Codice Civile art. 1586 - Pretese da parte di terzi.

Gian Andrea Chiesi

Pretese da parte di terzi.

[I]. Se i terzi che arrecano le molestie pretendono di avere diritti sulla cosa locata, il conduttore è tenuto a darne pronto avviso al locatore, sotto pena del risarcimento dei danni.

[II]. Se i terzi agiscono in via giudiziale, il locatore è tenuto a assumere la lite, qualora sia chiamato nel processo. Il conduttore deve esserne estromesso con la semplice indicazione del locatore, se non ha interesse a rimanervi [108 c.p.c.].

Inquadramento

La disciplina delle molestie contempla, infine, l'ipotesi del terzo che agisca in giudizio nei confronti del conduttore, pretendendo di avere diritti sulla cosa locata: si tratta, dunque, del completamento della disciplina prevista dal precedente art. 1585, comma 1, c.c., abbracciando l'ambito di operatività della norma le ipotesi di molestie di diritto recate da terzi al godimento del bene da parte del conduttore, turbative rispetto alle quali – come detto – il locatore è tenuto a garantire il conduttore.

Si tratta di quelle pretese di terzi che accampino diritti contrastanti con quelli del conduttore, contestando il potere di disposizione del locatore, o rivendicando un diritto che infirmi o menomi quello del conduttore.

La soluzione è condivisa dalla giurisprudenza, essendosi osservato (Cass. III, n. 162/1969) che l'art 1586 c.c. riguarda l'ipotesi del terzo che agisca in via giudiziale contro il conduttore, vantando un diritto sulla cosa locata a costui, prevenendo in tal caso la laudatio auctoris, mentre, al contrario, il conduttore è passivamente legittimato per le azioni nei suoi confronti proposte, allorché si basino su di una sua personale responsabilità per fatto illecito, lesivo del diritto di un proprietario confinante rispetto al bene locato.

Parte della dottrina (Mirabelli, 443) ha però ritenuto eccessivamente restrittiva l'interpretazione che perimetra l'ambito di operatività della norma includendovi le sole molestie di diritto e vi ha, pertanto, ricompreso anche le cd. molestie di fatto, a condizione, però, che le stesse investano direttamente la posizione giuridica del locatore.

La giurisprudenza è concorde (v. Cass. III, n. 11514/2008; Cass. III, n.1693/2010; Cass. III, n. 25219/2015).

Anche la dottrina (Bucci, Malpica, Redivo, 233; Tabet 1972, 532) individua nella molestia di diritto il comportamento di un terzo che produca una modificazione dello stato di fatto esistente al momento della locazione, reclamando un diritto sulla cosa locata oppure opponendo un diritto contrastante con la posizione del conduttore, che possa privarlo in tutto o in parte del godimento della cosa locata. Non integra gli estremi della molestia rilevante ai fini che in questa sede rilevano, allora, il comportamento del terzo di per sé considerato, se non attinge il godimento spettante al conduttore secondo la previsione contrattuale: se ne trae la conclusione per cui dovrebbe escludersi dalla riconducibilità alla sfera di applicazione della norma le cd. molestie di mera iattanza, consistenti nella sola affermazione, da parte del terzo, di un diritto che, qualora esercitato, comprometterebbe il godimento del conduttore (Di Marzio, Falabella, 980). Occorre, dunque, che il diritto venga reclamato – ciò che generalmente avviene in sede giudiziale, tanto in via principale che riconvenzionale (Cosentino, Vitucci, 92) – da un terzo estraneo, mentre non rileva che tale pretesa sia fondata.

Cass. III, n. 16826/2018 traccia una netta distinzione tra le categorie di elementi idonei ad incidere sul pacifico godimento del bene locato: a) costituiscono vizi della cosa locata, agli effetti dell'art. 1578 c.c., quelli che incidono sulla struttura materiale della cosa, alterandone l'integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale o legale; b) si configurano, invece, come molestie di diritto, per le quali, ai sensi dell'art. 1585, comma 1, c.c., il locatore è tenuto a garantire il conduttore, quelle che si concretano in pretese di terzi che accampino diritti contrastanti con quelli del conduttore, sia contestando il potere di disposizione del locatore, sia rivendicando un diritto reale o personale che infirmi o menomi quello del conduttore; c) nel caso, infine, in cui il terzo non avanzi pretese di natura giuridica ma arrechi, col proprio comportamento illecito, pregiudizio al godimento del conduttore, la molestia è di fatto e il conduttore può agire direttamente contro il terzo ai sensi dell'art. 1585, comma 2, c.c. pur persistendo, al riguardo, autonoma e concorrente legittimazione ad agire in capo al locatore (in senso conforme Cass. III, n. 25219/2015; Cass. III, n. 23447/2014; Cass. III, n. 1693/2010; Cass. III, n. 11514/2008; nella giurisprudenza di merito, v. App. Roma, 15 giugno 2010; Trib. Salerno, 11 febbraio 2014). Precisa ulteriormente Cass. III, n. 6010/2018, che la molestia di diritto, dalla quale il conduttore ha diritto di essere garantito dal locatore ai sensi dell'art. 1585 c.c., può essere anche realizzata dal comportamento del terzo volto a contraddire il diritto del conduttore al pieno godimento della cosa attraverso una menomazione materiale del bene che ne limiti il godimento e dimostri, al contempo, la volontà di contestare il diritto del locatore contrapponendovi un diritto proprio (in senso conforme v. anche Cass. III, n. 13774/1991); del pari, Cass. III, n. 21793/2016 chiarisce che la molestia di diritto, per la quale è stabilito l'obbligo di garanzia del locatore, si verifica quando un terzo, reclamando sul bene locato diritti reali o personali in conflitto con le posizioni accordate al conduttore dal contratto locativo, compia atti di esercizio della relativa pretesa implicanti la perdita o la menomazione del godimento del conduttore, con la conseguenza che, qualora la molestia non possa essere riferita alle posizioni accordate dal locatore sulla cosa locata (come nella specie, in cui il locatore non aveva concesso in godimento anche le aree esterne non di sua proprietà), ma riguardi altre autonome situazioni di godimento dello stesso conduttore, non giustificate dalla specifica detenzione autonoma derivante dal contratto di locazione, si versa in ipotesi diversa da quella disciplinata dalla norma di cui all'art. 1585 c.c. (v. anche Cass. III, n. 2531/2006).

In caso di molestia di diritto è lo stesso locatore che deve prendere l'iniziativa di agire contro l'autore della turbativa giacché, ove si rifiuti, si rende inadempiente agli obblighi per lui nascenti dal contratto di locazione (Cass. III, n. 3261/1972). Nel medesimo senso Cass. III, n. 5607/1979, per cui, mentre di fronte ad atti di molestia che precludano o, comunque, incidano sull'uso o sul godimento dello immobile il conduttore è legittimato ad agire contro il terzo, qualora, invece, la molestia si sostanzi nella pretesa di diritti sulla cosa, il conduttore ha la legittimazione a resistere al terzo che agisca in via giudiziaria, ma non è legittimato ad agire nei confronti del terzo molestante e deve dare pronto avviso della molestia al locatore.

Affinché scatti l'obbligo del locatore occorre, però, che il conduttore dia avviso allo stesso della “aggressione” subita (v. l'art. 1586, comma 1, c.c.).

Le molestie stragiudiziali

A seguito della consegna, il conduttore diviene il custode della cosa locata ed appare pertanto logico che debba – in virtù di tale rapporto con il bene – informare il locatore delle molestie di diritto provenienti da terzi, così da porlo in condizione di adottare le necessarie contromisure intese alla tutela della cosa.

Si è però, osservato, in dottrina (Cosentino, Vitucci, 97) “che l'obbligo in questione è previsto solo per il caso di molestie di diritto, cioè per l'ipotesi di vanteria, sia pure accompagnata da comportamento turbativo del possesso. Il dovere di custodia c'entra, quindi, fino a un certo punto o deve essere inteso in senso molto lato; in senso che comprenda, cioè, oltre all'avvertimento degli eventuali danneggiamenti arrecati alla cosa da parte del terzo, una sorta di custodia giuridica, e con correlato obbligo di avvertimento anche di quegli eventi dai quali, attraverso l'usucapione, possa eventualmente venire ad estinguersi il diritto del proprietario-locatore. Del resto, se si riflette sul fatto che per molto tempo la pretesa del terzo che rende operante la garanzia fu intesa solo come pretesa di diritti reali (sulla cosa), questa ratio della norma appare abbastanza intuitiva”.

La disposizione pone a carico del conduttore un vero e proprio obbligo (svincolato da requisiti di forma), come si evince dalla previsione per cui, in caso di inadempimento, il conduttore non è sanzionato con la perdita della garanzia ma con il risarcimento dei danni nei confronti del locatore.

Conforme la posizione della dottrina pressoché unanime (Mirabelli, 445; Tabet 1972, 543; Cosentino, Vitucci, 97), la quale evidenzia come solo una simile ricostruzione si armonizza con la natura della garanzia per molestie, la quale costituisce rimedio alla deficiente attuazione del godimento, operante indipendentemente dalla condotta del conduttore. Peraltro, poiché il mancato avviso non implica la decadenza dalla garanzia (e, dunque, non esclude che il locatore debba risarcire il conduttore per il pregiudizio patito in conseguenza della compressione o soppressione del suo godimento), si osserva in dottrina (per quanto la conclusione possa apparire paradossale) come potrebbe verificarsi l'evenienza che le parti del rapporto siano reciprocamente tenute al risarcimento (Mirabelli, 446). La responsabilità per il risarcimento dei danni, cui l'omissione dell'avviso da parte del conduttore è collegata, va però intesa non come risarcimento dei danni che il locatore ha subito a causa delle pretese dei terzi, ma come risarcimento per i danni che lo stesso dimostri avrebbe potuto evitare se fosse stato tempestivamente avvisato (Tabet 1972, 543).

L'obbligo di avviso sorge non appena le molestie vengono esercitate.

Si discute in dottrina in ordine al livello di nocumento che tali molestie devono arrecare al conduttore affinché insorga l'obbligo di avviso al locatore, nel senso che, poiché il conduttore non ha garanzia contro le molestie cd. di mera iattanza (che, in quanto tali, non gli recano pregiudizio), dovrebbe conseguirne che, in tal caso, difetta altresì l'obbligo di avviso. Sennonché, sulla scorta della Relazione del Guardasigilli al progetto preliminare, n. 359, la dottrina (Mirabelli, 445, Provera, 260) giunge a conclusioni opposte osservando che “l'interesse del locatore appare meritevole di tutela anche in tale ipotesi, e non sembra che l'impostazione dell'obbligo costituisca un aggravio ingiustificato al conduttore, giacché è in relazione alla attuazione del rapporto che egli è venuto a conoscenza della pretesa ed in tale attuazione deve ritenersi sempre presente l'obbligo di correttezza e di buona fede”.

L'avviso, infine, deve essere “pronto”, nel senso che esso va dato non appena il conduttore sia venuto conoscenza della molestia o, comunque, entro un lasso spazio-temporale sufficientemente ristretto al fine di evitare pregiudizio locatore.

In proposito, la dottrina interpreta la norma nel senso di far sorgere l'obbligo di avviso, in capo al conduttore, a prescindere da una formale contestazione del terzo, già dal momento in cui il conduttore viene a conoscenza della attualità e concretezza della pretesa (Mirabelli, 446).

Le molestie giudiziali

Per l'operatività dell'art. 1586, comma 2, c.c. (norma che prevede che, ove i terzi agiscano in via giudiziale, il locatore è tenuto a assumere la lite, qualora sia chiamato nel processo, mentre il conduttore deve esserne estromesso con la semplice indicazione del locatore, se non ha interesse a rimanervi) è sufficiente che il terzo agisca in giudizio contro il conduttore, anche se non abbia posto in essere una condotta di turbativa concretamente rivolta verso la cosa: sicché è la stessa azione giudiziale ad esser considerata come una molestia.

L'azione del terzo può essere intrapresa nei confronti del conduttore tanto in via principale, quanto in via riconvenzionale, come può accadere, ad esempio, nel caso in cui il conduttore agisca ex art. 1585, comma 2, c.c. nei confronti del terzo, per difendersi dalla molestia di fatti da questi arrecata alla cosa locata ed il terzo, in via riconvenzionale, esperisca un'azione di rivendica e rilascio dell'immobile.

La sussistenza della garanzia, però, non è condizionata alla chiamata in causa da parte del conduttore, potendo il locatore essere convenuto direttamente da parte del terzo, ovvero chiamato in causa dallo stesso dopo la laudatio auctoris del conduttore, ovvero per ordine del giudice (Cosentino, Vitucci, 98; Tabet, 536).

Il vero problema posto dalla norma concerne, però, il caso in cui non si provveda alla chiamata in giudizio del locatore, giacché l'art. 1586, comma 2, c.c. facoltizza il conduttore alla chiamata, ma non lo obbliga: la chiamata in giudizio del locatore, cioè, non è prevista come obbligatoria sicché, ove egli rimanga del tutto estraneo al giudizio, la pronuncia che eventualmente affermi l'esistenza di diritti sulla cosa a favore del terzo gli resta inopponibile, non esplicando alcun effetto nei suoi confronti.

D'altra parte, quando il conduttore non è legittimato passivo rispetto all'azione proposta dal terzo, potrebbe limitarsi ad eccepire il difetto di legittimazione passiva e chiedere il rigetto della domanda (Bucci, Malpica, Redivo, 83; Tabet, 539).

Conforme è la posizione della dottrina (Mirabelli, 447), per la quale, in caso di mancato intervento in causa del locatore chiamato, la sentenza resa nei confronti del conduttore non produce effetto verso di esso, salvo il diritto al risarcimento del danno e la possibilità di proporre opposizione di terzo. Il locatore può astenersi infatti dall'assumere la qualità di parte nel processo, ovvero può riconoscere la fondatezza della pretesa del terzo: rimane comunque soggetto sul piano sostanziale alle conseguenze della garanzia per molestie (Cosentino, Vitucci, 98).

Avuto riguardo, poi, agli eventuali esiti negativi della lite assunta dal locatore, si fronteggiano due orientamenti: da un lato, v'è chi sostiene (Mirabelli, 453) che dovrebbe farsi applicazione analogica delle previsioni in tema di vizi, sicché dovrebbe riconoscersi al conduttore la facoltà di agire per la risoluzione del contratto, la riduzione del corrispettivo ed il risarcimento dei danni; dall'altro, al contrario, si sostiene (Tabet, 532) che al conduttore dovrebbe riconoscersi solamente la possibilità di agire per risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno; un terzo orientamento (Cosentino, Vitucci, 92), infine, afferma che al conduttore spetterebbe agire per il risarcimento del danno e la riduzione del corrispettivo, ma non la risoluzione del contratto.

Quanto, infine, alla estromissione del conduttore, Cass. I, n. 892/1962 chiarisce che, se è vero che il detentore nomine alieno, convenuto nell'azione di rivendicazione, acquista il diritto di essere estromesso dal giudizio se indica la persona nel cui nome detiene e che, per acquistare tale diritto, come si rileva dall'art 1586 c.c. è sufficiente la semplice indicazione del proprietario, è, però, anche vero che tale principio presuppone, come è detto testualmente nel comma 2 dell'art 1586 c.c., che il detentore nomine alieno mostri, con la laudatio auctoris, che non abbia interesse a rimanere nella lite e, quindi, non si opponga all'azione del terzo che in via giudiziale pretenda di aver diritto sulla cosa rivenduta o locata. Precisa ulteriormente Cass. III, n. 2068/1986 che, nella controversia promossa per il rilascio d'immobile, nei confronti di chi si assuma occuparlo senza titolo, la circostanza che il convenuto, allegando un rapporto di locazione con un terzo, indichi il nome del locatore, non può implicarne l'estromissione, con la prosecuzione della causa contro detto locatore, secondo la previsione dell'art. 1586, comma 2, c.c., qualora l'attore neghi la sussistenza di quel rapporto di locazione, atteso che permane in tal caso la legittimazione passiva del convenuto stesso rispetto all'oggetto della lite.

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