Legge - 27/07/1978 - n. 392 art. 11 - Deposito cauzionale.

Alberto Celeste

Deposito cauzionale.

Il deposito cauzionale non può essere superiore a tre mensilità del canone. Esso è produttivo di interessi legali che debbono essere corrisposti al conduttore alla fine di ogni anno.

Inquadramento

Con la consegna dell'immobile in buono stato locativo, il locatore ha adempiuto completamente alla propria essenziale obbligazione, mentre resta creditore di quelle di controparte relative al pagamento periodico del canone, al rimborso delle spese condominiali ed alla restituzione del bene nello stesso stato in cui venne consegnato.

Allo scopo di offrire un'idonea garanzia al medesimo locatore, l'art. 1608 c.c. – inserito nella sezione II dedicata alla “locazione di fondi urbani”, ma con disciplina fortemente rimaneggiata a seguito dell'entrata in vigore delle l. n. 392/1978 e l. n. 431/1978 – stabilisce che “l'inquilino può essere licenziato se (non fornisce la casa di mobili sufficienti o) non presta altre garanzie idonee ad assicurare il pagamento della pigione” (in correlazione a ciò, il locatore ha privilegio sui mobili che arredano la casa, riguardo ai crediti dell'anno in corso, di quello antecedente e dei successivi ex art. 2764 c.c., anche se tale situazione appare meramente teorica).

Trattasi di norma codicistica da ritenersi non implicitamente abrogata ad opera della legge sul c.d. equo canone, non confliggendo, in particolare, con l'art. 79, comma 1, che stabilisce la nullità dei “patti” in deroga alla l. n. 392/1978 che conferiscano vantaggi ulteriori al locatore, laddove invece qui la garanzia proviene direttamente dalla legge.

La disposizione de qua fa riferimento sia alle garanzie in senso proprio – personali (fideiussione) e reali (pegno, ipoteca) – sia a quella forma di garanzia peculiare della locazione che è costituita dal deposito cauzionale, istituzionalizzato dalla prassi ben prima dell'entrata in vigore della legislazione di settore (non riguarda, invece, la solidarietà fra più conduttori dello stesso immobile, perché è da escludersi che presti una garanzia, secondo l'espressione adoperata nell'art. 1608 c.c., colui che abbia al fianco, quale titolare del diritto di godimento di uno stesso immobile a pari titolo, un altro conduttore).

La costituzione del deposito – vista come effetto naturale del contratto di locazione, ossia a prescindere da un'eventuale clausola che lo preveda – dà luogo, dal lato attivo, ad un diritto di credito del locatore all'attribuzione della cauzione secondo lo schema tipico prefigurato dell'art. 1179 c.c. (“chi è tenuto a dare una garanzia, senza che ne siano determinati il modo e la forma, può prestare a sua scelta un'idonea garanzia reale o personale, ovvero altra sufficiente cautela”); tale credito all'acquisizione di una somma corrispondente a determinate mensilità del canone è tutelabile nelle forme del sequestro conservativo di cui all'art. 671 c.p.c., ancorché la dazione del danaro non integri un pagamento stricto sensu, ma realizzi invece il modo legale di costituzione della garanzia nel contratto di locazione.

Il deposito cauzionale – per quel che ci interessa da vicino, ossia nella disciplina della l. n. 392/1978, relativa alle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione – ai sensi dell'art. 11, “non può essere superiore a tre mensilità del canone ed è produttivo di interessi legali che debbono essere corrisposti al conduttore alla fine di ogni anno”; peraltro, quest'ultima disposizione, ossia il versamento di una somma diversa ed ulteriore rispetto al canone, trova applicazione anche con riferimento alle locazioni di immobili ad uso diverso da quello di abitazione, stante il relativo espresso richiamo operato dall'art. 41 della l. n. 392/1978.

L'obbligo del locatore di restituire il deposito cauzionale sorge al termine della locazione, ma solo se il conduttore abbia integralmente adempiuto alle proprie obbligazioni, giacché diversamente assume rilievo la funzione specifica del deposito, che è appunto quella di garantire preventivamente il locatore dagli inadempimenti del conduttore.

La fattispecie più frequente sotto il profilo statistico è quella in cui il conduttore arrechi danni all'immobile locato, non adempiendo così all'obbligo di restituzione della cosa locata nel medesimo stato in cui l'aveva ricevuta; qualora, però, all'atto della stipulazione del contratto di locazione immobiliare, siano stati concessi autonomamente in comodato al conduttore alcuni mobili del locatore lasciati nell'immobile, il deposito cauzionale versato dal conduttore a garanzia delle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione non svolge alcuna funzione riguardo al diverso rapporto di comodato, sicché, esauritosi il rapporto di locazione con il pagamento da parte del conduttore di tutti i canoni dovuti e la consegna dell'immobile in buono stato locativo, il locatore non potrebbe fondatamente rifiutare la restituzione del deposito cauzionale eccependo la mancata restituzione dei mobili comodati.

Va aggiunto solo che il summenzionato art. 11 della l. n. 392/1978 – il quale, disponendo che il deposito cauzionale non può essere superiore a tre mensilità del canone produttive di interessi legali da corrispondere al conduttore alla fine di ogni anno, ha abrogato per incompatibilità, ai sensi del successivo art. 84 della l. n. 392/1978, l'art. 4 della l. n. 841/1973 (articolo abrogato dall'art. 24 del d.l. n. 112/2008, conv., in l. n. 133/2008), statuente che il deposito cauzionale non poteva essere superiore a due mensilità del canone e doveva essere depositato su conto bancario vincolato – pur applicandosi come ius superveniens, a decorrere dall'entrata in vigore della citata l. n. 392/1978, non solo ai rapporti di nuova costituzione ma anche a quelli in corso, in regime transitorio, non ha trovato applicazione con riferimento a quei contratti per i quali, sempre alla data di entrata in vigore della legge sia in corso un giudizio, poiché a questi rapporti hanno continuano ad applicarsi le leggi precedenti, ai sensi dell'art. 82 della l. n. 392/1978, il quale si riferisce sia alla disciplina sostanziale che a quella processuale in materia di locazioni urbane.

D'altronde, non rientrando l'art. 11 della l. n. 392/1978 tra le norme oggetto di abrogazione ad opera della l. n. 431/1998, la disposizione in commento continua – sia pure con le precisazioni di cui appresso – a trovare applicazione anche per le locazioni ad uso abitativo stipulate sotto la vigenza della nuova disciplina.

Natura giuridica

La prevalente dottrina (per le varie teorie, v. Bocchetti, 208) configura il deposito cauzionale come pegno irregolare in relazione alla sua funzione di garanzia ed alla fungibilità dei beni che ne formano normalmente oggetto.

In parole povere, si configura il deposito cauzionale, nella misura in cui abbia ad oggetto denaro o, eventualmente, altre cose fungibili, come pegno irregolare con funzione di garanzia delle obbligazioni gravanti sul conduttore, sicché, una volta versato, esso diviene di proprietà del locatore residuando in capo al conduttore un diritto di credito esigibile solo nel momento in cui, cessato il contratto e venuta meno la sua finalità, il conduttore potrà chiederne la restituzione; la natura di pegno irregolare deriverebbe dalla circostanza dello spossessamento in danno del conduttore di una somma di denaro che viene consegnata al locatore, mentre la peculiarità è data dal fatto che il bene dato in pegno si confonde con il patrimonio del locatore, che ne diviene il proprietario; inoltre, nel pegno regolare il creditore non può disporre del bene ricevuto, che è individuato e deve essere custodito e restituito al debitore all'estinzione del debito, mentre, invece, qui il locatore può disporre liberamente del deposito ed è tenuto unicamente alla restituzione di una somma equivalente a quella versatagli all'inizio del rapporto, oltre alla corresponsione degli interessi.

Si è, però, precisato (Cosentino, Vittucci, 147) che, in realtà, si tratta di qualcosa di simile, ma non di identico, al pegno irregolare, non potendosi disconoscere alcune peculiarità proprie del deposito cauzionale e non del pegno, tra cui quella della natura meramente eventuale del credito garantito, nonché quella della possibilità per il creditore di immediata autosoddisfazione; è comunque un dato generalmente acquisito che il deposito cauzionale effettuato in denaro comporta la perdita della proprietà da parte del locatore, mentre i frutti di esso restino acquisiti al locatore, salvo poi l'obbligo di restituzione in favore del conduttore, unitamente agli interessi legali, diversamente dal pegno regolare di cosa fruttifera (art. 2791 c.c.).

Funzione diversa adempie l'eventuale deposito atipico, prestato dal conduttore a garanzia del rimborso delle utenze di acqua, luce, gas o telefono, ove le stesse rimangano intestate al locatore, costituendo esso un corrispettivo di una speciale situazione di vantaggio che esula dal fisionomico contenuto della locazione; l'obbligo di rimborsare il locatore le spese delle utenze relative all'immobile locato, laddove i relativi contratti di somministrazione non vengano intestati al conduttore, può discendere, infatti, unicamente da apposita pattuizione, diretta appunto ad accollare le spese di utenza a carico dell'effettivo utilizzatore del servizio, come tale non riferibile alla causa tipica della locazione – che consiste nello scambio del godimento di una cosa dietro il pagamento di un corrispettivo – ma piuttosto produttiva di un distinto rapporto giuridico, sia pure dipendente dalla medesima locazione quanto alla durata, con conseguente autonomia causale anche del deposito allestito a garanzia di tale rimborso (Carrato, Scarpa, 392).

Anche la giurisprudenza è sostanzialmente sulla stessa lunghezza d'onda (Cass. III, n. 23164/2013; Cass. III, n. 6962/2000; Cass. III, n. 9287/1987; Cass. III, n. 646/1980; Cass. III, n. 1564/1976; tra le pronunce di merito, si segnala: Trib. Roma 18 giugno 2004); la somma di denaro che costituisce il deposito cauzionale passa in proprietà del locatore, che può utilizzare la somma come meglio crede – diversamente da quel che prescriveva l'art. 4 della l. n. 841/1973 abrogato, il quale ne imponeva il deposito in un conto corrente bancario vincolato – mentre il conduttore ha in relazione ad essa un diritto di credito solo dal momento in cui, venuta meno la funzione del deposito, può chiederne la restituzione (Cass. III, n. 1564/1976).

La giurisprudenza di merito ne ha analizzato le conseguenze sul versante del fallimento (App. Milano 16 ottobre 1981): la costituzione di un pegno irregolare comporta che la cosa data in garanzia passa in proprietà del creditore, sicché questi assume l'obbligo di restituire il tantundem se l'obbligazione garantita viene regolarmente soddisfatta; in caso di inadempimento, invece, si attua un'operazione di compensazione che ha luogo per volontà del creditore: quando non esiste omogeneità tra le contrapposte ragioni di credito, l'una e l'altra si estinguono per quantità corrispondenti; pertanto, la costituzione di un deposito cauzionale di titoli di Stato effettuati presso il locatore dal conduttore, legittima, a seguito della dichiarazione di fallimento di quest'ultimo, la compensazione del credito per deposito cauzionale con quello per canoni di locazione, e ciò sia che il deposito medesimo si voglia considerarlo pegno irregolare (costituendo un mezzo di realizzazione della garanzia), sia che non si intenda riconoscergli la predetta natura giuridica; in quest'ultima ipotesi, dovendosi qualificare il negozio come compensazione convenzionale o come datio in solutum, ne consegue pur sempre l'estinzione dell'obbligo della restituzione dei titoli.

Trasferimento dell'immobile locato

Dalla sopra delineata natura, deriva non solo l'accessorietà con le obbligazioni che intende garantire, ma anche il diritto di seguito, con la conseguenza che il trasferimento dell'immobile comporta automaticamente quello del deposito cauzionale; quindi, il conduttore, a prescindere da quelli che sono stati i patti tra alienante (originario locatore) ed acquirente, ha diritto nei confronti di quest'ultimo alla restituzione del deposito cauzionale, al momento della riconsegna dell'immobile (Mirabelli, 669), nonchè agli interessi legali sulla relativa somma, durante lo svolgersi del rapporto.

In buona sostanza, l'acquirente subentra, ai sensi dell'art. 1602 c.c., nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione, e così anche nell'obbligazione accessoria di restituzione del deposito cauzionale versato dal conduttore, a nulla rilevando la mancata consegna del relativo importo da parte dell'originario locatore (Pret. Milano 18 luglio 1989); per tale ragione, il locatore subentrante non può opporre al conduttore, il quale reclami la restituzione della somma, di non averla ricevuta dal locatore cedente (Cass. III, n. 82/1941).

In argomento, si è statuito (Cass. II, n. 23164/2013) che l'acquirente dell'immobile locato, subentrando nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione, agli effetti dell'art. 1602 c.c., è tenuto altresì alla restituzione del deposito cauzionale versato dal conduttore, conseguendone che il venditore del bene locato ha l'obbligo di trasferire il possesso della cauzione ricevuta, salvo esplicito diverso accordo con l'acquirente, il che avviene quando dal contratto risulti che il mancato trasferimento della somma di denaro corrispondente alla cauzione sia stato oggetto di compensazione nei rapporti di dare e avere tra le parti, oppure quando il prezzo della vendita sia stato concordato sin dall'inizio in misura ridotta, tenendo conto del valore della cauzione stessa (in senso conforme, v., da ultimo, Cass. II, n. 7199/2025).

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Qualora l'alienante, al momento della vendita, restituisca al conduttore il deposito de quo, sembra da escludere che il locatore subentrante possa richiedere la costituzione della garanzia al conduttore (sempreché la casa sia fornita di mobili sufficienti), atteso che egli è succeduto in un rapporto che aveva già perduto quella garanzia particolare e pattizia.

Nel caso di trasferimento a titolo particolare dell'immobile locato, il conduttore non può sospendere il pagamento del corrispettivo pattuito, adducendo che il nuovo proprietario-locatore non ha comunicato l'avvenuto passaggio in sue mani del deposito cauzionale a suo tempo versato dal conduttore, non essendo ravvisabile alcun nesso di corrispettività tra le due suindicate obbligazioni che possa giustificare l'exceptio inadimpleti contractus (Cass. III, n. 1898/1978).

L'eventuale acquisto/vendita dell'immobile locato è stato oggetto di un attento studio da parte di giudice lombardo (Trib. Monza 15 febbraio 2011): ai sensi dell'art. 1602 c.c., l'acquirente di un bene locato subentra, nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione, dal giorno in cui l'acquisto è perfezionato, escludendo, in tal modo, che il trasferimento a titolo particolare dell'immobile ex art. 1599 c.c. possa spiegare effetti retroattivi; siffatta costruzione comporta una sorta di scissione del rapporto locatizio in due periodi distinti rispetto ai quali gli effetti del medesimo contratto si dispiegano nei confronti del soggetto titolare del rapporto in ciascun periodo; l'acquirente, quindi, non può chiedere l'adempimento di obbligazioni, connesse al rapporto stesso, che siano già esaurite al momento in cui è avvenuto il trasferimento del bene – come non può farlo, d'altra parte, il conduttore nei confronti del soggetto subentrato nel rapporto – mentre subentrerà in tutte quelle, sia diritti che doveri, che, invece, in tale momento non possano dirsi ancora compiute; in tal senso, nel caso in cui il conduttore adempia, dopo la cessazione del rapporto di locazione e dopo il trasferimento del bene al nuovo acquirente, all'obbligazione che condiziona la restituzione della cauzione, sarà quest'ultimo il soggetto onerato dalla citata restituzione e non l'originario titolare del rapporto; al momento del perfezionamento del trasferimento, infatti, devono, in tale ipotesi, dirsi sussistenti adempimenti ancora attuali – diritti e obblighi delle parti contrattuali ancora in essere – che, in applicazione dell'art. 1602 citato, si trasferiscono all'acquirente del bene locato.

Diverso, invece, il caso di subentro di un nuovo conduttore nel rapporto di locazione, perché, in mancanza del consenso del locatore, e dunque della liberazione del cedente (primo conduttore), il locatore si rivolgerà a questi solo dopo l'inadempimento del nuovo conduttore, posto il principio della responsabilità sussidiaria, mentre il deposito cauzionale sarà esigibile da chi è conduttore al tempo del rilascio dell'immobile e solo se vi è stato l'adempimento di quanto dovuto al locatore (Trib. Salerno 16 maggio 2008).

Derogabilità della disciplina

La problematica concernente la derogabilità della disciplina relativa al deposito cauzionale va inquadrata (e risolta) a seconda del diverso contesto normativo di riferimento.

Nell'ambito della legge sul c.d. equo canone, è stata affermata, in termini generali, la natura imperativa dell'obbligo del locatore di corrispondere al conduttore gli interessi legali sul deposito cauzionale, perseguendo l'art. 11 finalità di ordine generale, attraverso la tutela del contraente più debole, ed impedendo che la cauzione, mediante i frutti percepibili dal locatore, potesse tradursi in un surrettizio incremento del corrispettivo della locazione (tra le pronunce di merito, si segnalano: Trib. Roma 3 febbraio 2016; Trib. Roma 7 dicembre 2015); tuttavia, la clausola contrattuale di rinuncia del conduttore all'eccezione di compensazione in riferimento al deposito cauzionale, come forma di estinzione del credito del locatore, non si pone in contrasto con i principi normativi attinenti al tipo di contratto, ma li potenzia e specifica, poiché persegue lo scopo di impedire un utilizzo di tale deposito non conforme alla sua funzione di garanzia delle condizioni in cui viene restituito l'immobile al momento del rilascio (Cass. III, n. 20975/2020; sul versante fiscale, Cass. V, n. 16969/2016 ha chiarito che, in tema di imposte sui redditi, è legittima la ripresa a tassazione degli interessi attivi che il locatore avrebbe dovuto corrispondere al conduttore sul deposito cauzionale nonostante la rinuncia di quest'ultimo, non essendo consentita la deroga della norma imperativa sul carattere fruttifero del deposito cauzionale in quanto diretta a realizzare, tramite la tutela del contraente debole, un interesse generale).

In quest'ottica, stante l'art. 79 della l. n. 392/1978, si è statuita, in particolare, la nullità delle clausole contrattuali importanti una disciplina della restituzione difforme da quella contenuta in detta norma (Cass. III, n. 12117/2003, in tema di rinuncia agli accessori), o una pattuizione di interessi inferiori a quelli legali, oppure il patto con il quale venisse stabilito un deposito superiore a tre mensilità del canone (nel previgente regime, Cass. III, n. 3896/1979 aveva ritenuto manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 4 della l. n. 841/1973, che sanciva il divieto di un deposito cauzionale superiore a due mensilità del canone di locazione, in quanto il principio di eguaglianza, sancito dall'art. 3 Cost., non sottraeva al legislatore la potestà di riconoscere le differenze che la realtà esprimeva e di adeguare ad essa le proprie determinazioni e, quindi, non impediva, attraverso le disposizioni della legislazione vincolistica, di apprestare una serie di agevolazioni a favore dei conduttori, per metterli al riparo dalle conseguenze delle variazioni del mercato degli alloggi).

Sempre vigente la legge sul c.d. equo canone, è stata, altresì, ritenuta nulla la clausola con la quale veniva stabilito un secondo deposito, finalizzato alla “totale ripulitura e ritinteggiatura della porzione di immobile locata”, al momento della cessazione del rapporto, nonché “al ripristino di tutti gli impianti”, i quali – al momento della riconsegna – si presentavano in ottimo e perfetto stato di funzionamento (Trib. Roma 11 giugno 1990, il quale ha osservato che tale clausola si poneva in violazione dell'art. 79 della l. n. 392/1978).

In presenza di un apposito patto in tal senso, altra pronuncia di merito ha, invece, affermato che il locatore poteva trattenere il deposito per effettuare quei lavori – nella specie, si trattava della “tinteggiatura” dell'appartamento – che il conduttore si era impegnato ad eseguire alla fine del rapporto, trattandosi di un caso di “compensazione volontaria” ai sensi dell'art. 1252 c.c. (così Pret. Taranto 9 marzo 1984).

Al contempo, risultava acquisito in dottrina che le parti potessero derogare alla disciplina di cui all'art. 11 della l. n. 392/1978, ma solo in favore del conduttore, stabilendo una misura inferiore a tre mensilità del canone o interessi superiori al tasso legale (Bocchetti, 220; Giancola, 85).

Nondimeno, non poteva escludersi la legittimità di difformi soluzioni operative, come quella suggerita da un istituto bancario, il quale aveva assicurato l'interesse almeno in misura legale ai locatori che avessero depositato presso i suoi sportelli il relativo importo.

Poteva anche opinarsi (Napoletano, 3) che – ritenendo il locatore di non aver modo di impiegare la somma in un'attività che fruttasse un rendimento pari o superiore all'interesse legale – fosse consentito alle parti concordare una diversa forma di cauzione, mediante, ad esempio, il deposito di BOT o CCT, o titoli equivalenti vincolati al locatore e dei quali il conduttore avrebbe lucrato gli interessi (anche se questa soluzione poteva rendersi difficoltosa dal loro “taglio” minimo, non superiore all'importo delle tre mensilità di canone).

Una clausola in tal senso, proprio perché non incidente sull'equilibrio sinallagmatico del contratto secondo la valutazione operata dal legislatore, né risolvendosi in un “vantaggio” per il locatore – il quale avrebbe evitato solo il pregiudizio economico di dover sottrarre dall'importo annuale del canone la differenza tra gli interessi legali e quelli da lui percepiti con il deposito della somma avuta a garanzia – sarebbe stata, pertanto, da reputare valida.

Nella medesima prospettiva, è stata ritenuta valida la costituzione del deposito cauzionale, e quindi la realizzazione della sottesa forma di garanzia, tramite fideiussione bancaria: invero, una pattuizione in tal senso non poteva essere considerata nulla ex art. 79 citato, atteso che non comportava necessariamente, per il conduttore, quella privazione di mezzi finanziari, con trasferimento di mezzi al locatore, che l'art. 11 appunto sanzionava (Trib. Verona 22 agosto 1990).

In quest'ultima decisione di merito, il magistrato scaligero è partito dalla premessa per cui l'art. 11 della l. n. 392/1978 vietava, sia pure a contrario, la costituzione di depositi cauzionali in misura eccedente tre mensilità di canone, e prescriveva che gli interessi legali prodotti dal deposito fossero versati annualmente al conduttore, dovendosi stabilire se la pattuizione contrattuale che, in aggiunta alla costituzione di deposito cauzionale, prevedeva l'obbligo del conduttore di fornire fideiussione a garanzia dell'adempimento delle obbligazioni nascenti dalla locazione, si ponesse oggettivamente in contrasto con il precetto di detta norma, essendo indiscutibile che la pattuizione stessa comportava un vantaggio per il locatore (sia pure nell'àmbito delle locazioni ad uso non abitativo, Cass. III, n. 6517/2014 ha precisato che la facoltà, attribuita contrattualmente al conduttore, di sostituire il deposito cauzionale, dovuto ai sensi degli artt. 11 e 41 della l. n. 392/1978, con una fideiussione bancaria a prima richiesta, determina l'inapplicabilità dell'art. 1956 c.c., che presuppone il carattere futuro dell'obbligazione garantita, avendo tale fideiussione, da qualificarsi, peraltro, come cauzione o polizza fideiussoria, funzione di garanzia di un obbligo immediato, certo, liquido ed esigibile e natura di equivalente del denaro contante).

Il suddetto giudice ha ritenuto, in proposito, che il regime protettivo realizzato con la disposizione in esame e quelli analoghi avevano in comune la connotazione, decisiva ai fini della valutazione de qua, relativa all'oggetto (denaro o mezzi finanziari equiparabili) della consegna al locatore; della fondatezza di siffatta conclusione convincevano le precedenti disposizioni della legislazione vincolistica – miranti tutte a regolare il solo istituto del deposito cauzionale – e la stessa formulazione della norma, nella quale non si rinveniva alcun riferimento ad ipotetico carattere di “esclusività” di tale tipo di garanzia; e sembrava assumere decisivo rilievo la considerazione che, ove il legislatore avesse inteso estendere il regime protettivo al divieto di prestazione di altre forme di garanzia, non si sarebbe limitato a sancire puramente e semplicemente la misura massima del deposito (e l'obbligo di corresponsione degli interessi), ma avrebbe esplicitamente formulato una disposizione destinata, in ipotesi, a svolgere funzione talmente rilevante da essere rafforzata da sanzione di nullità insanabile delle pattuizioni contrarie.

In altri termini, la nullità ex art. 79 citato poteva colpire pattuizioni tendenti a costituire forme di garanzia assimilabili quanto a contenuto ed oggetto al deposito di cui all'art. 11, limitatamente alla parte eccedente la misura fissata in quest'ultima norma, ma “ciò non ricorreva nella specie perché, così formulata, l'obbligazione non comportava necessariamente privazione, neppure in via mediata, di mezzi finanziari a carico del conduttore (e meno ancora trasferimento di tali mezzi al locatore), essendo sufficiente che altro soggetto, oltre al conduttore, rispondeva dell'adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto locatizio”.

Parte della dottrina si è mostrata contraria alla costituzione di una fideiussione bancaria anziché una somma di denaro (Grasselli, Masoni, 455), atteso che, mentre il deposito cauzionale, se pure priva il conduttore della disponibilità di una certa somma, prevede la corresponsione di interessi a suo favore, la prima rappresenta, invece, un puro costo a carico del medesimo conduttore, per tutta la durata del contratto.

Peraltro, considerando che l'art. 79 della l. n. 392/1978 esigeva, per la nullità della pattuizione, che fosse attribuito al locatore “altro vantaggio” in contrasto con le disposizioni di essa legge, poteva (ancorché dubitativamente) opinarsi che, stabilendo un interesse inferiore a quello legale nella misura degli interessi bancari che quel singolo locatore percepiva sui propri depositi, le parti realizzassero un assetto rispondente ai loro interessi.

Di contrario avviso, altra parte della dottrina (Colombo, 112), la quale ritiene una simile pattuizione pienamente valida ed efficace, giacché la fideiussione e la garanzia a prima richiesta sostanziano impegni di soggetti terzi estranei al rapporto locatore/conduttore i quali garantiscono con il proprio patrimonio le obbligazioni assunte dal conduttore, evidenziando, inoltre, come l'estraneità al rapporto di locazione del soggetto garante sottragga la garanzia bancaria al limite delle tre mensilità, atteso che la norma dell'art. 11 è posta a tutela del conduttore e non vi è ragione di applicarla ad un soggetto terzo.

In giurisprudenza, è stato affermato, altresì, che le modalità di deposito della somma versata a titolo di cauzione, sia pure convenute tra le parti, non potevano incidere sul diritto del conduttore ad avere per intero quanto previsto dalla legge, e tale obbligo di restituzione gravava esclusivamente sul locatore, non avendo alcuna rilevanza sul punto l'obbligo della banca depositaria della somma di decurtare l'importo della ritenuta di legge, dovendo il locatore corrispondere per intero gli interessi legali maturati (Pret. Roma 25 gennaio 1999).

Comunque, il patto contrattuale che preveda il versamento del deposito cauzionale su libretto di risparmio intestato al conduttore con capitalizzazione degli interessi è affetto da nullità rilevabile anche d'ufficio dal giudice, ex art. 79 della l. n. 392/1978, nei limiti in cui da esso consegua un trattamento deteriore per il conduttore rispetto a quello stabilito dall'art. 11 stessa legge, per il quale il deposito cauzionale “è produttivo di interessi legali che debbono essere corrisposti al conduttore alla fine di ogni anno” (così Pret. Milano 20 aprile 1990).

I maggiori spazi che la novella del 1992 – segnatamente, il d.l. n. 333/1992, convertito, con modificazioni, nella l. n. 359/1992 (“Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica”) – aveva lasciato all'autonomia delle parti si riverberava indubbiamente su tale problematica, nel senso che, negli “accordi in deroga”, poteva essere validamente inserito un patto che consentisse di ovviare a tale situazione, stante che, altrimenti, nel concordare il “canone”, le parti avrebbero dovuto conteggiare le somme in questione e farle rientrare mensilmente nel canone stesso, raggiungendo in maniera più complicata il medesimo risultato.

Riguardo ai contratti in corso all'entrata in vigore della menzionata legge – qualora le parti non fossero addivenute ad una modifica del patto di garanzia nel senso suddetto – ove il locatore non impiegasse la somma in maniera tale che gli rendesse in misura pari o superiore al saggio legale, unica soluzione appariva quella di rinunciare alla garanzia, restituendo il deposito cauzionale, con l'avvertimento che, pur nell'ammissibilità di tale unilaterale rinuncia, egli non riacquistava il diritto alle altre garanzie di cui all'art. 1608 c.c., che erano state superate da quella specifica.

Quanto all'art. 11 della l. n. 392/1978 – non abrogato dalla nuova disciplina delle locazioni abitative – in riferimento ai contratti di cui alla l. n. 431/1998, si ritiene, invece, ammissibile una deroga alla disciplina legale dettata in tema di deposito cauzionale solo nei limiti di una reale trattativa fra le parti che mantenga sostanzialmente equilibrato il sinallagma del rapporto.

Infatti, l'abrogazione dell'art. 79 della l. n. 392/1978, nella nuova prospettiva, è del tutto consequenziale, stante l'incongruità, nel sistema, di rigide – e per altro verso ambigue – formule di protezione; proprio per questo, tuttavia, sarebbe sbrigativa una lettura della norma come una sorta di affermazione di validità di qualsivoglia clausola difforme dai contenuti dei differenti statuti locatizi, laddove si è voluto, invece, affidare al giudice la valutazione della rilevanza, nella singola fattispecie, della c.d. deroga e la sua incidenza sull'equilibrio del complessivo assetto di interessi (Lazzaro, Di Marzio, 289).

Si intende, dunque, affermare che, attraverso la trama delle disposizioni – tanto nuove quanto sopravvissute alle abrogazioni – volte a regolare la sostanza della locazione, la legge attualmente disegna il normale atteggiarsi del rapporto locativo improntato all'osservanza del principio di parità concreta, ammettendo che le parti, in ragione della cura dei propri particolari interessi, se ne possano discostare, ma solo se l'allontanamento dalla regola, specificamente negoziato, consenta di conservare, e non di intaccare, il principio di parità.

Si osserva, in proposito, che, mantenendo integra la disciplina del deposito cauzionale, il legislatore abbia espresso una valutazione di congruità che, per essere modificata, deve trovare giustificazione in una situazione obbiettiva e singolarmente negoziata, sicché, ad esempio, potrebbe ritenersi valida la previsione di un deposito particolarmente elevato se rapportato a rifiniture preziose dell'immobile locato.

La giurisprudenza di merito è andata oltre, affermando che la clausola che esclude l'obbligo del locatore di restituire al conduttore gli interessi maturati sul deposito cauzionale da quest'ultimo versato al momento della stipula del contratto è valida se accede ad un contratto stipulato dopo l'entrata in vigore della l. n. 431/1998, mentre è invalida se accede ad un contratto stipulato anteriormente (Trib. Modena 23 luglio 2004).

Tale opzione ermeneutica è stata avallata da una parte della dottrina, la quale ha opinato l'art. 11 della l. n. 392/1978 derogabile in ipotesi di contratti di locazione ad uso abitativo conclusi sotto la vigenza della l. n. 431/1998, quale conseguenza della liberalizzazione del canone operato da tale ultima normativa, sicché le parti non solo potrebbero convenire un importo del canone superiore alle tre mensilità, ma finanche la sua fruttuosità in favore del locatore (Grasselli, Masoni, 457).

Interessi legali

Dunque, il summenzionato art. 11 della l. n. 392/1978 stabilisce – tra l'altro – che il deposito cauzionale è produttivo di interessi legali che debbono essere corrisposti al conduttore “alla fine di ogni anno” (e, ovviamente, continuano a maturare finché la somma detenuta dal locatore a titolo di deposito cauzionale rimane in possesso dello stesso).

In tal modo, la normativa speciale ha innovato rispetto alla disciplina codicistica giacché, diversamente da quanto previsto dall'art. 1282 c.c., il deposito cauzionale produce interessi nonostante il relativo credito (di natura restitutoria) sia carente del requisito dell'esigibilità, predicato che interviene solo al momento della cessazione del rapporto locatizio, con la restituzione dell'immobile al locatore (Gabrielli, Padovini, 438).

Al riguardo, è sorta la questione se, una volta adempiuta tardivamente dal locatore l'obbligazione di corresponsione annuale degli interessi sul deposito cauzionale, questi ultimi maturino a loro volta ulteriori interessi: in altri termini, qualora – come spesso accade – il locatore non provvede al pagamento degli interessi alla suddetta scadenza ed il conduttore non ne faccia richiesta, ci si è chiesti se, al termine della locazione, gli interessi si debbano calcolare non solo sul capitale costituito dal deposito, ma anche sugli interessi scaduti.

Ove, quindi, il locatore non corrisponda al conduttore gli interessi anno per anno, si è posta, in dottrina, la questione della maturazione, al termine della locazione, di interessi anatocistici su quelli non versati medio tempore al conduttore: l'orientamento maggioritario è per la soluzione negativa, argomentando tale conclusione sia sul divieto posto dall'art. 1283 c.c., sia sulla sostanziale acquiescenza che il conduttore avrebbe prestato alla loro ricezione solo al termine del rapporto locatizio (Winkler, 436).

Un giudice di merito (Trib. Roma 26 ottobre 2000) ha opinato che il riconoscimento degli interessi sul deposito cauzionale al conduttore, nel quadro di applicazione della l. n. 392/1978, risponde all'esigenza di evitare che, per effetto della redditività del deposito, il locatore possa vedersi incrementare il corrispettivo, ma, nondimeno, la produttività di interessi della cauzione è riflesso della normale produttività di frutti del denaro, la quale costituisce fonte della disciplina dettata dall'art. 1282, comma 1, c.c., sicché non vi è ragione alcuna di sottrarre gli interessi prodotti dal deposito cauzionale alla regola prevista dal successivo art. 1283 c.c., secondo cui gli interessi scaduti non producono interessi se non dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione.

In argomento, si è stato puntualizzato che gli interessi anatocistici sugli interessi sul deposito cauzionale ben possono essere dal locatore corrisposti – non già alla fine di ogni anno, bensì – unitamente alla restituzione dell'immobile alla scadenza definitiva del contratto di locazione, con la conseguenza che il relativo credito diviene liquido ed esigibile solamente all'esito della pronuncia giudiziale che ne determina l'effettivo ammontare (Cass. III, n. 25136/2006).

Comunque, le modifiche al tasso di interesse legale si applicano anche ai rapporti in corso: la giurisprudenza di legittimità ha avuto occasione di affermare tale principio in subiecta materia riguardo all'art. 9 della l. n. 833/1969, dove è stato precisato che detta norma si applica, in quanto ius superveniens, anche ai rapporti di locazione sorti anteriormente alla sua entrata in vigore e ancora pendenti, perché, senza incidere sul principio dell'irretroattività della legge, si limita a regolare uno degli effetti dei rapporti in corso (Cass. III, n. 4360/1988; Cass. III, n. 3815/1979), e le considerazioni svolte si attagliano, pertanto, alle periodiche modificazioni del tasso di interesse legale derivanti dal testo novellato dell'art. 1284 c.c.

Adeguamento dell'importo

Sulla possibilità di adeguare il deposito cauzionale mano a mano che il canone subisce i vari aggiornamenti ISTAT – una volta, in forza dell'art. 24 della l. n. 392/1978 e, oggi, in base all'apposita clausola che le parti abbiano stipulato – un primo indirizzo (più restrittivo) reputa che l'importo delle tre mensilità del canone deve essere valutato all'atto della stipula del contratto di locazione e resta “insensibile alle variazioni del canone” (così Pret. Roma 12 marzo 1982); un patto in tal senso – nella vigenza della l. n. 392/1978 – sarebbe in conseguenza colpito da nullità (Pret. Milano 13 novembre 1981; v. anche Pret. Roma 15 maggio 1984, ad avviso del quale il deposito cauzionale non può essere adeguato al canone, nel corso della locazione, in quanto il principio di equilibrio tra prestazioni corrispettive vale nell'àmbito del medesimo rapporto e non già a far interagire due figure negoziali ben distinte, seppure venute in essere nella stessa occasione); del resto, si sostiene che il deposito cauzionale costituisce pegno irregolare a garanzia dei crediti vantati dal locatore nei confronti del conduttore con riguardo alla cosa locata e, in quanto tale, non possa mutare nel corso del rapporto di locazione in ragione delle variazioni cui è soggetto il canone.

A ciò si contrappone un indirizzo (più liberale) di matrice dottrinale (Cappelli, 95; Bocchetti, 224; contra, Trifone, 489), per il quale, essendo la garanzia rapportata alle tre mensilità di canone, qualora quest'ultimo subisca modifiche nel corso del rapporto, la mancata rivalutazione del deposito comporta una diminuzione in termini reali della garanzia, sicché, proprio in conseguenza di questa connessione, deve ritenersi che il deposito cauzionale debba risentire degli aggiornamenti ISTAT.

Anche una parte della giurisprudenza esclude la contrarietà di una simile previsione con il divieto di cui all'art. 79 della l. n. 392/1978, osservando che, diversamente opinando, il deposito finirebbe per perdere quella funzione di garanzia sua propria, risultando incongruo, sul lungo periodo, rispetto al canone di locazione (Cass. III, n. 4360/1988; Trib. Roma 24 luglio 1992).

Nascita dell'obbligo restitutorio

Il deposito cauzionale garantisce tutte le prestazioni gravanti sul conduttore e, quindi, non solo i crediti per mancata corresponsione del canone e/o degli oneri condominiali, ma anche (e talvolta, soprattutto) eventuali danni alla cosa locata; nel corso del rapporto, pertanto, il conduttore non può imputare in conto canoni l'importo del deposito (App. Cagliari 16 marzo 1985; Pret. Milano 14 marzo 1974), costituendo un siffatto comportamento inadempimento grave, legittimante la risoluzione del contratto (Trib. Verona 18 dicembre 1981).

In altri termini, prima della scadenza della locazione, il conduttore non può sospendere il pagamento del canone relativo agli ultimi mesi, imputando il mancato pagamento al deposito cauzionale; va, infatti, esclusa la compensazione, stante che il credito del conduttore non è ancora scaduto, mentre lo è quello del locatore per i canoni scaduti (Tabet, 452).

Al contempo, l'obbligo del locatore di corrispondere al conduttore gli interessi legali sul deposito cauzionale versato da quest'ultimo e l'obbligo del conduttore di pagare il canone, ancorché aventi causa in un unico rapporto contrattuale, non sono in posizione sinallagmatica, ma presentano carattere di autonomia, con la conseguenza che tra loro opera l'istituto della compensazione allorché ne ricorrano i presupposti (Cass. III, n. 9059/2002; contra, Cass. III, n. 9287/1987; in argomento, v. anche Cass. III, n. 7360/1997, ad avviso della quale il locatore, ancorché abbia ottenuto un titolo esecutivo per l'intera somma dovuta dal conduttore per il mancato pagamento dei canoni, può soddisfare anche in parte il suo credito con il deposito cauzionale ed eccepire l'estinzione del credito di restituzione del deposito del conduttore per effetto della compensazione con il proprio credito, pregiudicando in tal modo le eventuali successive pretese del terzo creditore pignorante ex art. 543 c.p.c.).

La restituzione del deposito deve avvenire dopo che lo stesso deposito ha esaurito la funzione di garanzia assegnatagli dalla legge e per la parte che supera il soddisfacimento dei crediti del locatore (Cass. III, n. 9287/1987; nella giurisprudenza di merito, v. Pret. Palermo 18 ottobre 1988).

In questa prospettiva, si è ribadito che il deposito cauzionale ed i relativi interessi, qualora per questi ultimi non si sia provveduto alle scadenze annuali a norma dell'art. 11 della l. n. 392/1978, vanno restituiti dal locatore al conduttore una volta che il vincolo contrattuale si sia risolto ed il conduttore abbia integralmente adempiuto le proprie obbligazioni (v., altresì, Cass. III, n. 538/1997, in fattispecie in cui il locatore aveva dedotto che il conduttore, essendo receduto senza preavviso, gli aveva cagionato un danno di importo corrispondente al cumulo dei canoni scaduti durante tutto il periodo per il quale l'immobile era rimasto sfitto; tra le pronunce di merito, si segnalano: Pret. Pordenone 24 marzo 1999, che ha escluso l'esigibilità del credito per restituzione del deposito laddove il locatore abbia puntualmente fatto riserva di agire separatamente per i danni cagionati dal conduttore; Trib. Monza-Desio 3 novembre 2004, secondo cui, in caso di recesso del conduttore al di fuori delle ipotesi stabilite dalla legge, il locatore non è obbligato a restituire il deposito cauzionale, poiché tale obbligo sussiste solo se il conduttore ha adempiuto le proprie obbligazioni, ivi compresa quella di restituire l'immobile in buono stato e di pagare i canoni dovuti).

Quindi, l'obbligo di restituzione non sorge per il locatore a seguito della riconsegna della cosa ma – come sopra anticipato – dell'integrale adempimento delle obbligazioni gravanti sul conduttore (Cass. III, n. 7360/1997 cit.; Cass. III, n. 538/1997 cit.; Cass. III, n. 9287/1987, cit.; Cass. III, n. 2206/1972), restando altrimenti il relativo credito inesigibile (Trib. Milano 8 febbraio 1990, in una fattispecie in cui l'ex conduttore risultava ancora debitore di somme corrispondenti a due mensilità del corrispettivo; peraltro, ad avviso di Pret. Piacenza 15 marzo 1999, nella causa instaurata dal cessato conduttore al fine di ottenere la restituzione della somma versata a titolo di deposito cauzionale, non costituisce prova a suo favore la dichiarazione, priva di sottoscrizione, asseritamente resa dal locatore ed attestante il buono stato dell'immobile alla data del rilascio, essendo la stessa piuttosto idonea a comprovare indirettamente l'assunto secondo cui la sottoscrizione non fu apposta in considerazione del riscontrato degrado dei locali al momento della riconsegna).

Nella medesima prospettiva, il ritardo nell'esecuzione dell'obbligo di rilasciare l'immobile costituisce un comportamento antigiuridico del conduttore, che legittima la condanna generica al risarcimento dei danni (salvo il relativo onere probatorio a carico del locatore in sede di liquidazione), mentre l'obbligo del locatore di restituire il deposito cauzionale sussiste solo se il conduttore ha integralmente adempiuto le proprie obbligazioni; pertanto, qualora il locatore abbia agito per i danni da inadempimento del conduttore, da liquidarsi in separata sede, il suo obbligo restitutorio sarà esigibile solo all'esito del relativo giudizio (Cass. III, n. 9160/2002; dal canto suo, Trib. Roma 25 ottobre 2002 ha avuto modo di precisare che qualora, alla scadenza della locazione, il bene restituito al locatore presenti dei vizi, in mancanza di prove contrarie deve presumersi, ex art. 1590, comma 2, c.c., che al momento della stipula del contratto il bene stesso fosse in buono stato di manutenzione e che, quindi, i vizi esistenti siano stati prodotti dal conduttore, ma tale presunzione resta superata se il locatore accetta senza riserva l'immobile e restituisce al conduttore il deposito cauzionale).

Tuttavia, il locatore non può trattenere la somma a tempo indeterminato dopo la riconsegna dell'immobile (allo scopo di un'eventuale futura rivalsa dei danni), ma deve proporre apposita domanda giudiziale, restando altrimenti il diritto del conduttore alla restituzione azionabile anche con procedura monitoria (De Tilla 1990, 1341).

In tal senso, i giudici di Piazza Cavour hanno puntualizzato che l'obbligazione del locatore di restituire il deposito cauzionale versato dal conduttore, a garanzia degli obblighi contrattuali, sorge al termine della locazione non appena avvenuto il rilascio dell'immobile locato, con la conseguenza che, ove il locatore trattenga la somma anche dopo il rilascio dell'immobile da parte del conduttore, senza proporre domanda giudiziale per l'attribuzione, in tutto o in parte, della stessa a copertura di specifici danni subiti, la sua obbligazione di restituzione ha per oggetto un credito liquido ed esigibile, che legittima il conduttore ad ottenere il decreto ingiuntivo (Cass. III, n. 14655/2002; conformi, nella giurisprudenza di merito, Trib. Modena 9 marzo 2012, precisando che, in caso di cessione del contratto di locazione, è il conduttore cessionario ad essere legittimato alla restituzione del deposito cauzionale a suo tempo versato; Trib. Pordenone 9 ottobre 2003; Trib. Roma 30 ottobre 1995 ha ritenuto nulla, perché in violazione delle norme inderogabili di cui agli artt. 11 e 79 della l. n. 392/1978, la clausola che prevede l'incameramento, da parte del locatore, del deposito cauzionale per ritardata restituzione della cosa locata, salvo il risarcimento del maggior danno, potendo il locatore trattenere tale somma solo previa proposizione di domanda giudiziale); in tal caso, i diritti del locatore potranno essere fatti valere in sede di opposizione all'ingiunzione, sempre che la sua pretesa sia compresa nei limiti della competenza del giudice che ha emesso il decreto (Cass. III, n. 4725/1989; al contempo, Trib. Larino 14 gennaio 2016 ha affermato che, una volta terminato il rapporto locatizio e riconsegnato l'immobile, il deposito cauzionale non assolve più la funzione di garanzia prevista dalla legge, sicché il locatore è gravato dall'obbligo restitutorio della cauzione a suo tempo incassata, salva l'ipotesi in cui abbia agito in giudizio per ottenere il risarcimento di specifici danni cagionati dal conduttore, né il rifiuto di restituire il deposito cauzionale può essere giustificato da mere allegazioni del locatore, per cui, qualora il conduttore abbia ottenuto un decreto ingiuntivo per la restituzione, gli eventuali diritti del locatore dovranno essere fatti valere in sede di opposizione all'ingiunzione o, se sia stata introdotta un'azione ordinaria, in sede riconvenzionale).

Pertanto, qualora il locatore trattenga la somma anche dopo il rilascio dell'immobile da parte del conduttore, senza proporre domanda giudiziale per l'attribuzione, in tutto o in parte, della stessa a copertura di specifici danni subiti, il conduttore può esigerne la restituzione, non potendosi inferire, sempre e comunque, dalla sua dismissione l'insussistenza di obbligazioni inadempiute del conduttore o di danni da risarcire (Cass. III, n. 9442/2010, la quale, per altro verso, ha escluso che la dichiarazione di improcedibilità dell'opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo con cui era stata disposta la restituzione della cauzione al conduttore comportasse la formazione di un giudicato in ordine all'esclusione del diritto del locatore al pagamento dei canoni e degli oneri condominiali rimasti insoluti ed al risarcimento dei danni); parimenti, laddove il locatore ometta di verificare, all'atto della riconsegna delle chiavi, le condizioni dell'appartamento locato ed i danni arrecativi dal conduttore: tale comportamento non è, di per sé, espressione di un'inequivoca volontà abdicativa del diritto del locatore al risarcimento del danno e non implica, quindi, tacita rinuncia a tale diritto (Cass. III, n. 10152/1993).

Questa impostazione è stata oggetto di critica (Grasselli, Masoni, 462), sembrando “un po' fuori dalla realtà” ipotizzare che, nell'immediatezza della riconsegna dell'immobile, il locatore debba intentare un'azione giudiziaria per eventuali danni nei confronti del conduttore, senza prima avere il tempo di accertarli e, eventualmente, tentare, in contraddittorio con quest'ultimo, una definizione stragiudiziale.

Per quanto concerne gli interessi legali di cui è menzione nell'art. 11 in esame – v. supra – posto che l'obbligo del locatore di corrispondere al conduttore gli stessi sul deposito cauzionale ha natura imperativa, in quanto persegue finalità di ordine generale, tutelando il contraente più debole ed impedendo che la cauzione, mediante i frutti percepibili dal locatore, possa tradursi in un incremento del corrispettivo della locazione, si è chiarito che tali interessi devono essere corrisposti al conduttore anche in difetto di una sua espressa richiesta (Cass. III, n. 25136/2006; Cass. III, n. 14655/2002; Cass. III, n. 979/1995; Cass. III, n. 8405/1993).

Tuttavia, benché, sul piano del diritto sostanziale, la cauzione produca sempre interessi in favore del conduttore che l'abbia versata, sul piano processuale, il locatore può essere condannato al pagamento di tali interessi soltanto se il conduttore abbia proposto ritualmente una domanda in tal senso, non potendo altrimenti il giudice provvedervi d'ufficio (Cass. III, n. 23052/2009: nella specie, non essendo stata la relativa domanda riproposta in appello, si era cassata la sentenza di merito che aveva condannato parte locatrice a corrispondere alla conduttrice gli interessi sulla somma versata a titolo di cauzione; ad avviso di Cass. III, n. 9059/2002, trattandosi di eccezione in senso stretto di natura riconvenzionale, come tale non rilevabile d'ufficio dal giudice per l'espresso divieto posto dall'art. 1242, comma 1, c.c., va considerata inammissibile, ai sensi degli artt. 447 bis, 437 e 345 c.p.c., se non proposta già in primo grado, secondo le peculiarità del rito).

Resta sempre inteso che l'inosservanza dell'obbligo, da parte del conduttore, di corrispondere all'inizio della locazione il deposito cauzionale, comporta la risoluzione del contratto (Trib. Roma 20 luglio 1983; Trib. Brescia 17 febbraio 1992; Cass. III, n. 356/1962, in relazione all'art. 1608 c.c., anche se le parti non abbiano previsto nulla in tal senso; ad avviso di App. Cagliari 17 maggio 1991, invece, la mancata integrazione del deposito cauzionale, contrattualmente convenuta, non costituisce grave inadempimento idoneo a provocare la risoluzione del contratto di locazione).

Prescrizione del diritto alla restituzione

Il diritto del conduttore di ottenere la restituzione del deposito cauzionale si prescrive nel termine ordinario decennale, atteso che la funzione di mera garanzia del suddetto deposito ne esclude l'assimilabilità al canone o, comunque, ad un corrispettivo della locazione, e che la prescrizione breve quinquennale riguarda esclusivamente l'azione del locatore volta al pagamento del canone (Cass. III, n. 6941/1992; in argomento, v. anche Pret. Parma 4 gennaio 1996, ad avviso del quale, similmente agli interessi sui salari e sulle altre prestazioni dei lavoratori, per i quali la prescrizione non può che decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro, per gli interessi sulla cauzione versata all'atto della stipula del contratto di locazione la prescrizione non potrà mai decorrere durante il rapporto di locazione ma soltanto dalla cessazione del medesimo).

Invero, il deposito cauzionale ha la funzione di garantire il locatore dell'adempimento di tutti gli obblighi che incombono al conduttore e, quindi, non soltanto per gli eventuali danni recati alla cosa locata, ma anche per l'integrale pagamento della pigione ed è legalmente commisurato all'ammontare del canone, tuttavia, aldilà di questa relazione, il deposito non può essere assimilato al canone, costituendo invece un “pegno irregolare”, e cioè una somma di denaro che passa in proprietà del locatore e sulla quale il conduttore vanta un diritto di credito solo al momento in cui, essendo venuta meno la funzione di garanzia, può chiederne la restituzione; ne consegue, altresì, che non può neppure considerarsi un “corrispettivo” di locazioni, secondo l'ampia e generica espressione con la quale l'art. 2948, n. 3), c.c. indica quei diritti di credito che, insieme alle pigioni delle case ed ai fitti dei beni rustici, si prescrivono in cinque anni (peraltro, questo termine breve riguarda esclusivamente l'azione del locatore diretta ad ottenere il pagamento del canone locativo).

Competenza per materia

Per completezza, va rammentato che è stato categoricamente affermato che tutte le controversie in materia di locazioni immobiliari esulano dalla competenza del giudice di pace, perché, a seguito della soppressione dell'ufficio del pretore, la competenza in materia di locazione di immobili urbani è stata attribuita alla competenza del tribunale (Cass. III, n. 2143/2006, in fattispecie relativa alla restituzione di deposito cauzionale).

La soluzione della questione non è affatto scontata, come prima facie potrebbe apparire, e proprio l'istituto del deposito cauzionale, riguardante importi di solito rientranti nella competenza per valore del suddetto magistrato onorario, potrebbe indurre a rivedere il consolidato orientamento.

Invero, la competenza in tema di locazione discendeva dall'art. 8, comma 2, n. 3), c.p.c. che contemplava la cognizione esclusiva del pretore, indipendentemente dal valore, “per le cause relative a rapporti di locazione e di comodato di immobili urbani e per quelle di affitto di aziende, in quanto non siano di competenza delle sezioni specializzate agrarie”, e ad essa si correlava l'operatività di un particolare rito individuato dall'art. 447-bis c.p.c. sulla falsariga di quello applicabile alle controversie individuali di lavoro (sull'ampia portata del termine “rapporti di locazione”, tale da comprendere tutte le questioni, concernenti obbligazioni principali ed accessorie, derivanti dal relativo contratto, v., tra le altre, Cass. III, n. 4503/2001; Cass. III, n. 6962/2000; Cass. III, n. 13476/1999; Cass. III, n. 3607/1999; Cass. III, n. 1640/1999; Cass. III, n. 11859/1998; Cass. III, n. 9907/1998; Cass. III, n. 8964/1998; Cass. n. 898/1996; tra le pronunce di merito in argomento, v. Trib. Nocera Inferiore 9 marzo 1998; Trib. Roma 17 luglio 1996; Trib. Firenze 21 maggio 1996).

Una volta abrogato il predetto art. 8 c.p.c. – nella sua interezza, in forza dell'art. 49 del d.lgs. n. 51/1998, recante l'istituzione del giudice unico – si è posto il problema della competenza per materia in tali controversie e, di conseguenza, del relativo rito applicabile, in quanto nella nuova stesura dell'art. 447-bis c.p.c. non compare più ogni riferimento all'art. 8 citato; d'altra parte, alla suddetta abrogazione dell'art. 8 c.p.c., il legislatore del 1998 non ha accompagnato il trasferimento delle relative previsioni di competenza nel testo del successivo art. 9 c.p.c. che, infatti, al comma 2, nell'elencare le controversie riservate alla competenza esclusiva del tribunale, non menziona le materie assegnate in precedenza al pretore.

Pertanto, dopo l'istituzione del giudice unico di primo grado e la contestuale scomparsa della figura del pretore, manca una disposizione che stabilisca esplicitamente se la cognizione delle nuove controversie locatizie (prima di competenza pretorile) spetti soltanto al tribunale ratione materiae o debba, invece, essere ripartita tra quest'ultimo ufficio ed il giudice di pace secondo il valore della causa.

La maggior parte dei commentatori dà per sicuro che la competenza in esame sia trasmigrata dal pretore al tribunale con la stessa qualificazione di competenza per materia che aveva secondo il predetto art. 8 c.p.c. (Carrato 2002, 516; Mirenda, 101; Grasselli, 397; Spagnuolo, 531), sicché risulta isolata l'opinione che ha ritenuto, al contrario, che la competenza ex pretorile in parte potesse ricadere nell'àmbito di quella del giudice di pace di cui al comma 1 dell'art. 7 c.p.c., non esistendo più alcuna norma attributiva della competenza per materia ad un solo ufficio giudiziario (Celeste, 321, a favore di una riviviscenza della competenza del giudice onorario in subiecta materia); si osservava, peraltro, che l'art. 428, comma 2, c.p.c. – così come sostituito dall'art. 84 del d.lgs. n. 51/1998, ed applicabile alla materia de qua in forza del rinvio operato dall'art. 447-bis c.p.c. – era l'unico a prevedere espressamente che le cause locatizie rientrassero nella competenza del tribunale, in quanto in tutti gli altri disposti normativi la parola “pretore” era stata sostituita con la parola “giudice”, il che poteva far propendere per un riparto di competenza tra il magistrato onorario, quale era il giudice di pace, e quello togato, quale era esclusivamente il tribunale.

Secondo quest'ultima tesi, nelle controversie locatizie, poteva individuarsi, accanto alla competenza generalizzata del tribunale, una concorrente competenza del giudice di pace, nel limite del valore di cinquemila euro, ai sensi dell'art. 7, comma 1, c.p.c. (così come modificato dalla l. n. 69/2009), purché la controversia investisse solamente il pagamento di somme determinate e non contestate, la cui obbligazione scaturisse da uno di tali rapporti – v., per esempio, appunto il deposito cauzionale, ma analoghe considerazioni potevano farsi per canoni, oneri accessori, indennità di occupazione ex art. 1591 c.c., ecc. – senza però che venissero posti in discussione altri elementi del contratto di locazione, o la misura di tali corrispettivi, perchè altrimenti la relativa causa doveva essere proposta davanti al tribunale (in termini generali, sulla possibile obiezione secondo cui la cognizione del magistrato fosse circoscritta ai beni mobili, v. anche Cass. S.U., n. 21582/2011, ad avviso della quale è competente il giudice di pace, nei limiti della sua competenza per valore, in ordine alle controversie aventi ad oggetto pretese che abbiano la loro fonte in un rapporto, giuridico o di fatto, riguardante un bene immobile, salvo che la questione proprietaria non sia stata oggetto di un'esplicita richiesta di accertamento incidentale di una delle parti e sempre che tale richiesta non appaia, ictu oculi, alla luce delle evidenze probatorie, infondata e strumentale – siccome formulata in violazione dei principi di lealtà processuale – allo spostamento di competenza dal giudice di prossimità al giudice togato).

In questa prospettiva, poi, sembrava ipotizzabile l'applicazione del c.d. speciale rito locatizio anche davanti al predetto magistrato onorario – e non quello delineato dagli artt. 316 ss. c.p.c. – stante il chiaro àmbito operativo dell'art. 447 bis, comma 1, c.p.c. (“le controversie in materia di locazione di immobili urbani .... sono disciplinate dagli articoli 414, ...”), ed il rinvio generale alle norme relative al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica relativamente al giudizio davanti al giudice di pace (art. 311 c.p.c.).

Dovendo, poi, consistere in pretese di pagamento relative a somme di danaro attinenti a profili locatizi già determinati e non contestati – lo stesso in caso di comodato di immobile o di affitto d'azienda – poteva essere praticabile altresì la procedura monitoria, con la possibilità per il giudice di pace di emettere un decreto ingiuntivo, avverso il quale l'opposizione doveva proporsi nelle forme del ricorso e non con citazione.

Si è, tuttavia, esclusa la validità di tale conclusione, pur avvertendo che la stessa non poteva essere “frettolosamente liquidata” sulla base di un argomento ex art. 1 del d.lgs. n. 51/1998, occorrendo, invece, far leva sull'art. 244, comma 2, d.lgs. n. 51/1998, per neutralizzare le emergenze desumibili dalla novellazione dell'art. 9 c.p.c. – da parte dello stesso decreto legislativo – senza inserimento della competenza già prevista dal n. 3) del comma 2 dell'art. 8 c.p.c. (così Frasca, 2211); infatti, l'art. 1, comma 1, ha disposto che le competenze del soppresso ufficio pretorile passassero al tribunale, “fuori dei casi in cui è diversamente disposto dal presente decreto”, e proprio la circostanza che lo stesso decreto – dopo aver soppresso, con l'art. 49 d.lgs. n. 51/1998, l'art. 8 c.p.c. – ha modificato, con l'art. 50, l'art. 9 c.p.c. senza il suddetto inserimento, potrebbe indurre a concludere che, in tal modo, si sia inteso “diversamente disporre”, e quindi consentire che la ex competenza pretorile locativa sia riconducibile tanto avanti al tribunale quanto avanti al giudice di pace, secondo che la controversia si presti ad essere ricondotta all'una piuttosto che all'altra competenza; poiché, però, il comma 2 dell'art. 244 d.lgs. cit. dice, con norma di chiusura, che le “funzioni del pretore non attribuite espressamente ad altra autorità sono attribuite al tribunale in composizione monocratica”, questa previsione chiarisce che la norma del comma 1 dell'art. 1, laddove allude all'ipotesi in cui il decreto legislativo abbia inteso disporre diversamente, si riferisce ai casi nei quali deve essere disposto in maniera diversa in modo espresso e non per implicito, come sarebbe in forza dell'argomento ex art. 9 sopra indicato.

Per il resto, la dottrina assolutamente prevalente, in ordine all'interrogativo sulla sorte della desaparecida competenza locativa pretorile, condivide la conclusione che la medesima competenza sia passata tout court al tribunale.

Si sottolinea (Piombo, 116, che definisce “antistorica” l'ipotesi di un ritorno alla disciplina anteriore alla riforma del 1995, e ad una, sia pur marginale, ripartizione in senso verticale della competenza per tali controversie) che il passaggio ad un sistema frammentario di competenze tra giudice di pace e tribunale, con riferimento alle materie prima contemplate dall'art. 8 c.p.c., dovrebbe avere per presupposto il venire meno – nella considerazione del legislatore – di tali materie come tipologia unitaria ed autonoma; ed invece, a proposito della competenza per territorio, l'art. 21 c.p.c. novellato fa riferimento alle controversie in argomento come categoria unitaria (prevedendo per esse la competenza del giudice del luogo dove è posto l'immobile o l'azienda, analogamente a quanto previsto per le cause relative a diritti reali immobiliari); così come altrettanto unitaria è la considerazione che di tali controversie ha il successivo art. 447-bis c.p.c., rendendo ad esse applicabile le regole del rito speciale ivi previsto.

Peraltro, l'enucleabilità, dall'ampia categoria delle controversie in materia di locazione o di comodato urbano, di alcune, aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, di competenza ratione valoris del giudice di pace, darebbe luogo ad un'ipotesi singolare ed unica nel suo genere, in cui il giudice onorario dovrebbe applicare il rito speciale, estremamente tecnico, di cui all'art. 447-bis c.p.c. (anziché quello, più semplice, delineato dagli artt. 316 ss. c.p.c.), e le sue sentenze sarebbero suscettibili di gravame alla corte d'appello, in base al combinato disposto degli artt. 447-bis e 433 novellato, anziché davanti al tribunale.

In realtà, che non ci sia nulla di “scandaloso” che (anche) il giudice di pace applichi il c.d. rito del lavoro viene confermato dal fatto che, sia pure limitatamente al periodo 2006/2009, la l. n. 102/2006 (“Disposizioni in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali”), all'art. 3, aveva previsto espressamente che, alle cause relative al risarcimento dei danni per morte o lesioni, conseguenti ad incidenti stradali, attribuite alla cognizione esclusiva del magistrato laico, si applicassero le norme processuali di cui al libro II del titolo IV del capo I del codice di procedura civile (ossia gli artt. 413 ss. c.p.c.); peraltro, allorché il legislatore ha voluto escludere tale applicazione, lo ha detto espressamente, se solo si pensi alle cause relative agli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali, assegnate, ex art. 7, ultimo comma, n. 3-bis, c.p.c., alla competenza del giudice di pace dalla l. n. 69/2009, ma al contempo senza seguire il c.d. rito lavoro come disposto dall'art. 442, comma 3, c.p.c.

La tesi maggioritaria – a fronte di qualche oscillazione da parte della giurisprudenza di merito, anche onoraria (Trib. Salerno 12 febbraio 2003; Trib. Brescia 22 marzo 2001; Giud. Pace Taranto 24 maggio 2000; Trib. Roma 28 febbraio 2000; Giud. Pace Padova 20 ottobre 1999; Giud. Pace Pordenone 6 maggio 1998) – ha trovato il successivo avallo dei giudici di legittimità, che risolvono la questione concernente la sorte delle controversie in materia di locazione di immobili urbani (nonché di comodato degli stessi immobili e di affitto di azienda), dopo l'introduzione della figura del giudice unico di primo grado, affermando (senza alcun tentennamento) che, a seguito della soppressione della figura del pretore, le predette controversie rientrano nella competenza ratione materiae del tribunale (oltre a Cass. III, n. 2143/2006 cit., v. Cass. III, n. 2842/2003: nella specie, si trattava di controversia relativa al pagamento di rivalutazione monetaria e interessi su canoni di locazione ed oneri accessori; Cass. III, n. 2471/2002, peraltro, con una motivazione alquanto sbrigativa; più di recente, nel senso che il pagamento degli oneri accessori dell'immobile locato è materia esorbitante dalla competenza del giudice di pace, v. Cass. III, n. 23813/2007; contra, in termini, Giud. Pace Pavia 15 luglio 1996, ad avviso del quale spetta al giudice di pace, a norma dell'art. 7, comma 1, c.p.c., così come novellato dall'art. 17 della l. 21 novembre 1991, n. 374, la competenza a conoscere della domanda per la restituzione, al termine del rapporto di locazione, della somma versata dal conduttore al locatore a titolo di deposito cauzionale).

Il Supremo Collegio sviluppa sostanzialmente il suo iter argomentativo – riprendendo alcuni dei rilievi dottrinari di cui sopra – sulla base di un triplice ordine di considerazioni.

Innanzitutto, con l'art. 1 del d.lgs. n. 51/1998 è stato disposto che, soppresso dall'art. 49 l'ufficio del pretore, “le relative competenze sono trasferite al tribunale ordinario”, salvo che non sia previsto diversamente “dal presente decreto”, norma questa che si coordina con l'art. 244, comma 2, secondo cui “le funzioni del pretore non attribuite espressamente ad altra autorità giudiziaria sono attribuite al tribunale in composizione monocratica”; l'eccezione alla regola del trasferimento al tribunale delle competenze un tempo pretorili dovrebbe, dunque, rinvenirsi non solo nello stesso provvedimento normativo, ma anche, in modo “espresso”, ossia con norme che attribuiscano in modo diretto una certa competenza, già del pretore, ad un giudice diverso dal tribunale, mentre nessuna disposizione del recente intervento riformatore contempla l'attribuzione al giudice di pace di una competenza specifica sulle controversie locatizie.

Inoltre, che in queste ultime la competenza non si determina adesso in ragione del valore è desunto – a parere dei giudici di legittimità – anche dalla mancata sostituzione, con analoghe disposizioni, del comma 2 dell'art. 12 c.p.c., recante i criteri di calcolo del valore delle cause in materia di locazione, già abrogato, a decorrere dal 30 aprile 1995, dall'art. 89 della l. n. 353/1990.

Infine, si evidenzia che l'art. 447-bis c.p.c., nel richiamare, tra le norme applicabili alle controversie in materia di locazione, anche gli artt. 433 ss. c.p.c., individua chiaramente, come giudice competente in secondo grado, in tali controversie, la corte d'appello, la quale, a norma dell'art. 341 c.p.c., è il giudice del gravame avverso le sentenze del tribunale (del resto, secondo Cass. III, n. 12838/1999, è alla corte d'appello, e non al tribunale, che va rimessa la causa in ipotesi di cassazione con rinvio di una sentenza precedentemente pronunciata in grado di appello dal tribunale, specificatamente, in tema di controversia locatizia; per una fattispecie di diritto transitorio in una controversia relativa ad un rapporto di locazione, v., altresì, Cass. III, n. 2294/2000; Cass. III, n. 1334/2000; Cass. III, n. 9140/1999).

Ad ogni buon conto, la giurisprudenza è concorde nel senso che le controversie relative alla restituzione del deposito cauzionale e dei relativi interessi siano soggette al rito locatizio, ex art. 447-bis c.p.c. (Cass. III, n. 24037/2015; Cass. n. 27519/2014).

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