Legge - 27/07/1978 - n. 392 art. 55 - Termine per il pagamento dei canoni scaduti.Termine per il pagamento dei canoni scaduti. La morosità del conduttore nel pagamento dei canoni o degli oneri di cui all'articolo 5 può essere sanata in sede giudiziale per non più di tre volte nel corso di un quadriennio se il conduttore alla prima udienza versa l'importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice. Ove il pagamento non avvenga in udienza, il giudice, dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, può assegnare un termine non superiore a giorni novanta. In tal caso rinvia l'udienza a non oltre dieci giorni dalla scadenza del termine assegnato. La morosità può essere sanata, per non più di quattro volte complessivamente nel corso di un quadriennio, ed il termine di cui al secondo comma è di centoventi giorni, se l'inadempienza, protrattasi per non oltre due mesi, è conseguente alle precarie condizioni economiche del conduttore, insorte dopo la stipulazione del contratto e dipendenti da disoccupazione, malattie o gravi, comprovate condizioni di difficoltà. Il pagamento, nei termini di cui ai commi precedenti, esclude la risoluzione del contratto. InquadramentoL'obbligazione fondamentale del conduttore, nello schema sinallagmatico del contratto di locazione, disciplinato a livello codicistico negli artt. 1571 ss. c.c., è quella di pagare il “corrispettivo nei termini convenuti”, come risulta espressamente dall'art. 1587, n. 2), c.c.; da ciò consegue che il relativo inadempimento (in senso tecnico-giuridico, morosità) – peraltro, quello statisticamente più frequente – costituisce senz'altro causa di risoluzione del contratto. Nell'àmbito del contratto di locazione, tuttavia, la disciplina specifica delle locazioni abitative si caratterizza per una particolare attenzione per la stabilità del rapporto e, in definitiva, per la tutela delle esigenze abitative del conduttore; questa particolare finalità è il portato di quella legislazione, particolarmente attenta agli aspetti sociali e perequativi, che si è andata formando in particolare negli anni settanta: in questa prospettiva, si pone la disciplina posta dalla l. n. 392/1978 la quale, in buona sostanza, stabilisce, con specifico riguardo alle locazioni abitative, che la morosità del conduttore può essere sanata, a date condizioni, in sede giudiziale. Peraltro, sul presupposto che l'art. 82 della l. n. 392/1978, secondo cui ai giudizi in corso continuavano ad applicarsi ad ogni effetto le leggi precedenti, riguardasse sia la disciplina sostanziale che quella processuale vigente in tema di locazioni urbane, era pacifico che la sanatoria della morosità, come prevista dal precedente art. 55, non fosse applicabile ai giudizi promossi prima della sua entrata in vigore; per converso, l'incidenza della sanatoria della mora sulla risoluzione del contratto di locazione non poteva trovare disciplina ai termini del citato art. 55 ove, anteriormente all'entrata in vigore di questa legge, si fosse verificata la situazione di morosità presa in esame dal giudice del merito e si fosse instaurato il giudizio di risoluzione della locazione. Si tratta, dunque, di un'ulteriore chance per il conduttore, consentendogli di adempiere, sia pure in ritardo ed a seguito della domanda giudiziale del locatore, per fare salvo il contratto di locazione; l'istituto è così finalizzato alla tutela delle esigenze abitative del conduttore, cui resta sacrificato il diritto del locatore ad ottenere la risoluzione del contratto di cui pure ricorrerebbero i presupposti. Nello specifico, l'art. 55 della l. n. 392/1978 prescrive che, ai fini della suddetta sanatoria, il conduttore deve versare alla prima udienza o nel termine, non superiore a novanta giorni, in quella sede assegnato dal giudice (se sussistono comprovate ragioni di difficoltà), tutti i canoni scaduti, gli oneri accessori maturati, maggiorati dagli interessi e dalle spese processuali liquidate dal giudice; quale ulteriore corollario, la norma in commento prevede che la morosità non possa essere sanata più di quattro volte nel corso del quadriennio e che il termine di cui sopra possa essere di centoventi giorni se l'inadempienza non si sia protratta per oltre due mensilità e se le precarie condizioni economiche del conduttore siano insorte dopo la stipulazione del contratto e siano dipese da disoccupazione, malattia o gravi comprovate condizioni di difficoltà. Ad ogni buon conto, l'effetto del pagamento eseguito dal conduttore, nell'àmbito di questo sub-procedimento di sanatoria, è quello di escludere la risoluzione del contratto, mentre scaduto il termine di grazia, l'inadempimento è ipso iure grave e rilevante; il mancato rispetto del termine di grazia concesso per il pagamento del canone ex art. 55 della l. n. 392/1978 comporta automaticamente la risoluzione del contratto, non essendo necessario che ricorra il requisito dell'importanza dell'inadempimento di cui all'art. 1455 c.c. Di converso, perché possa pronunciarsi la risoluzione di un contratto di locazione per inadempimento del conduttore nel pagamento dei canoni, è necessario che l'inadempimento e, quindi, la morosità sussistano al momento della domanda, essendo ininfluente la successiva condotta del conduttore, conseguendone che, poiché la sanatoria di cui all'art. 55 citato ha l'effetto retroattivo di cancellare la morosità fatta valere dal locatore, se il conduttore sana la morosità nel termine di grazia concessogli in sede giudiziale, l'inadempimento vien meno sin dal momento della proposizione della domanda e, pertanto, non può giustificare la risoluzione del contratto. In quest'ordine di concetti, la valutazione legale della non “scarsa importanza” dell'inadempimento del conduttore, ove il ritardo nel pagamento del canone abbia superato venti giorni, delineata dal precedente art. 5, è stata controbilanciata dalla possibilità offertagli di impedire il conformarsi di tale elemento (e cioè la “non scarsa importanza”): in tal modo, è stato riconosciuto al medesimo conduttore – rompendo così la rigidità del disposto dell'ultimo comma dell'art. 1453 c.c. – il diritto di adempiere la propria obbligazione, malgrado sia stata proposta domanda di risoluzione, sino alla prima udienza o entro un termine che, ove ricorrano particolari situazioni, il giudice è chiamato a fissare, corrispondendo altresì interessi legali e spese giudiziali. Il significato dell'istituto è – come sopra evidenziato – quello di conservare il “diritto all'abitazione” del conduttore, tenendo indenne la controparte da ogni pregiudizio conseguente al ritardato pagamento. Si tratta, d'altronde, di una tendenza al salvataggio di taluni rapporti di durata che investono profili di rilievo economico-sociale, che sarà ripresa dall'art. 5 della l. n. 203/1982 (in tema di contratti agrari) in forza del quale il concedente, prima di ricorrere al giudice, deve contestare all'altra parte, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, l'inadempimento ed illustrare le proprie motivate richieste, per cui “non si dà luogo” alla risoluzione del contratto ove l'affittuario sani le inadempienze entro tre mesi. Pertanto, certamente l'inadempienza permane, mentre è, invece, la fattispecie sostanziale dell'inadempimento “di non scarsa importanza” – che sostiene, secondo la disciplina codicistica, la risoluzione del contratto – ad essere incompleta ove il debitore si attivi secondo il meccanismo dell'art. 55 della l. n. 392/1978; il pagamento in quei termini si pone, allora, quale fatto impeditivo al realizzarsi di quella fattispecie: occorre, cioè, per integrare la “non scarsa” importanza dell'inadempienza, che esso permanga sino alla prima udienza del giudizio di risoluzione, come può trarsi dall'art. 5 della legge che pone immediatamente l'accento proprio sulla necessità che manchi il successivo comportamento del debitore (“salvo quanto previsto dall'art. 55”) perché si concreti, in presenza dell'altro elemento (la durata della morosità di venti giorni dalla scadenza prevista), il presupposto dell'inadempimento risolutorio. Nel peculiare procedimento di sfratto per morosità di cui all'art. 658 c.p.c. – al cui commento si rinvia – il conduttore, all'udienza di convalida, per evitare la convalida, può opporsi a quest'ultima (pagando semmai solo la somma non contestata), oppure può scegliere di sanare spontaneamente in maniera completa la morosità dedotta nell'intimazione, sia nella stessa udienza fissata nella convalida (banco iudicis), sia previa assegnazione del c.d. termine di grazia (se ricorrono i presupposti). Tipologie edilizie interessateLocazioni abitative Il primo problema che si è posto è stato quello di determinare l'àmbito oggettivo di applicabilità della sanatoria della morosità, che permette al conduttore che se ne avvalga di evitare la risoluzione del contratto. Riguardo alla tipologie locatizie interessate, ci si è domandati, in primo luogo, se la sanatoria sia applicabile solo alle locazioni di immobili per uso abitativo o anche alle locazioni relative agli immobili commerciali (riguardo alla parallela questione concernente l'àmbito applicativo della predeterminazione legale dell'inadempimento di cui all'art. 5 della l. n. 392/1978, si rinvia al commento di tale norma e alla giurisprudenza ivi richiamata anche con riferimento alla problematica de qua). Interrogativo, quest'ultimo, più che legittimo considerando la collocazione topografica dell'art. 55 nel capo III della legge sull'equo canone, dedicato alle “disposizioni processuali”, dopo che i capi I e II si sono occupati delle locazioni di immobili urbani adibiti, rispettivamente, ad uso abitazione e ad uso diverso; d'altronde, in senso favorevole ad escludere un'interpretazione riduttiva, poteva opinarsi che, in virtù dell'art. 74 della legge sull'equo canone, a norma del quale le norme processuali degli articoli da 43 a 57 della stessa legge erano applicabili alle locazioni previste dai capi I e II, la disposizione dell'art. 55, in tema di sanatoria in sede giudiziale della morosità del conduttore nel pagamento dei canoni e degli oneri accessori, trovasse applicazione, in mancanza di espresse limitazioni risultanti dal dato normativo, nonché di qualsivoglia incompatibilità di ordine logico, anche per le locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo. Al riguardo, la giurisprudenza – dopo qualche tentennamento iniziale, v., per tutte, in senso estensivo (maggioritario), Cass. III, n. 4031/1998; Cass. III, n. 448/1998; Cass. III, n. 6131/1995; Cass. III, n. 10202/1994; Cass. III, n. 5182/1988; Cass. III, n. 3791/1987; Cass. III, n. 6995/1986; Cass. III, n. 4799/1986; Cass. III, n. 2594/1984; e, in senso restrittivo (minoritario), Cass. III, n. 6023/1995; Cass. III, n. 2232/1995; Cass. III, n. 2496/1992 – ha affermato, anche nella sua massima composizione, che l'art. 55 della l. n. 392/1978 non si applica al settore dei contratti locativi aventi ad oggetto immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo. Il ragionamento seguito dai giudici di legittimità è apparso anche in dottrina lineare e convincente, tra l'altro, laddove sottolinea che la morosità, che può esser sanata, è quella descritta nella prima parte dell'art. 55, che richiama espressamente l'art. 5 della l. n. 392/1978, e dal combinato disposto delle due disposizioni si deduce che la sanatoria è applicabile alle sole locazioni abitative, anche se non sempre gli interpreti si sono trovati d'accordo su tale vexata quaestio (tra i vari contributi in argomento, comunque, nella maggior parte adesivi: Bufano, 464; Carretta, 645; Cirla, 46; Colla, 1; Cuffaro, 977; Giove, 670; Izzo 1999, 1295; Vascellari, 496; Trifone 1982, 359; Scarpa 2010, 577; Sassu, 783; Parmeggiani, 965; Lepore, 30; Mirenda, 272, il quale, in particolare, sottolinea l'inevitabile destino congiunto degli artt. 5 e 55 della l. n. 392/78: simul stabunt simul cadunt). L'interpretazione dell'art. 55 della l. n. 392/1978, “condotta in base alla sua connessione con l'art. 5, prevede la possibilità di escludere la risoluzione per inadempimento che dovrebbe essere pronunciata in base all'art. 5, e non applicandosi l'art. 5 al di fuori delle locazioni abitative, è dentro questo campo che si colloca anche l'art. 55” (così Cass. S.U., n. 272/1999); in altre parole, il legislatore, nel disciplinare la sanatoria de qua, non si è limitato a prevedere, in genere, che il conduttore, convenuto per la risoluzione del contratto, possa evitare tale effetto pagando, nell'ultimo termine consentitogli, tutto quanto da lui dovuto per canoni/oneri/accessori, ma ne ha limitato la portata alle sole ipotesi di inadempimento da morosità contemplate dall'art. 5, sicché è lo stesso art. 55 – disposizione di natura processuale e, dunque, di per sé, inidonea a dilatare l'àmbito di applicazione di una norma di natura sostanziale – a limitare la propria operatività alle sole locazioni abitative; si è, poi, valorizzato il riferimento alla possibilità di sanatoria tardiva nel corso del “quadriennio”, ossia riguardo ad un rapporto locatizio di durata minima quadriennale, durata a tutt'oggi riscontrabile nei rapporti di locazione ad uso abitativo. Tale interpretazione è, inoltre, corroborata dal rilievo che gli artt. 5 e 55 della citata legge, intesi nel senso di riguardare le locazioni abitative, danno luogo ad una disciplina degli effetti dell'inadempimento di cui sono state chiarite le ragioni e l'interna razionalità: il legislatore, nell'intento di favorire l'accesso del conduttore al godimento dell'abitazione ha regolato l'ammontare del canone; come “contrappeso”, ha imposto al conduttore rigide regole di comportamento nell'adempiere all'obbligazione di pagare il canone e, per “controbilanciarle”, gli ha dato la possibilità di sanare entro certi limiti e termini il proprio inadempimento (in senso conforme, v., in seguito, Cass. III, n. 9555/2017; Cass. III, n. 1428/2017; Cass. III, 22905/2016; Cass. III, n. 13248/2010; Cass. III, n. 23223/2009; Cass. III, n. 6427/2009; Cass. III, n. 10587/2008; Cass. III, n. 640/2007; Cass. III, n. 12121/2006; Cass. III, n. 11777/2006; Cass. III, n. 2144/2006; Cass. III, n. 9878/2005; Cass. III, n. 15709/2003; Cass. III, n. 14903/2002; Cass. III, n. 741/2002; tra le pronunce di merito conformi all'indirizzo maggioritario, si segnalano: App. Napoli 4 marzo 2011; Trib. Modena 28 luglio 2009; Trib. La Spezia 16 giugno 2009; Trib. Firenze 9 gennaio 2008; Trib. Benevento 21 febbraio 2005; Trib. Modena 6 dicembre 2001; Trib. Napoli – Marano 14 novembre 2001, con particolare riferimento alle locazioni ricadenti nel regime della l. n. 431/1998; Trib. Verona 16 giugno 1999; Pret. Verona 16 maggio 1997; Pret. Chieti 22 marzo 1996; Pret. Verona 26 febbraio 1994; Pret. Verona 12 febbraio 1994; Trib. Lucca 24 marzo 1990; Trib. Milano 24 gennaio 1985; Trib. Milano 29 marzo 1984; App. Brescia 14 maggio 1983; Trib. Roma 10 marzo 1983; Pret. Roma 9 febbraio 1983; App. Bari 7 febbraio 1983; Trib. Messina 3 luglio 1982; Pret. Bassano del Grappa 1 dicembre 1981; Trib. Foggia 10 settembre 1981; Pret. Trani 28 aprile 1981; in senso contrario, prima dell'intervento del massimo organo di nomofilachia, si registravano: Trib. Bassano del Grappa 2 dicembre 1999; Trib. Terni 14 dicembre 1999; Pret. Bergamo 8 giugno 1999; Pret. Chieti 10 luglio 1996; Pret. Piacenza 26 aprile 1996; Pret. Napoli 20 novembre 1992; Trib. Torino 28 ottobre 1983; Pret. Chieti 21 giugno 1982; Pret. Viareggio 6 febbraio 1982; Trib. Napoli 13 novembre 1981; Pret. Gubbio 14 febbraio 1981; P. Bologna 27 novembre 1980; Pret. Pizzo 8 maggio 1980). Anche i giudici della Consulta (Corte cost., n. 410/2001) hanno avallato tale soluzione, argomentando riguardo alla “non omogeneità delle situazioni del conduttore” di immobile adibito ad uso diverso dall'abitazione e di quella del conduttore di immobile ad uso abitativo, venendo in considerazione, nell'un caso, quell'interesse primario della persona che, invece, manca per definizione nell'altro; d'altronde, l'articolazione del processo rientra nella discrezionalità del legislatore, sicché la limitata sfera applicativa della sanatoria non viola l'art. 24 Cost., “costituendo essa, al contrario, legittimo esercizio dei discrezionalità legislativa a tutela dell'interesse primario della persona all'abitazione”, laddove, nelle locazioni ad uso diverso, prevalgono interessi di natura prettamente economica, il che, appunto, giustifica un regime processuale differenziato. Non sono mancate, però, voci di dissenso proprio alla luce del meccanismo di “pesi e contrappesi” delineato dal massimo organo di nomofilachia: invero, nell'ottica della l. n. 392/1978, alla previsione di un canone determinato autoritativamente dalla legge, faceva riscontro la rigorosa predeterminazione legale della morosità ex art. 5, cui si contrapponeva la possibilità offerta al conduttore moroso, ai sensi del successivo art. 55, di procedere alla sanatoria tardiva; sistema equilibrato di bilanciamento che, però, nell'ottica della l. n. 431/1998 poteva essere messo in crisi dalla previsione del canone libero anche nelle locazioni abitative. Al riguardo, si è acutamente osservato (Scarpa 2010, 86) che, oggi, privato dell'originario collegamento con la misura imposta del corrispettivo, lo speciale strumento processuale della sanatoria perde di ragionevolezza ai sensi dell'art. 3, comma 2, Cost. laddove si esclude l'applicabilità agli usi diversi; stando così le cose, esclusa la possibilità di estendere a questi ultimi il beneficio secondo l'attuale normativa e alla luce del granitico orientamento di legittimità, si auspica, pertanto, un futuro intervento legislativo in grado di modificare questo stato di “apparente pacifica e quiescente interpretazione, mostrando così una cupa rassegnazione”. Dal punto di vista pratico, altresì, si evidenzia (Grasselli, Masoni, 386) che questa situazione di ingiustificato discrimine appare grave nella difficile congiuntura odierna, in cui la crisi economica non risparmia dagli inadempimenti, in eguale misura, i conduttori di immobili abitativi e quelli di immobili non abitativi, per effetto di uno “spietato circolo vizioso”, in forza del quale chi si trova in difficoltà finanziaria non è in grado di corrispondere i canoni dell'abitazione e neppure l'affitto del negozio, del capannone o dell'attività imprenditoriale, laddove potrebbe, invece, sterilizzare, almeno temporaneamente, il rischio di essere sfrattato. Nell'ottica di lenire le sofferenze nel pagamento della pigione mensile in cui, a fronte della grave contingenza economica, versano questi ultimi conduttori, in pratica sfrattati per la formale inapplicabilità, nei loro confronti, del beneficio di cui all'art. 55 della l. n. 392/1978, si pone una recente pronuncia del Supremo Collegio (Cass. III, n. 7621/2010), che prevede il richiamo all'istituto del termine di grazia nell'àmbito dell'autonomia negoziale dei contraenti: infatti, in una locazione di immobile adibito ad uso diverso da quello abitativo, si è considerata valida la clausola, liberamente scelta e accettata dalle parti al momento della stipulazione del contratto, che preveda la possibilità per il conduttore di sanare la mora in sede giudiziale per non più di tre volte nel corso del rapporto, in deroga alla l. n. n. 392/1978 che, all'art. 55, contempla tale tutela per i soli conduttori di immobili destinati ad uso abitativo, trattandosi di clausola che le parti, nella loro autonomia contrattuale, ben possono prevedere, in quanto si riferisce a diritti disponibili, non viola l'art. 1418 c.c. e non rientra neppure nella previsione di cui all'art. 79 della predetta legge, relativa ai “patti contrari alla legge”, attribuendo un vantaggio non al locatore ma al conduttore. Stante, dunque, che la finalità dell'istituto è quella di conservare il “diritto all'abitazione” del conduttore, logico corollario è che esso non possa applicarsi alle locazioni “escluse” di cui alla l. n. 431/1998. Nello scrutinare se la sanatoria giudiziale operasse riguardo a tutte le locazioni abitative, oppure ad alcune di esse soltanto, la soluzione, nel vigore della legge sull'equo canone, dipendeva dalla formulazione dell'art. 26 della l. n. 392/1978 – oggi abrogato dall'art. 14, comma 4, della l. n. 431/1998 – il quale escludeva, dall'àmbito di applicazione del capo I della legge, in cui era collocato appunto il non abrogato art. 5, le locazioni transitorie, le locazioni di immobili di edilizia sovvenzionata e convenzionata nonché le locazioni di immobili di particolare pregio. In proposito, la Suprema Corte, muovendo dal summenzionato arresto delle Sezioni Unite in tema di inapplicabilità della sanatoria giudiziale agli usi diversi (Cass. S.U., n. 272/1999 cit.), dopo aver condiviso la tesi dell'applicabilità della sanatoria giudiziale a quelle sole locazioni che siano soggette all'art. 5 citato, ha osservato che quest'ultima norma, nel regime dell'equo canone, non si applicava alle locazioni “escluse” ai sensi dell'art. 26 della l. n. 392/1978, sicché la sanatoria giudiziale di cui all'art. 55 della stessa legge non si applicava alle locazioni transitorie (Cass. III, n. 2681/2012; Cass. III, n. 1264/2003; Cass. III, n. 12743/2001) e, secondo lo stesso ragionamento, neppure alle altre locazioni “escluse” di cui all'art. 26. Sul punto, si è, di recente, statuito – a chiari note – che l'art. 55, comma 1, della l. n. 392/1978, nella parte in cui prevede la concessione di un termine (c.d. di grazia) per la sanatoria, in sede giudiziale, della morosità del conduttore nel pagamento dei canoni e degli oneri accessori, non riguarda le locazioni di immobili stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria, in quanto, ex art. 26, comma 1, della medesima legge, a tali locazioni non si applica il capo I, di cui fa parte l'art. 5 e, conseguentemente, l'art. 55, il quale è inscindibilmente connesso con il primo (Cass. III, n. 2964/2014). Per quanto concerne, infine, le locazioni turistiche, si rileva, per un verso, che l'art. 1, lett. c), della l. n. 431/1998 prevede che le disposizioni di cui agli artt. 2, 3, 4, 4 bis, 7, 8 e 13, non si applicano agli “alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche”, e, per alto verso, che l'art. 33 del d.lgs. n. 79/2011 (Codice del turismo) prevede che queste locazioni siano “regolate dalle disposizioni del codice civile”, il che induce a ritenere l'inapplicabilità, per queste tipologie, del termine di grazia che non si trova disciplinato nell'assetto codicistico (nella giurisprudenza di merito, Trib. Firenze 3 luglio 2003; Trib. Modena – Pavullo nel Frignano 31 gennaio 2013, che evidenzia come la finalità di svago, villeggiatura, vacanza, e riposo, che caratterizza il rapporto turistico, non giustifica, da un punto di vista sostanziale, la deroga ai principi generali dettati in tema di risoluzione del contratto per grave inadempimento ex artt. 1453 e 1455 c.c.; in argomento, v. anche Trib. Modena 29 novembre 2006, ad avviso del quale, ai contratti di locazione di “immobili destinati a particolari attività”, rientranti nell'alveo dell'art. 42 della l. n. 392/1978 – nella specie, trattavasi di circolo per lo svolgimento di attività culturali, attività sportive con relativo bar e giochi leciti – non è applicabile la previsione di cui all'art. 55). D'altronde, poiché l'art. 5 si applica ancora alle locazioni abitative pur dopo l'entrata in vigore della nuova legge del 1998, che non ne ha disposto l'abrogazione, si deve ritenere che esso si applichi alle locazioni abitative soggette alla nuova disciplina, ossia alle locazioni abitative primarie a canone libero ed a canone concertato, ma, se l'art. 5 si applica a tali locazioni, alle medesime, e non ad altre, si applica la sanatoria giudiziale, ex art. 55 (Lazzaro, Di Marzio, 450). Alloggi popolari A questo punto, va accennato alla sanatoria nelle locazioni degli alloggi degli Istituti Autonomi Case Popolari (d'ora in poi, per brevità, I.A.C.P.), in cui è prevista, come una sorta di ius singulare, una particolare e alternativa forma di sfratto a seguito di inadempimento all'ingiunzione di pagamento dei canoni. La norma di riferimento è l'art. 32 del r.d. n. 1165/1938 (“Approvazione del testo unico delle disposizioni sull'edilizia popolare ed economica), che recita: “Gli Istituti [...] nell'ipotesi di mancato pagamento di rate di fitto, possono richiedere lo sfratto dell'inquilino moroso con ricorso [...]. Al ricorso deve essere unita una dichiarazione del presidente dell'Istituto il quale, sotto la sua personale responsabilità, attesti la morosità dell'inquilino [...]. Il giudice, mediante decreto in calce al ricorso, ingiunge al debitore di pagare entro il termine di dieci giorni dalla notificazione, trascorso il quale, in caso di inadempienza, si procede allo sfratto [...]. Copia del ricorso e del decreto deve essere notificata al debitore [...]. Contro il decreto il debitore può, entro il termine di giorni cinque alla notificazione, proporre opposizione [...]. L'opposizione non sospende l'esecuzione, ma il giudice può, in casi gravi e senza pregiudizio della decisione di merito, con nuovo decreto sospendere l'esecuzione del decreto precedente, fino all'esito del giudizio di opposizione”. In proposito, va sùbito ricordato che i giudici della Consulta hanno dichiarato l'illegittimità costituzionale dei commi 3 e 7 del citato art. 32 nelle parti in cui, per il pagamento dei canoni scaduti e per l'opposizione al decreto ingiuntivo, fissavano termini diversi da quelli previsti dall'art. 641 c.p.c. per l'ordinario procedimento ingiuntivo (Corte cost., n. 159/1969); ne consegue che i termini originariamente previsti di dieci giorni dalla notificazione del decreto ingiuntivo per il pagamento delle pigioni, e di cinque per proporre opposizione, sono stati elevati a venti giorni, allineandosi così a quelli della disciplina codicistica. Tale norma, poi, è stata sospettata di illegittimità costituzionale (Trib. Roma 29 giugno 1990), sul rilievo che, mentre sino all'emanazione della l. n. 392/1978, essa si era mossa in sintonia con la disciplina del “termine di grazia” previsto dalla normativa vincolistica delle locazioni, ciò non era più ravvisabile nel mutato quadro di riferimento rapportato anche all'assetto sostanziale delle locazioni, ben diverso da quello esistente anteriormente. In particolare, si era osservato che la legge sull'equo canone ha conferito all'istituto un contenuto sostanziale, facendola operare ex ante rispetto al provvedimento del giudice; la sanatoria opera non sulla base del canone preteso, bensì di quello dovuto; il termine di grazia, per così dire, “ordinario” consente di calibrare il periodo entro il quale sanare la morosità in relazione alle condizioni del conduttore, laddove un termine fisso pone sullo stesso livello tutti i conduttori, prescindendo, quindi, dall'importo del dovuto, dalle loro condizioni economiche, dalla precarietà della situazione; il conduttore, nel procedimento per convalida di sfratto, può far valere le proprie ragioni comparendo personalmente e, quindi, senza aggravio di spese, mentre l'opposizione del decreto di cui all'art. 32, necessita del patrocinio e, stante la ristrettezza del termine per proporla, rende difficilmente attuabile l'esperimento della procedura per godere del “gratuito patrocinio”. Il giudice delle leggi ha, però, disatteso l'eccezione di incostituzionalità (Corte cost., n. 419/1991). Il tema da decidere era se la procedura disposta dal citato art. 32 – il quale, appunto, riconosce al decreto di ingiunzione di pagamento, emesso dal giudice su ricorso dello I.A.C.P. contro l'inquilino moroso, natura di titolo esecutivo per lo sfratto e per l'esecuzione sui beni mobili del debitore – avesse ancora una ragionevole giustificazione, nel mutamento di importanti dati contestuali. Si è premesso che la rapidità e unicità del procedimento di ingiunzione e di sfratto appare in una norma che può essere stata influenzata dalle concezioni autoritarie allora dominanti specie nelle discipline di rapporti a prevalente impronta pubblicistica, mentre, nel successivo regime democratico, in una più favorevole comprensione dello Stato sociale per le ragioni dei conduttori di locazioni di immobili urbani destinati ad abitazione, si sono introdotte procedure meno pressanti (v., ad esempio, il c.d. termine di grazia, previsto dall'art. 37 della l. n. 253/1950 e dall'art. 4, comma 6, della l. n. 833/1969, consistente nella possibilità che sia concesso al conduttore moroso un termine – non inferiore a venti giorni e non superiore a sessanta per il pagamento delle pigioni scadute – che, se adempiuto, fa perdere efficacia al provvedimento di rilascio). Sopravvenuta la l. n. 392/1978, l'intera materia è stata organicamente ridisciplinata e, in particolare con gli artt. 55 e 56, la posizione del conduttore moroso trovava tutela in via di sanatoria dell'inadempienza per canoni scaduti sino a quattro volte nel corso di un quadriennio, con pagamento che aveva effetto di escludere la risoluzione del contratto, nonché, quando fosse emesso il provvedimento di rilascio, con dilazione dell'esecuzione nel termine di sei mesi e in casi eccezionali di dodici dalla data del provvedimento; si aggiungeva la progressiva valorizzazione del diritto di permanere nell'abitazione, a compenso dell'insufficienza del mercato a rispondere alla crescente domanda della popolazione urbana, sino alla formulazione di un diritto sociale fondamentale all'abitazione. Già la precedente pronuncia del giudice delle leggi del 1969 aveva evidenziato che le particolarità, che tendevano ad assicurare all'Istituto una procedura più rapida per il recupero dei canoni scaduti e per il rilascio dell'alloggio da parte dell'inquilino inadempiente, si giustificavano con la necessità di garantire il perseguimento degli scopi di pubblico interesse del medesimo Istituto e non comportavano alcuna menomazione dei diritti di difesa e di tutela giurisdizionale del soggetto privato. Non sussisteva, infatti, identità giuridica di situazioni tra l'inquilino di una privata abitazione e il concessionario di un alloggio popolare: il rapporto di locazione ha un fine, nel primo caso, di remunerazione del capitale investito dal proprietario-locatore, mentre, nel secondo, di soddisfacimento dell'obbligo dell'Istituto di fornire l'abitazione popolare a categorie meno abbienti di cittadini con canoni inferiori a quelli correnti sul mercato. Era pur vero che non si poteva trovare giustificazione di quella procedura nel dare soltanto rilievo alle finalità di pubblico interesse perseguite dall'Istituto, senza bilanciamento con le condizioni, di regola, economicamente assai deboli dei concessionari di alloggi popolari, e pertanto era doveroso per il legislatore intervenire a sostituire la disciplina del 1938 con altra più rispettosa dell'odierna rilevanza costituzionale del diritto all'abitazione, che aveva portata generale e superava le separazioni tra edilizia pubblica e privata. Nondimeno – secondo il parere dell'autorevole consesso decidente – sino al momento del sopravvento di tale auspicata riforma, anche nella vigenza della normativa censurata, il giudice ben poteva adeguarsi ad un'interpretazione atta a consentire l'operatività del procedimento in sintonia con l'indicata preminenza delle situazioni soggettive riconducibili all'abitazione. Lo strumento processuale di cui si giovavano gli Istituti trovava, infatti, il contemperamento del suo carattere sommario nella fase di opposizione; attraverso il contraddittorio, che pur sempre garantiva una cognizione piena, in primo luogo, poteva essere fatto valere l'adempimento, ove questo fosse medio tempore intervenuto, con la conseguenza della revoca del decreto; in secondo luogo, doveva porsi mente al comma 8 della norma impugnata che, dopo aver sancito l'inidoneità dell'opposizione a sospendere l'esecuzione, consentiva, però, al giudice adìto “sulla presentazione dell'atto di opposizione” di sospendere “in casi gravi” l'esecuzione “con nuovo decreto”. Tale previsione si connotava, rispetto al dettato dell'art. 649 c.p.c., in termini non solo speciali ma certamente anche più consoni ad un'esecuzione che scaturiva ope legis, e più aderenti alla specificità del rapporto tra assegnatario ed Istituto: l'esecuzione era sospesa non su istanza ma su semplice presentazione dell'atto introduttivo, per decreto e non con ordinanza, e soprattutto quando la gravità riguardava non i motivi ma “il caso” inteso nella sua globalità (e, quindi, anche aspetti sociali ed umani della concreta situazione dedotta in giudizio). Ne deriva per l'interprete – conclude la Corte costituzionale – non soltanto l'opportunità, ma addirittura la necessità di capovolgere il paradigma logico della disposizione, al fine di estendere quanto più possibile la concessione della sospensione dell'esecuzione, ammessa originariamente in via di eccezione, ma da considerarsi oramai ordinaria regola del giudicare alla luce dell'evoluzione del contesto normativo e del rango assunto dall'appagamento delle esigenze abitative. Come la dottrina ha prontamente osservato, la pronuncia in esame, mostrando di apprezzare le argomentazioni del giudice a quo e rivolgendo un invito al legislatore a “sostituire la disciplina del 1938 con altra più rispettosa dell'odierna rilevanza costituzionale del diritto all'abitazione che ha portata generale e supera le separazioni tra edilizia pubblica e privata”, opera un implicito riconoscimento della non estrema limpidezza, sul piano costituzionale, della norma denunciata; essa, comunque, con il rinvio ad un equilibrato giudizio dei “casi gravi”, attua saggiamente il contemperamento tra i diversi interessi per la concreta ed efficace realizzazione del diritto all'abitazione, “senza aggravare tuttavia la diffusa situazione di morosità, tale da incidere sulla funzionalità e la gestione economica degli enti pubblici preposti” (così Izzo 1992, 316). Successivamente, anche un altro giudice di merito ha riproposto la questione di costituzionalità della norma in discorso in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. (Trib. Modena 19 luglio 2002), ma nuovamente senza successo, perché tale questione è stata parimenti disattesa (Corte cost., n. 203/2003). In seguito, è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 32 in esame riguardo agli artt. 3 e 24 Cost., in quanto non consente l'applicazione del termine di grazia per la morosità dell'assegnatario; infatti – hanno osservato i giudici della Consulta – il remittente ha riproposto la stessa questione già dichiarata infondata, ripetendo integralmente, senza nulla aggiungere, le stesse argomentazioni contenute nella precedente ordinanza di rimessione, e ha posto una questione del tutto estranea al giudizio a quo, avente ad oggetto la richiesta di emissione del decreto, giacché il problema se, dopo l'entrata in vigore della l. n. 431/1998, il termine di grazia di cui all'art. 55 della l. n. 392/1978 sia o meno applicabile al procedimento previsto dalla norma impugnata per le locazioni di edilizia residenziale pubblica, potrebbe essere posto solo in sede di eventuale opposizione al decreto ingiuntivo previsto dalla stessa norma (Corte cost., n. 227/2006). Più di recente, il giudice delle leggi ha dichiarato “manifestamente inammissibile”, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale del citato art. 32 del r.d. n. 1165/1938, nella parte in cui, diversamente da quanto ordinariamente previsto dal codice di rito in relazione al procedimento monitorio, non prevede un termine massimo per la notificazione, al conduttore moroso di alloggio di edilizia economica e popolare, del decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni, a pena di inefficacia dello stesso, per non aver il giudice remittente adempiuto l'obbligo di ricercare un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata (Corte cost., n. 175/2008). Ambiti processuali di applicazioneGiudizio ordinario di risoluzione Sempre sul versante applicativo dell'istituto, un altro fascio di problemi su cui gli interpreti si sono da sùbito confrontati ha riguardato l'àmbito più prettamente processuale, e segnatamente se la sanatoria potesse operare nel giudizio ordinario di risoluzione per inadempimento ex artt. 1453 e 1455 c.c. e nell'opposizione tardiva alla convalida contemplata dall'art. 668 c.p.c. Riguardo al “termine di grazia” previsto nella legislazione vincolistica, la prevalente giurisprudenza – pur non mancando decisioni di segno opposto (Cass. III, n. 1778/1957; Cass. III, n. 440/1952) – aveva inquadrato l'istituto esclusivamente nell'àmbito del procedimento per convalida di sfratto per morosità (artt. 658 ss. c.p.c.), ritenendo che il termine poteva essere concesso solo in occasione della pronuncia dell'ordinanza ex art. 665 c.p.c., essendo finalizzato a “sterilizzare” il provvedimento di rilascio immediato: in pratica, il giudice, dinanzi al quale il giudizio doveva proseguire (art. 667 c.p.c.), poteva, in esito allo stesso, valutare la gravità dell'inadempimento, pronunciare la risoluzione del contratto e disporre il rilascio dell'immobile (Cass. III, n. 3424/1984; Cass. III, n. 5438/1983; Cass. III, n. 1786/1979); ne conseguiva che l'istituto non poteva trovare applicazione qualora il locatore avesse sin dall'inizio prescelto l'instaurazione di un ordinario giudizio di risoluzione (Cass. III, n. 4761/1980). Siffatto indirizzo è stato, peraltro, criticato in dottrina (Lazzaro, Preden, Varrone, 219), la quale, valorizzando l'ampio significato del termine “provvedimento” e la ratio della norma ispirata al favor conductoris, ha affermato l'applicabilità della sanatoria tutte le volte che il giudice disponga il rilascio per morosità di un immobile, e cioè sia nel caso di ordinanza provvisoria di rilascio (art. 665 c.p.c.), sia nel caso di ordinanza di convalida di sfratto (art. 663 c.p.c.), sia nel caso di sentenza che dichiari risolto il contratto per inadempimento del conduttore a conclusione di un processo sin dall'origine ordinario o divenuto tale a seguito della trasformazione di quello sommario di convalida. Il principio per cui la sanatoria de qua trovasse applicazione solo nel procedimento per convalida di sfratto per morosità, e non pure quando fosse introdotto un ordinario giudizio di risoluzione, è stato, però, per lungo tempo acquisito (nella giurisprudenza di merito, v. Pret. Lecce 18 novembre 1998). Tale tesi – opposta da un indirizzo originariamente minoritario (Cass. III, n. 1740/1987; Cass. III, n. 4057/1985; Trib. Catanzaro 12 marzo 1987) – aveva, peraltro, trovato l'autorevole avallo dei giudici della Consulta (Corte cost., n. 2/1992), oltre che della giurisprudenza di legittimità anche nel regime della legge sull'equo canone (Cass. III, n. 1451/1991), confermando, quindi, il dettato codicistico per il quale, qualora la domanda di risoluzione fosse stata introdotta con un ordinario giudizio, al conduttore non era consentito adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda. Nello specifico, il giudice remittente (Trib. Torino 4 aprile 1991) aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 55 della l. n. 392/1978, nella parte in cui, in forza della costante interpretazione giurisprudenziale sopra delineata, prevedeva che la sanatoria giudiziale della morosità si applicasse al solo procedimento per convalida di sfratto ex art. 658 c.p.c. e non anche all'ordinario giudizio di risoluzione per inadempimento, nel qual caso non sarebbe dato al conduttore di adempiere l'obbligazione dopo la proposizione della domanda ai sensi del comma 3 dell'art. 1453 c.c. Il giudice delle leggi ha ritenuto tale questione “non fondata”, atteso che il quesito postogli era se la norma impugnata, che escludeva la risoluzione del contratto di locazione a seguito del pagamento dei canoni scaduti, fosse applicabile non solo nel procedimento sommario di convalida di sfratto per morosità, ma anche nel giudizio ordinario di risoluzione del contratto per inadempimento, ma la Corte di Cassazione, cui era riservata la interpretatio iuris, aveva dato al quesito risposta negativa, sicché doveva solo verificarsi l'eventuale lesione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza contenuti nell'art. 3 Cost. Si è osservato, al riguardo, che la norma impugnata era ispirata – non a mero criterio di favore per il conduttore moroso, bensì – alla ratio della l. n. 392/1978 di conservare continuità al rapporto di locazione, per cui non poteva affermarsi che il conduttore, il quale, purgando la mora banco iudicis, in sede di procedimento speciale vedeva esclusa la risoluzione del contratto, fosse in assoluto vantaggio rispetto al conduttore convenuto in un giudizio ordinario di risoluzione per inadempimento. Tali situazioni – ad avviso della Corte costituzionale – non erano comparabili in termini di melior o deterior condicio: da un lato, la possibilità di adempiere era prevista in una fase processuale caratterizzata dalla ristrettezza dei termini per la vocatio in ius e da una cognizione sommaria, dove alla mancata comparizione si ricollegava automaticamente l'effetto risolutorio del rapporto, e, d'altro, siffatto strumento era escluso in un giudizio assistito dalle garanzie di una cognizione piena e tendenzialmente improntato a tempi processuali più dilatati. Inoltre, appariva difficile scindere concettualmente il processo introdotto ex novo da quello, parimenti ordinario, conseguente alla fase sommaria che si instaurava per effetto dell'opposizione dell'intimato, nel corso del quale quest'ultimo, avendo già consumato il relativo potere nell'antecedente procedimento davanti al giudice, mai potrebbe valersi del più volte citato congegno di cui alla norma impugnata. Ne derivava, quindi, che l'istituto della sanatoria era inutilizzabile anche allorché, a seguito dell'opposizione dell'intimato, il giudizio proseguisse per il merito, a rito e cognizione ordinari; sul punto, era stata già reputata manifestamente infondata (in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 55, nella parte in cui non consentiva al conduttore di richiedere termine per sanare la morosità nell'ulteriore corso del processo (Corte cost., n. 315/1986). Si registrava, al contempo, un altro indirizzo in base al quale la sanatoria, concernente i soli oneri condominiali, potesse avvenire anche in un ordinario procedimento di cognizione per la risoluzione del contratto ed il rilascio della cosa locata (Cass. III, n. 1835/1989; Cass. III, n. 7745/1986; in ordine ai canoni, v. Pret. Bergamo 24 giugno 1987), e tale beneficio trovava applicazione sia nella fase sommaria sia in quella di cognizione ordinaria seguita all'opposizione alla convalida (Cass. III, n. 4474/1985; Pret. Bologna 18 ottobre 1996). Si evidenziava, in proposito, che la norma dell'art. 55 della legge sull'equo canone risultava improntata a principi di ordine pubblico, ed era espressione di un'imperativa volontà del legislatore di assicurare la tutela del conduttore sia in via generale che in presenza di sopravvenute difficoltà economiche dipendenti da gravi cause, onde non poteva essere sacrificata in ragioni del rito adottato (Cass. III, n. 5031/1991; Cass. III, n. 6995/1986). Sempre a favore della suddetta previsione, militavano anche le precisazioni espresse in precedenti decisioni dallo stesso giudice delle leggi, il quale – anche in modo inequivoco (Corte cost., n. 572/1987) – aveva affermato che il conduttore, nell'ordinario giudizio che si instaurava a seguito dell'ammissibilità dell'opposizione tardiva ex art. 668 c.p.c., “ben poteva avvalersi, in limine litis, della facoltà di sanare la morosità”. L'orientamento maggioritario era stato criticato da parte di alcuni autori (Trifone, 23), i quali avevano espresso notevoli perplessità sulla richiamata decisione della Corte costituzionale, ed avevano auspicato “una più meditata considerazione del problema”, che tenesse conto della natura sostanziale della norma sulla sanatoria della morosità e dell'indubbia disparità di trattamento che si creava, specie per il conduttore di immobile ad uso abitativo, nella rigida previsione dell'art. 5 della legge sull'equo canone, ove dovesse persistere l'interpretazione riduttiva di cui sopra (riconsiderazione alla quale la stessa Corte, peraltro, sembrava volesse accingersi). Puntuale è arrivato, dunque, il revirement del giudice delle leggi, che ha ritenuto l'interpretazione minoritaria – incline ad ammettere il ricorso alla sanatoria giudiziale anche nel procedimento di cognizione ordinaria – non solo legittima, ma anche “costituzionalmente preferibile” (Corte cost., n. 3/1999). In quell'occasione, il giudice a quo aveva ritenuto che la facoltà del conduttore di sanare in sede giudiziale la morosità operasse solo nel procedimento sommario per convalida di sfratto e non nell'ordinario procedimento di risoluzione del contratto, in cui, secondo la regola comune, dalla data della domanda di risoluzione, il debitore inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione (art. 1453, comma 3, c.c.); e su questo presupposto interpretativo, aveva denunciato la violazione degli artt. 3 e 24 Cost., atteso che sarebbe ingiustificata la disparità di trattamento del conduttore che, trovandosi nella stessa situazione di morosità, potrebbe, con il pagamento di quanto dovuto, evitare la risoluzione del contratto in un caso e non nell'altro, ledendo, altresì, il diritto di agire in giudizio a tutela dei propri diritti, giacché la facoltà sostanziale di sanare la morosità, così escludendo la risoluzione del contratto, sarebbe dipesa dalle scelte processuali di chi deve subire gli effetti di tale facoltà. Anche in questo caso, i giudici della Consulta hanno ritenuto la questione “non fondata”, ma con le dovute precisazioni di cui appresso. Premesso che il termine per il pagamento dei canoni scaduti ex art. 55 della l. n. 392/1978, consente al conduttore di sanare in giudizio la morosità che, per le locazioni di immobili adibiti ad uso di abitazione, costituisce inadempimento e motivo di risoluzione del contratto quando siano decorsi venti giorni dalla scadenza prevista per il pagamento del canone, o quando l'importo degli oneri accessori non pagati superi quello di due mensilità del canone (art. 5 stessa legge), si è osservato che, in tal modo, il legislatore, per un verso, ha stabilito, con un valutazione legale tipica, l'importanza dell'inadempimento del conduttore idoneo a determinare la risoluzione del contratto (che non ammette clausole risolutive espresse con termini più gravosi per il conduttore), e, per altro verso, ha contemperato l'interesse del locatore a ricevere tempestivamente il corrispettivo per il godimento dell'immobile con l'interesse del conduttore a non essere privato dell'abitazione, permettendo a quest'ultimo di adempiere in sede giudiziale la sua obbligazione, per non più di tre volte nel corso della durata quadriennale del contratto, provvedendo al pagamento di quanto dovuto alla prima udienza o nel termine indicato dal giudice. Gli effetti del pagamento dei canoni scaduti nella sede giudiziale possono, però, astrattamente prodursi sia nella procedura sommaria di sfratto per morosità sia in quella ordinaria di risoluzione per inadempimento, rispondendo alla medesima finalità, e anche la disciplina delle modalità e dei termini del pagamento, prevista dalla disposizione denunciata, è egualmente compatibile con l'articolazione di entrambi i procedimenti, sicché è possibile interpretare l'art. 55 nel senso che la sanatoria in giudizio della morosità sia ammessa non solo nel procedimento per convalida di sfratto, ma anche nel giudizio ordinario di risoluzione del contratto per inadempimento. L'interpretazione che consente al debitore un efficace pagamento in sede giudiziale, tale da escludere la pronuncia di risoluzione del contratto, senza distinguere tra i diversi tipi di procedimento supera, quindi, i dubbi di legittimità costituzionale proposti dal giudice remittente: invero, la condizione del conduttore inadempiente che intenda avvalersi, nei termini previsti dalla stessa disposizione denunciata, della facoltà di sanare la morosità così escludendo la risoluzione del contratto, non muterebbe in alcun modo per effetto della procedura prescelta dal locatore, sicché era questa l'interpretazione costituzionalmente orientata da preferire. Tale indirizzo del giudice delle leggi ha, poi, fatto breccia presso i magistrati di Piazza Cavour, che sono giunti ad affermare che lo speciale istituto della sanatoria della morosità del conduttore, previsto e disciplinato dall'art. 55, per le locazioni aventi ad oggetto immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, trova applicazione sia nel procedimento di convalida di sfratto per morosità di cui all'art. 658 c.p.c., sia allorché la domanda per conseguire la restituzione dell'immobile venga introdotta dal locatore con un ordinario giudizio di risoluzione del contratto per inadempimento (v., tra altre, Cass. III, n. 2087/2000; v., più di recente, Cass. III, n. 21836/2014, ad avviso della quale la speciale sanatoria della morosità del conduttore, disciplinata dall'art. 55 per le sole locazioni abitative di immobili urbani, si applica anche quando la domanda di risoluzione contrattuale sia stata deferita agli arbitri; nella giurisprudenza di merito, Pret. Napoli 26 marzo 1999 ha puntualizzato che, pur a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 3/1999, con la quale si è interpretato l'art. 55 della l. n. 392/1978 come riferibile anche ai giudizi ordinari di risoluzione del contratto di locazione per morosità iniziati nelle forme di cui all'art. 447-bis c.p.c., resta sempre ferma per la sanatoria la barriera preclusiva della prima udienza, di cui al citato art. 55 della l. n. 392/1978, che nel caso di giudizio per convalida di sfratto è quella tenuta nella fase sommaria). Resta inteso (Cass. III, n. 19929/2008) che la sanatoria della morosità del conduttore, prevista dall'art. 55 per le locazioni di immobili urbani per uso abitativo, trova applicazione anche nel procedimento ordinario introdotto autonomamente dal locatore, mentre, in considerazione della sua finalità di esaurire il giudizio del merito della controversia, è inammissibile quando, instaurato il procedimento speciale per convalida, il giudizio prosegue, previo mutamento del rito, per l'esame dell'opposizione dell'intimato (in altri termini, il beneficio, in quest'ultimo procedimento, non è usufruibile oltre la “prima udienza” cautelare a ciò predisposta, ossia all'udienza di discussione ex artt. 420 e 667 c.p.c. fissata dal giudice a seguito dell'opposizione allo sfratto, emessa o meno l'ordinanza di rilascio, e conseguente transito nel merito). D'altronde, la previsione della facoltà di sanare la morosità in giudizio e la regolamentazione del termine per il pagamento dei canoni scaduti a tal fine previsto, comprese tra le “disposizioni processuali” della disciplina delle locazioni di immobili urbani, non menzionano in alcun modo, perché se ne possa dedurre che si riferiscano esclusivamente ad esso, il procedimento per convalida di sfratto; difatti, l'art. 55 della l. n. 392/1978 fa testuale riferimento alla “sede giudiziale” ed alla “prima udienza”: elementi, questi, che non valgono a richiamare esclusivamente il procedimento sommario per convalida di sfratto e ad escludere l'ordinario giudizio di cognizione, nel quale sia chiesta la risoluzione del contratto di locazione che il pagamento all'udienza, nei termini previsti dalla stessa disposizione denunciata, vale ad escludere (sul versante dottrinale, sostanzialmente favorevole alla soluzione estensiva: D'Amico, 225; Francardi, 10; Piombo 1989, 1830; Grasselli, 837; Guida, 220; Izzo 1997, 740; Masoni 2003, 595; Scalettaris, 1272; Spagnuolo 1999, 211). In tal modo, si è aderito (Carrato 1995, 297) alla ragione giustificatrice in base alla quale, per un verso, occorre fare riferimento, quanto all'estensibilità dell'àmbito applicativo del meccanismo di sanatoria ex art. 55 alla domanda “introdotta” con un ordinario giudizio di cognizione (escludendo, a contrario, l'ammissibilità di istanza di purgazione della morosità anche nella fase ordinaria conseguente a quella speciale del procedimento di sfratto), e, per altro verso, si è esaltato il principio generale di economia processuale e quello costituzionalizzato del giusto processo finalizzato ad evitare dilatazioni delle scansioni processuali (oltre che disparità di trattamento idonee a comportare una distorsione del sistema incompatibile con i principi generali dell'ordinamento). Opposizione tardiva alla convalida Con riferimento alla seconda questione relativa all'àmbito “processuale” di applicazione dell'istituto, mette punto rammentare che la Corte costituzionale (Corte cost., n. 572/1987) ha reputato “manifestatamente priva di fondamento” la questione (sollevata da Pret. Firenze 26 gennaio 1984) circa la violazione degli artt. 3 e 24 Cost. per non essere stato il conduttore – che non avesse avuto conoscenza dell'intimazione per caso fortuito o forza maggiore – nella possibilità di utilizzare la sanatoria de qua e, quindi, di far venire meno la “gravità” dell'inadempimento. In particolare, il giudice delle leggi ha statuito che, una volta accertati i presupposti di ammissibilità dell'opposizione tardiva di cui all'art. 688 c.p.c. e venuta meno l'ordinanza di convalida, si dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, sicché il conduttore ben può, in limite litis, avvalersi della facoltà di sanare la morosità: la sanatoria giudiziale della morosità trova, dunque, indubitabilmente applicazione anche nel giudizio di opposizione tardiva a convalida. Le modalità di esercizio della sanatoria sono state, poi, oggetto di analisi anche da parte del giudice di legittimità (Cass. III, n. 12435/2003; Cass. III, n. 11923/1993), secondo il quale la ritenuta compatibilità dei due istituti comporta la necessità di stabilire come l'uno si inserisca nell'altro, poiché l'art. 55 è stato scritto in previsione dell'ordinario procedimento di convalida e non del procedimento di opposizione dopo la convalida, il quale si presenta con diverse caratteristiche rispetto al primo. Invero, il procedimento di sanatoria di cui all'art. 55, nel procedimento di convalida, può avere due possibili modalità di attuazione: la prima si realizza mediante il pagamento da parte del conduttore, alla prima udienza, dell'importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali, mentre la seconda si realizza allorquando, in mancanza del pagamento in udienza, il giudice, dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, assegni a quest'ultimo un termine per provvedervi e, in detto termine, il conduttore adempia; in entrambi i casi, l'avvenuto pagamento esclude la risoluzione del contratto e, quindi, il procedimento di convalida si conclude. Nel procedimento di opposizione dopo la convalida, invece, l'avvenuto pagamento alla prima udienza, da parte del conduttore, delle somme dovute, non può automaticamente comportare la chiusura del procedimento, perché dovrà, comunque, essere accertata l'ammissibilità dell'opposizione e, solo dopo tale accertamento, se positivo, potranno verificarsi gli effetti sananti. Nell'ipotesi in cui, invece, il pagamento non avvenga alla prima udienza, potrà essere concesso il termine di grazia; tale concessione non presuppone che venga preventivamente accertata l'ammissibilità dell'opposizione, perché, come dimostra l'ipotesi di pagamento alla prima udienza, i fatti idonei ad escludere la risoluzione del contratto, e cioè il pagamento del corrispettivo dovuto, degli interessi e delle spese, possono verificarsi senza che sia pregiudicato il giudizio sull'inammissibilità dell'opposizione. Così come la sospensione di cui all'ultimo comma dell'art. 668 c.p.c., che tende a ricondurre le parti nelle condizioni di fatto anteriori all'emanazione del provvedimento di convalida, anche la procedura di sanatoria di cui all'art. 55 citato si inserisce nella fase sommaria del procedimento di opposizione dopo la convalida, nella quale tutti i provvedimenti vengono emessi senza pregiudizio dell'accertamento conclusivo cui il procedimento è diretto e che ha ad oggetto l'ammissibilità dell'opposizione e il merito della controversia, con la conseguenza che la delibazione fatta dal giudice, in quella fase sommaria, sull'ammissibilità dell'opposizione ha necessariamente carattere provvisorio, nel senso che è diretta – non a decidere la causa, bensì – a consentire che il processo giunga alla sua conclusione, attraverso quei passaggi che la legge prevede. Alla natura non definitiva di tale provvedimento, nel senso che esso non è idoneo a decidere la causa per le sue caratteristiche di strumentalità, consegue la sua revocabilità con la sentenza che decide la controversia; né l'avvenuta sanatoria, sia che avvenga per effetto del pagamento delle somme dovute alla prima udienza, sia che avvenga nel termine fissato dal giudice, comporta automaticamente la chiusura del procedimento, così come accade nell'ordinario procedimento di convalida perché, in quello di opposizione dopo la convalida, l'avvenuta sanatoria non pregiudica l'accertamento dell'ammissibilità dell'opposizione (Carrato 1995, 237; Schermi, 2287). Anche la giurisprudenza di merito (Trib. Milano 31 maggio 1999) ha ribadito che, in caso di opposizione tardiva a convalida di sfratto per morosità ex art. 668 c.p.c., l'eventuale istanza di concessione di un termine per sanare la morosità – nella specie, residua in quanto concernente gli interessi legali e le spese processuali – deve essere proposta dal conduttore entro la prima udienza, risultando, per converso, intempestiva se proposta per la prima volta in sede di appello avverso la sentenza che abbia ritenuto inammissibile l'opposizione; si è, infatti, rammentato che il meccanismo di sanatoria della morosità di cui all'art. 55 si colloca nell'àmbito della prima udienza del giudizio di sfratto (o di risoluzione contrattuale) e che, nell'ipotesi di opposizione dopo la convalida ex art. 668 c.p.c., esso può operare solo nella fase sommaria del procedimento, nella quale trova spazio anche l'eventuale provvedimento del giudice di sospensione dell'esecuzione ai sensi dell'ultimo comma. Diritto del conduttore alla sanatoriaStabilendo, dunque, che il conduttore possa corrispondere il dovuto (maggiorato di interessi e spese) anche dopo la proposizione della domanda giudiziale, il legislatore gli ha riconosciuto un vero e proprio diritto ad eliminare la “gravità” dell'inadempimento – e, quindi, la possibilità di risoluzione del contratto – attraverso una particolare forma di adempimento tardivo, il quale, pur assumendo modalità di attuazione diverse a seconda che trattasi di sanatoria banco iudicis o di termine di grazia, risponde ad un'unica ratio conferendo all'istituto carattere unitario (Ricci, 849). A ben vedere, anche nel secondo caso, non è il giudice che “concede” al debitore un ulteriore spatium solvendi, ma è la legge che glielo attribuisce in presenza di talune condizioni, restando allo stesso giudice affidato solo il compito di accertare l'esistenza delle stesse e di stabilire, in relazione, la misura del termine (Pignatelli, 153; in senso parzialmente difforme, Frasca, 416, secondo il quale la sanatoria alla prima udienza, rappresentando un diritto potestativo dell'intimato, va effettuata sempre che il conduttore, comparendo, manifesti questa intenzione, diversamente dalla concessione del termine di grazia il cui esercizio è condizionato alla valutazione discrezionale del magistrato). Nulla impedisce al giudice di avvertire l'intimato delle conseguenze irreversibili scaturenti dalla mancata sanatoria in udienza o dal termine di grazia assegnato, né questa attività informativa esplicata dal giudice è parsa compromettere il ruolo di imparzialità del giudice, legittimando la presentazione di un'istanza di ricusazione ex art. 51, n. 4), c.p.c., per aver egli dato “consiglio nella causa” (Grasselli, Masoni, 392). In quest'ordine di concetti, può collocarsi l'indirizzo dei giudici di Piazza Cavour, che hanno affermato l'obbligo del creditore (o del suo procuratore ad litem) di ricevere il pagamento effettuato banco iudicis, dovendosi escludere, in caso di rifiuto, che la situazione obiettiva di inadempimento sia addebitabile al conduttore (Cass. III, n. 3791/1987; Cass. III, n. 524/1986; ad avviso di Cass. III, n. 12257/1993, il procuratore del locatore, ai sensi dell'art. 55 della l. n. 392/1978, è legittimato a ricevere solo il pagamento del canone relativo alle mensilità per le quali è stato intimato lo sfratto, mentre questo potere di rappresentanza non può estendersi al ricevimento del pagamento di altri canoni, estranei alla procedura in corso). Non appare, invece, da condividere, nella sua assolutezza, l'affermazione – che pur si rinviene in talune pronunce – per la quale “la concessione di un termine per il pagamento dei canoni scaduti rappresenta non un obbligo, ma una facoltà discrezionale di cui il giudice può avvalersi quando sussistono comprovate condizioni di difficoltà del conduttore” (così Cass. III, n. 1817/1984), ponendosi la richiesta del debitore come “sollecitazione di tale facoltà” (Cass. III, n. 5113/1989). Tali affermazioni certamente si rifanno ai principi della legislazione vincolistica la quale affidava al giudice – in esito al giudizio (e, quindi, allorché erano chiare le singolarità della fattispecie) – la facoltà discrezionale di concedere al conduttore un termine (venti o sessanta giorni) per pagare le pigioni scadute, con la conseguente caducazione, in caso di sanatoria, del provvedimento di rilascio (art. 37 l. n. 253/1950), senza che l'interessato avesse un diritto alla concessione (Cass. III, n. 1752/1979; Cass. III, n. 2961/1978; Cass. III, n. 1005/1968). A ben vedere, l'istituto de quo, nel regime della legge sull'equo canone, è profondamente diverso, poiché si colloca, quale pendant, alla valutazione legale della “non scarsa importanza” dell'inadempimento e, quindi, fa parte di un'unitaria e compiuta regolamentazione della “morosità del conduttore” – che ha sempre costituito punto di frizione nei rapporti tra locatori e conduttori – ed è da ricondurre nella fattispecie sostanziale dell'inadempimento, sulla quale opera ex ante rispetto alla pronuncia di risoluzione, e, anzi, rispetto allo stesso esame della domanda, in quanto si colloca nella fase degli “atti preliminari all'istruzione” (Guarino, 211). La dizione della norma rende evidente tale novità, adoperando il verbo “assegnare”, certamente più restrittivo dei poteri del giudice e finalizzato alla determinazione del periodo piuttosto che alla “concessione” del beneficio (Pignatelli, 154); il potere attribuito al giudice non realizza, pertanto, una discrezionalità in senso tecnico, ma individua un potere-dovere a contenuto soggettivo del conduttore, sempreché ovviamente sussistano i presupposti indicati dalla legge (Paparo, Proto Pisani, 586). In proposito, può rammentarsi che, riguardo alla materia agraria che considera lo stesso istituto, è stato reputato che l'art. 4, comma 5, della l. n. 814/1973 – che impone al giudice, adìto per la risoluzione per inadempimento del contratto di affitto agrario, di assegnare all'affittuario moroso un termine di grazia per la purgazione della mora – ha carattere sostanziale ed integra, altresì, una disposizione eccezionale rispetto sia alla disciplina della risoluzione del contratto per inadempimento (art. 1453 c.c.), sia al principio generale dell'impulso di parte nell'esercizio dei poteri giurisdizionali nel processo civile (Cass. III, n. 4746/1984). In quest'ordine di concetti, si pongono quelle pronunce che ha affermato – argomentando a contrario – la sindacabilità in sede di legittimità del diniego della “concessione” del termine di grazia che non sia motivato adeguatamente, con ragionamento cioè immune da vizi logici e giuridici (Cass. III, n. 13419/2001; Cass. III, n. 4490/1982). Tardivo pagamento ante iudiciumPoiché la norma consente l'adempimento anche dopo la proposizione della domanda giudiziale di risoluzione – sempreché esso sia completo di interessi e spese giudiziali – l'udienza di prima comparizione va riguardata come termine finale, con la conseguenza che il debitore, nel lasso di tempo intercorrente tra la notifica della citazione e l'udienza stessa, potrebbe provvedere a purgare la mora (Guarino, 221). In tale evenienza, non si pone alcun problema se le parti abbiano concordato il quantum delle spese giudiziali – per gli interessi non sembrano esservi particolari difficoltà, dovendo essere corrisposti nella misura legale – stante l'ammissibilità di un accordo in tal senso (Pret. Chieti 22 aprile 1988). La prevedibile conseguenza è la mancata comparizione delle parti all'udienza e, quindi, l'applicabilità dei meccanismi di cui al combinato disposto degli artt. 662 e 181 c.p.c., a seconda del rito, rispettivamente, speciale o ordinario, prescelto da parte attorea (Pignatelli, 148). Qualora, invece, l'accordo in questione non vi sia, il conduttore dovrà comparire all'udienza e chiedere la determinazione delle spese, versandole banco iudicis, onde completare il paradigma della sanatoria; ove, tuttavia, al momento della vocatio in ius, non siano trascorsi i venti giorni di tolleranza necessari a far “scattare” la gravità legale dell'inadempimento, si è opinato che il debitore non sia tenuto a corrispondere tale voce, “derivante dall'impazienza della controparte” (così Ricci, 858). La soluzione ante iudicium, sollecitata dall'iniziativa del locatore, va, in via di principio, vista come una delle sanatorie consentite dall'art. 55 della l. n. 392/1978, dovendosi privilegiare la realizzazione del paradigma proposto da tale norma piuttosto che le formalità attraverso cui si attua: in tale prospettiva, risulta molto opportuna una specificazione in tal senso nell'atto di quietanza, che eviti future contestazioni (Avvisati, 354). Dello stesso avviso altra parte della dottrina (Di Marzio, 286), secondo la quale è legittima e praticamente realizzabile entro l'alveo normativo una sanatoria giudiziale del tutto satisfattiva per l'intimante, ossia comprensiva non solo del capitale, ma anche degli interessi (necessariamente calcolati al saggio legale) e delle spese processuali (determinate in conformità alle tariffe forensi); invero, il riferimento del comma 1 dell'art. 55 alla “sede giudiziale”, quale luogo deputato all'eventuale pagamento tardivo, si riferirebbe all'ipotesi normale, atteso che “la disposizione sembra posta al fine di consentire la sanatoria a lite instaurata, ma non pare diretta a negare che essa possa aver luogo prima dell'udienza, con l'ovvio vantaggio, per tutti, del risparmio di tempo e denaro”. Divergono, invece, le opinioni in ordine alla reiterabilità del beneficio, ossia se questo versamento anticipato rispetto alla prima udienza possa o meno conteggiarsi entro il limite massimo di sanatorie ammissibili “nel corso di un quadriennio” contrattuale (normalmente tre ed eccezionalmente quattro). Alcuni, infatti, ritengono che l'unica sanatoria sussumibile nel modello dell'art. 55 della l. n. 392/1978 sia quella banco iudicis, attuata cioè nel contraddittorio delle parti in sede giudiziale, laddove quella compiuta stragiudizialmente rientrerebbe nella previsione, di “schietta valenza sostanziale”, consacrata nel precedente art. 5, la cui disciplina è destinata a valere “salvo quanto previsto dall'art. 55” medesimo (così Paparo, Proto Pisani, 590; nella stessa prospettiva, Trisorio Liuzzi, 346, secondo il quale la previsione de qua comporta che la sanatoria a seguito di accordo stragiudiziale non vale nel numero indicato dalla legge); in tal modo, il locatore pone in essere un atto di autonomia negoziale, stante che manifesta, da un lato, disinteresse per il recupero delle spese processuali pur dovute (si pensi al compenso per l'atto introduttivo e la successiva iscrizione della causa al ruolo) – oltre che rinunciare alla risoluzione contrattuale, a fronte dell'art. 1453, comma 3, c.c., accontentandosi del pagamento tardivo e conservando il rapporto locatizio – e, dall'altro, indifferenza all'eventuale e futura operatività delle preclusioni dettate dall'art. 55. Da un punto di vista empirico (osservano Grasselli, Masoni, 393), appare difficilmente realizzabile una sanatoria posta al di fuori dell'udienza, completa di capitali, accessori e spese, considerato che le tariffe professionali contemplano importi ampiamente discrezionali, la cui liquidazione non può che essere rimessa al prudente apprezzamento del magistrato, valutazione, questa, “vieppiù indispensabile in una situazione di oramai palese contrasto di interessi e altrimenti solubile”. In proposito, un magistrato salentino (Pret. Brindisi 16 febbraio 1988) ha precisato che il procedimento di convalida di sfratto per morosità di cui agli artt. 658 ss. c.p.c., predisposto per i casi di mancato pagamento del canone di affitto, non trova applicazione in caso di mancata corresponsione solo di quanto il locatore reputa gli sia dovuto per interessi e spese di giudizio, allorché il conduttore abbia sanato la morosità del canone successivamente alla notifica dell'intimazione, laddove il cennato procedimento può essere applicato solamente quando, avvenuta la concessione del c.d. termine di grazia, ex art. 55 citato – con la quantificazione da parte del giudice degli interessi legali e la liquidazione delle spese processuali – si constati in seguito che la morosità, da intendersi comprensiva di canoni (con eventuali accessori) nonché interessi e spese, non è stata integralmente sanata; un collega ligure (Pret. Sestri Levante 26 marzo 1984) ha sostenuto che, qualora il conduttore cui sia stato intimato lo sfratto per morosità, ottenuta la concessione del termine di grazia, paghi i canoni arretrati dopo la sua scadenza, ma prima dell'udienza fissata per il prosieguo del procedimento, o comunque ometta di corrispondere le spese processuali liquidate, il giudice, pur non risultando sanata la morosità ai sensi dell'art. 55, non può pronunciare ordinanza di convalida ma, dichiarato chiuso il procedimento sommario, deve dare ingresso all'ordinario giudizio di merito. Sul punto, gli ermellini (Cass. III, n. 17738/2002) hanno chiarito che, nel procedimento sommario per convalida di sfratto, qualora all'udienza di convalida il locatore dia atto, senza rinunciare alla domanda, che, dopo la notificazione della citazione per convalida, il conduttore ha provveduto a pagare il canone senza però corrispondere gli interessi e le spese, viene meno il presupposto della persistenza della morosità che legittima l'emissione dell'ordinanza di convalida di cui all'art. 663 c.p.c., mentre ben può il giudice emettere l'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c., disponendo, ai sensi dell'art. 667 c.p.c., per la prosecuzione del giudizio nelle forme del rito speciale – previo mutamento del rito ex art. 426 c.p.c. – in ordine agli interessi legali e alle spese di giudizio. Assegnazione del termine di graziaIl limite temporale della prima udienza può essere superato se, a quella data, il conduttore si trovi in una situazione di precarietà che non gli consenta di corrispondere il dovuto e che si ponga in rapporto eziologico con la mancata sanatoria banco iudicis (tra le pronunce di merito, v. Trib. Potenza 3 aprile 1982). Incidentalmente, alcuni (Paparo, Proto Pisani, 584) ritengono che il conduttore possa avanzare l'istanza del termine di grazia anche in un'udienza successiva alla prima, atteso che il comma 2 dell'art. 55, a differenza del comma 1, si riferirebbe, genericamente, ad una “udienza”, senza porre alcuna precisa limitazione di ordine temporale; altri (Frasca, 419) opinano, invece, che la concessione de qua non possa avvenire dopo la prima udienza, atteso che il termine “udienza” di cui sopra non può ritenersi svincolato dal riferimento, di chiara portata preclusiva, alla “prima udienza”, e chiaramente collegato, almeno come ipotesi normale, al procedimento sommario per convalida di sfratto, tendenzialmente concentrato. A seconda, poi, della minore o maggiore gravità della situazione, il termine può essere diverso: in caso di generiche “condizioni di difficoltà” – che possono, quindi, essere di varia natura (ad esempio, ritardo nell'emissione di un mandato di pagamento, momentanea assenza per motivi di lavoro o di famiglia, ecc.), può raggiungere i novanta giorni; qualora, invece, queste siano gravi (o dipendano da disoccupazione o malattie), successive alla stipulazione del contratto ed incidenti sulla situazione economica del conduttore, il termine può dilatarsi sino a centoventi giorni (Pace, De Cecilia, 18). Il conduttore deve enunciare specificatamente i motivi che sorreggono la sua richiesta di dilazione, in quanto soltanto in presenza di analitiche indicazioni può reputarsi acquisita la situazione ove il locatore nulla eccepisca, mentre deve escludersi che la prospettazione della difficoltà sia implicita nella richiesta del termine (Cass. III, n. 6778/1992): in particolare, si osserva che l'uso del termine “comprovate” dimostra che le condizioni di difficoltà devono, prima, essere dedotte e, poi, dimostrate, e l'onere relativo non può essere posto, secondo i principi generali, se non a carico del conduttore; al più, potrebbe sostenersi che, ove il locatore, di fronte alla deduzione dell'esistenza di una situazione di difficoltà, non contesti la stessa, tale situazione possa ritenersi dimostrata; in ogni caso, sarebbe comunque necessaria la prospettazione di una difficoltà, che non può essere generica, ma deve essere specificamente indicata, non potendosi ritenere, senza svuotare di contenuto la lettera della norma, che la prospettazione della difficoltà sia implicita nella stessa richiesta del termine. Inoltre, il conduttore deve indicare quando – certamente o presumibilmente – le difficoltà saranno superate, in modo da consentire al giudice di “calibrare” il termine per il pagamento: invero, il dato testuale esige che le assunte condizioni siano comprovate (anche se con una certa elasticità di valutazione), proprio perché la diversa durata del termine resta correlata alla minore o maggiore gravità di tali condizioni, sussistendo le quali vi è, quindi, lo spostamento ex lege del termine per effettuare il pagamento con effetti impeditivi della risoluzione del contratto; in quest'ottica, il compito del giudice – che tale sussistenza abbia constatato – resta limitato a fissare la durata dello spatium solvendi, valutando il tempo occorrente perché le difficoltà possano essere superate (Pignatelli, 157). Per poter beneficiare del più lungo termine, tuttavia, l'inadempimento non deve protrarsi “per oltre due mesi”, cioè riguardare più di due ratei di canone: in proposito, è da credere che il legislatore abbia considerato come una lunga (e, quindi, corposa) morosità poche volte sarebbe assorbibile dal conduttore, che già si trova in una situazione di precarietà economica, con la conseguenza che la sanatoria difficilmente sarebbe realizzabile ed il meccanismo legale, piuttosto che “salvare” il rapporto locatizio, si risolverebbe in un aggravio della situazione del locatore; d'altronde, questo limite quantitativo potrebbe indurre il conduttore a ridurre, tra la citazione e la prima udienza – che è il momento in cui opera l'istituto de quo – il proprio debito, riconducendolo entro dimensioni che consentano un positivo esito della vicenda (Ricci, 875). Appare pacifico, infine, che la richiesta del termine di grazia debba provenire dall'interessato (conduttore o intimato), rientrando nella fisiologia del processo civile la proposizione ad istanza di parte, escludendo così la concessione officiosa (v. anche, infra, riguardo al soggetto legittimato alla sanatoria). Non sembra che il giudice della convalida abdichi al suo ruolo di arbitro imparziale della procedura prospettando all'intimato, comparso in udienza, la possibilità di avanzare istanza di concessione del termine di grazia (Grasselli, Masoni, 403, i quali sottolineano che “solo mediante un dialogo franco tra magistrato e conduttore moroso si può acclarare quale sia l'atteggiamento di quest'ultimo a fronte della notifica dell'intimazione di sfratto per morosità”, non escluso un sapiente utilizzo dell'interrogatorio libero di cui all'art. 177 c.p.c.). Limiti temporali del beneficioL'adempimento tardivo, nelle forme considerate, può avvenire “per non più di tre volte nel corso di un quadriennio”, oppure, nei casi in cui le condizioni economiche del conduttore siano gravi, per “non più di quattro volte complessivamente nel corso di un quadriennio”. Sul rilievo che l'istituto in parola sia applicabile alle sole locazioni abitative – come autorevolmente confermato dalle Sezioni Unite nel 1999 – un primo indirizzo aggancia tale periodo alla durata (tuttora) quadriennale dei contratti, con il conseguente “azzeramento” delle verificatesi sanatorie in occasione di ogni rinnovo, esplicito o tacito, contrattuale ex art. 3 della l. n. 392/1978 (Paparo, Proto Pisani, 581; Ricci, 866). Per l'opposto indirizzo, il limite cronologico opera non solo nel periodo di vigenza del primigenio rapporto locatizio, ma anche quando le pregresse situazioni di morosità siano state sanate “in un arco di tempo di quattro anni”, pure a cavallo tra due dei quadrienni di cui all'art. 1 della l. n. 392/1978, senza che, sulla considerazione di tale arco di tempo, possano incidere eventuali rinnovi contrattuali (Bucci, Malpica, Redivo, 315). In tal senso, anche una pronuncia di un magistrato salentino (Pret. Taranto 10 giugno 1982), ad avviso del quale la disposizione di cui ai commi 1 e 4 dell'art. 55, che dichiara sanabile la morosità rispettivamente per non più di tre volte e per non più di quattro volte in un quadriennio, va interpretata nel senso che detto limite opera non solo nel corso dello stesso rapporto locatizio, pur se sia mutata l'originaria persona del locatore, ma anche quando le pregresse situazioni di morosità siano state sanate in un arco di tempo di quattro anni, purché a cavallo dei due quadrienni di cui all'art. 1 della l. n. 392/1978, Analoghe considerazioni dovrebbero essere fatte riguardo alla vigente l. n. 431/1998; a sostegno di siffatta lettura della norma milita, peraltro, quella giurisprudenza per la quale, in difetto di disdetta, il rapporto continua in forza non di un nuovo consenso, bensì del contratto originario (v., tra le altre, Cass. III, n. 3187/1981); se, invece, il rapporto successivo sia stato novato ex art. 1230 c.c. o sia riconducibile ad una nuova manifestazione di volontà, verrà meno l'unitaria sua considerazione con quello precedente ed il quadriennio comincerà a decorrere ex novo. Quindi, il numero massimo delle sanatorie consentite non dovrebbe superare le tre volte (o quattro, nei casi consentiti) per tutta la durata complessiva del rapporto, protrattasi per otto o cinque anni a seconda del regime scelto dai contraenti (nell'ipotesi, invece, di alienazione della cosa locata, sembra che l'acquirente possa computare le eventuali e precedenti sanatorie compiute in danno del dante causa). Il giudice, andando a ritroso nel tempo, dovrà accertare quante volte, tra la data dell'udienza ed il corrispondente giorno di quattro anni prima, il conduttore abbia utilizzato il meccanismo in discorso: ove una delle sanatorie sia stata attuata attraverso il c.d. termine di grazia, è da credere che vada preso a base il giorno dell'effettuato pagamento, quello cioè in cui è stata sanata la morosità (Lazzaro, Di Marzio, 456). Versamento banco iudicisLe più delicate questioni tendono a porsi nell'àmbito dello speciale procedimento per convalida di sfratto per morosità contemplato già nel codice di rito del 1942 – cui abitualmente ricorre il locatore – che, in relazione all'istituto in esame introdotto dalla l. n. 392/1978, appare per taluni versi nuovo ed arricchito (Cass. III, n. 4598/1986; Cass. III, n. 4474/985), sicché sovente le soluzioni dei relativi snodi applicativi devono essere ricercate avendo come riferimento questa diversa prospettiva. La “prima udienza”, in cui deve avvenire il pagamento completamente satisfattivo da parte del conduttore, deve intendersi quella in cui avviene l'effettiva trattazione della causa e non necessariamente la prima in ordine cronologico, sicché ove la prima udienza in senso stretto si sia risolta in un‘udienza di mero rinvio, la disciplina contemplata nell'art. 55, comma 1, sarà applicabile alla successiva (Cass. III, n. 3132/1982: nella specie, il giudice, alla prima udienza, aveva invitato le parti alla produzione di acconcia documentazione e, dopo, accogliendo la richiesta del conduttore, aveva fissato il termine per effettuare il pagamento). In tale udienza, quindi, il debitore può sanare banco iudicis versando l'importo relativo ai canoni e agli oneri accessori non corrisposti, con gli interessi nella misura legale e le spese che il giudice provvederà ad indicare su richiesta di taluna delle parti. In proposito, alcuni ritengono che tale quantificazione possa avvenire anche d'ufficio (Pignatelli, 130; contra, Guarino, 211; Bucci, Malpica, Redivo, 311, reputano sia obbligo del conduttore richiedere tale determinazione, restando altrimenti inattuato il paradigma dell'art. 55 in esame). La sussistenza di un onere del conduttore di chiedere l'indicazione delle spese è esclusa dalla Suprema Corte, la quale ha osservato che ove, in caso di sanatoria della morosità ai sensi dell'art. 55 della l. n. 392/1978, il giudice non liquidi le spese della procedura, il conduttore non è posto nelle condizioni di pagarle e, contemporaneamente, deve escludersi che, ove il locatore non ne chieda la liquidazione, sia onere del conduttore formulare una tale richiesta, atteso che l'art. 55 della ricordata legge pone a carico dello stesso solo l'obbligo di pagare le spese e la norma è di stretta interpretazione (Cass. III, n. 15241/2002). Peculiare la fattispecie decisa da un giudice meneghino (Pret. Milano 19 maggio 1989), il quale ha chiarito che, nel giudizio di sfratto per morosità, qualora il procuratore ad litem del locatore abbia accettato anche senza le spese processuali il pagamento offerto a saldo del proprio debito dal conduttore intimato, il quale si sia rifiutato di accollarsi le spese di causa eccependo l'imputabilità al locatore del ritardo nel pagamento, deve ritenersi realizzata la sanatoria giudiziale della morosità di cui all'art. 55 della l. n. 392/1978 e non può, quindi, accogliersi la domanda di risoluzione del contratto tenuta ferma dal locatore, né condannarsi il conduttore al pagamento delle spese di causa in base al principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c.; peraltro, ove nel corso del giudizio il locatore abbia dimostrato l'infondatezza delle affermazioni del conduttore circa l' imputabilità a lui del ritardo nel pagamento, il conduttore stesso può essere condannato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 92 e 88 c.p.c., a rifondere le spese causate alla controparte con il suo comportamento sleale. Resta, comunque, fermo che il pagamento idoneo a precludere la pronuncia di risoluzione è esclusivamente quello effettuato ai sensi dell'art. 55 citato, “integrale”, ossia comprensivo degli interessi maturati e delle spese processuali (Cass. III, n. 920/2013; Cass. III, n. 13407/2001; Cass. III, n. 1320/1998; Cass. III, n. 7253/1996; Cass. III, n. 1303/1989; Cass. III, n. 6995/1986; in una fattispecie esaminata da Cass. III, n. 8692/1995, la morosità era stata sanata in corso di causa solo con riguardo ai canoni nella minore misura riconosciuta dovuta e non anche con riguardo agli interessi ed alle spese come prescritto dall'art. 55 per impedire la risoluzione del contratto; cui adde Cass. III, n. 4444/1985, secondo cui rimane irrilevante che il conduttore medesimo ponga in discussione l'applicabilità le maggiorazioni del canone, trattandosi di situazione che consente di sospendere il versamento della parte del canone in contestazione, ai sensi dell'art. 45, ultimo comma, della l. n. 392/1978, solo nel caso in cui penda controversia sulla determinazione del canone stesso). In proposito, si è avuto modo di precisare (Cass. III, n. 9889/1995) che, in tema di convalida di sfratto per morosità, in base al disposto di cui agli artt. 1197 e 1277 c.c., il conduttore, per sanare la mora, deve consegnare al locatore moneta avente corso legale nello Stato per un valore pari al proprio debito, con facoltà, per il creditore, di rifiutare una prestazione diversa; ove, pertanto, una tale diversa prestazione sia accettata – come nell'ipotesi siano consegnati, senza alcuna opposizione, assegni privi della data e del luogo di emissione, privi di valore esecutivo e validi unicamente come promesse di pagamento – il creditore non può, in un momento successivo, eccepire l'omessa sanatoria della morosità, per essere i titoli già accettati non validi come assegni bancari. Nella sede giudiziale, si terrà conto delle somme versate medio tempore e gli “interessi legali” (rectius, al saggio legale di cui all'art. 1284 c.c.), i quali – secondo una tesi – trattandosi di mora ex re, dovranno essere calcolati a far data dalle singole scadenze sino al pagamento (Cass. III, n. 7628/1986); in argomento, va rilevato che gli interessi pattuiti in misura superiore – pur essendo la relativa clausola valida – non assumono rilievo ai fini della sanatoria de qua, per realizzare la quale è sufficiente che siano corrisposti nella “misura legale”, in quanto altrimenti la suddetta clausola attribuirebbe al locatore l'indebito vantaggio di rendere più oneroso per il conduttore il meccanismo di purgazione della mora (Cass. III, n. 1303/1989; in senso conforme, v. Trib. Trapani 20 gennaio 2003, ad avviso del quale la clausola contrattuale con la quale le parti abbiano convenuto un tasso di interesse superiore a quello legale sull'importo dei canoni corrisposti in ritardo, trova applicazione agli effetti della risarcibilità del maggior danno di cui all'art. 1224, comma 2, c.c., ma non ai fini della sanatoria della morosità, per cui gli interessi sui canoni scaduti devono essere calcolati al tasso legale, come prescrive l'art. 55). Non è mancato chi ritiene, però, che la formula legislativa non abbia inteso derogare la regola generale sulla decorrenza degli interessi c.d. corrispettivi relativi a crediti per fitti e pigioni – a sua volta, derogatoria di quella generale sulla decorrenza di pieno diritto degli interessi sulle somme liquide ed esigibili – secondo la quale, in base all'art. 1282, comma 2, c.c., salvo patto contrario, tali crediti “non producono interessi se non dalla costituzione in mora” del debitore, che, di solito, è rappresentata dalla notifica della citazione per convalida (Frasca, 201; Bucci, Crescenzi, 205; contra, Cosentino, Vitucci, 380, che optano per la mora ex re, nel senso cioè che gli interessi sul capitale decorrerebbero automaticamente dalla singole scadenze). Circa l'ammontare delle spese, può convenirsi che non va fatta rigorosa applicazione del criterio del valore della causa, atteso che si è in presenza ancora in una fase preliminare, dovendosi privilegiare piuttosto l'ammontare della morosità (Pignatelli, 136). Nella liquidazione delle suddette spese, il giudice dovrà considerare non solo l'attività professionale esplicata dal difensore dell'intimante fino al momento della richiesta di sanatoria da parte dell'intimato, ma pure quella successiva, comprensiva di quella svolta nella c.d. udienza di verifica. Come si evince dalla lettera del comma 1 dell'art. 55 in commento – che si riferisce alla “liquidazione” delle spese processuali – il provvedimento ha natura ordinatoria, limitandosi il giudice adìto ad indicare all'intimato le “voci”, oltre che l'importo, da corrispondere; trattasi, quindi, di provvedimento non avente natura decisoria e neppure avente efficacia esecutiva, poiché strumentale al completamento della sanatoria della morosità (Bucci, Crescenzi, 206), differentemente dall'ordinanza di convalida pronunciata nell'ipotesi del mancato rispetto del termine di grazia – questo sì – provvedimento sulle spese, di natura condannatoria e costituente titolo esecutivo. Peraltro, si è osservato che – essendo la prima udienza quella in cui sì risolve la vicenda – va tenuto conto, sulla base del dato testuale, anche dei “canoni scaduti [...] maturati sino a tale data” (ovvero, in caso di spostamento dell'udienza, a quella dell'effettiva trattazione), con l'avvertimento che occorre riguardare la data della scadenza pattizia, senza tenere conto dei venti giorni di “comporto” previsti dall'art. 5 in quanto si tratta comunque di un'inadempienza (ancorché in sé non “grave”) che si innesta su una situazione già giudizialmente attivata, la quale, per disposizione di legge, è affetta dal virus della “non scarsa importanza” che solo la sanatoria può guarire (così Lazzaro, Di Marzio, 468). Quindi, deve aversi riguardo non solo ai canoni indicati nella citazione per intimazione, ma anche a quelli maturati tra la data di notifica e la prima udienza, sembrando decisamente minoritaria, e comunque contraria al chiaro dettato legislativo, quella tesi che ritiene dovuti unicamente i canoni e gli accessori dedotti nell'atto introduttivo (Trifone, 23, anche se nell'ipotesi della concessione del termine di grazia, il comma 2 dell'art. 55 non indica il parametro temporale cui ancorare esattamente i canoni locatizi onde escludere la risoluzione contrattuale). Valutazione dello spatium solvendiAlla prima udienza (del procedimento per convalida di sfratto o di quello ordinario ex art. 447-bis c.p.c.), il conduttore potrebbe, tuttavia, trovarsi in condizioni di difficoltà che non gli rendono possibile di corrispondere il dovuto: in tal caso, nessun significato assume, agli effetti della purgazione della mora, la mera enunciazione da parte del conduttore di una sua generica disponibilità ad un futuro pagamento (Cass. III, n. 8469/1994; Cass. III, n. 1830/1992; Pret. Pescara 27 luglio 1989), dovendo egli richiedere, ove sussistano le “comprovate condizioni di difficoltà” (implicitamente, economiche), la fissazione di uno spatium solvendi. Il termine per sanare allora, su richiesta del conduttore – Cass. III, n. 6778/1992, la quale opina che la richiesta debba avvenire alla prima udienza, mentre il provvedimento del giudice può essere emesso anche successivamente; v., però, Trib. Cagliari 8 marzo 1985, il quale opina per l'assegnabilità d'ufficio e pur in assenza dell'intimato, e, in materia agraria, Cass. III, n. 3872/1983, che afferma l'applicabilità del beneficio anche ex officio, e sempreché la dedotta situazione sia dimostrata – slitta ad una data per la quale è previsto il superamento delle suddette difficoltà. Pertanto, il giudice deve, dapprima, valutare l'esistenza delle dedotte condizioni (delle quali deve esservi la prova in atti, v. Cass. III, n. 4127/1988) e, poi, deve operare una previsione sulle possibilità che, entro il termine richiesto – essendo opportuna una specificazione del richiedente a tal riguardo – le difficoltà siano state superate, con conseguente realizzabilità del meccanismo sanante; in quest'ottica, qualora anche il più lungo termine di centoventi giorni ex comma 4 dell'art. 55, già in quel momento appaia insufficiente per superare una situazione del debitore particolarmente grave, diviene legittimo il rigetto della richiesta, non essendo la sanatoria realizzabile (in tal senso, va letta l'espressione “può fissare” adoperata dalla norma, sintomo della discrezionalità del giudice). Al contempo, al fine di non vanificare la ratio dell'istituto – che tende alla conservazione più che alla risoluzione del rapporto locatizio ex art. 1367 c.c. – è apparso preferibile (Grasselli, Masoni, 410) la concessione di un termine più vicino al massimo (novanta o centoventi giorni) che non al minimo, pur sempre correlato alla maggiore o minore gravità delle condizioni di difficoltà economiche, anche se la legge, in effetti, non richieda, in capo al giudice adìto, alcuna valutazione di natura prognostica-preventiva. La vicenda, nella fattispecie considerata, non può, peraltro, concludersi in quell'udienza, bensì in un'altra – che, agli effetti del giudizio instaurato con la citazione, va considerata sempre come “prima udienza” (Guarino, 226; Pignatelli, 172) – da fissare “non oltre dieci giorni dalla scadenza del termine assegnato” ex art. 55, comma 2, nella quale si procederà alla verifica dell'avvenuto adempimento di quanto prescritto. Resta inteso che l'utilizzo dell'aggettivo “comprovate” implica che venga accollato al conduttore convenuto o all'intimato l'onere della prova delle difficoltà de quibus, in linea con i principi generali in tema di riparto ex art. 2697 c.c., a meno che il locatore, interessato a contraddire sul punto, non contesti quanto ex adverso dedotto. Ad avviso della dottrina, le condizioni di difficoltà economiche – allegate dal conduttore e palesate nel periodo relativo alla morosità (o in quello immediatamente precedente) – devono essere “semplicemente verosimili” (Bucci, Crescenzi, 208), o di esse deve essere fornito “qualche serio indizio a favore” (Cosentino, Vitucci, 383), oppure il giudice acquisisca “un certo grado di probabilità o verosimiglianza” riguardo alla loro sussistenza (Trisorio Liuzzi, 349), il tutto in forma essenzialmente documentale (Carrato 2010, 557), ad esempio producendo attestati di disoccupazione, lettere di licenziamento, certificati medici, e quant'altro, in sintonia soprattutto con la sommarietà del procedimento di convalida, escludendo pertanto l'ingresso alla prova testimoniale (Grasselli, Masoni, 409, suggeriscono il ricorso al ragionamento presuntivo, partendo dal fatto noto della crisi economica mondiale e inferendo le condizioni di ristrettezza o di indigenza finanziaria, impeditive il pagamento delle pigioni). Provvedimenti sulla purgazione della morositàTutti i provvedimenti che interessano questa “fase preliminare” vanno adottati dal giudice con “ordinanza”, peraltro in linea con i principi di speditezza, snellezza ed informalità che connotano il procedimento speciale. Invero, nel caso di positiva conclusione della vicenda – attraverso l'avvenuta sanatoria banco iudicis oppure nel termine assegnato – si deve soltanto prendere atto (ai fini della reiterabilità della sanatoria o, comunque, per la documentazione dell'accadimento) del verificatosi paradigma di cui all'art. 55 della l. n. 392/1978, con conseguente venir meno del giudizio risolutorio instaurato con la citazione, da dichiararsi “estinto” (Bucci, Crescenzi, 209). Non vi è, quindi, una vera e propria cessazione della “materia del contendere”, ma soltanto la consacrazione della vicenda “pregiudiziale”, con la conseguente necessità di statuire sull'impossibilità di prosecuzione del giudizio, per cui l'ordinanza appare il tipico strumento adottabile dal giudice adìto (Pignatelli, 150; Trisorio Liuzzi, 353, è favorevole, invece, ad una pronuncia di declaratoria di sanatoria della morosità con cancellazione della causa dal ruolo; Paparo, Proto Pisani, 591, propendono per la necessità di una sentenza, che però non potrà contenere alcuna statuizione sulle spese processuali, essendo il pagamento di queste un elemento costitutivo del fatto sopravvenuto che determina la sanatoria). Si è, però, osservato (Grasselli, Masoni, 427) che, dichiarando l'estinzione del giudizio, l'effetto processuale che si riconnetterebbe risulta negativo per l'intimante, stante che, con tale estinzione, si potrebbe annullare la purgazione della mora compiuta dal conduttore, a norma dell'art. 310, comma 2, c.p.c., secondo cui “l'estinzione rende inefficaci gli atti compiuti”, restando in particolare travolto l'effetto preclusivo prodottosi – ossia la possibilità di sanatoria tardiva nel numero massimo di tre/quattro volte nel corso del rapporto locatizio – scaturente dalla tardiva sanatoria della morosità. In proposito, va richiamata una pronuncia del giudice di legittimità, secondo la quale il provvedimento con il quale si assegna al conduttore un termine di grazia per sanare la morosità, in quanto privo di carattere decisorio della causa, ha natura di ordinanza e non di sentenza e non è, pertanto, impugnabile con i normali mezzi di gravame (Cass. III, n. 11832/1990). Si è, altresì, affermato (Cass. III, n. 12743/2001) che l'ordinanza di estinzione del procedimento per convalida di sfratto, adottata dal giudice in seguito alla sanatoria della morosità del conduttore nel termine di grazia concessogli ai sensi dell'art. 55 della l. n. 392/1978, è equiparabile ad una pronuncia di rigetto della domanda di risoluzione del contratto di locazione insita nell'intimazione di sfratto per morosità, sicché il giudice dell'appello, qualora ritenga inapplicabile nel caso di specie la disciplina di cui al citato art. 55 e, quindi, illegittima la predetta ordinanza di estinzione del processo, non deve rimettere la causa al primo giudice, ma trattenerla e decidere nel merito sulla domanda di risoluzione. Peraltro, tale provvedimento, rientrando nei poteri di impulso del giudice, assume la forma dell'ordinanza anche nel caso di rigetto dell'istanza del debitore: infatti, il giudizio proseguirà per l'esame della domanda di risoluzione e le eventuali doglianze attinenti al diniego del termine potranno essere fatte valere nel corso di tale giudizio e con l'impugnazione della sentenza che conclude lo stesso. In caso di ordinanza “riservata” (ex art. 186 c.p.c.), se il debitore si sia costituito, la comunicazione va fatta al suo procuratore (Cass. III, n. 1767/1981, riguardo al “termine di grazia” di cui all'art. 4 della l. n. 833/1969). Allorquando il conduttore sia comparso personalmente, si è opinato che spetti al locatore notificargliela, in applicazione analogica dell'art. 292 c.p.c., parificandolo così alla posizione del contumace (Olivieri, 503). Rimedi impugnatoriTrattasi, quindi, di provvedimenti privi di carattere decisorio, che non risultano impugnabili con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. (Cass. III, n. 1529/1994; Cass. III, n. 11832/1990; Cass. III, n. 2077/1983; Cass. III, n. 1893/1981), e sono inidonei a pregiudicare la decisione della causa. Inoltre, il provvedimento di concessione del termine di grazia non è suscettibile di essere qualificato come sentenza implicita sulla competenza e, di conseguenza, non è impugnabile nemmeno con il regolamento di competenza (Cass. III, n. 8133/1983). Diversamente, il provvedimento de quo, nonostante l'eccezione di incompetenza formulata dall'intimato per l'esistenza di una clausola compromissoria, contiene una pronuncia implicita sulla competenza ed è, quindi, impugnabile con il regolamento di competenza (Cass. III, n. 7127/1995); parimenti l'ordinanza con la quale il giudice, in sede di convalida di sfratto per morosità, assegni al debitore un termine per sanare la morosità ai sensi dell'art. 55 nonostante la contestazione da parte dell'intimato in ordine alla sua competenza funzionale – nella specie, per la dedotta sussistenza di un contratto agrario e la conseguente competenza del giudice specializzato – contiene, seppure implicitamente, una pronuncia affermativa della competenza e si configura, perciò, come una sentenza in senso sostanziale, suscettibile di impugnazione con regolamento di competenza (Cass. III, n. 10536/2000, che ha, però, dichiarato inammissibile l'istanza di regolamento perché proposta non contro la suddetta ordinanza concessiva del termine per sanare la mora, bensì contro la successiva ordinanza di convalida di fratto, essendo quest'ultima resa quando, per effetto della precedente decisione, la competenza del giudice adìto non era più controvertibile né rilevabile d'ufficio). La Suprema Corte, nel tornare sul rimedio di cui all'art. 111 Cost., ha precisato che l'ordinanza con la quale è rigettata la richiesta di purgazione della mora ai sensi dell'art. 55, incidendo su una facoltà strumentale del conduttore o dell'intimato, e non su un suo diritto soggettivo, non può essere censurato con il ricorso straordinario per cassazione, ma con i rimedi ordinari di impugnazione o, consentendolo la fattispecie, con quelli delle opposizioni esecutive (Cass. III, n. 16630/2008; Cass. III, n. 5088/1996; per Pret. Portogruaro 15 luglio 1981, invece, il conduttore, che lamenti l'emissione a suo carico di provvedimento definitivo di rilascio dell'immobile nonostante l'avvenuta sanatoria della morosità nel termine di grazia concesso ex art. 55 non può dedurre detto vizio del provvedimento in sede di opposizione all'esecuzione, ma deve farlo valere con l'impugnazione normale). Altra volta è stata ammessa l'impugnabilità mediante appello dell'ordinanza di diniego del termine di grazia sul rilievo – alquanto discutibile – dell'attitudine del provvedimento a risolvere una questione di merito di natura decisoria (Cass. III, n. 4031/1998). Maggiormente condivisibile l'assunto secondo cui – premesso che, nel procedimento di sfratto per morosità, avverso l'ordinanza di convalida è consentito l'appello soltanto per denunciare che il provvedimento è stato emesso in difetto dei presupposti di legge, restando il provvedimento soggetto, diversamente, soltanto al rimedio dell'opposizione tardiva di cui all'art. 668 c.p.c. – va considerato inammissibile l'appello proposto contro un'ordinanza di convalida pronunciata a seguito di mancata sanatoria nel termine della morosità, poiché l'ordinanza è pronunciata correttamente (Cass. III, n. 11380/2006: nella specie, l'intimato non aveva provveduto a sanare la morosità nel termine assegnatogli ed il giudice aveva convalidato lo sfratto con ordinanza, cui quello aveva proposto appello svolgendo contestazioni di merito, e la Suprema Corte aveva respinto il suo ricorso ma dichiarando, sulla base del citato principio, l'inammissibilità dell'appello, rigettato dalla corte di merito). Inoltre, l'ordinanza de qua deve ritenersi non revocabile né modificabile, atteso che la funzione della sanatoria è quella di evitare la lite, concludendo l'iniziativa giudiziale del locatore nelle prime battute: una volta, invece, che la fase preliminare sia stata superata, il giudizio resta regolato dai meccanismi consueti e non è consentita una retrocessione a quella fase. Il problema non si pone in termini di applicabilità dell'art. 177 c.p.c. (Bucci, Malpica, Redivo, 314), bensì di impossibilità di riapertura di una vicenda che, in caso di contestazione, può essere riconsiderata solo con la sentenza definitiva; d'altronde, questo è un meccanismo già noto al procedimento per convalida di sfratto, che registra l'irrevocabilità e l'immodificabilità dell'ordinanza che abbia disposto (o denegato) il rilascio dell'immobile. Consegue, quindi, che il termine assegnato non è prorogabile, derivando ciò anche dalla sua “perentorietà” (Cass. III, n. 8418/2006; Cass. III, n. 1717/1998; Cass. III, n. 7289/1996; Cass. III, n. 2232/1995; Cass. III, n. 3977/1994; Cass. III, n. 4598/1986), come risulta implicitamente dall'ultimo comma dell'art. 55, che esclude la risoluzione del rapporto solo nel caso di pagamento “nei termini di cui ai commi precedenti”, e dal successivo art. 56, che collega, sia pure al fine di determinare la data dell'esecuzione, il provvedimento di rilascio al mancato pagamento nel termine assegnato (Cass. III, n. 2359/1992) nonché dalla ratio della norma (Cass. III, n. 1336/2000, sul presupposto che, costituendo un'eccezione al principio secondo il quale dopo la proposizione della domanda l'inadempiente non può più adempiere, determina una sospensione dell'effetto risolutorio che essa ha per il contratto; tra le pronunce di merito, v. Trib. Milano 24 gennaio 1985). In pratica, il termine concesso dal giudice si considera perentorio e, dunque, non sono ammessi ritardi che determinerebbero il cristallizzarsi e il perfezionarsi dell'inadempimento, e dalla natura del termine in parola consegue che, “se entro il concesso termine di grazia il conduttore non ha provveduto a sanare la mora, al giudice non è concessa la possibilità di valutare la gravità dell'inadempimento, a norma dell'art. 1455 c.c. (così come avviene quando si tratti di termine essenziale ai sensi dell'art. 1457 c.c.), che deve perciò ritenersi sussistente ope legis” (così Cass. III, n. 23751/2008: nella specie, si era affermato che, ai fini del rispetto del c.d. termine di grazia, non poteva avere alcun rilievo l'esistenza o meno di un accordo fra i difensori delle parti, nel senso della dilazione del pagamento, né del loro potere a concederlo, posto che il conduttore, con la materiale consegna dell'assegno, riferibile all'importo della morosità e degli accessori, nel termine giudizialmente prescritto al difensore, aveva correttamente rispettato il termine, sicché le vicende successive non potevano ridondare a suo danno). Per completezza, va segnalato che il suddetto termine di grazia, essendo di natura sostanziale e non processuale - atteso che non scandisce il compimento di alcun “atto del processo”, ma è funzionale soltanto all’adempimento della prestazione (segnatamente, al pagamento del canone) - non soggiace alla sospensione dei termini disposta nel periodo c.d. emergenziale dovuto al coronavirus (9 marzo -11 maggio 2020) dall’art. 83 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. cura Italia), convertito in l. n. 27/2020. Va, però, registrato anche un opposto indirizzo – sulla base di un favor per la possibile soluzione anticipata delle liti nella materia de qua e per motivi di equità (Guarino, 227) – che propende per la prorogabilità del termine di cui al comma 2 dell'art. 55 della l. n. 392/1978, sempre nell'àmbito dei novanta giorni complessivi, qualora cioè sia stato concesso per una durata inferiore a quella massima di legge (Cosentino, Vitucci, 383, in forza del rilievo per cui il termine di grazia è concesso con ordinanza modificabile e revocabile ex art. 177 c.p.c.). In tal senso, si è espressa anche parte della giurisprudenza di merito (Pret. Piacenza 10 gennaio 1980), sempreché risultino circostanze nuove e sopravvenute (Pret. Parma 6 febbraio 1982; Pret. S. Benedetto del Tronto 12 luglio 1989; Pret. Ascoli Piceno 12 luglio 1989, per l'ipotesi che, nel giorno di scadenza del termine di grazia assegnato ai sensi dell'art. 55, il procuratore ad litem del locatore non fosse reperibile in quanto lo studio legale risultava chiuso). La maggior parte della dottrina ritiene, però, il termine de quo perentorio, non abbreviabile né prolungabile dal giudice, neppure con l'accordo delle parti (per tutti, Trisorio Liuzzi, 350); peraltro, non sembra possibile che lo stesso termine venga frazionato, nel senso di stabilire che il pagamento debba avvenire in ratei successivi, atteso che la legge consente al giudice di determinare il termine entro il quale debba avvenire la sanatoria (Frasca, 423); d'altronde, “il giudice può assegnare un termine”, sicché cui la possibilità per il conduttore di sanare frazionatamente la mora, versando nelle mani del locatore il canone a mano a mano che ha la disponibilità del denaro, può trovare un fondamento solo in un accordo con la controparte, ma senza rilevanza sotto l'aspetto giuridico. Per completezza, va segnalato che il termine di pagamento previsto nella sanatoria di cui all'art. 55 citato potrebbe rientrare, sussistendo le condizioni ivi previste, nel novero dell'art. 20 della l. n. 44/1999, dettata in favore delle vittime di richieste estorsive o di usura, atteso che il comma 3 prevede che i termini (di prescrizione e quelli) perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti decadenze da qualsiasi diritto che sono scaduti o che scadono entro un anno dall'evento lesivo possono essere sospesi per la durata di trecento giorni dalle rispettive scadenze. Possibili scenari alla prima udienzaInnanzitutto, non si può escludere – come sopra anticipato – che, alla “prima udienza” non compaia alcuna delle parti, per essersi risolta la vicenda, secondo il paradigma considerato, nel tempo intercorrente tra la citazione e l'udienza stessa, sicché sarà fatta applicazione, in relazione al rito (ordinario o speciale) con il quale il giudizio è stato introdotto, rispettivamente, degli artt. 181 o 662 c.p.c. Analoga sarà la soluzione se le parti omettano di comparire all'udienza di verifica: il giudice disporrà il rinvio ad altra data (ex art. 181 c.p.c.) e, quindi, la cancellazione della causa dal ruolo; se il giudizio sia stato introdotto con lo speciale procedimento per convalida dì sfratto per morosità, saranno dichiarati cessati gli effetti dell'intimazione ai sensi dell'art. 662 c.p.c. Può, inoltre, succedere che l'udienza resti sempre la “prima” anche nel caso di un suo spostamento in relazione a particolari contingenze: così, ad esempio, sull'accordo delle parti per effettuare un più preciso conteggio del dovuto; per controllare il positivo esito dell'invio di un vaglia, non ancora pervenuto al creditore; per produrre documentazione in ordine alle spese condominiali (Cass. III, n. 3132/1982); per acquisire elementi circa l'assunto stato di precarietà del conduttore che abbia richiesto il termine di grazia; per constatare la “copertura” di un assegno di conto corrente versato banco iudicis ed accettato dal locatore con riserva. Tale rinvio dell'udienza può superare la particolare situazione del debitore che abbia sanato medio tempore (o corrisposto alla prima udienza) quanto dovuto per canoni ed interessi, ma non abbia portato con sé una somma sufficiente al pagamento delle spese giudiziali, il cui ammontare non è determinabile automaticamente, perché, ove non si ricorresse al rinvio dell'udienza, non sarebbe possibile attuare la sanatoria banco iudicis. In mancanza delle condizioni di difficoltà, non sarebbe neppure fissabile un termine per il loro pagamento, con la conseguenza che l'inadempienza non perderebbe il carattere di “gravità” e dovrebbe farsi luogo, in esito al giudizio di merito, alla risoluzione del contratto, il che sembra urtare contro la ratio e le finalità dell'istituto de quo (Lazzaro, Di Marzio, 475). In quest'ottica, è apparso “francamente fuori bersaglio” il responso del supremo consesso decidente (Cass. III, n. 3889/2000), secondo il quale il procedimento per convalida di sfratto sarebbe caratterizzato da “tipicità ed immediatezza” che non consentirebbero alternative, oltre all'adozione o non adozione del provvedimento di convalida alla prima udienza, segnatamente escludendo la possibilità di rinvii di sorta – fatta eccezione ovviamente per i rinvii d'ufficio disposti per la mancata tenuta dell'udienza – i quali snaturerebbero siffatto procedimento, e consentendo, fra l'altro, la costituzione in giudizio dell'intimato, che farebbe venir meno proprio il fondamentale presupposto su cui si fonda la possibilità di adozione di un provvedimento di convalida. Inoltre, il meccanismo immaginato dal legislatore potrebbe “incepparsi” per le contestazioni di talune delle parti alla prima udienza (oggetto di puntuale disamina da parte di Lazzaro, Di Marzio, 476). Si pensi al locatore il quale si opponga deducendo che la controparte ha già effettuato la sanatoria per tutte le volte consentite; oppure, si pensi all'opposto, al conduttore il quale contesti l'ammontare della morosità (assumendo che gli aggiornamenti I.S.T.A.T. non sono stati richiesti) ed offra banco iudicis quanto reputa dovuto o richieda il termine per provvedere al pagamento (in proposito, ad avviso di Cass. III, n. 7934/1991, il conduttore che, opponendosi alla convalida dello sfratto intimatogli dal locatore per mancato versamento del canone e della maggior somma dovuta per aggiornamento I.S.T.A.T., versi il canone alla prima udienza ai fini della sanatoria prevista dall'art. 55, ma non anche le somme aggiuntive per l'aggiornamento, in quanto non indicate nell'intimazione di sfratto, ha diritto di sanare la mora anche successivamente alla prima udienza, ma non oltre quella in cui il locatore abbia precisato l'ammontare spettante per il detto aggiornamento). In tali situazioni, il giudice dovrà statuire, con ordinanza, sulle questioni proposte ed assegnare o denegare il termine di grazia; la causa proseguirà, poi, per il merito e, con la sentenza conclusiva del giudizio di risoluzione, sarà ribadita o modificata la statuizione contenuta in quell'ordinanza; così, se il locatore abbia rifiutato l'offerta, reputandola inferiore al dovuto e verrà accertata, invece, la sua esattezza, il giudice con la sentenza darà atto del verificatosi paradigma dell'art. 55, con conseguente condanna dell'attore alle spese del giudizio, atteso che il conduttore, essendo tenuto a versare il dovuto e non il preteso – secondo la chiara dizione della norma – ha legittimamente offerto di sanare in relazione alla minor somma rispetto a quella indicata in citazione. Analogamente, solo la sentenza potrà dirimere la questione e rigettare la domanda di risoluzione, nel caso in cui sia reputata ammissibile la sanatoria, ad esempio, perché un precedente pagamento non rientrava nello schema temporale del richiamato art. 55 e, quindi, il conduttore poteva beneficiare della sanatoria ancora una volta; all'opposto, ove venga accertata l'esattezza della somma pretesa dal locatore e contestata ex adverso, il versamento di un importo minore non sarà utile a conformare la sanatoria de qua e verrà pronunciata la risoluzione del contratto, con aggravio delle maggiori spese di lite per il debitore soccombente. Peraltro, se il giudizio è stato instaurato con lo speciale procedimento per convalida di sfratto per morosità, il giudice dovrà provvedere – ove non reputi sussistenti i presupposti per la fissazione del termine o per l'applicabilità del beneficio, oppure il locatore rifiuti il pagamento (che assume parziale) banco iudicis – sull'eventuale richiesta di ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c., dovendo il giudizio proseguire, perché, altrimenti, ove cioè venisse pronunciata, sulla base della sussistente morosità, l'ordinanza di convalida ex art. 663 c.p.c., il conduttore non avrebbe spazio per le proprie difese, tranne a volere reputare utilizzabile l'appello sul presupposto – riconosciuto da una parte della giurisprudenza (v., tra le altre, Cass. III, n. 14625/2017) – che detta convalida sia stata pronunciata al di fuori dello schema procedimentale ed abbia, quindi, natura di sentenza. Non è apparsa condivisibile una pronuncia di legittimità la quale, nell'affermare la possibilità di pronunciare un provvedimento di convalida, ha ritenuto la sua inoppugnabilità, “salva l'opposizione ex art. 668 c.p.c.” (così Cass. III, n. 5113/1989), tenuto conto che la presenza dell'intimato, nel caso che si considera, è fuori discussione – avendo, infatti, richiesto il termine di grazia – e, quindi, l'opposizione tardiva non è concettualmente ipotizzabile, con la conseguenza che, a seguire tale indirizzo, si avrebbe un provvedimento affidato alla discrezionalità del giudice ed assolutamente intoccabile (in un quadro caratterizzato, invece, dalla tendenza della Corte costituzionale ad estendere le ipotesi di impugnabilità dell'ordinanza di convalida). Sul punto, si è statuito (Cass. III, n. 19865/2014) che se, nel procedimento per convalida di sfratto, il giudice che ritenga “inammissibile” l'istanza del conduttore per la sanatoria della morosità, ai sensi dell'art. 55, lo stesso giudice può emettere solo l'ordinanza di rilascio, a norma dell'art. 665 c.p.c., disponendo la prosecuzione del giudizio a cognizione piena, poiché l'ordinanza di convalida, a norma dell'art. 663 c.p.c., risulterebbe emessa nell'opposizione dell'intimato e, quindi, fuori dei casi di legge, sì da integrare una sentenza appellabile. Compatibilità dell'opposizione alla convalidaAccade frequente nella prassi – specie in tempi di crisi economica, come quelli attuali – che, quando la sanatoria giudiziale si innesti nel procedimento per convalida di sfratto per morosità, il conduttore, pur opponendosi alla convalida, manifesti la volontà di corrispondere l'importo richiesto banco iudicis, oppure, in via subordinata, chieda il termine di grazia ricorrendone i presupposti: si tratta, quindi, di individuare la soluzione da adottare nell'ipotesi di formulazione di una condotta difensiva dell'intimato di tipo oppositivo riguardo al merito della domanda risolutiva avanzata dal locatore e proposizione contestuale dell'istanza di purgazione della morosità. Sorgono così due problemi connessi, che i giudici di Piazza Cavour non sembra abbiano correttamente inquadrato (Lazzaro, Di Marzio, 477), e precisamente: a) il problema della compatibilità tra sanatoria giudiziale e opposizione alla convalida, dal momento che la volontà di avvalersi della sanatoria può indurre a considerare non contestata l'esistenza della morosità e, così, suscitare l'opinione che l'intimato, manifestando la volontà di sanare, solo per questo non voglia opporsi alla convalida; b) il problema dell'individuazione del provvedimento da prendere se il conduttore, avendo cumulativamente manifestato la volontà di opporsi alla convalida e di avvalersi della sanatoria giudiziale, non abbia poi, in tutto o in parte, portato quest'ultima a termine, considerando che la chiave di volta dell'ordinanza di convalida ex art. 663 c.p.c. è l'assenza di opposizione dell'intimato. Con riferimento alla prima questione, nella giurisprudenza di legittimità (Cass. III, n. 1835/1989), si registra un primo indirizzo secondo cui il termine di grazia per sanare la morosità può essere chiesto dal conduttore, sempre che emerga la volontà di non opporsi alla convalida per contestare in tutto o in parte la morosità; infatti, ove il conduttore, convenuto nel procedimento per convalida di sfratto per morosità, preferisca opporsi alla convalida contestando la morosità, non può essere accolta l'eventuale contemporanea e subordinata domanda di concessione del termine di grazia ex art. 55, in quanto tale domanda, finalizzata all'estinzione del processo con la sanatoria della morosità, è incompatibile con la volontà prevalente di opporsi alla convalida dello sfratto, dal momento che l'opposizione dà luogo, a norma dell'art. 665 c.p.c., all'esaurimento del procedimento speciale di convalida ed alla continuazione del processo con il rito ordinario per l'accertamento della sussistenza o meno della morosità (v., nella giurisprudenza di merito, Trib. Nola 12 febbraio 2008, secondo cui l'art. 55 è inapplicabile se il conduttore, al quale sia stato intimato lo sfratto per morosità, si opponga alla convalida, atteso che tale procedura “presuppone logicamente il pieno riconoscimento da parte dell'intimato della sua inadempienza”; Pret. Reggio Emilia 21 dicembre 1993 è dello stesso parere, in quanto sussiste “un'incompatibilità logica e giuridica tra l'opposizione all'intimazione di sfratto per morosità e la contestuale proposizione dell'istanza volta ad ottenere la concessione del termine di grazia”). Si è, altresì, affermato, più di recente, che il conduttore il quale, convenuto in un giudizio di sfratto per morosità, abbia richiesto la concessione del c.d. termine di grazia, “manifesta implicitamente, per ciò solo, una volontà incompatibile con quella di opporsi alla convalida”, sicché al mancato adempimento nel termine fissato dal giudice consegue ipso facto l'emissione da parte di questi dell'ordinanza di convalida ex art. 663 c.p.c., senza che possano assumere rilievo (in quanto irrituale e tardive) eventuali eccezioni o contestazioni circa la sussistenza e/o l'entità del credito vantato dal locatore sollevate dopo la predetta richiesta di termine per sanare la morosità, giacché, a norma dell'art. 55, il comportamento del conduttore sanante la morosità deve consistere nell'estinzione di tutto quanto dovuto per canoni, oneri accessori, interessi e spese fino alla scadenza del termine di grazia, senza che l'inadempimento residuo sia suscettibile di nuova verifica sotto il profilo della gravità; il giudice non ha, infatti, il potere di valutare se il superamento, ancorché esiguo, del suddetto termine di grazia concesso al conduttore per sanare la morosità costituisca inadempimento grave, ma solo la possibilità di fissare il termine entro il limite minimo e massimo stabilito dal legislatore (Cass. III, n. 5540/2012; Cass. III, n. 11704/2002, sul presupposto che sia precluso il rinvio della causa per la trattazione del merito, ha puntualizzato che l'erronea ordinanza di rilascio pronunciata non è impugnabile nè con l'appello, nè con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., ma soltanto con l'opposizione tardiva di cui all'art. 668 c.p.c. – qualora ne ricorrano, nella specie, i presupposti, tra i quali, anzitutto, la convalida in assenza dell'intimato – atteso che il conduttore, in caso di attestazione dell'intimante di mancata o incompleta sanatoria nel termine assegnato, può fondare la sua opposizione, volta ad impedire, appunto, l'emissione del provvedimento definitivo di rilascio ex art. 663 c.p.c., soltanto su eccezioni relative al completo adempimento dell'obbligazione nella forma qualificata derivata dal provvedimento di assegnazione del termine, salva l'ipotesi che l'ordinanza di convalida sia stata emessa fuori o contro le condizioni previste dall'art. 55, nel qual caso detto provvedimento risulta impugnabile con l'appello). L'incompatibilità tra la richiesta del termine di grazia ed opposizione alla convalida appare, quindi, motivata da una considerazione di ordine strettamente “processuale”: l'opposizione alla convalida chiude la fase speciale del procedimento e dà ingresso alla fase a cognizione ordinaria, attraverso lo snodo della trasformazione del rito e l'eventuale pronuncia dell'ordinanza provvisoria di rilascio, ex art. 665 c.p.c., in vista della sentenza definitiva della lite; la richiesta del termine di grazia, invece, è volta ad ottenere un provvedimento di estinzione del procedimento per convalida, che, pertanto, non può transitare alla fase a cognizione ordinaria. In quest'ordine di concetti, si è affermato che il mancato pagamento da parte del conduttore, che abbia chiesto termine per sanare la mora, dell'integrale importo dovuto nel termine fissato dal giudice, comporta la pronuncia, ex art. 663 c.p.c., all'udienza fissata entro dieci giorni dalla scadenza del suddetto termine, della convalida di sfratto per morosità, senza possibilità di rinvio della causa per la trattazione del merito, trattazione, che, se svolta, va considerata illegittima. In altri termini – secondo questa tesi – atteso che la richiesta del termine di grazia e l'opposizione alla convalida sono “incompatibili”, dal momento che il primo può essere concesso solo se l'intimato non si sia opposto, una volta decorso inutilmente il termine per la sanatoria, non resta che pronunciare l'ordinanza di convalida, il che, sul piano della coerenza, è indubbiamente logico, giacché manca un'opposizione alla convalida (in presenza della quale il termine di grazia non sarebbestato concesso) e neppure si è perfezionata la sanatoria. Nondimeno – ad avviso della migliore dottrina (Lazzaro, Di Marzio, 479) – la logica interna della pronuncia non esclude che essa muova da un presupposto errato: la sanatoria giudiziale, infatti, consentendo al conduttore un tardivo adempimento che sarebbe altrimenti precluso dall'art. 1453, comma 3, c.c., possiede anche natura “sostanziale” e, lungi dal mirare ad un risultato confinato in àmbito processuale, quale il provvedimento di estinzione, persegue lo scopo primario di incidere sul rapporto contrattuale, determinando la purgazione della mora; l'estinzione del procedimento, viceversa, è soltanto il normale effetto del risultato sostanziale raggiunto, il quale cancella dal mondo del diritto il fatto da cui la lite si è originata e, solitamente, fa venir meno il contrasto tra le parti – similmente a quanto accade nella c.d. cessazione della materia del contendere – conducendo così, secondo una prassi generalizzata, alla pronuncia di estinzione. La sanatoria giudiziale, dunque, è istituto di diritto sostanziale che generalmente, ma non necessariamente, determina l'effetto processuale dell'estinzione del procedimento per convalida; e, infatti, l'art. 55 in esame non prevede affatto che la sanatoria compiutasi debba necessariamente esitare nel provvedimento di estinzione, che neppure menziona: sono innumerevoli i casi in cui la sanatoria si innesta, invece, in un processo destinato a proseguire in fase ordinaria, il che accade ogni qualvolta alla purgazione della mora non faccia riscontro l'eliminazione del contrasto tra le parti. L'attitudine della sanatoria giudiziale a chiudere il giudizio, di recente, è stata argomentata a partire dall'osservazione che il beneficio comporta il pagamento delle spese di lite, le quali sarebbero dovute in dipendenza, appunto, della chiusura del giudizio, secondo la regola generale dettata dall'art. 91 c.p.c. (Masoni 2395); può, tuttavia, replicarsi che il provvedimento sulle spese – che non è di condanna e che, quindi, non ha nulla a che vedere con il principio della soccombenza – non necessariamente accede a quello che chiude il giudizio, il quale, anzi, almeno in ipotesi di concessione del termine di grazia, è fisiologicamente destinato a proseguire con la fissazione dell'udienza di verifica; in definitiva, dovrebbe escludersi che l'incompatibilità tra opposizione alla convalida e sanatoria giudiziale possa essere desunta dall'inconciliabilità (inesistente) degli esiti processuali cui l'una e l'altra conducono. Secondo un diverso indirizzo degli stessi magistrati del Palazzaccio, la contestazione della morosità da parte del conduttore, cui sia stato intimato lo sfratto ex art. 658 c.p.c. “non preclude, né rende incompatibile” il ricorso alla sanatoria di cui all'art. 55 (Cass. III, n. 270/1996; ad avviso di Trib. Torino 16 marzo 2017, la purgazione della mora, successiva alla domanda di risoluzione insita nell'intimazione di sfratto, non è ostativa, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1453 c.c., all'accertamento della gravità del pregresso inadempimento nell'àmbito del giudizio ordinario che, a tal fine, prosegua dopo il pagamento dei canoni scaduti da parte dell'intimato, stante che la citata norma non introduce per il convenuto un divieto assoluto di adempimento dopo la proposizione della domanda di risoluzione, ma si limita a sancire l'inefficacia di un inadempimento tardivo a sanare o diminuire le conseguenze del pregresso inadempimento posto a base della domanda, sull'implicito presupposto che questo sia sussistente e che, quindi, il creditore non abbia più interesse all'adempimento). Seguendo quest'impostazione, tra l'opposizione alla convalida e il ricorso alla sanatoria giudiziale non vi è incompatibilità, sicché anche il conduttore che si sia opposto alla convalida può avvalersi della sanatoria; ciò non significa che il conduttore intimato possa coltivare entrambe le opzioni, sicché l'opposizione conserva il suo effetto tipico, che è quello di impedire la convalida, ma solo che, pur avendo spiegato opposizione, egli può egualmente accedere alla sanatoria, ponendo però in tal caso l'opposizione nel nulla. Invero, l'utilizzazione della procedura de qua “comporta implicitamente, ma necessariamente, la manifestazione della prevalente volontà solutoria del conduttore, che va autonomamente valutata e regolamentata in aderenza alla ratio legis di componimento della lite” (così Cass. III, n. 4474/1985; conforme, tra le pronunce di merito, Pret. Pavia 12 settembre 1997, ad avviso del quale la domanda di sanatoria della morosità, con la concessione del termine di grazia, a norma dell'art. 55, presentata in via subordinata dal conduttore rispetto alla contestazione del canone ed all'opposizione alla convalida dell'intimazione di sfratto, costituisce manifestazione solutoria che prevale su ogni altro aspetto processuale, dovendo il giudice valutare prioritariamente tale istanza con la sussistenza delle condizioni di obiettive difficoltà per l'assegnazione del termine di grazia). Riguardo alla seconda tematica, si è affermato che il conduttore il quale, in sede di convalida di sfratto per morosità, abbia sollevato, opponendosi alla convalida, eccezione di inesistenza della morosità affermata dal locatore e, tuttavia, effettui in udienza il pagamento dei canoni scaduti, degli oneri accessori e delle spese legali o chieda termine ex art. 55 per sanare la morosità, dimostra, con tale comportamento, una voluntas solvendi incompatibile con l'opposizione alla convalida, per cui nel caso in cui la mora non venga sanata nel termine di grazia concesso dal giudice, questi, ai sensi dell'art. 663 c.p.c., deve pronunciare ordinanza di convalida di sfratto, senza possibilità di rinvio della causa per un'ulteriore trattazione del merito (Cass. III, n. 3132/1982; cui adde Cass. III, n. 19772/2003, precisando che, al mancato adempimento nel termine fissato, consegue l'emissione dell'ordinanza di convalida ex art. 663 c.p.c., atteso che, per effetto del mancato pagamento, il procedimento “retrocede” alla fase precedente all'instaurazione del subprocedimento di sanatoria e il provvedimento da emettere è quello di convalida che sarebbe stato emesso se il subprocedimento non fosse stato instaurato). Questa soluzione viene proposta come “conforme” – il che non è, stante la difformità dell'opinione sostenuta dagli stessi giudici di legittimità – da una pronuncia (Cass. III, n. 7289/1986), ad avviso della quale il consolidato orientamento della giurisprudenza, secondo cui la contestazione della morosità da parte del conduttore, cui sia stato intimato sfratto ex art. 665 c.p.c., non preclude né rende incompatibile il ricorso alla sanatoria di cui all'art. 55 della l. n. 392/1978, non va inteso nel senso che l'opposizione insita nella contestazione della morosità continui a spiegare il suo effetto impeditivo della convalida, quantunque il conduttore-opponente abbia richiesto anche la concessione del termine per pagare i canoni scaduti e tutti gli accessori, ma nel senso che la contestazione della morosità e la richiesta di sanatoria, in quanto intese entrambe ad evitare il provvedimento di convalida, non sono reciprocamente inconciliabili, fermo, tuttavia, restando che, con la richiesta di sanatoria, il conduttore rende manifesta la propria prevalente volontà di adempiere, e ciò comporta che, in tal caso, l'ordinanza di convalida non possa più ritenersi condizionata dalla mancata proposizione dell'opposizione, secondo quanto dispone l'art. 665 c.p.c., bensì dal mancato pagamento del dovuto nel termine all'uopo fissato, secondo la previsione dell'art. 55. Insomma, secondo questo indirizzo, se è vero che l'opposizione alla convalida non preclude l'accesso alla sanatoria giudiziale, è altrettanto vero che l'accesso a quest'ultima, manifestando una prevalente volontà solutoria del conduttore, rende inutilmente proposta l'eventuale opposizione: anche seguendo questa impostazione, quindi, nel caso che la sanatoria non si compia, non resta che pronunciare l'ordinanza di convalida, poiché, non essendosi realizzata la purgazione della mora, non v'è neppure, oramai, un'opposizione alla convalida, caducata, travolta, posta nel nulla, abbandonata, per effetto dell'accesso alla sanatoria. Accade così che la pronuncia dell'ordinanza di convalida non potrebbe più ritenersi condizionata dalla mancata proposizione dell'opposizione, bensì dal mancato pagamento del dovuto nel termine di grazia (Cass. III, n. 24764/2008; Cass. III, n. 4646/1990). Su cosa si fondi una simile irrealistica tipizzazione della condotta dell'intimato è difficile comprendere (ad avviso di Lazzaro, Di Marzio, 479): dando credito all'opinione del Supremo Collegio, gli innumerevoli conduttori che, nel ricorrere alla sanatoria, insistono nel negare in tutto o in parte la morosità, non sarebbero consapevoli del proprio volere, perché manifesterebbero la volontà di opporsi alla convalida, ma in realtà non vorrebbero opporsi, giacché la loro voluntas solvendi sarebbe, per così dire, intrinsecamente e prevalentemente non oppositoria; in tal modo, si determinerebbe il totale stravolgimento della regola di base dettata dall'art. 663 c.p.c., secondo cui l'ordinanza di convalida poggia su un comportamento adesivo del conduttore intimato. In altri termini, come ha osservato una corte di merito, la conclusione cui perviene la Cassazione “comporterebbe una convalida in presenza della manifestata opposizione” (così App. Ancona 27 maggio 2008); si è opinato che, alla luce della lettera e della ratio dell'art. 55, la richiesta di sanatoria ha carattere necessariamente pregiudiziale, sicché l'intimato, anche nel caso in cui contesti la morosità, può chiedere preliminarmente il termine di grazia, al solo fine di evitare il provvedimento di rilascio, con riserva di ripetizione della somma versata, mentre non può, invece, avanzare tale richiesta di termine in via subordinata e condizionata all'accertamento dell'esistenza della contestata morosità. È apparso, invece, preferibile ritenere che l'opposizione alla convalida e la sanatoria giudiziale siano pienamente compatibili, senza che la seconda sia impedita dalla prima e senza che la prima sia in qualche modo travolta dalla seconda; d'altronde, il conduttore, anche se convinto della validità dei motivi di opposizione, potrebbe essere indotto a richiedere di sanare la morosità per evitare la convalida dello sfratto, salvaguardando la facoltà di ripetere quanto dovesse ritenersi ingiustamente prestato per effetto della sanatoria avvenuta in corso di giudizio (D'Alessandro, 273). In dottrina, la tesi dell'incompatibilità logica tra opposizione alla convalida e sanatoria desta perplessità, considerando la finalità della stessa sanatoria, che è quella di impedire la risoluzione del contratto; il conduttore, anche se è convinto della validità dei motivi sui quali fonda l'opposizione, può essere indotto a chiedere la concessione di un termine per il pagamento solo per il fatto che la sanatoria della morosità gli evita la risoluzione del contratto, ma senza retrocedere dall'opposizione; appare così discutibile che la richiesta di sanatoria implichi necessariamente una rinuncia a far valere le dedotte ragioni di contestazione della morosità: “una volta chiusa la parentesi della sanatoria, il giudizio potrebbe ben proseguire per l'accertamento della fondatezza o meno dei motivi di opposizione e per la restituzione di quanto indebitamente versato” (così Ghellini, 133). D'altronde, gli stessi ermellini (Cass. III, n. 9465/1997) hanno, talvolta, svolto considerazioni che sembrano presupporre una completa adesione alla ricostruzione dell'istituto nei termini sopra prospettati, asserendo che l'opposizione dell'intimato che, ai sensi degli artt. 665 e 667 c.p.c., determina la conclusione del procedimento sommario e l'instaurazione di un autonomo processo a cognizione ordinaria, deve ritenersi proposta tutte le volte che il conduttore, costituendosi, contesti il fondamento dell'intimazione di sfratto, né può considerarsi priva di effetti solo perché l'opponente, anche al fine di evitare la pronuncia del provvedimento di rilascio ed avvalendosi della facoltà attribuitagli dall'art. 55, paghi “con riserva” i canoni pretesi dal locatore. La piena comprensione dei termini del rapporto tra sanatoria giudiziale ed opposizione alla convalida è, inoltre, chiaramente presupposta da una più recente pronuncia, la quale ha considerato “abnorme” il provvedimento con cui il giudice della convalida aveva dichiarato estinto il giudizio a seguito dell'intervenuta sanatoria, quantunque il conduttore si fosse in pari tempo opposto alla convalida ed avesse spiegato domanda riconvenzionale (Cass. III, n. 25393/2009). La soluzione da ultimo delineata, poi, è abbastanza chiara nella giurisprudenza di merito (Trib. Patti – S. Agata di Militello 24 luglio 2008), la quale ha osservato che non esiste incompatibilità sul piano logico tra opposizione alla convalida di sfratto per morosità e richiesta di concessione del termine di grazia ai sensi dell'art. 55, stante “l'eterogeneità, ontologica e funzionale, delle due figure”, con la conseguenza che esse possono essere formulate contestualmente, anche in via subordinata; l'opposizione, tuttavia, continua a produrre l'effetto di impedire la pronuncia dell'ordinanza di convalida, anche qualora la morosità non sia stata sanata entro il termine concesso, determinando il passaggio del procedimento alla fase a cognizione ordinaria, salva la possibilità che la fase sommaria del procedimento si concluda con l'emissione o la negazione dell'ordinanza provvisoria di rilascio ove di questa l'intimante abbia fatto rituale richiesta (v. anche Trib. Trapani 20 gennaio 2003, secondo cui la contestazione della morosità da parte del conduttore cui sia stato intimato sfratto ex art. 658 c.p.c., qualora sia inequivocabilmente diretta ad opporsi alla convalida ed all'ordinanza di rilascio di cui all'art. 665 c.p.c., esaurisce in tali limiti la sua efficacia e, quindi, “non preclude, né rende incompatibile il ricorso alla sanatoria” di cui all'art. 55, introdotta a completamento più dettagliato della procedura di convalida dettata dal codice di rito per la possibilità offerta al conduttore di sanare la morosità, e la cui utilizzazione comporta implicitamente, ma necessariamente, la manifestazione della prevalente volontà solutoria del conduttore, che va autonomamente valutata e regolamentata in aderenza alla ratio legis di componimento della lite; Pret. Lucca – Viareggio 27 febbraio 1997, ad avviso del quale è ammissibile che un soggetto, sanata in sede giudiziale la morosità ed impedita così la convalida di sfratto, possa poi sostenere che, in realtà, egli non era moroso, in quanto l'aver invocato l'art. 55 e l'aver provveduto a riguardo è contegno che non preclude la successiva azione di ripetizione dell'indebito, costituendo, però, sul piano sostanziale, una ricognizione di debito, con il conseguente onere probatorio, per il conduttore che l'abbia posta in essere, di dimostrare che il credito vantato dal locatore non esisteva). Controlli nell'udienza di verificaUn aspetto rilevante della sanatoria è che la stessa sia “tempestiva”, ossia avvenga entro il termine di grazia concesso dal giudice; al fine di accertare l'avvenuta sanatoria, il giudice rinvia l'udienza – compatibilmente con le esigenze del suo ruolo, non esclusa la fissazione dell'incombente pure nel periodo di sospensione feriale – non oltre dieci giorni dalla scadenza del termine assegnato (c.d. udienza di verifica). Al riguardo, si è precisato (Cass. III, n. 12424/2008) che, nel caso in cui sia concesso termine di grazia ai sensi dell'art. 55 e il termine scada in giorno festivo, si applicano le regole dell'art. 155, comma 4, c.p.c., in correlazione sistematica con gli artt. 1185 e 1187 c.c., stante la natura sostanziale di tale termine, che elide ope legis l'effetto proprio dell'inadempimento esistente, sicché la proroga del termine, pur prevista dalla norma processuale, non contiene una limitazione ad horas del dies ad quem, come si desume dalla disciplina generale dettata dal codice civile, conseguendone che, nel caso in cui sia stata negata l'ordinanza provvisoria di rilascio per la morosità e sia stato disposto il prosieguo del giudizio per l'esame del merito, in relazione alla domanda di risoluzione ed alla riconvenzionale ritualmente proposta, il giudice della successiva fase di merito deve esaminare il tempestivo pagamento effettuato nel giorno successivo a quello festivo, entro lo spirare di tale giorno (entro le ore ventiquattro), anche a mezzo di vaglia postale, se tale mezzo non sia stato espressamente contestato. Stesso discorso non può farsi allorquando il termine di grazia scada nella giornata di sabato, perché, avendo tale termine natura sostanziale (di adempimento dell'obbligazione di versamento dei canoni), non può applicarsi la previsione contemplata nel comma 5 dell'art. 155 c.p.c. (aggiunto dalla l. n. 263/2005), che si riferisce ai soli atti processuali strictu sensu tra cui non rientra la purgazione della mora (Trib. Lecce 27 febbraio 2012). Altro aspetto essenziale del procedimento in esame è che la sanatoria giudiziale sia “completa”: la somma indicata dal giudice e versata dal conduttore deve, cioè, comprendere tutti i canoni scaduti e gli oneri accessori maturati sino alla data della sanatoria, maggiorati degli interessi legali e le spese legali all'uopo liquidate dal giudice, sicché un pagamento parziale risulta del tutto inidoneo al perfezionarsi del meccanismo sanante previsto dalla sanatoria contemplata dall'art. 55 della l. n. 392/1978. In quest'ottica, anche di recente, si è ribadito che la sanatoria della morosità del conduttore prevista dall'art. 55 è subordinata al pagamento “integrale” dei canoni, degli interessi e delle spese (Cass. III, n. 16669/2016; Cass. III, n. 18224/2013; Cass. III, n. 24764/2008; in questa prospettiva, Trib. Lecce 27 febbraio 2012 ha chiarito che, in tema di termine di grazia concesso per il pagamento dei canoni scaduti, deve ritenersi tardiva la sanatoria della morosità tentata a mezzo di vaglia postale, pervenuto al locatore a termine già scaduto; di contro, per Trib. Asti 7 maggio 1985, il libretto di risparmio al portatore, per le sue caratteristiche di titolo di credito facilmente ed immediatamente negoziabile, è mezzo di pagamento idoneo a sanare la morosità; per Pret. Chieti 22 novembre 1989, il pagamento dei canoni scaduti, effettuato dopo la scadenza del termine perentorio di cui all'art. 55, è inefficace agli effetti della sanatoria della morosità e della conservazione del contratto di locazione e non può essere discrezionalmente valutato dal giudice sotto il profilo della colpa del debitore o dell'importanza dell'inadempimento; ad avviso di Pret. Lugo 14 agosto 1986, il pagamento di quanto dovuto per canoni scaduti e accessori ai sensi dell'art. 55 impedisce la convalida dello sfratto “anche se compiuto dopo la scadenza del termine di grazia, purché avvenga prima dell'udienza fissata per la prosecuzione”). Una parte della dottrina ritiene che i canoni debbano ricomprendere non solo quelli per i quali è intervenuta l'intimazione dello sfratto, ma anche quelli scaduti fino alla data dell'udienza, in caso di pagamento banco iudicis, oppure, nell'ipotesi della concessione del termine di grazia, anche quelli ancora a scadere fino allo spirare del termine assentito per la purgazione della morosità (Grasselli, Masoni, 396, i quali ritengono tale tesi più conforme alla ratio dell'istituto, di favore per il conduttore, derogatorio rispetto ai principi civilistici in tema di risoluzione per inadempimento: in buona sostanza, per fruire del beneficium conductoris, “l'istante deve esserne meritevole, avendo estinto ogni pendenza debitoria riguardante il rapporto giuridico dedotto in giudizio”). Un'altra parte opina, invece, che debba essere purgata la morosità maturata solo fino all'udienza nella quale il termine di grazia è stato concesso, utilizzando così lo stesso parametro di riferimento letteralmente dettato per la sanatoria banco iudicis (Bucci, Malpica, Redivo, 315; Frasca, 547, il quale ritiene irrilevante la morosità maturata in relazione ai canoni scaduti successivamente all'udienza; Di Marzio, 282). Su quest'ultimo avviso, si pone una parte della giurisprudenza di merito (Trib. Lecce 27 febbraio 2012; Trib. Udine — Palmanova 30 agosto 2002; Trib. Teramo – Atri 10 giugno 2002), secondo cui la morosità da considerare ai fini della convalida dello sfratto è quella maturata sino alla data della prima udienza, non potendo essere prese in considerazione inadempienze relative a canoni maturati durante il termine di grazia, concesso per sanare la morosità medesima; segnali favorevoli alla prima opzione ermeneutica, si evincono, invece, da altre pronunce (Cass. III, n. 5540/2012, Cass. III, n. 6636/2006 e Cass. III, n. 13407/2001), secondo cui sarebbe singolare ritenere che si possa sanare la morosità nel pagamento dei canoni passati, magari dell'unico canone secondo la predeterminazione della gravità dell'inadempimento contenuta nell'art. 5, e quindi estinguere il diritto alla risoluzione del contratto di locazione, persistendo una situazione di rilevante morosità durante lo svolgimento del termine di grazia (v., altresì, nella giurisprudenza di merito, Trib. Salerno 17 ottobre 2008). Dunque, ai fini della valutazione della tempestività e ritualità della purgazione giudiziale della morosità, assume particolare importanza anche la modalità del relativo adempimento, poiché l'obbligazione pecuniaria, di regola, deve essere adempiuta, secondo il disposto generale di cui all'art. 1182, comma 3, c.c., presso il domicilio del creditore, da individuarsi con riferimento al tempo di scadenza; pertanto, per un verso, va qualificato illegittimo il comportamento del conduttore che si autodetermina nel procedere ad un'unilaterale riduzione del canone convenzionalmente pattuito, e, per altro verso, solo allorché l'adempimento si considera liberatorio nel senso di cui sopra, si potrà individuare la tempestività nell'ottemperanza al termine di grazia, rimanendo accollato il relativo rischio, riconducibile all'eventuale ritardo, allo stesso debitore (Carrato, Scarpa, 657). Può, però, accadere che il conduttore, pur avendo intenzione di sanare la morosità, non riesca ad adempiere, nel termine indicato dal giudice, al pagamento integrale di quanto dovuto; la mancata esecuzione della sanatoria può, quindi, esplicarsi in due forme distinte: a) sotto forma di ritardo per il decorso del termine indicato dal giudice per il pagamento delle somme indicate, o b) per l'omesso e/o incompleto pagamento. Va, comunque, sottolineato che la specialità della facoltà riconosciuta al conduttore di sanare giudizialmente la morosità ha come contraltare una forte rigidità sul piano della perentorietà del termine assegnato dal giudice e della necessaria completezza del pagamento eseguito in favore del locatore, per cui anche scostamenti lievi sul piano del ritardo o/e della completezza della somma versata integrano la fattispecie della mancata sanatoria; la serietà del procedimento è tale che, in caso di omessa sanatoria, dovrebbe ritenersi non più consentito al giudice di valutare la gravità dell'inadempimento o del ritardo, dovendosi limitare a prendere atto della mancata sanatoria nei termini inderogabilmente fissati. Questa è senz'altro la soluzione prevalente, accolta anche dai magistrati di Piazza Cavour, che hanno chiarito come, in caso di sanatoria non completa, una volta scaduto il termine di grazia, viene legittimamente emessa ordinanza di convalida di sfratto, “dovendosi ritenere che la morosità persiste, senza che l'inadempimento residuo sia suscettibile di nuova verifica sotto il profilo della gravità” (per tutte, Cass. III, n. 7253/1996). Al riguardo, si è puntualizzato (Cass. III, n. 9370/2006; Cass. III, n. 6636/2006; Cass. III, n. 1336/2000), che il giudice non ha il potere di valutare se il superamento, ancorché esiguo, del termine di grazia concesso al conduttore ai sensi dell'art. 55, per sanare la morosità, costituisca inadempimento grave, né se il ritardo dipenda dal debitore o da un terzo di cui egli si sia avvalso per adempiere – come nel caso di trasmissione della somma dovuta tramite assegno spedito a mezzo del servizio postale nel termine, ma pervenuto qualche giorno dopo – perché, da un lato, egli ha soltanto la possibilità di fissare il termine entro il limite minimo e massimo stabilito dal legislatore, e, dall'altro, l'obbligazione di pagamento del canone, in mancanza di diversa pattuizione, deve esser adempiuta al domicilio del creditore al tempo della scadenza, e perciò il rischio di ritardo o mancata ricezione resta a carico del debitore, perché attiene alla fase preparatoria del pagamento. Dunque, il puntuale ed integrale pagamento, in assenza di contrasti, comporta la conclusione sia della fase preliminare sia del giudizio di risoluzione, il quale viene dichiarato “estinto” (in proposito, v., di recente, Cass. III, n. 10678/2017, secondo la quale, qualora il giudice di appello accerti la nullità dell'ordinanza di estinzione del procedimento per convalida di sfratto, adottata in primo grado per effetto dell'avvenuta sanatoria della morosità nel termine di grazia, non può rimettere la causa al primo giudice, ma deve procedere alla decisione nel merito della controversia, non essendo in tal caso applicabile l'art. 354, comma 2, c.p.c., il quale si riferisce alle specifiche ipotesi di estinzione del processo per inattività delle parti previste dall'art. 307 c.p.c., atteso che l'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 55, comma 5, va qualificata, invece, come provvedimento di merito, equiparabile ad una pronuncia di rigetto della domanda di risoluzione del contratto insita nell'intimazione di sfratto per morosità). All'opposto, ove il pagamento non sia avvenuto o sia parziale (quanto ai canoni), il giudice darà atto che non si è realizzato il meccanismo sanante, si introdurrà nel (momentaneamente accantonato) procedimento per convalida di sfratto e – poiché la morosità permane e non vi è opposizione – pronuncerà l'ordinanza di convalida. Risulta, infatti, acquisito in giurisprudenza che, qualora il conduttore il quale, non opponendosi alla convalida, abbia ottenuto il termine di grazia e non provveda a sanare tempestivamente ed integralmente la morosità, il giudice è tenuto, all'udienza di verifica, a pronunciare convalida dello sfratto per morosità, senza necessità di rinvio della causa per l'ulteriore trattazione del merito (Cass. III, n. 160/1990; Cass. III, n. 1835/1989), rimanendo, però, il dubbio – v. supra – nell'àmbito di tale chiave interpretativa della mancata sanatoria, qualora sussista la concorrente opposizione, se il giudice debba necessariamente convalidare lo sfratto o possa limitarsi a concedere l'ordinanza di rilascio, rimettendo alla successiva fase processuale di stabilire il fondamento o meno dell'opposizione proposta dal conduttore (in proposito, Trib. Grosseto 15 marzo 1995 opina che, nel caso in cui la morosità non venga tempestivamente sanata e non vi sia controversia circa la mancata sanatoria ex art. 55, il giudice deve pronunciare ordinanza di convalida, mentre in caso di contestazione circa la tempestività o la congruità del pagamento da parte dell'intimato può emettere ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c., sicché è ammissibile l'appello avverso tale ordinanza qualora il giudice abbia omesso di riservarsi sull'esame delle eccezioni dell'intimato, circa la tempestività e la congruità del pagamento; secondo il parere di Trib. Bologna 22 aprile 1994, una volta manifestata dal conduttore l'opposizione alla convalida di sfratto, la subordinata richiesta del termine di grazia deve essere interpretata quale istanza diretta a scongiurare, comunque, l'emissione del titolo esecutivo costituito dall'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c.). Qualora, invece, si verifichi una situazione di contrasto, l'indirizzo prevalente reputa che la vicenda resta bloccata alla “prima” udienza, alla quale certamente vi era il riconoscimento della morosità, riconducendo, quindi, interessi e spese giudiziali nel novero della morosità stessa che in quel momento si cristallizza, sicché, ancorché il mancato adempimento nel termine assegnato concerna poi una di queste “voci”, la morosità permane ed il giudice deve pronunciare l'ordinanza di convalida; con particolare riguardo al mancato pagamento delle spese processuali, è stato affermato che legittimamente viene emessa, all'udienza di verifica, l'ordinanza di convalida di sfratto, dovendosi ritenere il permanere della morosità, “la cui purgazione è oramai condizionata anche al pagamento di quelle spese” (così Cass. III, n. 6289/1982; cui adde Cass. III, n. 4646/1990). All'opposto, un altro indirizzo riguarda, agli effetti del procedimento per convalida di sfratto, l'udienza di verifica come la prosecuzione della “prima” udienza, sicché, preso atto della non verificatasi sanatoria, il giudice dovrà esaminare la situazione in relazione alla richiesta di ordinanza di convalida ex art. 663 c.p.c. o di rilascio ex art. 665 c.p.c., per pronunciare le quali la persistenza della morosità dei canoni – a questo punto con riferimento a quelli intimati e non anche a quelli scaduti coinvolti nel termine di grazia – costituisce un dato indefettibile. Ne dovrebbero conseguire, come logici corollari, che: a) ove il mancato pagamento riguardi le spese legali determinate dal giudice, non può convalidarsi lo sfratto, dovendo disporsi la trasformazione del rito ex art. 667 c.p.c. (Pret. Verona 29 maggio 1985); b) se comunque sorgano contestazioni, può essere pronunciata l'ordinanza di rilascio (e non di convalida), dovendo il giudizio proseguire per l'esame delle eccezioni dell'intimato (Pret. Firenze 13 marzo 1987); c) il conduttore, il quale abbia chiesto il termine di grazia per salvare comunque il rapporto, può muovere per la prima volta eccezioni all'avversa pretesa (ad esempio, perché ha rinvenuto le smarrite ricevute di pagamento, che esibisce); d) il pagamento tardivo, ossia effettuato oltre il termine di grazia ma prima dell'udienza di verifica, impedisce sia l'estinzione del procedimento sia l'emissione dell'ordinanza di rilascio, ed impone che il giudizio prosegua per l'esame della domanda di risoluzione (Pret. Roma 25 ottobre 1979). In tale prospettiva, è stata anche affermata la possibilità che il conduttore possa opporsi pur avendo sanato: il giudice, in tal caso, non può limitarsi a prendere atto della sanatoria e chiudere tutta la vicenda, ma deve dare corso all'esame del merito. Occorre, tuttavia, sottolineare, in tema di opposizione spiegata per la prima volta all'esito – positivo o negativo – del procedimento di sanatoria, che, secondo un arresto della Suprema Corte, le doglianze del conduttore non potrebbero che appuntarsi su eccezioni relative al completo adempimento dell'obbligazione nella forma qualificata derivata dal provvedimento di assegnazione del termine (Cass. III, n. 13538/2000). Decisione, quest'ultima, non condivisibile, nella misura in cui misconosce l'evidente osservazione che la fase sommaria del procedimento per convalida, all'interno della quale si colloca il subprocedimento di sanatoria, non pone a carico del conduttore intimato alcuna decadenza, di guisa che la sua opposizione, quale che sia, può legittimamente sopravvenire fin tanto che il giudizio non sia transitato in fase di cognizione ordinaria; analogamente, quanto al caso di contestazioni del locatore, egli – pur avendo “subìto” il provvedimento di assegnazione del termine di grazia – ha diritto di dimostrare che, nella specie, non ricorrevano i presupposti per la sua applicazione e che, quindi, sussisteva un'inadempienza grave e non sanabile (Lazzaro, Di Marzio, 486). Sanatoria da parte del terzoDi regola, la legittimazione ad effettuare la sanatoria banco iudicis, o nel concesso termine di grazia, deve essere riconosciuta soltanto al conduttore personalmente o all'intimato nel procedimento per convalida (oppure al difensore se c'è la costituzione in giudizio). Tuttavia, qualora si opini la possibilità dell'intervento di terzo anche nella fase sommaria del procedimento per convalida di sfratto – nella giurisprudenza di legittimità, v. Cass. III, n. 538/1996, e, in epoca remota, Cass. III, n. 4484/1954; nella giurisprudenza di merito, v. Pret. Pordenone 21 settembre 1998; Trib. Milano 27 febbraio 1995, secondo cui, intimato lo sfratto per morosità, ove il conduttore non compaia, ma intervenga un terzo sostenendo di essere l'effettivo locatario ed ottenendo la concessione di un termine di grazia, poi non osservato, l'ordinanza di convalida pronunciata è impugnabile con l'appello; Pret. Monza 4 luglio 1990; contra, Pret. Rimini 21 ottobre 1991, il quale ha anche sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 663 c.p.c. per la mancata previsione dell'opposizione del terzo nel procedimento sommario, ex art. 404 c.p.c. – è conseguente ritenere ammissibile che un terzo possa effettuare la sanatoria, in entrambe le forme, assumendo di essere il titolare del rapporto locatizio. Si pensi al coniuge separato (cui sia stata assegnata la casa coniugale) che intervenga per sanare, nel procedimento per convalida di sfratto intimato al coniuge originario conduttore, oppure al cessionario d'azienda qualora, nelle more della comunicazione della cessione, il locatore abbia intimato lo sfratto per morosità al conduttore-cedente (per un approfondimento della tematica, Lascialfari, 1937). Al di fuori di tali situazioni, certamente un terzo – ad esempio, un parente, il vicino di casa, ecc. – può sanare banco iudicis: in tal senso, si è osservato che, alla sanatoria della morosità ex art. 55, è legittimato anche un terzo (nella specie, coniuge del conduttore), entro i limiti di cui all'art. 1180 c.c. e, quindi, in ipotesi di intimazione di sfratto per morosità, senza che rilevi in contrario l'interesse del locatore alla convalida dello sfratto (Pret. Ascoli Piceno 12 luglio 1989); tuttavia, è fatto salvo l'interesse del creditore ad opporsi, come nel caso che da siffatta sanatoria il terzo intenda far derivare il riconoscimento della propria qualità di conduttore (Pret. Bologna 17 gennaio 1981; in argomento, v. Cass. III, n. 11947/1992, secondo cui, nel caso di novazione soggettiva del contratto di locazione, la mora del conduttore per il pagamento dei canoni scaduti, a meno che non vi sia un interesse del creditore-locatore all'esecuzione personale dell'obbligazione ex art. 1182 c.c., può essere sanata anche dall'originario conduttore, prima dell'udienza di convalida dello sfratto per morosità e con gli effetti previsti dall'art. 55, purché il pagamento sia completo, rimanendo altrimenti a carico del nuovo conduttore, sul quale grava l'obbligazione del pagamento del canone, ogni conseguenza negativa del parziale adempimento). La possibilità per il terzo di sanare anche nella forma del c.d. termine di grazia è stata ritenuta ammissibile in giurisprudenza (Pret. San Benedetto del Tronto 12 luglio 1989) allorché lo stesso compaia all'udienza “quale nuncius del conduttore impedito o quale gestore di quello ignaro”: ciò anche per evitare i presupposti per un'opposizione tardiva ex art. 668 c.p.c., in occasione della quale il conduttore avrebbe diritto al termine di grazia (v. supra); in tale decisione, si trattava della moglie dell'intimato, che “trovavasi imbarcato” per l'esercizio della pesca – sicché riguardo a tale motivo si sarebbe potuta profilare, al limite, un'ipotesi di impossibilità a comparire dell'intimato per “forza maggiore” – e il coniuge era comparso all'udienza fissata non già per contestare la morosità o opporsi alla convalida dello sfratto, bensì unicamente per poter sanare la morosità, sicché, oltre all'assenza di qualsiasi contestazione o opposizione, una siffatta possibilità di intervenire per sanare la morosità rappresentava sicuramente un'esplicazione del principio secondo cui il pagamento ex art. 55, entro i limiti posti dall'art. 1180 c.c., può essere fatto da un terzo, anche contro la stessa volontà del creditore, atteso che l'opposizione del locatore non può essere basata sul mero interesse a vedere convalidato lo sfratto. In argomento, si rivela interessante anche una successiva pronuncia di merito (Pret. Milano 4 novembre 1991), nella quale il giudice ha ritenuto che, perché possa emettersi provvedimento di convalida, occorre valutare gli effetti nel giudizio della sola offerta di pagamento ad opera del terzo, indipendentemente dall'esperito intervento, sia che il terzo compaia in forma meramente sostitutiva e di fatto rappresentativa del conduttore, sia che invece la sua comparsa all'udienza sia determinata da un interesse proprio; si è considerato che, nella specie, non vi era stata un'offerta di sanatoria banco iudicis, bensì una richiesta di termine ex art. 55 ad opera del subconduttore, che non si era presentato in veste meramente sostitutiva dell'intimato, bensì a difesa di un proprio interesse; la sanatoria era apparsa ammissibile in entrambi i casi da parte del terzo, che presente all'udienza paghi banco iudicis, in forza del disposto dell'art. 1180 c.c., mentre si acconsente alla concessione del termine ex art. 55 citato soltanto al nuncius o al gestore che compaia, nella temporanea impossibilità dell'intimato a farlo personalmente, soprattutto al pratico fine di evitare la creazione di presupposti per l'instaurazione di un'opposizione tardiva, con successiva concessione del suddetto termine; pertanto, il magistrato lombardo ha ritenuto, per contro, non legittima la concessione del termine a chi l'invochi nel proprio interesse in luogo dell'intimato, senza giustificato motivo assente, perché, ferma restando in ogni caso la riferibilità al conduttore delle condizioni di difficoltà legittimanti il provvedimento di concessione, questo appare inscindibilmente connesso con la prognosi sulle future volontà e capacità solutorie del conduttore, che nella fattispecie, però, si era disinteressato completamente alla sorte del contratto. Gli ermellini, in un primo tempo, si sono pronunciati per l'inammissibilità della sanatoria ad opera del terzo (Cass. III, n. 8464/1994), osservando che, erroneamente, si è fatto richiamo all'art. 1180 c.c., giacché avendo la sanatoria de qua carattere processuale e potendo, quindi, avvenire unicamente in sede giudiziale o in corso di causa, deve essere fatta da coloro che sono “parti del processo”, ossia dal conduttore, e non ad opera di incaricati o di terzi (cui adde Pret. Chieti 22 marzo 1996, secondo cui, attuandosi con la cessione del contratto locativo la successione nel rapporto del nuovo soggetto, con la conseguente estromissione del cedente, è inammissibile la richiesta di sanatoria ex art. 55 formulata dal terzo intervenuto volontariamente nella procedura di sfratto per morosità intentata dal locatore, sulla base della precedente titolarità del contratto di locazione di tale soggetto, che risulti anche creditore dell'attuale conduttore). Tale arresto non ha avuto seguito e, anzi, gli stessi giudici di legittimità (Cass. III, n. 17738/2002; Cass. III, n. 741/2002) hanno successivamente affermato che, in tema di locazioni, laddove opera la speciale disciplina della sanatoria giudiziale, essa, costituente per il conduttore un vero e proprio diritto, è consentita anche al terzo, in virtù della regola generale dettata dall'art. 1180, comma 1, c.c., sempre che costui intenda adempiere nella veste di “terzo”, e non quando assuma di essere l'effettivo titolare del rapporto di locazione nei confronti del locatore (Cass. III, n. 21578/2004, ha affermato che il locatore può sempre rifiutare il pagamento da parte di persona diversa dal conduttore se tale adempimento possa ingenerare confusione sulla titolarità del rapporto locativo, aggiungendo che l'accertamento della fondatezza del timore del locatore rientra tra gli accertamenti di fatto devoluti in via esclusiva al giudice, insindacabili in sede di legittimità se correttamente motivati). Parte della dottrina (Frasca, 414) è per la negativa, sottolineando che non può assumere rilievo che il procedimento di sanatoria determina effetti sostanziali, posto che è un procedimento che si colloca all'interno del processo e deve sottostare alle regole di legittimazione degli atti propri del processo, per cui ci si domanda come possa essere esercitato un potere del processo da un soggetto che non sia parte dello stesso (con ciò non si nega che il terzo possa offrire il pagamento di canoni, interessi e spese, ma ciò non integrerebbe la sanatoria di cui all'art. 55, bensì semplicemente una situazione di cessazione della persistenza della morosità); in senso contrario (Trisorio Liuzzi, 344), si è fatto principalmente leva sul disposto dell'art. 1180 c.c., a tenore del quale “l'obbligazione può essere adempiuta da un terzo, anche contro la volontà del creditore, se questi non ha interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione”. Resta inteso che legittimato a ricevere il pagamento in sanatoria è anche il difensore dell'intimante, in quanto “rappresentante” processuale del locatore ai sensi dell'art. 1188, comma 1, c.c.: invero, il legale sostituisce il locatore nel compimento degli atti del processo, tra i quali senza dubbio rientra, in quanto ricompreso nel mandato ad litem, pure quello di soggetto destinatario del pagamento ex art. 55; d'altronde, il difensore, a norma dell'art. 84 c.p.c., è facoltizzato a “compiere e ricevere nell'interesse della parte stessa, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati”, e tra questi non è inclusa la ricezione dei pagamenti effettuati in sanatoria dal conduttore (purché ovviamente non estranei alla procedura in corso). Clausola risolutiva espressaPer completezza, va osservato che la sanatoria di cui all'art. 55 è ammessa anche se le parti abbiano convenuto la clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.) per il mancato pagamento del canone alle scadenze. Invero, proprio perché consente al conduttore di “adempiere” sino alla prima udienza o nel termine che il giudice gli abbia fissato, la norma de qua è improntata a principi di ordine pubblico, che non possono essere derogati dalle private pattuizioni, essendo espressione di un'imperativa volontà legislativa diretta ad assicurare la tutela del conduttore, sia in via generale sia in presenza di sopravvenute difficoltà economiche dipendenti da cause gravi (Cass. III, n. 6995/1986; v., altresì, Cass III, n. 9161/1987, riguardo al regime vincolistico). La valutazione contrattuale preventiva della “non scarsa” importanza dell'inadempimento, in buona sostanza, viene superata dall'istituto in esame che ne impedisce l'operatività, nel senso che fa venir meno il fatto legittimante la risoluzione, rispetto al quale la clausola risolutiva, come valutazione della “gravità” dell'inadempimento, è successiva (Trib. Milano 27 dicembre 1984). Secondo l'indirizzo dominante della giurisprudenza di legittimità, l'efficacia della clausola rimane, quindi, “sospesa”, ancorché il locatore abbia dichiarato di volersene avvalere, fino alla prima udienza del giudizio instaurato dal locatore per la risoluzione della locazione – o alla scadenza del termine di grazia di cui all'art. 55, eventualmente concesso dal giudice – con la conseguenza della definitiva inefficacia di detta clausola ove il conduttore, in quell'udienza, sani la morosità (Cass. III, n. 11284/1993; Cass. III, n. 5031/1991). In questa prospettiva, sembra, dunque, emergere la “validità” – almeno in linea di principio – della clausola risolutiva espressa, ancorché la sua “operatività” sia condizionata alla mancata integrazione della sanatoria giudiziale prevista dall'art. 55 in esame. Seguendo un indirizzo più radicale, dovevano considerarsi tout court nulle le clausole risolutive espresse che attribuissero al locatore un vantaggio illecito, sanzionato ex art. 79 della l. n. 392/1978: in tal senso, è stata ritenuta nulla una clausola contrattuale che prevedeva la risoluzione del contratto di locazione in caso di mancato pagamento anche parziale del canone o delle quote per gli oneri accessori dopo venti giorni dalla scadenza, con esclusione per il conduttore della possibilità di avvalersi della facoltà della sanatoria giudiziaria (Pret. Vasto 29 dicembre 1979; cui adde Pret. Milano 9 ottobre 1997: nella specie, la clausola era stata considerata affetta da nullità in quanto derogava “totalmente” alle previsioni di cui all'art. 5, sia per quanto atteneva alla rilevanza quantitativa che qualitativa della morosità, sia in quanto escludeva la possibilità da parte del conduttore di avvalersi della facoltà della sanatoria giudiziaria, atteso che, sotto entrambi i profili, la clausola in esame, per un verso, contrastava con norme contenenti disposizioni di ordine pubblico, che non potevano venire derogate da private pattuizioni, e, per altro verso, urtava l'imperativa volontà legislativa con cui si era voluto assicurare la tutela del conduttore, sia attraverso una predeterminazione legale dell'importanza dell'inadempimento, affinché possa utilmente comportare la riduzione di un contratto, sia con il fornire uno strumento all'inquilino per pagare la morosità, con tempi e modi tali che la rendessero inefficace ai fini risolutivi). In ogni caso, non si pone un problema di validità, né l'operatività della clausola risolutiva espressa è esclusa, quando essa rechi, per il conduttore, una previsione più favorevole di quella di cui all'art. 5: invero, ove il contratto di locazione contenga una clausola risolutiva espressa che preveda la risoluzione del contratto per il mancato o ritardato pagamento di due mensilità del canone, tale previsione deroga, in senso più favorevole al conduttore, all'art. 5 medesimo, per il quale costituisce motivo di risoluzione ai sensi dell'art. 1455 c.c. il mancato pagamento di un solo canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista (Cass. III, n. 8003/2001). In argomento, mette punto rammentare che la valida offerta, ancorché informale, dei canoni dovuti, anteriore alla notifica di intimazione di sfratto per morosità, esclude la mora colpevole, ai sensi dell'art. 1220 c.c. e, quindi, non consente al locatore di avvalersi della clausola risolutiva espressa (Cass. III, n. 6397/1999). I rilievi sin qui svolti potrebbero essere diversi nella disciplina vigente delle locazioni abitative. Secondo un primo indirizzo, il problema della validità e dell'efficacia della clausola risolutiva espressa dovrebbe essere rivisto in riferimento ai rapporti disciplinati dalla l. n. 431/1998, la quale, da una parte, ha abrogato l'art. 79 della l. n. 392/1978 e, dall'altra, ha comminato la sanzione di nullità delle sole pattuizioni volte ad attribuire al locatore un canone superiore a quello contrattualmente stabilito (Paladini, 23). Seguendo questa tesi, va escluso che la clausola risolutiva espressa possa essere ricondotta alla categoria delle pattuizioni o clausole “nulle” poiché rivolte ad attribuire al locatore, direttamente o indirettamente, ex art. 13 della nuova legge, un canone superiore a quello legislativamente consentito: ciò per il fatto che l'istituto di cui all'art. 1456 c.c. permette unicamente di derogare al meccanismo giudiziale della valutazione della gravità dell'inadempimento in sede di risoluzione del contratto, ma non incide sulla determinazione delle rispettive obbligazioni contrattuali; conseguentemente, le parti potrebbero liberamente configurare margini di morosità più ridotti rispetto a quelli previsti dal legislatore, ma parimenti rilevanti, ai sensi dell'art. 1456 c.c., e, in tale ipotesi, qualunque sindacato giudiziale sul merito della clausola contrattuale derogatoria della previsione del citato art. 5 dovrebbe considerarsi inammissibile. Fin qui, l'opinione non di discosta dal prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il combinato disposto degli artt. 5 e 55 della l. n. 392/1978 non precludeva, nel quadro di applicazione della medesima legge, la pattuizione della clausola risolutiva espressa, ma faceva sì che essa rimanesse inoperante dinanzi al dispiegarsi della sanatoria giudiziale; per altro verso, una volta intesi i precetti posti dalle previgenti disposizioni sopravvissute alle abrogazioni disposte dalla nuova legge come norme di protezione assistite dalla sanzione di nullità virtuale, è apparsa decisamente più convincente la diversa soluzione dell'inderogabilità anche della disciplina dell'art. 5 (Lazzaro, Di Marzio, 458). Seguendo quest'ultima opzione ermeneutica, la validità della clausola risolutiva espressa stipulata in deroga alla previsione dell'art. 5 – ovviamente sfavorevole al conduttore – continua a dover essere coordinata con l'applicabilità dell'art. 55 della l. n. 392/1978, e con la conseguente problematica circa la derogabilità del citato art. 55 nel riformato contesto normativo; orbene, pur se un dato testuale in favore della tesi della derogabilità potrebbe apparentemente evincersi dal testo dell'art. 55, che si riferisce alla morosità nel pagamento dei canoni e degli oneri di cui all'art. 5 – sicché, ammessa la derogabilità dell'art. 5, potrebbe da ciò trarsi argomento per escludere che il conduttore possa comunque procedere, anche in presenza della clausola risolutiva espressa, alla sanatoria della morosità – va osservato che tale lettura condurrebbe alla conclusione assurda di negare l'esperibilità della sanatoria giudiziale anche nell'ipotesi che la disciplina dell'art. 5 fosse derogata in favore del conduttore. Il richiamo alla morosità di cui all'art. 5, contenuto nella prima parte dell'art. 55, deve essere, quindi, inteso come riferito alla morosità idonea a fondare la pronuncia di risoluzione del rapporto contrattuale, con l'ulteriore conseguenza che, in ipotesi di determinazione convenzionale della gravità dell'inadempimento, deve nondimeno riconoscersi al conduttore il diritto di sanare l'inadempimento secondo la previsione dell'art. 55. Si è, in proposito, sottolineato che la disciplina della sanatoria giudiziale della morosità posta dagli artt. 5 e 55 della l. n. 392/1978 deve considerarsi inderogabile in quanto posta a tutela del contraente debole, nelle locazioni abitative: in effetti, la sanatoria giudiziale in questione svolge tale funzione protettiva del conduttore, mediante il meccanismo del “salvataggio” del contratto che proprio per tale ragione non può tollerare di essere derogata in peggio, cioè a sfavore del conduttore medesimo, sulla base di accordi tra le parti; tenuto conto del valore sociale del bene primario “casa” che soddisfa l'esigenza abitativa del conduttore si deve, dunque, escludere la derogabilità in peggio della disciplina che regola la sanatoria giudiziale della morosità in vista dell'estremo salvataggio del contratto di locazione; ad analogo risultato ermeneutico si giunge ove si consideri la natura processuale della disciplina posta dall'art. 55 della l. n. 392/1978: in questo caso sarebbe, infatti, il contenuto processuale della norma ad escluderne la derogabilità (Mazzeo, 23). In definitiva, nonostante la nuova legge attribuisca alle parti, entro certi limiti, una più ampia autonomia negoziale, si deve escludere che la libera determinazione del contenuto del contratto possa spingersi fino alla convenzionale deroga all'operatività dell'istituto della sanatoria della morosità disciplinata dall'art. 55, la quale, in altri termini, conteneva e contiene “disposizioni di ordine pubblico, che non possono essere derogate dalle private pattuizioni” (così Cass. III, n. 6995/1986; in senso conforme, Trib. Palermo 13 giugno 2001, secondo cui l'art. 55 della l. n. 392/1978, inerente la sanatoria giudiziale della morosità per le locazioni abitative, in quanto norma processuale, non è derogabile ad opera delle parti, nemmeno laddove il contratto sia stato stipulato sotto il vigore della nuova l. n. 431/1998, alla luce della “tutela del contraente più debole, escludendo che casi di morosità non gravi possano comportare la risoluzione del contratto senza che prima sia offerta al medesimo conduttore l'ultima possibilità di sanare il proprio debito”). 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