Legge - 27/07/1978 - n. 392 art. 4 - Recesso del conduttore.

Massimo Falabella

Recesso del conduttore.

È in facoltà delle parti consentire contrattualmente che il conduttore possa recedere in qualsiasi momento dal contratto dandone avviso al locatore, con lettera raccomandata, almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione.

Indipendentemente dalle previsioni contrattuali il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata.

Inquadramento

La norma in commento regolamenta il recesso del conduttore dalla locazione abitativa, nelle due forme del recesso convenzionale e di quello legale per gravi motivi.

È da osservare che quest'ultima fattispecie è pure disciplinata dall'art. 3, ultimo comma, della l. n. 431/1998: onde gli interpreti sono concordi nel ritenere che la disposizione di cui al comma 2 dell'art. 4 sia stata abrogata tacitamente (Bucci, 71; Verardi, 254; Cosentino, 109; Lazzaro, Di Marzio, 632). Per il recesso per gravi motivi si rinvia, dunque, al commento dell'art. 3 della richiamata legge.

Il recesso convenzionale è riconducibile alla previsione generale dell'art. 1373 c.c.: poiché quello di locazione è un rapporto di durata, il recesso può essere esercitato anche dopo che il rapporto stesso ha avuto un inizio di esecuzione e in tal caso esso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione (art. 1373, comma 2, c.c.).

Tale recesso può essere tuttavia convenuto a beneficio del solo conduttore. La previsione dell'art. 4, comma 1, è inequivoca in tal senso; una pattuizione che accordasse al locatore quel diritto, privandolo della possibilità di godere dell'immobile per la durata legale minima risulterebbe del resto nulla in quanto consentirebbe allo stesso di affrancarsi dal vincolo prima della scadenza prevista: laddove l'art. 13, comma 3, della l. n. 431/1998 commina la nullità di ogni pattuizione volta a derogare ai limiti di durata stabiliti dalla stessa legge. Il discorso vale, del resto, anche per il recesso convenzionale nella locazione non abitativa, disciplinato, con norma di contenuto eguale a quella di cui all'art. 4 in esame, dall'art. 27, comma 7, della l. n. 392/1978: pure per tale tipologia locatizia la pattuizione di un recesso in favore del locatore è colpita da nullità (in base, qui, all'art. 79 della l. n. 392/1978).

In definitiva, vanno richiamate le parole della dottrina la quale ha avuto modo di sottolineare, su di un piano generale, come la legislazione speciale in materia di locazioni urbane sia improntata alla tutela imperativa degli interessi del conduttore, tra i quali si colloca al primo posto quello alla stabilità del rapporto per i periodi minimi di durata indicati, con riferimento alle singole destinazioni d'uso: sicché la clausola introduttiva in favore del conduttore di un diritto di scioglimento del rapporto anticipato rispetto ai termini di durata minima contraddirebbe proprio le norme imperative in materia di durata (Gabrielli, Padovini, 602).

Quanto fin qui osservato chiarisce come il recesso convenzionale a favore del locatore, previsto dall'art. 1612 c.c., non possa trovare applicazione con riguardo ai rapporti soggetti alla legislazione speciale in tema di locazioni di immobili urbani, conservando un margine di operatività con riferimento a quelle locazioni urbane che siano sottratte a tale normativa (nel senso, invece, che la legge sull'equo canone avrebbe comportato l'abrogazione tacita della norma: Potenza, Chirico, Annunziata, 53).

Costituzionalità della disciplina

Per la verità si è dubitato, in passato, della conformità alla Costituzione della disciplina introdotta dall'art. 4, comma 1, della l. n. 392/1978 e ciò avendo proprio riguardo alla mancata attribuzione del diritto di recesso convenzionale al locatore.

Della questione, si è occupata la Consulta (Corte cost., n. 251/1983), che venne investita anche di diverso tema, inerente al recesso per gravi motivi, fattispecie originariamente prevista dal comma 2 dello stesso art. 4: con riferimento ad entrambe le disposizioni era stata sottolineata, da parte dei giudici remittenti, la disparità di trattamento in danno del locatore, cui veniva precluso di avvalersi di entrambe le forme di recesso; in una delle ordinanze di rimessione era stata poi sollevata ulteriore questione, vertente sul trattamento differenziato che si profilava tra i locatori con contratto sottoposto alla disciplina definitiva dettata dalla l. n. 392/1978, ai quali non spettava in alcun caso il diritto di recesso, e i locatori con contratto soggetto alla disciplina transitoria, ai quali era attribuita la facoltà di recedere nei casi previsti dall'art. 59 l. n. 392/1978.

La Corte, dopo aver premesso che la previsione relativa alla durata della locazione è diretta, come si legge nella Relazione ministeriale al disegno di legge, a dare pari forza alle parti contraenti per cui “è sembrato necessario assicurare al conduttore una sufficiente stabilità che gli eviti i disagi connessi ai frequenti cambiamenti di alloggio, ma che soprattutto lo metta in condizione di non cedere alle eventuali pressioni del locatore dirette ad ottenere illegittimi aumenti del canone”, ha osservato come il principio di eguaglianza garantisca parità di trattamento solo a parità di situazioni, la quale, nel rispetto dei limiti di ragionevolezza, deve essere valutata dal legislatore ordinario. Il giudice delle leggi ha poi osservato come il legislatore ritenne di potere legittimamente introdurre in tema di recesso una disciplina differenziata sul rilievo, espresso nella stessa Relazione, per cui “la posizione del conduttore è sostanzialmente diversa da quella del locatore”, soprattutto per la difficoltà del primo di trovare altra abitazione idonea alle sue esigenze: in tal senso la ratio della norma coinciderebbe sostanzialmente con quella già indicata relativa alla durata del contratto, essendo entrambe egualmente dirette a tutelare l'inquilino mediante un'adeguata stabilità del rapporto, la cui mancanza si risolverebbe per lui in un notevole pregiudizio. Per altro verso, secondo la Corte, la possibilità di recesso del conduttore non reca alcun effettivo nocumento al locatore, in quanto il preavviso di sei mesi garantisce il locatore stesso in maniera adeguata, essendo presumibile, se non proprio sicuro, secondo l'id quod plerumque accidit, che egli nel frattempo trovi altro inquilino che corrisponda lo stesso canone. Nella pronuncia è infine ricordato come la facoltà di recesso del conduttore si inserisca nel sistema costituendo il fondamento del divieto di sublocazione totale, giacché “in tanto è stato escluso il potere di concedere in sublocazione totale l'immobile che il conduttore non abita più in quanto a questo e stata riconosciuta la facoltà di recedere dal contratto, con la conseguente possibilità di evitare il pregiudizio che altrimenti deriverebbe dall'obbligo del pagamento del canone senza alcuna effettiva utilità”.

Regolamentazione del recesso convenzionale

L'art. 4, comma 1, parla della facoltà delle parti di “consentire contrattualmente” che il conduttore possa recedere: ciò ha indotto a ritenere che la clausola attributiva della facoltà di recesso debba essere contenuta nel contratto originario e non possa essere oggetto di una pattuizione successiva (Cosentino, Vitucci, 391). Non si vede però la ragione per cui il legislatore abbia inteso escludere che le parti, nel corso del rapporto, potessero convenire quanto non abbiano pattuito inizialmente in punto di recesso: vero è che l'avverbio “contrattualmente” appare ridondante; tuttavia, in sé, l'espressione non sembra escludere un accordo posteriore alla stipula (accordo che rivestirebbe pur sempre natura contrattuale).

A differenza dell'art. 3, comma 6, della l. n. 431/1998, che non specifica la forma che debba rivestire il preavviso, l'art. 4, comma 1, dispone che detto preavviso debba darsi con lettera raccomandata. È da ritenere che siano ammessi equipollenti: se, tuttavia, nella vigenza della l. n. 392/1978 la forma scritta del preavviso poteva ritenersi stabilita ad probationem tantum, allo scopo di semplificare la prova dell'effettiva ricezione dell'atto (come osservato, con riferimento alla disdetta, da Cass. III, n. 2211/1989), sembra che ciò non possa oggi più sostenersi: infatti, la giurisprudenza esige il requisito della forma scritta per il valido recesso dai contratti, come quello di locazione ad uso di abitazione (art. 1, comma 4, l. n. 431/1998) per i quali è prevista la forma scritta (ad esempio, Cass. II, n. 14730/2000, per cui nei contratti formali, le cause modificative o estintive del rapporto debbono risultare da fattori prestabiliti dalle parti nello stesso contratto e debbono essere, comunque, espresse nella forma richiesta per il contratto al quale si riferiscono, con la conseguenza che tanto l'accordo risolutorio quanto la dichiarazione di recesso debbono rivestire la stessa forma scritta richiesta per la stipulazione del contratto).

Un'enunciazione del principio per cui nel contratto di locazione ad uso abitativo, soggetto all'obbligo di forma scritta ai sensi dell'art. 1, comma 4, della l. n. 431/1998 deve essere risolto con comunicazione scritta, non potendo, in questo caso, trovare applicazione il principio di libertà delle forme, che vale solamente per i contratti in forma scritta per volontà delle parti, e non per quelli per i quali la forma scritta sia prescritta dalla legge ad substantiam, si rinviene in Cass. VI, n. 22647/2017, per trarne la conseguenza della nullità del patto verbale circa la rinuncia al preavviso di recesso in forma scritta previsto dal contratto.

A differenza del recesso per gravi motivi, quello convenzionale non necessita di alcuna motivazione: ciò è stato riconosciuto dalla Suprema Corte con riferimento alla fattispecie di cui all'art. 27, comma 7, della l. n. 392/1978 che, come si è visto, detta una regola coincidente con quella contenuta nell'art. 4, comma 1 (Cass. III, n. 7357/1997, in cui è stato precisato che l'assenza di necessità circa la contestuale indicazione delle ragioni giustificative del recesso trova ragione nel fatto che esso non crea alcun effettivo nocumento al locatore stante la sufficienza del preavviso per trovare un nuovo inquilino).

Circa il termine di preavviso, si è ritenuto in passato, nel vigore della l. n. 392/1978, che una estensione dello stesso fosse da ritenere illegittimo: è stato osservato, in proposito, che essendo nulle, a mente dell'art. 79 della l. n. 392/1978, quelle pattuizioni che oltre a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello legale, mirino ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge sull'equo canone, un eventuale allungamento del termine di preavviso configurerebbe proprio quell'ipotesi di patto contrario alla legge che il legislatore, con la disposizione richiamata, ha voluto vietare: in tale ipotesi, infatti, la posizione del locatore sarebbe privilegiata rispetto a quella risultante dalla previsione legislativa (Bucci, Malpica, Redivo, 350). In senso contrario, si era invece sostenuto che stante il carattere disponibile che il comma 1 dell'art. 4 attribuisce allo stesso diritto di recesso ivi contemplato, sarebbe legittimo pattuire tanto un'abbreviazione quanto un allungamento del termine di sei mesi indicato dalla legge (Bernardi, Coen, Del Grosso, 40).

La giurisprudenza di merito si è mostrata propensa ad ammettere la legittimità di una riduzione del termine semestrale di preavviso (Trib. Genova 7 aprile 1987; Pret. Pordenone 5 febbraio 1988): profilo, questo, che non ha peraltro evidenziato dissensi in dottrina.

Pronunciandosi sulle locazioni ad uso diverso dall'abitazione, la Corte regolatrice ha esaminato invece il caso in cui di un preavviso di recesso comunicato senza il rispetto del termine semestrale (che coincideva con quello convenuto contrattualmente). Nella circostanza, la Suprema Corte ha reso il principio di diritto per cui, qualora le parti abbiano previsto la facoltà del conduttore di recedere in qualsiasi momento dal contratto dandone avviso al locatore, mediante lettera raccomandata, almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione, l'avviso di recesso diretto dal conduttore al locatore, che indichi un termine inferiore a quello convenzionalmente stabilito dalle parti stesse, o inferiore a quello minimo fissato dalla legge, conserva validità ed efficacia ma il termine di esecuzione deve essere ricondotto a quello convenzionalmente pattuito o a quello minimo semestrale fissato dalla legge (Cass. III, n. 831/2007; tale dictum è stato poi ribadito da Cass. III, n. 18167/2012).

A ben vedere, l'affermazione testé riprodotta non consente di risolvere il problema su cui la dottrina si è mostrata discorde, dal momento che il principio enunciato ha ad oggetto l'ipotesi in cui le parti convengano un termine per il preavviso coincidente con quello di legge, mentre ciò che va verificato è ben altro: e cioè se le parti possano convenire un termine più ampio rispetto a quello dei sei mesi, indicato nell'art. 4, comma 1, della l. n. 392/1978.

Occorre subito osservare che nella vigenza della l. n. 431/1998 il problema parrebbe debba senz'altro risolversi nel senso dell'ammissibilità di un tale accordo: e ciò in quanto non esiste una norma che commini la nullità della pattuizione incidente sul diritto al preavviso (dovendosi per certo escludere che tale nullità possa essere ricavata da quella prevista per la deroga ai limiti di durata del rapporto: art. 13, comma 3, della l. n. 431/1998). La norma in commento, con particolare riguardo alla previsione del termine semestrale, risulta avere dunque natura dispositiva.

Pare corretto ritenere, del resto, che allo stesso risultato si dovesse pervenire nella vigenza della l. n. 392/1978. Come è stato osservato, le disposizioni sulle modalità di esercizio del recesso da parte del conduttore sono dettate nell'ambito del regolamento di un diritto che deriva al conduttore non già dalla legge, ma dalla concessione del locatore: la legge speciale si limita infatti a imporre al locatore di tollerare il recesso ante tempus del conduttore, soltanto qualora gli sia stato riconosciuto dal patto contrattuale e, quindi, dalla libera volontà del locatore stesso (Gabrielli, Padovini, 60). Va in altri termini còlta una contraddittorietà tra la pacifica liceità della mancata pattuizione della clausola di recesso e l'asserita illiceità della disposizione contrattuale che, prevedendo il recesso, lo subordini a un termine superiore a quello semestrale, previsto dalla legge: se è legittimo non accordare al locatario la possibilità di sciogliersi anticipatamente dal vincolo, altrettanto dovrebbe dirsi dell'ipotesi, meno gravosa per il conduttore, di pattuito recesso da esercitarsi entro un dato termine, quale che esso sia (Di Marzio, Falabella, 2228).

L'art. 4, comma 1, prevede un recesso convenzionale che può essere esercitato “in qualsiasi momento”. Ciò significa, secondo l'opinione comune, che l'iniziativa del conduttore non trova ostacolo nella circostanza per cui, in prossimità della scadenza, il conduttore ha dato o non ha dato disdetta. Si è evidenziato, in proposito, che se la disdetta è stata già intimata, il mancato rinnovo del contratto varrà a liberare prima il conduttore, rendendo così irrilevante il recesso che fosse destinato a operare in un momento successivo rispetto alla scadenza contrattuale; in caso di mancata disdetta, invece, il recesso impedirà che il contratto si rinnovi per l'intero quadriennio, determinandone la cessazione prima della successiva scadenza e il periodo di preavviso sarà calcolato a decorrere dalla comunicazione del recesso stesso, e non dalla data di inizio del contratto rinnovato (Trifone, 548; Bernardi, Coen, Del Grosso, 40). Va tuttavia aggiunto che la preventiva comunicazione di disdetta non determina, sempre e comunque, l'assorbimento del successivo recesso; ciò non accadrà, ad esempio, ove la disdetta sia stata intimata con largo anticipo rispetto al termine semestrale: evenienza, questa, in presenza della quale il conduttore potrebbe avere un chiaro interesse a sciogliersi dal vincolo prima che il contratto venga a naturale scadenza.

Altro aspetto è quello delle possibili correlazioni tra recesso e risoluzione del contratto per inadempimento. La Suprema Corte ha precisato, in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, che una volta introdotta, sia con le forme speciali del procedimento per convalida, sia con quelle ordinarie, l'azione di risoluzione del contratto per inadempimento dell'obbligazione di pagamento del canone, retroagendo l'effetto risolutivo del rapporto contrattuale al momento della litispendenza, il diritto potestativo di recedere dal contratto può essere esercitato da parte del conduttore anche durante la pendenza del giudizio ma, essendo il recesso destinato a produrre, ove legittimo, l'effetto di cessazione del contratto al momento in cui è per convenzione o per legge efficace e, quindi, in un momento successivo a quello in cui dovrebbero prodursi gli effetti dell'azione di risoluzione proposta, la sua concreta idoneità a determinare la cessazione del rapporto dipende dall'eventuale rigetto della domanda di risoluzione ma non può produrre alcun effetto sulla fondatezza di essa e sulla prosecuzione del relativo giudizio (Cass. III, n. 8071/2008).

Sulla base del rilievo, sopra svolto, per cui la legge non riconosce direttamente al conduttore un diritto di recesso – discendendo questo, piuttosto, dall'autonomia privata – pare da condividere la tesi per cui il recesso stesso possa essere delimitato con riferimento a un dato periodo di tempo del rapporto contrattuale (e così, ad esempio, le parti potranno escluderne l'esercizio prima di un certo momento), ovvero subordinato al verificarsi di precise condizioni. A quest'ultimo proposito, le parti potrebbero anche convenire il pagamento di una somma come contropartita del recesso: nel qual caso lo scioglimento dal vincolo risulterà condizionato all'esecuzione della prestazione pattuita, giusta l'art. 1373, comma 2, c.c. (Bucci, Malpica, Redivo, 350).

Con riguardo alle conseguenze dell'esercizio illegittimo del recesso, si rinvia al commento dell'art. 3 della l. n. 431/1998.

Bibliografia

Bernardi, Coen, Del Grosso, Art. 4. Recesso del conduttore, in Bianca, Irti, Lipari, Proto Pisani, Tarzia (a cura di), Equo canone. Disciplina delle locazioni di immobili urbani, Padova, 1980; Bucci, La disciplina delle locazioni abitative dopo le riforme, Padova, 2000; Bucci, Malpica, Redivo, Manuale delle locazioni, Padova, 1989; Cosentino, Art. 3 (Disdetta del contratto da parte del locatore), in Le nuove locazioni abitative - Commenti e materiali raccolti da Cuffaro, Milano, 2000, 54; Cosentino, Vitucci, Le locazioni dopo le riforme del 1978-1985, Torino, 1986; Di Marzio, Falabella, La locazione, Torino, 2010; Gabrielli, Padovini, La locazione di immobili urbani, Padova, 2001; Lazzaro, Di Marzio, Le locazioni per uso abitativo, Milano, 2002; Potenza, Chirico, Annunziata, L'equo canone, Milano, 1978; Trifone, La locazione. Disposizioni generali e locazione di fondi urbani, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, IX, Torino, 1984; Verardi, Il diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza ed il recesso del conduttore, in Cuffaro (a cura di), Le locazioni ad uso di abitazione, Torino, 2000, 231.

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