Codice Civile art. 1591 - Danni per ritardata restituzione.

Gian Andrea Chiesi

Danni per ritardata restituzione.

[I]. Il conduttore in mora [1219 ss.] a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l'obbligo di risarcire il maggior danno.

Inquadramento

La locazione è il contratto col quale una parte si obbliga a far godere all'altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo: come ampiamente chiarito nel commento all'art. 1571 c.c., si assiste, dunque, ad uno scambio, protratto nel tempo, tra la concessione in godimento di una cosa ed il pagamento di un corrispettivo (il cd. canone o pigione), i cui predicati – come detto – portano a discorrerne in termini di contratto a) consensuale, b) ad effetti meramente obbligatori, c) a prestazioni corrispettive, d) oneroso e e) di durata (ovvero, seguendo le definizioni codicistiche, ad esecuzione continuativa o periodica).

La protrazione “per un dato tempo” (v. l'art. 1571 c.c.) del rapporto rappresenta, cioè, una condizione essenziale affinché il contratto possa realizzare la sua stessa funzione: dalla riconduzione della locazione a tale categoria di contratti conseguono, poi, alcuni effetti, quali 1) la non retroattività degli eventi che producono scioglimento del vincolo rispetto all'esecuzione già avvenuta, 2) la risolubilità per eccessiva onerosità sopravvenuta, 3) la sospensione della controprestazione nel caso di non esecuzione parziale della prestazione per causa non imputabile, 4) la decorrenza della prescrizione, nell'ipotesi di prestazione reiterata, dalle singole scadenze, 5) l'applicabilità della rinnovazione tacita e della proroga.

Sulla configurazione in tal senso del contratto di locazione è chiara anche la giurisprudenza (Cass. III, n. 3019/1996), la quale ha evidenziato che la locazione ha natura di contratto ad esecuzione continuata, non concretandosi il contratto locatizio nella mera corresponsione del canone, ma integrandosi anche nel godimento del bene (protrattosi nel tempo), rivelandosi inconferente a tale riguardo la circostanza che i canoni vengano corrisposti quando ormai è stata pronunziata la risoluzione della locazione.

L'art. 1573 c.c. (il quale riproduce l'art. 1571 del codice civile del 1865), inoltre, contiene una norma di chiusura, stabilendosi ivi che, salvo diverse norme di legge, la locazione non può stipularsi per un tempo eccedente i trenta anni e che, se la stessa è stata stipulata per un periodo più lungo o in perpetuo, è ridotta entro il rispetto di tale termine massimo.

La previsione di tale durata massima palesa, con evidenza, il disvalore che il legislatore nutre per i contratti costitutivi di diritti personali, di durata tale da determinare forme di godimento perpetuo o, comunque, di carattere rilevante (Tabet, 1982, 1009), la ratio di tale limitazione dovendosi rinvenire nella volontà di evitare che, attraverso la previsione di una durata eccessiva, venga sacrificata la libertà di iniziativa economica del locatore (Guarino, 32).

Al termine della locazione, dunque, quale obbligazione del conduttore simmetrica rispetto a quella di consegna gravante sul locatore ex art. 1575 c.c., l'art. 1590 c.c. prevede che la restituzione della cosa concessa in locazione debba avvenire nello stato medesimo in cui il conduttore l'ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'uso della cosa in conformità del contratto, presumendosi in mancanza di descrizione, che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione.

Il dovere di restituire il bene, dunque, pur non essendo espressamente previsto dall' art. 1587 c.c. tra le obbligazioni principali nascenti dal contratto di locazione a carico del conduttore, va certamente annoverato tra queste ultime.

Anche la dottrina più autorevole (Lazzaro, Di Marzio, 1081) ascrive tale obbligazione nell'orbita applicativa della sopramenzionata disposizione codicistica, connotandosi l'obbligo di restituzione della cosa locata gravante sulla parte conduttrice quale effetto essenziale del contratto di locazione, per essere quest'ultimo sempre stipulato per un tempo predeterminato a monte dalle parti. In sostanza, “le predette obbligazioni [di consegna e restituzione, cioè] non sono, in effetti, riferibili ad obblighi autonomi (ovvero l'uno sganciato dall'altro) ma si risolvono in un'unica complessiva obbligazione che trova fondamento nell'obbligo di far godere la cosa come previsto dall'art. 1571 c.c. (che contiene la nozione stessa del contratto di locazione), da cui discendono, secondo un meccanismo di concatenazione logica e sistematica, gli obblighi di consegna, di manutenzione funzionale all'uso pattuito e quello diretto ad evitare le turbative ad opera di terzi nel godimento della cosa locata”. A tal proposito si è, perciò, affermato che “l'obbligazione globale (e fondamentalmente unitaria) incombente sul locatore riveste un contenuto essenzialmente positivo ed implica l'insorgenza a suo carico di obblighi che si sviluppano per tutta la durata del contratto e che svolgono, in sostanza, una funzione strumentale e rafforzativa rispetto a quello della consegna iniziale. Per contro, i suddetti obblighi contrattuali facenti capo al locatore cessano di trovare applicazione allorquando sia decorso il termine del rapporto, ossia nei casi in cui lo stesso venga dichiarato risolto, anche se il conduttore permanga illegittimamente nella disponibilità dell'immobile” (così Carrato, 2014, 818).

In giurisprudenza, è stato chiarito che l'obbligo in commento a) sorge nel momento stesso in cui il conduttore accetta la consegna della cosa (Cass. III, n. 2008/1972), b) va adempiuto nel luogo dove la consegna originaria è avvenuta (Cass. III, n. 265/1977), c) configura un'ipotesi di responsabilità contrattuale (Cass. III, n. 1189/2007; Cass. III, n. 2458/1977), avente ad oggetto un facere atipico (consistente, per l'appunto, nella restituzione della res locata) anche se non di carattere sinallagmatico (Cass. III, n. 1189/2007, cit.), conseguendo alla natura propria della locazione, quale contratto a termine e che d) va eseguito nei confronti del locatore, indipendentemente dalla circostanza che ne sia o meno il proprietario (Cass. III, n. 539/1997).

Orbene, laddove non restituisca la res locata nel termine stabilito nel contratto, il conduttore è tenuto, ai sensi dell'art. 1591 c.c., a corrispondere al locatore il canone convenuto sino all'effettiva riconsegna, salvo l'obbligo di risarcire il maggior danno eventualmente provato (quale, ad esempio, quello consistente nel non aver potuto concedere in locazione il bene ad un canone maggiore ovvero nel non averlo potuto utilizzare a proprio vantaggio).

L'obbligo del conduttore di corrispondere il corrispettivo convenuto, ai sensi dell'art. 1591 c.c., non richiede – diversamente dal maggior danno contemplato dal comma 2 della medesima disposizione – la sua costituzione in mora e permane per tutto il tempo in cui rimanga nella detenzione del bene, fino al momento dell'effettiva riconsegna (Cass. III, n. 10926/2018).

Le conseguenze della ritardata consegna

Il conduttore in mora nella restituzione della cosa locata è soggetto, in base all'art. 1591 c.c., ad un duplice obbligo: quello (che sussiste sempre) di dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, che ha natura di debito di valuta ed è sottoposto al principio nominalistico, concretandosi in un debito determinato, sin dal momento della sua nascita, in una espressione monetaria, e quello (eventuale) di risarcire il maggior danno patito dal locatore, che, invece, non essendo fin dall'origine un debito di natura pecuniaria, ma traducendosi in un concreto e specifico ammontare monetario solo al momento della pronuncia giudiziale di liquidazione, importa che deve tenersi conto della svalutazione monetaria verificatasi tra il mancato rilascio e la liquidazione del danno (Cass. III, n. 15146/2017).

La ricostruzione è accolta in dottrina, essendosi sostenuto (Tabet, 1972, 476) che l'obbligazione del conduttore di continuare a corrispondere il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna è un'obbligazione di natura contrattuale che, concretandosi in un debito determinato sin dal momento della sua nascita in una espressione monetaria, appartiene alla categoria dei debiti di valuta, soggetti alla disciplina di cui all'art. 1277 c.c. (c.d. principio nominalistico), mentre l'obbligo (eventuale) di risarcire il maggior danno patito dal locatore, non essendo fin dal principio un debito di natura pecuniaria, ma traducendosi in un concreto e specifico ammontare monetario solo al momento della pronuncia giudiziale di liquidazione, importa che deve tenersi conto della svalutazione monetaria verificatasi tra il mancato rilascio e la liquidazione del danno.

Peraltro, disciplinando l'art. 1591 c.c. un'obbligazione risarcitoria da inadempimento contrattuale, che, sostituendosi a quella contrattuale di pagamento del canone di locazione, costituisce un debito di valore, e consegue che – ai sensi dell'art. 15 del d.p.r. n. 633/1972 – sull'importo dovuto dall'occupante non più a titolo di canone, ma di risarcimento per la protratta occupazione, non è dovuta l'IVA (Cass. III, n. 22592/2013).

Sebbene collegate anch'esse alla fase terminale del rapporto negoziale e fondate – come tra breve sarà chiarito – su una responsabilità contrattuale del conduttore, le fattispecie disciplinate dall'art. 1591 c.c. sono totalmente diverse e non confondibili con quelle contemplate dall'art. 1590 c.c.: mentre quest'ultima ipotesi ricorre allorché – cessato il contratto di locazione – il conduttore restituisca od offra di restituire la cosa al locatore, non nello stato medesimo in cui l'ha ricevuta, diversamente, ai fini dell'operatività dell'art. 1591 c.c., è indispensabile la mora del conduttore nella restituzione dell'immobile locato, una volta cessato il contratto e, cioè, la mancata restituzione od offerta di restituzione dell'immobile per la data contrattualmente prevista.

Residua, ovviamente uno spazio di interferenza tra le due disposizioni, allorché il conduttore offra la restituzione della cosa tempestivamente, ma il locatore – come visto in precedenza – legittimamente rifiuti la consegna, in conseguenza dello stato manutentivo del bene stesso.

Sicché, qualora, in violazione dell'art. 1590 c.c., al momento della riconsegna l'immobile locato presenti danni eccedenti il degrado dovuto al normale uso dello stesso, Cass. III, n. 6596/2019 chiarisce che incombe al conduttore l'obbligo di risarcire tali danni, consistenti non solo nel costo delle opere necessarie per la rimessione in pristino, ma anche nel canone altrimenti dovuto per tutto il periodo necessario per l'esecuzione e il completamento di tali lavori, senza che, a quest'ultimo riguardo, il locatore sia tenuto a provare anche di aver ricevuto – da parte di terzi – richieste per la locazione, non soddisfatte a causa dei lavori.

Segue. L'esigibilità della prestazione e la costituzione in mora del conduttore

Presupposto applicativo della norma è che il conduttore versi in mora debendi e, dunque, che divenuta esigibile l'obbligazione sullo stesso gravante, questi non vi abbia provveduto (v. infra).

Ne consegue che la norma non si applica in caso di risoluzione del contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile alle parti (nella specie per lo stato di inagibilità dell'immobile conseguente ad evento sismico), non essendo configurabile il godimento, anche di mero fatto, dei beni già locati e la possibilità di una utilizzazione diretta o di un reimpiego da parte del locatore dei beni stessi nel periodo tra la cessazione del contratto e la effettiva riconsegna: discende da quanto precede che, in tal caso, trova applicazione la disciplina generale dettata dall'art. 1463 c.c., con la conseguenza che il locatore è tenuto, per far valere il diritto alla restituzione del bene, a formulare apposita domanda – valendo essa a rendere imputabile al conduttore il ritardo – e, per ottenere il risarcimento del danno per ritardata restituzione, a dare prova di aver subito un effettivo pregiudizio dalla mancata disponibilità dell'immobile, non potendo tale pregiudizio ritenersi sussistente in re ipsa (così, recentemente, Cass. III, n. 23987/2019).

Precisa in proposito Cass. III, n. 8675/2017 che l'obbligazione di restituzione dell'immobile locato, prevista dall'art. 1590 c.c., resta inadempiuta qualora il locatore non ne riacquisti la completa disponibilità, così da poterne fare uso secondo la sua destinazione, sicché la mora e gli effetti dell'art. 1591 c.c. si producono anche ove egli torni formalmente in possesso del bene, ma questo sia inutilizzabile perché ancora occupato da beni mobili del conduttore che non debbano consegnarsi al locatore, a nulla rilevando che il rilascio sia avvenuto coattivamente ex art. 608 c.p.c., atteso che la formale chiusura del processo esecutivo non determina l'automatica cessazione degli effetti sostanziali collegati al rapporto di locazione.

L'obbligo del conduttore diviene attuale alla scadenza del contratto o nel momento dell'eventuale scioglimento anticipato: sennonché, rispetto a tale criterio generale devono registrarsi alcuni interventi correttivi, ascrivibili alla legislazione speciale in tema di locazioni di immobili urbani ad uso abitativo e diverso. Anzitutto l'art. 56 della l. n. 392/1978 che in linea generale ha previsto che il giudice, nell'emettere il provvedimento che dispone il rilascio dell'immobile in sede di convalida di sfratto, debba fissare la data dell'esecuzione entro un termine massimo legalmente predeterminato sulla base di alcuni parametri specificati; sicché, nel periodo che va dalla data di cessazione del contratto di locazione al termine giudizialmente fissato per l'inizio dell'esecuzione il credito restitutorio vantato dal locatore è da ritenersi inesigibile. In secondo luogo, relativamente alle locazioni di immobili ad uso diverso dall'abitativo, l'art. 34 della medesima l. n. 392/1978, subordina l'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile nei confronti del conduttore all'avvenuta corresponsione della indennità di avviamento commerciale ad opera del locatore, con la conseguenza che ne discende per cui il conduttore può rimanere nella detenzione della cosa locata anche in data successiva alla cessazione del contratto di locazione e, tanto, finché il locatore non abbia corrisposto la suddetta indennità o non ne abbia offerto la corresponsione mediante offerta formale. Infine, avuto riguardo alle locazioni ad uso abitativo, l'art. 6 della l. n. 431/1998 che, nel disciplinare il transito tra la vecchia normativa vincolistica della legge sull'equo canone e quella nuova, ha determinato la sospensione delle esecuzioni dei titoli di rilascio al fine di stimolare le parti contrattuali ad avvalersi della predetta sospensione per la stipulazione di nuovi contratti di locazione (commi 1 e 2); nel caso di mancanza della conclusione di nuovi contratti ha, quindi, previsto che i conduttori esposti alla procedura esecutiva di rilascio potessero rimanere nel godimento del bene locato per un ulteriore lasso di tempo fissato dal giudice secondo parametri predeterminati (commi 3, 4 e 5), salvo infine regolamentare le conseguenze derivanti dalla mora del conduttore nell'adempimento dell'obbligazione restitutoria di cui all'art. 1591 c.c. (comma 6). Tale ultimo comma, in particolare, ha stabilito che il conduttore in mora nel rilascio della cosa locata debba corrispondere al locatore, oltre ad una somma pari al corrispettivo contrattualmente dovuto, una maggiorazione del 20% di esso non soltanto durante i periodi di sospensione delle esecuzioni previste dal primo comma, oltre che da altre specifiche disposizioni normative espressamente indicate, ma anche sino all'effettivo rilascio dell'immobile locato, con ciò contemperando l'interesse del locatore che lucrava una maggiorazione di un quinto del canone pattuito senza dovere provare il maggior danno con l'interesse del conduttore il quale, se non poteva dimostrare che l'altro contraente non aveva patito alcun pregiudizio ai fini dell'esonero dal pagamento della predetta maggiorazione, era comunque esonerato da qualsivoglia ulteriore pretesa risarcitoria.

A tale ultimo proposito, però, va segnalato che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la possibilità di ottenere dal giudice la fissazione di una nuova data dell'esecuzione, riconosciuta al conduttore dall'art. 6, comma 4 della l. n. 431/1998, si riferisce ai soli provvedimenti esecutivi di rilascio per finita locazione emessi entro il termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della detta legge, e cioè entro il 27 giugno 1999 (Cass. III, n. 11961/2010).

In particolare, il locatore può costituire in mora il conduttore o con una disdetta o con una domanda giudiziale di risoluzione del contratto di locazione.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità appare abbastanza consolidata nel senso di fare decorrere la mora del conduttore dalla data della scadenza legale o convenzionale del contratto e, dunque, a seguito della vicenda estintiva del titolo autorizzante il godimento del bene (Cass. III, n. 26741/2006), chiarendo, altresì, che la costituzione in mora del conduttore – comunque necessaria, ai sensi dell'art. 1219 c.c., per gli obblighi risarcitori previsti dall'art. 1591 c.c. – si determina, tanto nel caso di risoluzione giudiziale del contratto (ex art. 1458 comma 1), quanto in quello di risoluzione di diritto (ex artt. 1456 e 1457 c.c.) dalla proposizione della domanda, e non dall'accoglimento della stessa, per il principio secondo il quale la durata del processo non può danneggiare l'attore (Cass. III, n. 27215/2014), non rilevando, dunque, la natura costitutiva o dichiarativa della pronuncia (Cass. III, n. 10115/1997; Cass. III, n. 16110/2009). Cass. III, n. 3413/1968 precisa, inoltre, che la disdetta del rapporto locatizio inviata ad uno soltanto degli eredi del conduttore defunto è idonea a costituire in mora tutti, consistendo l'obbligazione di riconsegna in un facere tipicamente indivisibile, in deroga ai principi generali in materia di costituzione in mora dei coobbligati solidali.

La natura della responsabilità del conduttore.

La responsabilità del conduttore per la ritardata riconsegna della res locata ha natura contrattuale.

La conclusione è pacifica in dottrina, laddove si osserva (Rota, 9) che la norma “si pone nel solco tracciato dall'art. 1224 c.c. in tema di risarcimento del danno nelle obbligazioni pecuniarie, e più in generale nell'alveo del principio del danno effettivo, secondo cui l'obbligazione risarcitoria deve adeguarsi al danno effettivamente subito dal creditore il quale non deve ricevere né più né meno di quanto sia necessario a rimuovere gli effetti negativi dell'inadempimento o dell'illecito, regola un'ipotesi di responsabilità contrattuale nella quale si prevede, nel caso di inadempimento da ritardo nella restituzione della cosa locata ad opera del conduttore, una soglia risarcitoria minima e predeterminata consistente nell'ammontare del canone dovuto in costanza di rapporto, per la quale il creditore locatore è esonerato dalla prova del pregiudizio subito, salva la possibilità di provare la sussistenza di ulteriori pregiudizi che potranno essere oggetto di autonoma voce di danno da risarcire ad opera del conduttore moroso”.

Meno scontata è, invece, la conclusione, in giurisprudenza, la quale ha consolidato tale orientamento solo più recentemente, dovendosi registrare, per il passato (Cass. III, n. 3956/1956), conclusioni affatto diverse: in particolare, la natura extra contrattuale della responsabilità in questione era affermata sostenendosi che la permanenza nell'immobile del conduttore o dell'affittuario, dopo la cessazione della locazione, realizzasse un'ipotesi di occupazione abusiva tale da determinate l'obbligo di risarcimento del danno in virtù del principio generale dell'art. 2043c.c. Sennonché risulta ormai pacifico l'opposto orientamento, che rinviene in quella in esame una ipotesi di responsabilità contrattuale: l'obbligazione di restituire la cosa locata – come detto – nasce alla scadenza della locazione, non ha carattere sinallagmatico, ma scaturisce dalla natura propria della locazione che è contratto a termine (per un primo risalente precedente in tal senso, v. Cass. II, n. 2617/1963, per cui il conduttore in mora nella restituzione della cosa locata non è un occupante abusivo: egli, in base all'art 1591 c.c. è tenuto a corrispondere regolarmente al locatore il corrispettivo convenuto sino alla riconsegna, salvo l'obbligo di risarcire il maggior danno; la responsabilità del conduttore in mora nella restituzione della cosa locata ha natura contrattuale e non extracontrattuale, sicché il conduttore, ancorché moroso, continua ad essere conduttore, a godere dei frutti della cosa e a farli propri, salvo il suo obbligo di corrispondere il corrispettivo della locazione, oltre il risarcimento del maggior danno eventualmente subito dal locatore). Più recentemente, nel medesimo senso, Cass. III, n. 11189/2007, per la quale l'obbligazione di restituire la cosa locata secondo le condizioni stabilite dall'art. 1590, comma 1, pur avendo natura contrattuale, non ha carattere sinallagmatico, ma consegue alla natura propria della locazione (che si configura come contratto a termine), e nasce alla scadenza della locazione. Corrispondentemente, anche la responsabilità del conduttore per la ritardata consegna della cosa o per la trasformazione o il deterioramento di essa non dovuto alluso conforme agli accordi convenzionali assume natura contrattuale e si estende ai danni che sono casualmente collegati alla condotta del medesimo conduttore con esclusione di quelli riconducibili unicamente alla condotta del locatore. Da ciò consegue che è responsabile del danno consistente nella perdita di vantaggiose occasioni di vendita della cosa locata o nella risoluzione del contratto di vendita di essa il conduttore che, ritardando la riconsegna del bene o riconsegnandolo trasformato o deteriorato (oltre l'usura ordinaria), ponga in essere le condizioni della perdita di siffatte occasioni o per la determinazione dell'evento comportante lo scioglimento del contratto (anche solo preliminare) di vendita concluso dal locatore con terzi.

Segue. Modalità di attuazione dell'obbligazione restitutoria

L'obbligazione di restituzione dell'immobile locato non si esaurisce in una generica messa a disposizione delle chiavi, ma richiede, per il suo esatto adempimento, un'attività consistente in una incondizionata e tempestiva restituzione del bene, che comporti un'effettiva immissione dell'immobile nella sfera di concreta disponibilità del locatore il quale, a propria volta, deve cooperare con il conduttore per rendere possibile la consegna della cosa locata: in mancanza di tale cooperazione, il conduttore, per liberarsi dagli obblighi connessi alla mancata restituzione, deve procedere con un'offerta formale a norma degli artt. 1209 e 1216 c.c.

La restituzione può avvenire mediante la consegna delle chiavi dell'immobile (App. Genova, 20 novembre 2007) o con la incondizionata messa a disposizione del medesimo (Cass. III, n. 8616/2006), anche senza la redazione di un apposito verbale (Cass. III, n. 5841/2004): ed infatti, ad integrare l'adempimento dell'obbligazione del conduttore di rilascio dell'immobile locato all'atto dell'estinzione del rapporto di locazione, non occorre che l'obbligazione sia eseguita nel rispetto di tutte le modalità descritte dall'art. 1590 c.c. (Cass. III, n. 580/2001).

Il locatore deve cooperare con il conduttore per rendere possibile la consegna della cosa locata: in mancanza, il conduttore, per liberarsi dagli obblighi connessi alla mancata restituzione, deve procedere a notificare al locatore un'offerta volta alla riconsegna della cosa locata; se, però, nel passato si riteneva che detta offerta dovesse rivestire i crismi dell'offerta formale, attualmente si ritiene che anche un'offerta non formale, purché seria, concreta e tempestiva, sia idonea ad evitare la mora del conduttore nell'obbligo di adempiere la prestazione restitutoria, pur non determinando essa – a contrario – la mora del creditore ex artt. 1216 e 1209, comma 2, c.c.

Il conduttore – stando a Cass. III, n. 8672/2017 non può essere considerato in mora, con conseguente cessazione dell'obbligo di corrispondere l'indennità di occupazione, se abbia fatto, ai sensi dell'art. 1220 c.c., un'offerta seria ed affidabile, ancorché non formale, della prestazione dovuta, liberando l'immobile locato, e il locatore abbia opposto a tale offerta un rifiuto ingiustificato sulla base del dovere di buona fede ex art. 1375 c.c., non comportandone l'accettazione alcun sacrificio di suoi diritti o legittimi interessi: tale offerta informale, per impedire la messa in mora del conduttore, deve però possedere i connotati della serietà e affidabilità. Analogamente Cass. III, n. 7639/2016, per la quale il conduttore non può essere considerato in mora nell'adempimento dell'obbligo di restituzione della cosa alla scadenza del contratto, con conseguente cessazione altresì dell'obbligo di corrispondere l'indennità di occupazione, se abbia fatto, ai sensi dell'art. 1220 c.c., una offerta seria e affidabile, ancorché non formale, della prestazione dovuta, liberando l'immobile locato, e il locatore abbia opposto a tale offerta un rifiuto ingiustificato sulla base del dovere di buona fede ex art. 1375 c.c., non comportandone l'accettazione alcun sacrificio di suoi diritti o legittimi interessi. Nello stesso senso, per la giurisprudenza di merito, App. Palermo 26 giugno 2019, per cui l'adozione da parte del conduttore di modalità di consegna dell'immobile, diversa dall'offerta reale formale – purché serie, concrete, tempestive e sempre che non ricorra legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore – seppure non sia sufficiente a costituire in mora il locatore, è idonea ad evitare la mora del conduttore dell'obbligo di adempiere la prestazione, mentre, per costituire in mora il creditore e liberarsi definitivamente dall'obbligo di pagare il canone, il conduttore deve necessariamente procedere all'offerta reale formale exart. 1216 c.c. (così anche Trib. Roma, 27 settembre 2019); ovvero Trib. Avellino, 10 aprile 2017, per cui l'offerta non formale di restituzione dell'immobile, ai sensi dell'art. 1220 c.c., in assenza di un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore, è idonea a evitare la mora del conduttore circa l'esecuzione della sua prestazione, mentre Il locatore non può rifiutare la riconsegna dell'immobile locato, subordinandola all'accertamento in contraddittorio dei danni asseritamente causati nel corso del rapporto; del pari Trib. Bari, 22 giugno 2016, per cui mentre l'adozione della complessa procedura di cui agli artt. 1216 e 1209, comma 2, c.c., rappresenta l'unico mezzo per la costituzione in mora del creditore per provocarne i relativi effetti (art. 1207 c.c.), l'adozione da parte del conduttore di altre modalità – purché serie, concrete e tempestive – aventi valore di offerta reale non formale (art. 1220 c.c.), sempreché non sussista un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore, pur non essendo sufficiente a costituire in mora il locatore, è tuttavia idonea ad evitare la mora del conduttore, circa l'esecuzione della sua prestazione e a produrre ogni altro effetto, connesso alla dichiarazione di volontà da lui espressa sostanzialmente. L'esclusione della mora del conduttore nella restituzione dell'immobile locato, per effetto di una offerta non formale ai sensi dell'art. 1220 c.c., vale a preservarlo, quindi, dalla responsabilità per il ritardo e ad escluderne l'obbligo di corrispondere al locatore, a titolo risarcitorio, il “maggior danno”, ma non esclude anche il pagamento del canone (ciò anche nel caso in cui il conduttore abbia smesso di utilizzare l'immobile secondo la destinazione convenuta), potendo il conduttore sottrarsi al pagamento solo attraverso la riconsegna dell'immobile o l'offerta formale ai sensi dell'art. 1216 c.c., con il risultato di costituire in mora accipiendi il locatore e liberarsi definitivamente della sua obbligazione (Cass. III, n. 1941/2003).

L'offerta non formale – per la sua natura di atto recettizio, preordinato ad escludere gli effetti della mora debendi – non solo deve presentare i requisiti della serietà, della tempestività e dell'esattezza dell'adempimento, ma deve essere portata a conoscenza del creditore, in modo da comportare l'effettiva introduzione dell'oggetto integrale della prestazione nella sfera di disponibilità dell'avente diritto. Sicché – precisa Cass. III, n. 971/1982 – il deposito da parte del conduttore dell'importo dei canoni di locazione su libretto bancario (o postale) non consegnato, né messo a disposizione del locatore, non integra un'offerta non formale, idonea ad escludere l'inadempimento del conduttore (negli stessi termini, in linea più generale, Cass. III, n. 13405/2001).

Il principio è stato ribadito anche in relazione alle locazioni ad uso diverso, laddove l'esigibilità dell'obbligazione risarcitoria è condizionata alla previa corresponsione al conduttore, da parte del locatore, dell'indennità di avviamento.

Il conduttore di un immobile adibito ad attività commerciale – si legge in Cass. III, n. 15876/2013 – alla scadenza del contratto, resta obbligato al pagamento dei canoni tutte le volte in cui permanga nella detenzione dell'immobile (quand'anche sia cessato l'esercizio dell'attività commerciale nell'immobile locato), a nulla rilevando che il locatore sia a sua volta inadempiente all'obbligo di pagamento dell'indennità per la perdita dell'avviamento. Per sollevarsi da tale obbligo, il conduttore ha l'onere di costituire in mora il locatore offrendo contestualmente, anche in modo informale, la restituzione dell'immobile.

Segue. Il rifiuto legittimo del locatore

Il locatore – come anticipato – può rifiutare la restituzione della cosa locata nel caso in cui quest'ultima sia stata riconsegnata seriamente danneggiata od in uno stato tale da palesarsi del tutto inservibile: in tal caso – si badi – si è in presenza di un rifiuto legittimo del locatore a ricevere la cosa concessa in godimento, costituendo la restituzione della cosa in stato di deterioramento un inadempimento imputabile alla parte conduttrice.

Del medesimo avviso la dottrina, per la quale, qualora al termine del contratto il bene locato presenti deterioramenti, ovvero si accerti una consistente immutazione rispetto alle sue caratteristiche originarie, il locatore potrà legittimamente rifiutarsi di riprendere in consegna il bene rilasciato in condizioni deteriori (Provera, 309) o potrà ricevere in consegna la cosa e, successivamente, proporre azione contro il conduttore per il pessimo stato di manutenzione del bene, mentre incomberà sul conduttore l'onere di provare l'esclusione della sua responsabilità per danni (Provera, 312).

Molteplici sono stati gli interventi della giurisprudenza, avuto riguardo alla tematica del rifiuto del locatore di riceve la restituzione dell'immobile locato. Cass. III, n. 12977/2013 ha, in proposito, chiarito che, allorché il conduttore abbia arrecato gravi danni all'immobile locato, o compiuto sullo stesso innovazioni non consentite, tali da rendere necessario per l'esecuzione delle opere di ripristino l'esborso di somme di notevole entità, in base all'economia del contratto e tenuto comunque conto delle condizioni delle parti, il locatore può legittimamente rifiutare di ricevere la restituzione del bene finché tali somme non siano state corrisposte dal conduttore, il quale, versando in mora, agli effetti dell'art. 1220 c.c., rimane tenuto altresì al pagamento del canone exart. 1591 c.c., quand'anche abbia smesso di servirsi dell'immobile per l'uso convenuto; del pari Cass. III, n. 16685/2002 evidenzia che, nella ipotesi in cui la cosa locata, offerta in restituzione dal conduttore, si trovi in stato non corrispondente a quello descritto dalle parti all'inizio della locazione, ovvero, in mancanza di descrizione, non si trovi in buono stato locativo, per accertare se sia giustificato il rifiuto del locatore di ricevere la cosa occorre distinguere a seconda che a) la cosa locata sia deteriorata per non avere il conduttore adempiuto durante il corso della locazione all'obbligo di eseguire le opere di piccola manutenzione (artt. 1576 e 1609 c.c.), ovvero che b) la difformità del bene, rispetto allo stato esistente all'inizio della locazione, dipenda dall'avvenuta effettuazione di trasformazioni ed innovazioni da parte del conduttore. Nel primo caso, trattandosi di rimuovere deficienze che non alterano la consistenza e la struttura della cosa e non implicano la esplicazione di una attività straordinaria e gravosa, l'esecuzione delle opere occorrenti rientra nel dovere di ordinaria diligenza, cui il locatore è tenuto per non aggravare il danno, sicché illegittimo è il suo rifiuto di ricevere la restituzione salvo il suo diritto a richiedere i danni; nel secondo caso, invece, poiché la esecuzione delle opere di ripristino implica la esplicazione di una attività straordinaria e gravosa, il locatore può rifiutare l'offerta di restituzione della cosa locata in quello stato (in senso conforme, Cass. III, n. 6798/1993, Cass. III, n. 6856/1986, Cass. III, n. 5459/2006 e Cass. III, n. 12977/2013). Dello stesso tenore la meno recente Cass. III, n. 958/1970, la quale ulteriormente precisa che il rifiuto del locatore di ricevere la restituzione della cosa locata quando essa presenti deterioramenti dovuti all'omessa esecuzione delle riparazioni di piccola manutenzione è illegittimo, ma il locatore medesimo ha diritto al risarcimento del danno, consistente nella somma di denaro occorrente per l'esecuzione delle riparazioni di piccola manutenzione omesse dal conduttore e nel mancato reddito retraibile della cosa nel periodo di tempo necessario per l'esecuzione dei lavori di riparazione e questa seconda serie di danni va determinata in relazione all'epoca in cui i lavori possono essere iniziati dal locatore usando l'ordinaria diligenza ed alla presumibile epoca del loro compimento. Nell'ipotesi di legittimo rifiuto da parte del locatore dell'offerta di restituzione della cosa locata per non conformità dello stato di essa a quello esistente all'inizio della locazione dipendente da trasformazioni od innovazioni apportate dal conduttore o dalla mancata esecuzione contrattualmente assunta dal conduttore medesimo, delle riparazioni eccedenti la piccola manutenzione, il locatore ha invece diritto, ai sensi dell'art. 1591 c.c. al corrispettivo convenuto per la locazione e al maggior danno fino al momento in cui venga restituita la cosa nello stato suddetto. Analogamente Cass. III, n. 7992/2009, per la quale è legittimo il rifiuto del locatore, ai sensi degli artt. 1176 e 1218 c.c., di accettare la restituzione della cosa locata sino a quando il conduttore non l'abbia rimessa in pristino stato, rendendosi altrimenti inadempiente all'obbligazione di cui all'art. 1590, comma 1, c.c. Nel medesimo senso – per cui, cioè, ove al momento della riconsegna il bene non si trovi in “buono stato locativo”, il locatore legittimamente rifiuta di riceverlo in restituzione, sino a quando il conduttore non l'abbia rimesso in pristino stato, restando altresì tenuto al versamento del corrispettivo (v. anche Cass. III, n. 3786/1968, Cass. III, n. 3210/1971, Cass. III, n. 9207/1995, Cass. III, n. 7992/2009).

È pur vero, però, che, ove il conduttore sia in oggettiva difficoltà nel provvedere alle opere di ripristino, non sussiste l'obbligo per il conduttore stesso di versare il canone di locazione “indefinitamente, sol che il locatore continui a rifiutare la restituzione” (così Cass. III, n. 12977/2013, cit.): qualora il locatore sia in grado di affrontare, senza difficoltà, le spese necessarie alla rimessione in pristino del bene, il suo rifiuto di accettarne la riconsegna non può essere considerato legittimo, con la “conseguente esclusione della mora debendi del conduttore”; d'altra parte, già per gli artt. 5 e 55 della l. n. 392/1978 le comprovate condizioni di difficoltà del conduttore rilevano anche in caso di morosità nel pagamento dei canoni o degli oneri accessori, ai fini della purgazione in sede giudiziale della mora e della concessione di un c.d. termine di grazia.

Si evidenzia, in dottrina (Signorelli, 410) che la distinzione tracciata dai giudici di legittimità svolge l'importante funzione di spartiacque per sancire la legittimità o meno ex latere locatoris di rifiutarsi a ricevere il bene dato in locazione; “va comunque sottolineato che l'applicazione del suddetto principio non opera sempre in modo automatico ed astratto, ma necessita di essere raffrontata al caso concreto. Così, ad esempio, nell'ipotesi in cui il conduttore versi in oggettiva difficoltà economica, al punto di non essere in grado di intervenire sul bene per la rimessa in pristino, sarebbe paradossale ritenerlo obbligato al versamento dei canoni ai sensi dell'art. 1591 c.c. fino a quando il locatore continui a rifiutare la restituzione del bene. Anzi, se addirittura nel caso di specie si dovesse ravvisare la possibilità economica per il locatore di eseguire senza troppi sacrifici le spese necessarie alla riparazione dell'immobile, un suo rifiuto risulterebbe tanto irragionevole quanto contrario all'obbligo di correttezza e buona fede, pertanto illegittimo”.

Il principio appena esposto deve essere, però, coordinato con il precetto di cui all'art. 1227, comma 2, c.c., in tema di divieto di aggravamento delle conseguenze dannose causate dall'inadempimento della controparte: in proposito, a mente dell'art. 1576 c.c., nel caso di locazione avente ad oggetto beni immobili, il locatore deve eseguire tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore; ove essa concerna cose mobili, le spese di conservazione e di ordinaria manutenzione sono, salvo patto contrario, a carico del conduttore.

Muovendo alla ricerca di un criterio discretivo tra manutenzione ordinaria, straordinaria e piccola, assumendo quali utili parametri di riferimento la norma di cui all'art. 1005 c.c. e le ulteriori disposizioni in materia di locazione, Cass. III, n. 27540/2013 ha tratto la conclusione per cui, la manutenzione ordinaria va qualificata come quella diretta ad eliminare guasti della cosa o che comunque abbia carattere di periodica ricorrenza e di prevedibilità, essendo connotata inoltre da una sostanziale modicità della spesa, mentre rientrano nell'ambito della manutenzione straordinaria quelle riparazioni non prevedibili e di costo non modico, eccezionali nell'ambito dell'ordinaria durata del rapporto locatizio ovvero anche quelle di una certa urgenza e di una certa entità necessarie al fine di conservare o di restituire alla cosa la sua integrità ed efficienza; quanto, invece, alle opere di c.d. piccola manutenzione, che l'art. 1576, comma 1, c.c. pone, in caso di locazione avente ad oggetto beni immobili, a carico del conduttore, queste ultime, come chiarito dal successivo art. 1609 c.c., sono quelle dipendenti da deterioramenti prodotti dall'uso, e non quelle dipendenti da vetustà o da caso fortuito (le quali ultime, indipendentemente dalla loro entità, restano a carico del locatore), determinate, in mancanza di patto, dagli usi locali.

Orbene, la Cass. III, n. 6856/1998 ha in proposito chiarito che il principio desumibile dall'art. 1590 c.c. che legittima il locatore a rifiutare la riconsegna dell'immobile ed a pretendere il pagamento del canone fino alla sua rimessione in pristino, va coordinato con il principio di cui all'art. 1227, comma 2, c.c. secondo il quale in base alle regole dell'ordinaria diligenza il creditore ha il dovere di non aggravare con il fatto proprio il pregiudizio subito, pur senza essere tenuto all'esplicazione di un'attività straordinaria e gravosa e, cioè, ad un facere non corrispondente all'id quod plerumque accidit. Ne deriva che il locatore non può rifiutare la riconsegna ma può soltanto pretendere il risarcimento del danno cagionato all'immobile, costituito dalle spese necessarie per la rimessione in pristino e dalla mancata percezione del reddito nel periodo di tempo occorrente, nel caso in cui il deterioramento dipenda da inadempimento dell'obbligo di provvedere alle riparazioni di piccola manutenzione exart. 1576 c.c.; il locatore può invece rifiutare la riconsegna dell'immobile locato nel caso in cui il conduttore non abbia adempiuto all'obbligo, impostogli dal contratto, di provvedere alle riparazioni eccedenti l'ordinaria manutenzione o per avere egli di propria iniziativa apportato trasformazioni o innovazioni, poiché in tale caso la rimessione in pristino richiederebbe l'esplicazione di un'attività straordinaria e gravosa e, cioè, un facere al quale il locatore non è tenuto secondo l'id quod plerumque accidit.

I danni da tardiva restituzione della cosa locata

Il conduttore in mora è anzitutto tenuto, con decorrenza dalla data di cessazione del contratto, al pagamento del corrispettivo convenuto, fino alla riconsegna effettiva: si tratta di un parametro legale di riferimento, per la quantificazione del danno minimo da risarcire; a questo importo va poi aggiunto, in ogni caso, il risarcimento del maggior danno subito dal locatore.

Se, però, il credito da corrispettivo convenuto fino alla riconsegna – costituendo una forma di risarcimento minima prevista dalla legge per la mancata disponibilità dell'immobile – prescinde dalla prova di un danno concreto al locatore (Cass. III, n. 6368/1995; in termini, più recentemente, Cass. VI, n. 10926/2018, per la quale anche se il rapporto viene risolto – sia contrattualmente, sia giudizialmente – l'obbligo del conduttore di corrispondere il corrispettivo convenuto, ai sensi dell'art. 1591 c.c., non richiede la sua costituzione in mora e permane per tutto il tempo in cui rimanga nella detenzione del bene, fino al momento dell'effettiva riconsegna, che può avvenire mediante formale restituzione al locatore ovvero con il rilascio dello stesso in condizioni tali da essere per quello disponibile), diversamente è da dirsi in relazione al maggior danno, che va provato (dimostrando, ad esempio, di non aver potuto locare a canone più elevato l'immobile o venderlo a condizioni vantaggiose o utilizzarlo direttamente (Cass. III, n. 20589/2007). Chiarisce ulteriormente la Cass. III, n. 29330/2019 che l'art. 1591 c.c. – norma che esprime un principio applicabile a tutti i tipi di contratto con cui viene concessa l'utilizzazione del bene dietro corrispettivo, per l'ipotesi in cui il concessionario continui a utilizzare il bene oltre la scadenza del termine finale senza averne più titolo – si compone, di due parti: l'una relativa all'obbligo a carico del conduttore in mora nella restituzione del bene locato di corrispondere al locatore fino alla riconsegna una somma a titolo di indennità, determinata forfettariamente assumendo come parametro di riferimento minimo il canone locativo precedentemente convenuto, l'altra – eventuale – relativa al risarcimento del maggior danno patito dal conduttore. Il primo è un obbligo che sorge automaticamente, per effetto della mora, il secondo, invece, non sorge automaticamente, ma deve essere provato rigorosamente dal locatore secondo le regole ordinarie, sia in ordine alla sua sussistenza che al suo concreto ammontare, sul presupposto che l'obbligo risarcitorio non sorge anteriormente in base al valore locativo presumibilmente riconoscibile dalla astratta configurabilità della ipotesi di locazione o vendita del bene, ma vada accertato in relazione alle concrete condizioni e caratteristiche dell'immobile stesso, alla sua ubicazione, alla sua possibilità di utilizzo, onde fare emergere il verificarsi di una lesione patrimoniale effettiva e reale del patrimonio, del locatore.

Sicché, quanto al primo profilo risarcitorio, indipendentemente da qualsiasi prova fornita dal locatore, il conduttore in mora deve corrispondere, in favore del locatore, un importo pari al canone convenzionale o legale (Cass. III, n. 4401/1986), compresi eventuali aumenti o adeguamenti (Cass. III, n. 9464/1997; ma evidenzia la più recente Cass. III, n. 11675/2014 che, poiché la richiesta di aggiornamento del canone da parte del locatore, sia in caso di locazione di immobili ad uso abitativo, sia in caso di locazione ad uso diverso da quello di abitazione, costituisce condizione per il sorgere del relativo diritto, solo a seguito di tale richiesta il locatore può domandare il canone aggiornato sicché, ove non sia mai stato richiesto l'aggiornamento – o non sia stato convenuto tra le parti – lo stesso non rileva per la quantificazione dell'indennità ex art. 1591 c.c. per il ritardato rilascio dell'immobile) ed oneri accessori (Cass. III, n. 17201/2002).

Più articolata, invece, è la posizione della giurisprudenza in ordine alla prova del maggior danno giacché, a fronte di un orientamento che richiede una prova rigorosa della sua sussistenza e del suo concreto ammontare (Cass. III, n. 4864/2000; Cass. III, n. 1645/2000) – dimostrando, ad esempio, l'esistenza di precise proposte di vendita o locazione ad un corrispettivo più elevato ovvero di altri concreti propositi di utilizzazione (così Cass. III, n. 2525/2006; Cass. III, n. 268/2005; Cass. III, n. 21581/2004; in termini anche Cass. III, n. 22352/2014, per la quale la prova deve essere fornita secondo le regole ordinarie e, quindi, allegando e documentando più vantaggiose proposte di locazione o concrete possibilità di vendita dell'immobile occupato o anche mediante presunzioni) e deve essere dimostrata l'esistenza del nesso di causalità tra il ritardo nella riconsegna e la perdita della proposta vantaggiosa) – se ne è sviluppato uno, diverso, per il quale il maggior danno sarebbe da ritenere pressoché in re ipsa e desumibile anche in virtù di presunzioni (quale, ad esempio, la notoria insufficienza di alloggi abitativi ad equo canone, v. Cass. III, n. 10115/1997). Ritiene, al riguardo, Cass. III, n. 23704/2016, che il maggior danno ex art. 1591 c.c. deve essere provato in concreto dal locatore, anche mediante il ricorso a presunzioni, purché, però, sia dimostrato che il suddetto ritardo abbia concretamente pregiudicato la possibilità di locare a terzi il bene per un canone superiore all'ultimo pattuito con il conduttore inadempiente, non essendo sufficiente la prova del diverso e maggior valore locativo di mercato.

Il diritto del locatore al risarcimento del danno da ritardata consegna non può essere inficiato, peraltro, dalla circostanza che il giudice – ai sensi dell'art. 56 della l. n. 392/1978 – abbia fissato un termine di consegna per la fase esecutiva successivo alla scadenza del rapporto (Cass. III, n. 5798/1998), né dalla legislazione contingente che incida sull'attuazione della sentenza di sfratto (Cass. III, n. 10032/1998) o che sospenda l'esecuzione degli sfratti (Cass. III, n. 4420/1977).

Anche per la dottrina (Tabet, 1972, 480) il locatore deve fornire la prova del danno ulteriore, mentre il corrispettivo è dovuto anche se il locatore non prova di aver subito alcun danno: in tal senso si è evidenziato (Provera, 321) che la norma in esame stabilisce una forma di liquidazione ex lege del danno sofferto dal locatore, applicabile in via analogica anche ad altre figure contrattuali (ad esempio, il noleggio), e si collega ad un termine prescrizionale di cinque anni. Dal lato passivo del rapporto obbligatorio, si è osservato che si versa in un'ipotesi di colpa presunta del conduttore per il ritardo nella riconsegna, non potendo egli esperire la prova negativa sull'an e sul quantum del danno subito dal locatore (Provera, 319) e dovendo, piuttosto, dimostrare, per esimersi da responsabilità, che il ritardo è stato dovuto a circostanza a lui non imputabile.

Segue. La prova del danno in caso di P.A. locatrice

Interessante, infine, la questione concernente la prova del danno nel caso in cui parte locatrice sia una pubblica amministrazione.

Se è vero, infatti, che il privato locatore, per conseguire il maggior danno, è tenuto a provare l'esistenza di concrete proposte da parte di aspiranti conduttori, a siffatto onere non può essere sottoposta la locatrice P.A., visto che l'esperimento della procedura pubblica per la locazione di un suo immobile presuppone la libertà dello stesso: sicché in tal caso – afferma Cass. III, n. 16143/2010 – è sufficiente e necessaria la prova, altrimenti data, dell'ammontare del canone concretamente conseguibile sul mercato per immobili delle medesime caratteristiche.

Segue. La prova del danno in caso di P.A. conduttrice

Dalla disciplina codicistica e, in specie, dall'art. 1350, n. 8) c.c., si ricava la regola generale della forma scritta ad subsantiam per le locazioni di beni immobili che abbiano durata superiore a nove anni (le quali, peraltro, devono essere altresì trascritte, ai sensi dell'art. 2643, n. 8 c.c.) e, quale argomentum a contrario, della forma libera per tutte le altre locazioni e, in specie, quelle relative ai beni mobili (che, in virtù della mancata sottoposizione ad oneri di forma, tanto ad substantiam quanto ad probationem, possono essere provate anche per facta concludentia, con riferimento ad entrambi i loro elementi costitutivi – godimento della cosa e pagamento del corrispettivo: così Cass. II, n. 12304/1997).

Indipendentemente dalle diverse prescrizioni contenute nella disciplina speciale, deroga al principio della libertà delle forme è rappresentato dalla conclusione di contratti di locazione con la P.A.: in tal caso, in applicazione del principio generale per cui, anche quando agisce iure privatorum, la P.A. “parla” attraverso atti aventi la forma scritta (v. gli artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440/1923), il contratto di locazione concluso con la stessa, indipendentemente dalla destinazione dell'immobile (abitativa o meno), dalla durata del rapporto (infra ovvero ultranovennale) e dalla posizione assunta dall'Amministrazione (locatrice ovvero conduttrice) va redatto in forma scritta, pena nullità dello stesso, rilevabile d'ufficio (Cass. III, n. 12253/2016).

Così, ad esempio, Cass. III, n. 20387/2016 afferma che il principio per cui chiunque abbia la disponibilità di fatto di un bene, in forza di titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente locarlo, avendo il rapporto tra locatore e conduttore natura personale (v. supra), non soffre eccezioni nel caso il concedente sia un ente pubblico, costituendo la stipula del contratto nella forma scritta, imposta dalla legge per l'ente pubblico, e la consegna dell'immobile al conduttore altrettanti indici di detta disponibilità in capo all'ente medesimo; in applicazione del medesimo principio, Cass. III, n. 19410/2016 esclude la possibilità di una rinnovazione tacita, per facta concludentia, del contratto di locazione concluso con la P.A. posto che, altrimenti, si perverrebbe all'effetto di eludere il requisito formale suddetto: nella medesima occasione, tuttavia, si è altresì precisato che, quando la rinnovazione dell'originario contratto di locazione immobiliare stipulato in forma scritta sia prevista da apposita clausola contrattuale per un tempo predeterminato e sia subordinata al mancato invio di una disdetta del contratto entro un termine dalle parti prestabilito, la rinnovazione tacita per l'omesso invio di tale disdetta deve reputarsi ammissibile, in quanto la previsione della clausola, da un lato, non elude la necessità della forma scritta, e, dall'altro, attesa la predeterminazione della durata del periodo di rinnovazione, consente agli organi della P.A., deputati alla valutazione degli impegni di spesa e dei vincoli di bilancio correlati all'eventuale rinnovazione, di considerare l'opportunità, o meno, di avvalersi della disdetta.

Tali peculiarità disciplinari si riverberano, invero, anche sulla fase terminale del rapporto negoziale e, per quanto in questa sede interessa, in relazione al ristoro dei danni conseguenti alla tardiva restituzione della cosa locata.

Poiché, infatti, la responsabilità del conduttore per i danni cagionati dalla ritardata restituzione dell'immobile ex art. 1591 c.c. è di natura contrattuale, Cass. III, n. 9549/2010 precisa che, ai fini dell'accertamento della stessa e preliminarmente ad ogni altra indagine circa la ricorrenza dei presupposti fissati dalla norma,, il locatore è tenuto anzitutto a fornire la prova dell'esistenza tra le parti di un contratto di locazione e, ove si tratti di rapporto locatizio tra un privato e la P.A. conduttrice, nell'esercizio della sua attività iure privatorum, la prova anzidetta deve riguardare, in ragione della qualità del conduttore, un contratto rivestente necessariamente la forma scritta ad substantiam.

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