Legge - 27/07/1978 - n. 392 art. 7 - Clausola di scioglimento in caso di alienazione.

Massimo Falabella

Clausola di scioglimento in caso di alienazione.

È nulla la clausola che prevede la risoluzione del contratto in caso di alienazione della cosa locata.

Inquadramento

Sul piano sistematico, l'art. 7 della l. n. 392/1978 è norma che integra la disciplina codicistica del trasferimento della cosa locata.

L'art. 1602 c.c. regola il subentro del terzo acquirente nei diritti e negli obblighi insorgenti dal contratto di locazione. La disposizione, nel precisare che tale subingresso concerne il solo acquirente “tenuto a rispettare la locazione” rinvia alle varie prescrizioni dettate per regolare l'opponibilità del contratto al detto soggetto: fondamentalmente, agli artt. 1599 e 1600 c.c. Il senso della connessione tra l'art. 1602, da una parte, e gli artt. 1599 e 1600, dall'altra, è che il terzo, in tanto subentra nelle situazioni di diritto e di obbligo discendenti dal contratto, in quanto la locazione sia a lui opponibile secondo quanto previsto dalle norme sopra citate (certezza della data della locazione, buona fede nell'acquisto dei beni mobili non iscritti nei pubblici registri, trascrizione della locazione immobiliare ultranovennale, locazione che includa il patto di rispetto di cui all'art. 1599, comma 4, c.c., detenzione dal conduttore anteriore al trasferimento al terzo). Nel caso di locazione opponibile al terzo acquirente, la locazione resta dunque in vita con subentro di questo nella posizione di locatore.

In linea di principio, la regola emptio non tollit locatum, risultante da tale ordito normativo, non è tuttavia inderogabile: infatti. l'art. 1603 c.c. ammette la clausola di scioglimento del contratto in caso di alienazione.

In base all'unanime dottrina, l'art. 1603 si riferisce alla pattuizione attributiva di una vera e propria facoltà di recesso in favore del terzo acquirente che subentra nel contratto (per tutti: Mirabelli, 604; Tabet, 691); la meccanica indicata dalla norma è in altri termini la seguente: il detto terzo succede bensì nella locazione all'alienante ma, in presenza della clausola di scioglimento del contratto per il caso di alienazione, egli può liberarsi dando un congruo preavviso.

Secondo la giurisprudenza, peraltro, il venir meno del vincolo contrattuale, in caso di trasferimento della cosa locata, potrebbe legittimamente determinarsi anche per altra via: e cioè in forza della clausola, inserita nel contratto, che considera la vendita del bene quale causa di risoluzione della locazione, e cioè quale vera e propria condizione risolutiva (Cass. III, n. 3140/1981).

E ancora, può ipotizzarsi una terza variante di interruzione del rapporto locativo in caso di trasferimento della cosa locata: può cioè accadere che le parti riconoscano il recesso non già al terzo acquirente, come previsto dall'art. 1603 c.c., ma al locatore alienante; una tale opzione contrattuale potrà assumere rilievo ove la locazione non sia opponibile al predetto terzo, giacché, accordandosi la facoltà di recesso dalla locazione a chi aliena, è consentito a quest'ultimo di scongiurare il rischio di risarcire il conduttore del danno per il mancato godimento dell'immobile; il locatario potrebbe infatti dolersi col locatore dell'estromissione posta in atto ai suoi danni dall'acquirente, cui la locazione è inopponibile (Provera, 454 s.), ma il recesso che il locatore eserciti prima che il conduttore sia costretto a rilasciare l'immobile neutralizzerà la pretesa risarcitoria che quest'ultimo dovesse avanzare nei propri confronti

L'art. 7 capovolge la prospettiva codicistica che ammette i regolamenti convenzionali deputati a provocare la cessazione della locazione in presenza dell'alienazione del bene prevedendo, in via generale, la nullità della clausola che prevede la risoluzione del contratto in tale contingenza.

La norma è difatti applicabile non solo alla seconda delle fattispecie che si sono prese in esame (quella della risoluzione in caso di alienazione), ma anche alle altre. Come è stato osservato, mentre l'art. 1603 c.c., nell'ottica liberistica del codice civile, non intende limitare la derogabilità della regola di opponibilità al solo caso di attribuzione del potere di recesso, nell'ottica dirigistica del legislatore del 1978 la norma dell'art. 7 non circoscrive la declaratoria di nullità alle clausole che prevedono lo scioglimento automatico: tale disposizione, infatti, mira a comminare una nullità generale di tutti gli strumenti attraverso i quali il locatore intenda assicurarsi la possibilità, in caso di alienazione, di disporre di un bene libero da persone e da cose, per poter lucrare quel plusvalore differenziale che si ha nel caso dell'immobile libero rispetto quello dell'immobile locato (Gabrielli, Padovini, 187).

Disciplina

L'articolo in commento si applica alle locazioni abitative e, in ragione del richiamo contenuto nell'art. 41 della l. n. 392/1978, alle locazioni ad uso non abitativo previste dall'art. 27; si applica pure alle locazioni di immobili adibiti ad attività ricreative, assistenziali, culturali, scolastiche, a sedi di partiti e sindacati, nonché ai contratti conclusi dallo Stato o dagli altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori, giacché l'art. 42, relativo a tali rapporti, rimanda allo stesso art. 41. L'art. 7 regola pure i rapporti sorti nella vigenza della l. n. 431/1998, non rientrando tra le norme da questa abrogate (indicate dall'art. 14, comma 4).

È, poi, da ritenere che la disposizione in commento si riferisca a tutti i casi in cui operi la cessione legale della posizione del locatore in ragione della vicenda traslativa che interessa il bene locato: non solo in caso di vendita, quindi, ma, ad esempio, anche nel caso di donazione o di permuta; ma può credersi che la norma operi anche laddove si attui un qualche mutamento nella titolarità del diritto sul bene che abbia ripercussioni sull'assetto contrattuale (così, ove cessi l'usufrutto e la posizione di locatore si radichi in capo al nudo proprietario, divenuto pieno proprietario: art. 999 c.c.).

La nullità sancita dall'art. 7 in commento è sicuramente una nullità parziale.

Secondo un'opinione, tale nullità affliggerebbe la singola clausola, salva la sua estensione all'intero contratto, a norma dell'art. 1419, comma 1, c.c., ove di dimostri che le parti non avrebbero stipulato il contratto di locazione senza la clausola colpita da nullità: ipotesi – si è detto – più teorica che reale, presupponendo essa un interesse specifico del conduttore a concludere il contratto e a mantenerlo in vita con quel particolare locatore, e non con altri (una sorta di intuitus personae riferito alla persona del conduttore che è tuttavia estraneo alla locazione immobiliare) (Cosentino, Vitucci, 321; sulla stessa linea, Dogliotti, Figone, 294).

È stato peraltro affermato che la nullità della clausola non possa travolgere il contratto, che resta salvo anche ove fosse dimostrato che il locatore ebbe a determinarsi alla stipula solo con riferimento alla concessione della facoltà di recesso (Bucci, Malpica, Redivo, 208). Si è sottolineato, in particolare, che attraverso lo strumento della nullità, per estensione, del contratto di locazione nel suo insieme, si otterrebbe proprio quel risultato che l'intervento imperativo della legge, a tutela dei conduttori, ha voluto evitare: non potendosi allora ipotizzare un comportamento irrazionale del legislatore, dovrebbe ritenersi – di fronte all'intenzione del legislatore stesso di assicurare ai conduttori una stabilità effettiva del contratto di locazione per tutta la durata pattuita, indipendentemente dalle vicende che possano interessare la proprietà sulla cosa – che nella fattispecie non sia applicabile la regola della estensione, sia pure eccezionale, della nullità della singola clausola nulla per contrarietà a norma imperativa al contratto nel suo insieme, sancita dall'art. 1419, comma 1, c.c. (Gabrielli, Padovini, 190).

Di quest'ultimo avviso è, in sostanza, la giurisprudenza di legittimità, la quale ha ritenuto non potersi fare applicazione, con riguardo all'ipotesi della nullità di cui all'art. 7 della l. n. 392/1978, della regola di cui all'art. 1419, comma 1, c.c., entrando piuttosto in gioco il principio sancito dal comma 2 del detto articolo (Cass. III, n. 3780/1989).

La questione al vaglio della Suprema Corte riguardava un contratto ad uso di abitazione concluso prima dell'entrata in vigore della l. n. 392/1978 e perciò soggetto alla disciplina transitoria di questa. Il giudice di legittimità ha osservato, al riguardo, che la regolamentazione contenuta negli artt. 58 e 65, comma 1, della l. n. 392/1978 determina, con norme inderogabili, il periodo di ulteriore durata dei contratti in corso. La determinazione legislativa di tale periodo di ulteriore durata, a norma dell'art. 1339 c.c., è, secondo la dizione di tale articolo, inserita di diritto nei contratti, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti: più precisamente, l'autonomia negoziale delle parti, quanto al contenuto del contratto, quanto cioè all'autoregolamentazione dei rispettivi interessi come disciplina del rapporto obbligatorio generato dal comune precetto negoziale, è limitata in ordine alla durata del rapporto locatizio, che è determinata dalla legge, con conseguente esclusione di qualsiasi pattuizione delle parti al riguardo. Spiega la Cassazione che, determinato legalmente il periodo di ulteriore durata del rapporto locatizio, nella conseguente esclusione di qualsiasi pattuizione delle parti che limiti, o possa produrre in concreto l'effetto di limitare, quel periodo di ulteriore durata rientra anche la clausola del contratto che stabilisca, per il caso di vendita dell'immobile oggetto della locazione, la cessazione del rapporto locatizio alla scadenza di un certo termine dalla comunicazione al conduttore dell'avvenuta vendita, se a quella scadenza il periodo di durata del rapporto legalmente stabilito ancora prosegue. Sicché una tale clausola perde efficacia, viene eliminata dal contratto, giacché a norma dell'art. 7 della l. n. 392/1978, è nulla proprio la pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto

La Corte esclude quindi che, ove risulti dal contratto l'essenzialità di quella clausola, la nullità di essa comporti la nullità dell'intero contratto, a norma dell'art. 1419, comma 1 c.c.: la norma applicabile – viene infatti spiegato – è quella di cui al comma 2 dello stesso articolo, onde la detta clausole è sostituita dalla norma inderogabile (nella specie: l'art. 58 o l'art. 65 della l. n. 392/1978) e, pertanto, la sua nullità non comporta la nullità dell'intero contratto.

L'art. 7 della l. n. 392/1978, tuttavia, non opera, secondo l'avviso delle Sezioni Unite, nel caso di locazione stipulata dal custode o dal curatore fallimentare (Cass., S.U., n. 459/1994).

Precisamente: la locazione di immobile acquisito alla massa fallimentare, stipulata dal curatore del fallimento ai sensi dell'art. 560, comma 2, c.p.c. (applicabile in forza del richiamo di cui all'art. 105 l. fall. – per la nuova disciplina v. d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza) è un contratto la cui durata risulta naturaliter contenuta nei limiti della procedura concorsuale, in quanto attuativa di una mera amministrazione processuale del bene, con la conseguenza che, non essendo assimilabile al contratto locativo di data certa anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento disciplinato dall'art. 2923 c.c., detta locazione non sopravvive alla vendita fallimentare e non è opponibile all'acquirente in executivis: pertanto la clausola con la quale il curatore ed il conduttore espressamente pattuiscano la risoluzione della locazione per effetto della vendita forzata del bene è pienamente valida, in quanto esplicita un limite di durata connaturato al contratto ed alle sue peculiari finalità, che lo sottraggono all'àmbito di applicabilità del combinato disposto degli artt. 7 e 41 della l. n. 392/1978, comminanti la nullità la clausola di risoluzione del contratto di locazione in caso di alienazione del bene locato.

Secondo tale pronuncia, la delimitazione del contratto nell'orizzonte temporale del procedimento esecutivo non entra difatti in urto col sistema di norme imperative in tema di durata delle locazioni. Queste esercitano tutto il loro imperio anche nei confronti dell'acquirente in executivis quando, trattandosi di locazione avente data certa anteriore al pignoramento (o alla sentenza dichiarativa di fallimento), l'acquirente stesso subentra nel rapporto locativo, nelle diverse componenti convenzionali e legali che ne rappresentano il contenuto. Ma quando il contratto è stipulato dal custode ai fini di gestione processuale del bene manca l'oggetto stesso su cui la disciplina imperativa della durata potrebbe operare, perché, a monte di ciò, sta il dato sistematico per il quale la locazione, posta in essere a tale scopo, si dissolve con la chiusura della fase di liquidazione del bene.

Va segnalato, da ultimo, come secondo un'opinione, peraltro rimasta isolata, la portata dell'art. 7 della l. n. 392/1978 sarebbe ben più ampia di quella desumibile dal dato testuale della norma; questa attribuirebbe in definitiva al conduttore il diritto di opporre il contratto di locazione al terzo acquirente ben oltre i termini segnati dagli artt. 1599 e 1600 c.c. In tale prospettiva, si è detto che andrebbe valorizzata la ratio dell'art. 7 della l. n. 392/1978, identificabile nella prevalenza dell'interesse del conduttore al godimento del bene su ogni altro interesse implicato nella fattispecie (e nella connessa esigenza di evitare sin troppo facili frodi a danno del conduttore medesimo); sicché risulterebbero recessive, rispetto a tale ratio, le regole sull'opponibilità del contratto, finanche quella basata sulla detenzione anteriore al trasferimento (art. 1600 c.c.) (Cosentino, Vitucci, 321).

Bibliografia

Bucci, Malpica, Redivo, Manuale delle locazioni, Padova, 1989; Cosentino, Vitucci, Le locazioni dopo le riforme del 1978-1985, Torino, 1986; Dogliotti, Figone, La locazione – Disciplina generale. Le locazioni abitative, Milano, 1993; Gabrielli, Padovini, La locazione di immobili urbani, Padova, 2001; Mirabelli, La locazione, Torino, 1972; Provera, La locazione. Disposizioni generali, in Scialoja e Branca (a cura di), Comm. cod. civ., Bologna, Roma, 1980; Tabet, La locazione-conduzione, Milano, 1972.

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