l'ambiente che ordinariamente la circonda, ma – per l'appunto – dipendono dal fatto del terzo; rispetto ad esse, cioè, si pone la seguente alternativa: se intollerabili, sono interamente ascrivibili alla condotta di quest'ultimo; se tollerabili, non determinano alcun danno suscettibile di risarcimento. Né muta la conclusione a voler configurare il bene locato come non idoneo a far fronte a tali immissioni giacché, se intollerabili, il locatore non è tenuto a prevedere o a predisporre cautele contro gli altrui fatti illeciti mentre, se tollerabili, il loro carattere lecito esclude che quegli debba anche solo prenderle in considerazione; in entrambi i casi eccettuato il solo caso di una esplicita garanzia del locatore del possesso del bene locato di caratteristiche intrinseche idonee a preservarne gli occupanti da peculiari e ben individuati rischi di immissioni illegittimamente cagionate da estranei al rapporto (così Cass. III, n. 23447/2014). Rientra, ancora, nell'ipotesi di molestia di fatto la turbativa sofferta dal concessionario di un terreno gravato da usi civici a causa dell'occupazione abusiva del bene, riconoscendosi al titolare della concessione la possibilità di agire in giudizio ex art. 1585, comma 2, applicabile per analogia (Cass. III, n. 5029/2007). Più in generale, l'art. 1585, comma 2, c.c., si applica analogicamente anche nel caso in cui un terzo occupi abusivamente l'immobile concesso in locazione, impedendo, col fatto illecito, l'attuazione del rapporto locatizio: con la conseguenza che il conduttore può agire direttamente contro l'autore dell'illecito per ottenere la disponibilità del bene e/o il risarcimento del danno (Cass. III, n. 1036/2019). Quanto, poi, alle molestie arrecate dal locatore, le stesse sono state individuate, in dottrina (Mirabelli, 434), nel disporre della cosa locata in modo contrastante con il godimento locativo, nella costituzione di servitù, nella locazione ad altri la stessa cosa ovvero nell'attribuzione ad altro conduttore dell'uso esclusivo di cose comuni; nella concessione di altra parte dell'immobile a conduttori ed esercenti industrie rumorose, commerci immorali; nelle turbative alla persona del conduttore per parte del locatore o suoi preposti. Sennonché, il medesimo Autore ha osservato come, in realtà, nella maggior parte dei casi predetti, la molestia dipende non tanto dal compimento dell'attività giuridica posta in essere dal locatore quanto, piuttosto, dall'attività materiale svolta dai terzi in forza di essa. Sicché residuano, quali ipotesi effettive di “molestie” del locatore – che, come detto si atteggiano quale inadempimento dell'obbligazione di far godere la cosa locata – da un lato, i casi di immissione, totale o parziale, del locatore nella detenzione della cosa locata e, dall'altro lato, di turbative arrecate dal locatore o da suoi preposti alla persona del conduttore (Di Marzio, Falabella, 1019). Relativamente alla prima evenienza (immissione, totale o parziale, del locatore nella detenzione della cosa locata), è indubitabile che il locatore non si trova, rispetto alla cosa locata, in un rapporto di totale estraneità: non è, cioè, un terzo qualunque, ma conserva un residuale potere sulla cosa, nonostante il vincolo contrattuale in essere. Così, ad esempio, Cass. III, n. 21788/2015 evidenzia che al proprietario dell'immobile locato sono riconducibili in via esclusiva i danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, di cui conserva la custodia anche dopo la locazione. Ne discende il principio, espresso da una risalente pronunzia di legittimità (Cass. III, n. 2489/1962) ma tuttora valido, per cui gli obblighi del conduttore di custodire e conservare la cosa locata e di restituirla al termine del rapporto di locazione nello stato in cui l'ha ricevuta, nonché quello di informare il locatore della sopravvenuta necessita di riparazione a suo carico, non eliminano il potere del locatore di vigilare sulla cosa locata, potere giustificato dal fine di accertare se il conduttore, in adempimento dell'obbligo stabilito dall'art. 1587, n. 1) c.c., che è sempre operante nel corso della locazione, indipendentemente dall'obbligo di restituzione disciplinato dall'art. 1590 c.c., osservi la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsi della cosa locata per l'uso consentitogli dal contratto o dalle circostanze, se la cosa sia stata deteriorata o comunque abbia bisogno di riparazioni la cui necessità non sia stata comunicata dal conduttore a norma dell'art. 1577 c.c. ed in genere per controllare l'osservanza degli obblighi che a norma del contratto o della legge gravano sul conduttore: tale potere di vigilanza e di visita, giustificato e riconosciuto dal sistema della legge, può essere esercitato, salva diversa volontà contrattuale, quando l'uso di esso sia reso necessario dalle circostanze ed in ogni caso compatibilmente con il diritto di godimento che il rapporto di locazione assicura al conduttore e trattandosi di locazione di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, col rispetto dovuto e legalmente sanzionato all'altrui domicilio. Inoltre, dalla stessa lettera della legge si coglie che, se il locatore è assoggettato all'obbligazione di rispettare il godimento pattuito, a contrario può procedere a qualsiasi immissione che non si ponga in contrasto con tale godimento: la questione assume rilevanza per quanto concerne la visita all'immobile di possibili acquirenti. Cass. III, n. 5133/1979 ha chiarito che il conduttore deve usare la cosa da buon padre di famiglia (art 1587 c.c.) e, quindi, nel godimento di essa, non deve compiere alcun abuso, il quale può consistere in qualsiasi comportamento lesivo degli interessi del locatore; ne consegue che il ripetuto, ingiustificato rifiuto del conduttore a consentire la visita dello immobile posto in vendita, a coloro che siano disposti ad acquistarlo, costituisce grave inadempimento del contratto di locazione e, quindi, causa della sua risoluzione. Sostanzialmente nel medesimo senso Cass. III, n. 4316/1974, che ulteriormente chiarisce che il locatore, nonostante il silenzio del titolo, può visitare e far visitare la cosa locata, con le modalità di cui agli usi, al fine di poter stipulare altro contratto di locazione, allo scadere di quello in corso o di vendere la cosa: il conduttore, che opponga ingiustificati rifiuti all'effettuazione di tali visite, incorre in inadempimento, che può costituire causa di risoluzione del contratto. Segue. L'azione diretta del conduttore Come più volte anticipato, è escluso che il locatore debba garantire il conduttore dalle molestie di fatto di terzi, facendosi invece salva la facoltà del conduttore di agire contro i terzi a nome proprio: in particolare le azioni a tutela del conduttore differiscono a seconda che lo stesso abbia subito o meno un danno, a causa della diminuzione di godimento dovuta all'abusiva ingerenza del terzo. Nel primo caso, l'azione è pacificamente ritenuta di natura aquiliana ed è, dunque, ricondotta alla responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.: ciò non esclude, però, che il locatore possa autonomamente agire in proprio per ottenere il risarcimento dei danni eventualmente subiti in proprio: così, ad esempio, Cass. III, n. 1693/2010 chiarisce che, qualora a carico dell'appartamento locato si verifichi un'infiltrazione d'acqua da un appartamento sovrastante, il locatore gode di un'autonoma legittimazione per proporre l'azione di responsabilità nei confronti dell'autore del danno. Precisa Cass. III, n. 2938/1978 che, per quanto concerne il caso particolare del fatto illecito del terzo che, incidendo direttamente ed immediatamente sopra un rapporto di locazione, abbia reso impossibile al conduttore (creditore della relativa prestazione) il godimento dell'immobile preso in locazione, provocandogli un danno privo di giustificazione giuridica, il titolare del diritto di godimento sulla cosa presa in locazione è legittimato ad esperire l'azione risarcitoria aquilana nei confronti del terzo che abbia precluso o menomato tale diritto sulla cosa locata con la sua condotta illecita (contra ius e non iure), producendo un danno ingiusto a carico del conduttore. In dottrina (Caputo, 950) si è chiarito che, “per quel che riguarda la quantificazione del danno conseguente a molestia di fatto, occorre operare una triplice distinzione, a seconda che la res locata i) sia andata totalmente distrutta, ii) si sia deteriorata ovvero iii) sia stata materialmente sottratta al conduttore per essere sfruttata dal terzo molestatore. Nel primo caso, il danno da risarcire nei confronti del conduttore sarà pari alla perdita delle utilità ricavabili dal godimento del bene (mentre nei confronti del locatore il terzo dovrà risarcire il danno derivante dalla perdita della cosa), mentre nel secondo caso l'autore dell'atto illecito dovrà sopportare le spese per la riparazione, oltre all'eventuale perdita patrimoniale derivante dalla minore utilizzabilità del bene. Nell'ultimo caso paventato, invece, il danno dovrà quantificarsi nella somma maggiore tra il danno sofferto in conseguenza del mancato godimento e l'intero arricchimento ottenuto dall'autore della lesione”. Nel secondo caso (i.e. di assenza di danno) il conduttore ha la facoltà di agire ex art. 1585, comma 2, c.c. richiedendo la sola cessazione delle molestie di fatto, mediante l'adozione di provvedimenti d'urgenza di natura cautelare (Trib. Napoli, 3 ottobre 2006) e tramite il rimedio del risarcimento in forma specifica ai sensi dell'art. 2058 c.c. Quale detentore qualificato del bene, infine, il conduttore può esperire l'azione di reintegra, ma non l'azione di manutenzione del possesso e di denunzia di nuova opera, le quali spettano unicamente ai titolari di diritti reali sul bene (Cass. II, n. 1824/2000). 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