Legge - 27/07/1978 - n. 392 art. 9 - Oneri accessori.

Alberto Celeste

Oneri accessori.

Sono interamente a carico del conduttore, salvo patto contrario, le spese relative al servizio di pulizia, al funzionamento e all'ordinaria manutenzione dell'ascensore, alla fornitura dell'acqua, dell'energia elettrica, del riscaldamento e del condizionamento dell'aria, allo spurgo dei pozzi neri e delle latrine, nonché alla fornitura di altri servizi comuni.

Le spese per il servizio di portineria sono a carico del conduttore nella misura del 90 per cento, salvo che le parti abbiano convenuto una misura inferiore.

Il pagamento deve avvenire entro due mesi dalla richiesta. Prima di effettuare il pagamento il conduttore ha diritto di ottenere l'indicazione specifica delle spese di cui ai commi precedenti con la menzione dei criteri di ripartizione. Il conduttore ha inoltre diritto di prendere visione dei documenti giustificativi delle spese effettuate.

Gli oneri di cui al primo comma addebitati dal locatore al conduttore devono intendersi corrispettivi di prestazioni accessorie a quella di locazione ai sensi e per gli effetti dell'art. 12 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (1).

La disposizione di cui al quarto comma non si applica ove i servizi accessori al contratto di locazione forniti siano per loro particolare natura e caratteristiche riferibili a specifica attività imprenditoriale del locatore e configurino oggetto di un autonomo contratto di prestazione dei servizi stessi (2).

(1) Comma aggiunto dall'art. 67, d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv. in l. 29 ottobre 1993, n. 427.

(2) Comma aggiunto dall'art. 67, d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv. in l. 29 ottobre 1993, n. 427.

Inquadramento

In forza del contratto di locazione ad uso abitativo, il conduttore ha in godimento non solo l'unità immobiliare concessagli dal locatore, ma anche una serie di “servizi” che rendono l'appartamento, appunto, abitabile; si consideri, poi, che sovente la stessa unità immobiliare è posta all'interno di un edificio sottoposto al regime di condominio, in cui le parti comuni dello stabile sono strumentali all'utilizzo della proprietà esclusiva.

In quest'ottica, si spiega che al suddetto conduttore venga trasferito anche il godimento (nella misura spettante al proprietario-locatore) delle cose comuni di cui sopra, come, ad esempio, il diritto di usare l'ascensore, di utilizzare l'androne per accedere all'appartamento, di adoperare i lavatoi e gli stenditoi secondo i previsti turni, di usufruire dell'illuminazione delle scale, di agganciarsi all'antenna centralizzata, e quant'altro.

In altri termini, allorchè un'unità immobiliare collocata in uno stabile condominiale diviene oggetto di un rapporto di locazione, al conduttore viene trasferito anche il godimento spettante al condomino-locatore sulle cose comuni in proporzione della sua quota, per cui gli oneri accessori sono costituiti dagli esborsi gravanti sul conduttore correlati alla fruizione dei servizi comuni; il carattere sinallagmatico proprio del contratto di locazione, dunque, fa sì che gli oneri accessori vadano naturalmente ad integrare il corrispettivo dovuto dal conduttore al locatore, giacché la fruizione dei servizi comuni giunga a completare il godimento della cosa locata (in quest'ottica, il profilo dell'accessorietà degli oneri viene desunto sia dalla funzione complementare dei servizi cui la spesa per gli oneri accessori si riferisce, sia dall'entità della medesima, normalmente di rilievo modesto rispetto al canone).

Se il locatore deve garantire al conduttore i servizi de quibus, in base ai patti contrattuali, per tutta la durata del rapporto, continuando il secondo a godere delle parti comuni dell'edificio in luogo del primo, al contempo il conduttore è tenuto osservare le eventuali norme del regolamento condominiale che ne disciplinano l'utilizzo, come, ad esempio, il divieto di collocare insegne esterne sui muri comuni (tanto che, generalmente, si legittima l'amministratore ad agire direttamente nei confronti dell'inquilino, al fine di ottenere il rispetto delle regole comuni, l'inibitoria della condotta inottemperante e il risarcimento degli eventuali danni).

Tuttavia, di regola, il conduttore resta “estraneo” alle vicende condominiali che concernono i servizi e gli impianti condominiali, dovendo regolare pattiziamente con la controparte anche tale profilo, e cioè, in concreto, a chi debbano far carico le spese afferenti alla fornitura e all'ordinaria manutenzione di tali beni comuni: in via di principio, infatti, rientra nell'autonomia negoziale dei contraenti stabilire se il conduttore debba corrispondere al locatore, insieme con il canone pattuito, anche l'importo delle spese condominiali, oppure se tale prestazione debba rimanere in tutto o in parte a carico del locatore.

A rigore, occorrerebbe distinguere, da un lato, “le parti comuni dell'edificio” – si pensi, alle scale, all'androne, al giardino – la cui manutenzione sia da collegare all'obbligo di far godere l'appartamento e, quindi, in mancanza di diverso accordo, debba esser posta a carico del proprietario-locatore, e, dall'altro, i “servizi” veri e propri, gravanti invece sul conduttore, ossia su colui il quale ne trae in concreto vantaggio dell'immobile concesso in locazione.

Dovrebbero, invece, esulare dalla nozione di “oneri condominiali” – anche se, talvolta, tale differente locuzione viene adoperata in tal senso o come sinonimo di oneri accessori del canone – altri rapporti allegati a quello locatizio, e che costituiscono, invece, “spese accessorie”, come, ad esempio, il deposito cauzionale di cui all'art. 11 della l. n. 392/1978 – al cui commento si rinvia – oppure le spese di registrazione del contratto, risolvendosi queste ultime, piuttosto, in oneri tributari gravanti sul rapporto, come tali del tutto estranei al concetto di corrispettività contrattuale.

Comunque, i concetti “servizi comuni”, “criteri di riparto”, ecc. richiamano gli edifici in condominio, o pur sempre stabili appartenenti ad un unico proprietario ma articolati in una pluralità di appartamenti destinati ad uso abitativo; qualora, invece, si registri la presenza di un unico conduttore, non si ravvisa la necessità che il locatore, a sua volta unico proprietario dell'unità immobiliare, organizzi l'erogazione dei servizi (personalmente o a mezzo un suo delegato) e provveda, poi, ad attivarli ripartendo la spesa di competenza del proprio inquilino, per il quale sarà più semplice pagare direttamente le relative spese.

Ad ogni buon conto, gli oneri accessori addebitati dal locatore al conduttore devono intendersi, ai fini fiscali, come corrispettivi di prestazioni, accessorie a quella della locazione, ai sensi e per gli effetti dell'art. 12 del d.P.R. n. 633/1972 (comma 4 dell'art. 9 della l. n. 392/1978, inserito dall'art. 67, comma 11, del d.l. n. 331/1993, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 427/1993); tale disposizione non si applica, però, ove i servizi forniti, accessori al contratto di locazione, siano per la loro particolare natura e caratteristiche, riferibili a specifica attività imprenditoriale del locatore e si configurino come oggetto di prestazione dei servizi stessi (affittacamere, residence, alloggi, et similia).

Concetto codicistico di accessorietà

A ben vedere, l'espressione “oneri accessori” non è contenuta nel codice civile del 1942, che si interessa della sola “manutenzione” della cosa locata e del riparto delle relative spese, le quali, di regola, gravano sul locatore, come espressione dell'obbligazione di mantenere la cosa “in istato da servire all'uso convenuto”, ex art. 1575, n. 2), c.c., oppure fanno carico al conduttore ove si tratti di “piccola manutenzione” ai sensi dell'art. 1576 c.c.

Nella normativa codicistica, unico riferimento in subiecta materia è costituito dall'art. 1610 c.c., che pone esplicitamente a carico del locatore lo “spurgo dei pozzi e delle latrine”, forse per evitare – come potrebbe far opinare la collocazione della norma – che un tale servizio possa essere ricondotto tra le “piccole riparazioni” a carico dell'inquilino, di cui al precedente art. 1609, e volendolo far rientrare nell'obbligo del locatore di mantenere la cosa in quello “istato di servire all'uso convenuto” (art. 1575, n. 2, c.c.) sopra accennato.

Secondo alcuni autori (Catelani, 460), bisognava fare attenzione alla diversità ontologica che esiste tra i “servizi” e i “mezzi” con i quali i servizi resi vengono erogati: in via esemplificativa, la spesa per la manutenzione di un'antenna televisiva non rientra nel concetto di servizio, bensì di spesa di ordinaria o straordinaria manutenzione, e, in relazione a ciò, sarà a carico del conduttore o del locatore; analogamente, la spesa per la manutenzione della caldaia non potrà annoverarsi tra le spese per il servizio di riscaldamento, rientrando tra le spese di conservazione di un bene accessorio all'immobile locato in godimento al conduttore, e, come tale, a carico della proprietà, da ricondursi nell'alveo dell'obbligo previsto dall'art. 1575 c.c. di mantenere la cosa in stato di servire all'uso convenuto, salva la deroga di cui all'art. 1576 c.c. per le spese di piccola manutenzione.

Comunque, si è osservato che l'inciso “ordinaria manutenzione” non sempre è sinonimo di “piccola manutenzione”, tanto più che trattandosi di spese talvolta di un certo rilievo, sulle quali “non sarebbe stato il caso di attizzare un rimpallo tra locatore e conduttore in ordine a chi dovesse farsene carico, magari con negative conseguenze sulla sicurezza ed incolumità degli utenti” (così Grasselli, Masoni, 334).

Pertanto, nell'assetto codicistico, stanti gli ampi spazi conferiti all'autonomia privata, le parti restavano libere di regolare tale profilo nella maniera ritenuta più consona ai loro interessi e alle loro esigenze.

L'esame di concrete fattispecie mostra, in proposito, una notevole varietà di pattuizioni: così la previsione del rimborso al locatore di una somma forfettaria, o l'inglobamento di tali oneri in un'unica voce di corrispettivo denominata genericamente “canone”, o ancora il rimborso delle somme effettivamente spese dal locatore attraverso anticipi mensili e conguagli ad approvazione del consuntivo, o infine la suddivisione tra le parti a seconda della natura e del tipo delle spese (ad esempio, a carico del conduttore quelle inerente al riscaldamento ed alla pulizia, mentre a carico del locatore quelle per l'acqua, la luce, il portiere).

Si coglie così un certo carattere “autonomo e secondario” dell'obbligo del pagamento delle spese in questione, le quali – all'infuori dell'ipotesi in cui il loro pagamento sia previsto insieme al canone nell'unica (ed unitaria) voce del corrispettivo (conferendosi così valore pregnante anche a tale prestazione, coinvolta nel sinallagma contrattuale) – presentano natura appunto accessoria, costituendo “una prestazione in certo qual modo subalterna a quella principale di pagare il canone, nel senso che l'obbligazione relativa agli oneri in discorso in tanto sussiste in quanto esiste l'obbligazione principale relativa al canone, della quale segue le sorti” (così Lazzaro, Di Marzio, 892).

In tale prospettiva, gli oneri accessori non entravano a far parte del sinallagma contrattuale, e la relativa obbligazione non era ricompresa nel nesso di corrispettività che legava le prestazioni dall'interno, con consequenziali risvolti applicativi, “con particolare riferimento ai rimedi previsti dal codice per i vizi del sinallagma, genetico e funzionale, rimedi esclusi nell'ipotesi che l'obbligazione accessoria rimanga in principio fuori dal sinallagma, e cioè dal nesso di interdipendenza” (così Benedetti, Vettori, 76).

Restava, pertanto, largamente accreditata la tesi che tali spese, pur concretando (allorché poste a carico del conduttore) un corrispettivo per servizi spesso necessari per lo stesso godimento della porzione esclusiva, rivelassero carattere di accessorietà consistendo, se pattuite, in un ammontare distinto da quello relativo al canone, come clausole autonome ed indipendenti (v., tra le altre, Cass. III, n. 4072/1978).

La stessa giurisprudenza, tuttavia, aveva manifestato la tendenza ad identificare una accessorietà “quantitativa”, considerando sia che l'obbligazione di mantenere la cosa in stato da servire all'uso convenuto era meno pregnante rispetto a quella della consegna dell'immobile locato, sia la particolare funzione dei servizi in questione, sia la valutazione meramente economica che normalmente portava a conferire peso minore all'adempimento di tali prestazioni, di entità in genere modesta rispetto al canone; ne derivava che il mancato pagamento degli oneri accessori, inidoneo, in via di principio, a sostenere la risoluzione del contratto, avrebbe potuto diventare idoneo a giustificare una tale conseguenza qualora la reiterazione dell'inadempienza e l'entità del dovuto assumessero un'importanza tale da concretare lo schema legale di cui all'art. 1455 c.c. (Cass. III, n. 4953/1988; Cass. III, n. 2869/1984; Cass. III, n. 1463/1983; Cass. III, n. 6468/1981; tra le pronunce di merito, si segnalano: Pret. Milano 9 febbraio 1976, in una fattispecie che atteneva ad un inadempimento protrattosi per quattro anni; analogamente, tenuto conto della somma dovuta rapportata alla modesta entità del canone, Pret. Bologna 20 febbraio 1978; v., altresì, Pret. Roma 24 maggio 1979, il quale ha ritenuto che il mancato pagamento degli oneri accessori ha “ontologicamente una minore importanza”, in quanto investe un momento accessorio dell'obbligazione, sicché solo quando, per entità o per durata, l'inadempienza si caratterizza in maniera particolarmente macroscopica, può farsi luogo alla risoluzione del contratto).

In pratica, si coglieva il senso di una certa “dilatazione” del contenuto dell'obbligazione del conduttore, rientrando nel corrispettivo (lato sensu) non solo il canone-base, ma anche ogni altra somma di danaro – attinente, ad esempio, a servizi di pulizia, portierato, ascensore e fornitura d'acqua – che il conduttore dovesse corrispondere al locatore, sul piano della corrispettività contrattuale, per compensarlo del godimento della cosa locata.

Tale ricostruzione dell'istituto si rivelava certamente in sintonia con il comune modo di intendere gli obblighi inerenti al rapporto locatizio, avvertendosi, da un lato, che il mancato pagamento di una “rata” di oneri condominiali fosse meno importante dell'omessa corresponsione del canone, mentre, dall'altro, che, se l'inadempimento della prestazione (ancorché assunta come “accessoria”) risultasse grave e reiterato, finiva con l'incidere sulla causa del negozio, portando alla risoluzione del contratto.

In buona sostanza, la diversità, che qualificava la stessa accessorietà, appariva fondata su una diversa considerazione della particolare obbligazione, appunto quantitativa piuttosto che qualitativa (De Paola, 50).

In fondo, sono questi i principi e gli indirizzi interpretativi che assumeranno particolare significato riguardo a quei contratti disciplinati dalla l. n. 431/1998, la quale – quanto al corrispettivo (anche sotto il profilo degli oneri accessori) – affida la regolamentazione totalmente all'autonomia delle parti (v. appresso).

Evoluzione normativa

La nozione di “oneri accessori”, penetrata fortemente nell'ordinamento tramite la disciplina vincolistica, è stata accolta dalla l. n. 392/1978, che, all'art. 9 – richiamato per le locazioni ad uso diverso da quello abitativo dal successivo art. 41 – registrando un netto cambio di mentalità, ne ha dato una precisa definizione: gli oneri accessori sono costituiti da determinati esborsi corrisposti per la fornitura di specificati servizi, indicati dalla legge a mero titolo esemplificativo e, più in generale, dalle spese relative “alla fornitura di altri servizi comuni”.

In particolare, la legge sul c.d. equo canone, nel considerare il corrispettivo “globale”, ha assecondato – in quello che può dirsi un momento descrittivo – la distinzione tra canone ed oneri accessori: il primo ancorato a ben precisi parametri concernenti quasi esclusivamente l'unità immobiliare, mentre i secondi considerati come il “prezzo” per il godimento di determinati servizi di cui il conduttore comunque beneficia, prezzo che deve corrispondere al locatore il quale, in genere, lo ha anticipato o che è tenuto a pagare all'amministrazione condominiale (Lazzaro, Di Marzio, 896).

Nel suddetto regime, restava fermo, tuttavia, che la sanzione della nullità, prevista dall'art. 79 della l. n. 392/1978, investiva – non solo le pattuizioni dirette ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello dovuto, ma anche – quelle che gli riconoscevano altri non legittimi vantaggi in contrasto con le disposizioni delle norme sull'equo canone, avendo lo scopo di impedire che il conduttore, pur di assicurarsi il godimento dell'immobile, fosse indotto ad accettare condizioni lesive dei suoi diritti, sicché tale norma doveva applicarsi con riferimento a qualsivoglia clausola contenuta nel contratto di locazione, compresa quella per la quale il conduttore si obbligava al pagamento degli oneri accessori in misura superiore a quella prevista dall'art. 9 della stessa legge (Cass. III, n. 10081/1998; nella giurisprudenza di merito, v. Pret. Milano 10 gennaio 1985, secondo il quale l'art. 9 della l. n. 392/1978 individua esplicitamente le spese da porre a carico del conduttore, sicché è nullo, per contrasto con il successivo art. 79, il patto con cui vengono poste a carico del conduttore spese non previste espressamente dal citato art. 9 e non relative alla fornitura di altri servizi comuni, in quanto l'espressione “salvo patto contrario” contenuta nel comma 1 dell'art. 9 deve intendersi nel senso che è consentito solo il patto più favorevole al conduttore, laddove la l. n. 392/1978 ha posto tanto per il canone – che, ai sensi dell'art. 12, non può superare il tre virgola otto per cento del valore locativo dell'immobile – quanto per gli oneri accessori, dei limiti massimi derogabili, nelle forme previste dalla legge, solo a vantaggio del conduttore, e non ha ritenuto possibile, sancendo ai sensi del summenzionato art. 79 la nullità di ogni patto in tal senso, il superamento di detti limiti).

La dottrina più attenta ha immediatamente sottolineato che, dalla normativa de qua, gli oneri accessori sono considerati come “momento essenziale dello scambio” nel quale si realizza la causa del contratto locativo, nel senso che la relativa obbligazione posta a carico del conduttore è legata da un “nesso di interdipendenza con la contrapposta obbligazione del locatore” (così Benedetti, Vettori, 77).

Segnatamente, il loro carico operato dalla legge sul conduttore, la posizione che questi correlativamente assume nei confronti del condominio, la decisa incidenza sul rapporto dell'inadempimento dell'obbligazione ad essi relativa inducono inequivocabilmente ad escludere la qualifica di obbligazione “secondaria”: essa, invece, assieme a quella relativa al canone, integra il contenuto dell'obbligazione pecuniaria del conduttore, ed “entrambe sono ricomprese, in via primaria e con vicende autonome, all'interno del sinallagma tipico della locazione di immobili” (Benedetti, Vettori, 80).

Tale orientamento è stato accolto dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha affermato che l'obbligazione del conduttore, concernente il pagamento degli oneri accessori, considerata autonoma rispetto all'altra attinente al pagamento del canone, è divenuta “parte integrante della struttura sinallagmatica del contratto”, con la conseguenza che il suo inadempimento, se superiore a due mensilità del canone, dà al locatore il diritto di ottenere la risoluzione del contratto di locazione (v., tra le altre, Cass. III, n. 4942/1988; Cass. III, n. 4490/1982, salvo sempre il potere del conduttore di paralizzare la domanda di risoluzione ex adverso proposta con l'eccezione specifica di non aver potuto esercitare la facoltà di prendere visione dei documenti giustificativi delle relative spese condominiali).

Il principio è stato affermato anche dalla giurisprudenza costituzionale, secondo la quale gli oneri accessori sono diventati “parte essenziale nel quadro sinallagmatico del contratto” e, come tali, parificati, nel trattamento processuale, al canone di locazione (Corte cost., n. 377/1988, in motivazione).

Ambito di applicabilità

Quanto all'àmbito di applicabilità, l'art. 26, comma 1, della l. n. 392/1978 escludeva espressamente tutta la particolare normativa per taluni contratti.

Venivano così escluse le locazioni di alloggi di edilizia pubblica, le quali restavano regolate dalla normativa speciale che, tendenzialmente, considera gli oneri condominiali nell'unica “voce” di canone (art. 19, lett. b), c) e d), del d.P.R. n. 1035/1972), “svincolati dal concetto di mero rimborso-spese” (così Trib. Milano 6 ottobre 1986).

Per quanto concerne, poi, le locazioni di alloggi di edilizia convenzionata, la disciplina speciale era dettata con esclusivo riferimento al “canone” e, quindi, se giustificava l'esclusione delle norme della l. n. 392/1978 sulla determinazione del canone, certamente non risolveva il problema degli oneri accessori, riguardo ai quali si riteneva che potesse farsi riferimento analogico ai criteri della suddetta legge, sempreché nella convenzione-tipo non fosse stabilita una specifica disciplina anche in relazione a tale profilo (Potenza, Chirico, Annunziata, 243).

L'applicabilità della norma de qua era, altresì, da escludere qualora la terminazione del corrispettivo del godimento era affidata in toto all'autoregolamentazione delle parti, come per le locazioni di ville e castelli, nonché per quelle destinate a soddisfare esigenze abitative secondarie; in questa prospettiva, era da ipotizzare l'inapplicabilità della disciplina legale degli oneri condominiali alle locazioni di immobili siti in piccoli Comuni, anche se il dato testuale mostrava di escludere per queste soltanto le disposizioni concernenti la determinazione, l'aggiornamento e l'adeguamento del canone, nonché le riparazioni straordinarie (Cappelli, Lonardo, 15).

I criteri di cui all'art. 9 della l. n. 392/1978 avevano, invece, vigore con riferimento alle locazioni transitorie destinate a soddisfare un'esigenza abitativa primaria oppure quella secondaria dettata da motivi di lavoro o di studio.

Ad ogni buon conto, si era statuito che il disposto dell'art. 9 in commento, nella parte in cui, addossando al conduttore gli oneri accessori, fa salvi i patti contrari, si applica esclusivamente ai patti stipulati successivamente all'entrata in vigore della legge stessa, trattandosi di norma che si correla strettamente al nuovo ed unitario regime giuridico dei rapporti locativi e costituisce una contropartita alla fissazione di un “equo canone” e ad una durata della locazione sottratta alla volontà delle parti, con la necessaria conseguenza che i patti in deroga stipulati anteriormente al suddetto momento, siano essi favorevoli o sfavorevoli al locatore, risultano travolti dal sopravvenire della nuova disciplina destinata a determinare, con effetto anche per i contratti in corso, un diverso equilibrio degli interessi contrapposti (Cass. S.U., n. 3132/1994, che aveva composto un contrasto sul punto; cui adde Cass. III, n. 9807/1994; contra, in un primo momento, Cass. III, n. 6551/1991; Cass. III, n. 6299/1991).

In argomento, va richiamata una pronuncia di un giudice di merito onorario, ad avviso del quale la norma diverrebbe inapplicabile con la cessazione della locazione, qualora il conduttore continui ad occupare l'immobile in via di mero fatto (Giud. Pace Prato 17 aprile 1996): l'assunto, però, non appare condivisibile in quanto il conduttore in mora nel rilascio non può essere considerato un occupante senza titolo, e gli oneri accessori, proprio per la loro assimilabilità al canone, sono regolati dallo stesso meccanismo di perpetuatio obligationis previsto dall'art. 1591 c.c., sicché essi continuano ad essere dovuti negli stessi termini applicabili in costanza di contratto (v., in tal senso, Cass. III, n. 17201/2002, la quale ha chiarito che, nella nozione di “corrispettivo convenuto” ex art. 1591 c.c. debba essere ricompresa ogni obbligazione pecuniaria, ivi compresa quella per oneri accessori a carico del conduttore; nello stesso ordine di concetti, sia pure sul versante fiscale, Comm. Trib. Centrale, n. 2387/1994 ha chiarito che le somme dovute dal conduttore a titolo diverso dal canone di locazione – come gli oneri accessori relativi a riscaldamento, spese condominiali ecc. – costituendo corrispettivo, sia pure in senso ampio, concorrono a formare la base imponibile, ai fini dell'imposta di registro; conforme, Comm. Trib. Centrale, n. 5783/1990; contra, Comm. Trib. Prov. Bologna 1 giugno 1981, secondo cui non sono da assoggettare ad imposizione gli oneri accessori di un contratto di locazione di immobili urbani, perché non concorrono alla formazione della base imponibile ex art. 41 del d.P.R. n. 634/1972, atteso che i suddetti oneri non rappresentano un corrispettivo della locazione, come lo è invece il canone, ma un rimborso di somme a favore dei fornitori dei servizi comuni del condominio).

Tale questione, riguardo alle locazioni abitative, è stata, poi, risolta a livello normativo dall'art. 6, comma 6, della l. n. 431/1998, il quale stabilisce che, dopo la cessazione de iure del rapporto, “sono dovuti gli oneri accessori di cui all'art. 9 della l. n. 392/1978, e successive modificazioni”.

Libera determinazione dei contraenti

Nella prospettiva di un affidamento alla determinazione delle parti del regolamento degli oneri condominiali, già si collocavano le locazioni di cui alla l. n. 359/1992 (legge sui c.d. patti in deroga), riguardo sia a quelle concernenti le “nuove costruzioni”, sia a quelle stipulate con l'assistenza dei rappresentanti delle organizzazioni interessate.

Nel primo caso, infatti, pur essendo l'inapplicabilità della l. n. 392/1978 limitata agli articoli “concernenti l'equo canone” (art. 11, comma 1), la ratio del sistema poteva dare un qualche sostegno a siffatta interpretazione; nel caso degli “accordi in deroga”, la meno restrittiva dizione del comma 2 del richiamato art. 11 poteva sorreggere in maniera più corposa quella stessa ratio ed attribuire – nel divisato recupero di una qualche autonomia delle parti quanto al complessivo “prezzo” del godimento dell'alloggio, che la novella del 1992 mostrava di perseguire – maggiori spazi alla contrattazione assistita.

In quest'ottica, è stata considerata nulla, a norma dell'art. 79 della l. n 392/1978, la clausola contrattuale che obbligava il conduttore al pagamento degli oneri accessori anticipatamente determinati in modo forfettario, perché violava il principio della specificità di essi, stabilito dall'art. 9 della stessa legge, e consentiva al locatore di procurarsi vantaggi che non gli spettano (Cass. III, n. 3431/2002: nella specie, in relazione ad un contratto qualificato dalle parti come “stipulato ai sensi dell'art. 11, comma 2, della l. n. 359/1992”, ma privo della rinuncia del locatore alla facoltà di disdetta alla prima scadenza, la detta pattuizione relativa agli oneri è stata ritenuta ulteriore conferma che la locazione non rientrava fra quelle legittimamente stipulate in deroga alle norme imperative sull'equo canone; in ordine alla clausola contrattuale che obbliga il conduttore al pagamento degli oneri accessori anticipatamente determinati in modo forfettario, v., altresì, Cass. III, n. 2142/2006; Cass. III, n. 15630/2005; Cass. III, n. 12718/1997).

Soprattutto nella nuova ottica della l. n. 431/1998, è stato osservato che, pur sopravvissuto l'art. 9 alle abrogazioni da essa disposte, è venuto meno l'art. 79, di guisa che la norma fornisce ormai una disciplina applicabile solo in via suppletiva, in mancanza di specifiche previsioni contrattuali (Bucci, 82).

La soluzione non è apparsa del tutto convincente ad altra parte della dottrina, dovendosi considerare che una disciplina “ordinaria” della locazione abitativa primaria collocata fuori del codice civile si giustifica essenzialmente in ragione del peculiare atteggiarsi del rapporto negoziale che, riguardato a latere conductoris, è diretto a soddisfare quel diritto all'abitazione del quale il giudice delle leggi ha più volte sottolineato il rilievo nel quadro dei valori costituzionalmente rilevanti; la permanenza, in subiecta materia, dell'art. 9 della l. n. 392/1978 va riguardata, allora, come un sintomo della volontà (anche) dell'ultimo intervento legislativo di sottrarre la disciplina delle locazioni abitative all'impianto codicistico, con il suo corredo di derogabilità pressoché integrale, e di ricondurlo ad un più adeguato equilibrio sinallagmatico prestabilito dal legislatore, che sarebbe negletto se si intendessero le norme che quest'ultimo ha a tal fine posto come norme parimenti derogabili in assoluto (Lazzaro, Di Marzio, 896).

In altri termini, l'abrogazione dell'art. 79 della l. n. 392/1978 non va riguardata come restituzione della materia all'indiscriminata derogabilità, bensì come sostituzione di un “sistema anelastico” – il cui limite era costituito dalla preclusione di ogni indagine volta a verificare se la pattuizione voluta dalle parti, pur contraria alla legge, fosse però giustificata sul piano della ricerca di un acconcio equilibrio contrattuale – con un sistema diretto a delineare un “normale atteggiarsi del sinallagma”, cui le parti possono pervenire non soltanto seguendo lo schema indicato dal legislatore, ma anche deviando da esso, quando ciò sia concretamente giustificato.

Può pensarsi, così, all'ipotesi in cui una ripartizione degli oneri accessori sfavorevole al conduttore rispetto a quelle prevista dall'art. 9 sia lecita se, nel quadro di un'effettiva trattativa, sia collegata alla previsione di un canone più vantaggioso, od a particolari caratteristiche dell'immobile, oppure ad un'ampia durata contrattuale tale da giustificare che determinati esborsi non gravino sul locatore, ma sul conduttore; sarebbe, invece, invalida la clausola di forfetizzazione degli oneri condominiali, sia perché la loro corresponsione trova giustificazione nelle spese affrontate dal condomino-locatore, sia perché tale clausola potrebbe sollecitare la (parziale) sottrazione del corrispettivo all'imposta di registro (Scripelliti, 1263).

In quest'ottica, non è apparsa in toto condivisibile una pronuncia di merito la quale ha reputato valida una clausola del genere, in aggiunta al canone propriamente detto, restando così comunque invariabile l'importo pattuito, indipendentemente dall'effettiva entità e dall'esistenza degli oneri (Trib. Firenze 8 marzo 2007, secondo cui non graverebbe sul locatore l'onere di dimostrare e documentare l'entità degli oneri, operando anche nel caso in cui questi non siano stati effettivamente sostenuti, ponendo invece a carico del conduttore l'onere di provare che le spese sono state inferiori al forfait; nel senso, invece, che, ai sensi dell'art. 13, comma 4, della l. n. 431/1998, deve ritenersi nulla la clausola di un contratto di locazione ad uso abitativo che preveda la forfetizzazione degli oneri accessori, v. Trib. Genova 5 ottobre 2012).

In buona sostanza, una qualche imperatività del meccanismo va ricercata non nell'esplicita previsione di nullità delle contrarie pattuizione (che non vi è più), bensì nella sua funzione di disegno, a tutela del contraente ritenutone meritevole, di un equilibrio normale del rapporto, negando ingresso a pattuizioni riprovevoli – con conseguente centralità dell'indagine del giudice – in quanto dirette a rompere il necessario equilibrio tra le parti voluto dal legislatore nello svolgimento dei rapporti giuridico-economici.

Al riguardo, si è sostenuto che una clausola che ponesse tutte le spese condominiali a carico del conduttore, comportando per questi un aggravio economico evidente, si risolverebbe in un vero e proprio aumento del canone risultante dall'atto scritto, come tale illegittimo (Cuffaro, 231, ove si sostiene che le norme non abrogate conservano pur sempre un carattere di imperatività e, quindi, di inderogabilità).

Le considerazioni che precedono sono superate, per quanto attiene ai contratti a canone “concertato”, dalla previsione dell'art. 1, comma 8, lett. h) del d.m. 5 marzo 1999, il quale stabilisce che la trattativa territoriale definisca il contratto-tipo sulla base, tra l'altro, dell'“esplicito richiamo ad accordi sugli oneri accessori ai fini della ripartizione tra le parti ed in ogni caso alle disposizioni degli articoli 9 e 10 della l. n. 392/1978”.

Allo stesso modo, il d.m. 30 dicembre 2002 ha stabilito, all'art. 4, che: “Per i contratti di locazione di cui agli artt. 1, 2 e 3 è adottata la tabella degli oneri accessori allegata al presente decreto (allegato G). Per le voci non considerate nella citata tabella si rinvia alle leggi vigenti e agli usi locali”; in pratica, relativamente ai contratti di locazione a canone concertato, ai contratti di locazione di natura transitoria e ai contratti di locazione per studenti universitari, si è previsto il rinvio alla legge sull'equo canone per le voci non considerate nell'allegata “tabella degli oneri accessori”.

Può, pertanto, affermarsi che il sistema degli oneri accessori resta quello disciplinato dall'art. 9 della l. n. 392/1978, al quale occorre fare riferimento qualora le parti, nel contratto di locazione, non abbiano stabilito nulla al riguardo oppure, nei contratti a canone concertato, non abbiano espressamente e analiticamente richiamato le voci dell'apposita tabella; una pattuizione conclusa in difformità (sfavorevole al conduttore) della norma deve ritenersi inficiata di nullità ai sensi dell'art. 13, comma 4, della l. n. 431/1998, atteso che la legge fa sostanziale riferimento al complessivo prezzo che il conduttore corrisponde per il godimento dell'immobile.

In conclusione, il disposto dell'art. 9 della l. n. 392/1978, nella parte in cui specifica gli oneri accessori addebitabili al conduttore, facendo salvi i c.d. patti contrari, acquista un diverso significato secondo che debba applicarsi ad una locazione a canone libero oppure a canone determinato autoritativamente: nel primo caso, potendo le parti liberamente determinare il corrispettivo della locazione, le stesse possono disporre, altrettanto liberamente, anche delle spese non contemplate dal citato art. 9, mentre, nel secondo, il sinallagma contrattuale, già inderogabilmente disegnato dal legislatore, non può essere alterato, addossando al conduttore spese ulteriori rispetto a quelle ivi previste (Nardone).

Segnatamente per le locazioni a uso abitativo, l'art. 13 della l. n. 431/1998 – che sostituisce l'art. 79 – sanziona con la nullità solo i patti volti a derogare i limiti (minimi) di durata del rapporto e quelli volti ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello contrattualmente stabilito (per i contratti liberi) o a quello definito dagli accordi in sede locale (per quelli regolamentati), e che sia “superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato”.

Questo ha portato i più, solo con riferimento ai contratti c.d. liberi, a ritenere derogabili una serie di norme non più munite del presidio testuale di invalidità e, in particolare, a considerare legittima una regolamentazione relativa agli oneri accessori più favorevole al locatore rispetto a quella dettata dall'art. 9, laddove, in relazione ai contratti c.d. regolamentati, una pattuizione conclusa in difformità (sfavorevole al conduttore) all'art. 4 del d.m. 30 dicembre 2002 – che prevede, per i contratti agevolati, transitori e per studenti universitari, l'adozione di una tabella di riparto per gli oneri accessori (allegata sub G allo stesso decreto), derogabile solo in casi tassativi – dovrebbe opinarsi alla stregua di clausola volta ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello fissato negli accordi locali, e, quindi, nulla ai sensi dell'art. 13 della l. n. 431/1998.

Appare, invece, minoritaria la tesi secondo la quale l'abrogazione dell'art. 79 della l. n. 392/1978 non debba essere riguardata come restituzione della materia all'àmbito dell'indiscriminata autonomia negoziale, ma come sostituzione ad un sistema rigido, che non consentiva alcuna indagine volta a verificare se la pattuizione, pur difforme dal modello legale, fosse giustificata sul piano della ricerca di un appropriato equilibrio contrattuale, con un sistema che prevede uno schema legale di contratto cui, tuttavia, le parti possono derogare quando ciò sia giustificato nel quadro di un'effettiva trattativa collegata alla previsione, ad esempio, di un canone più vantaggioso o in dipendenza di particolari caratteristiche dell'immobile.

Criteri di ripartizione

L'art. 9 in commento ha inteso, dunque, regolare la ripetibilità e le modalità di pagamento di alcune di quelle somme che il locatore è tenuto a corrispondere al condominio per la manutenzione delle parti comuni e per la gestione dei servizi comuni dell'edificio (sul versante dottrinale, in termini generali, Carrato 1994, 614).

Tale norma non incide, però, su quelli che sono gli obblighi sanciti dal codice civile di mantenere, anche in riferimento alle parti comuni, la cosa in stato da servire all'uso convenuto (art. 1575, n. 2, c.c.), di eseguire le riparazioni necessarie (art. 1576 c.c.) e di non compiere innovazioni che diminuiscono il godimento da parte del conduttore (art. 1582 c.c.).

In questa prospettiva, il conduttore non potrebbe mettere in discussione le tabelle per la ripartizione delle spese, anche se il regolamento del condominio preveda criteri diversi da quelli stabiliti dall'art. 1123 c.c., che è norma derogabile, sia per il mancato richiamo ad opera dell'art. 1138, comma 4, c.c., sia per l'espresso riferimento nella prima norma alla possibile “diversa convenzione”, entrambe le norme, peraltro, non oggetto di modifica ad opera della l. n. 220/2012 (Cass. II, n. 3944/2002, aggiungendo che siffatta deroga non può avere alcuna effettiva incidenza sulla disposizione inderogabile dell'art. 1136 c.c., o su quella dell'art. 69 disp. att. c.c., in quanto, seppure riguardo alla stessa materia del condominio negli edifici, queste ultime disciplinano segnatamente i diversi temi della costituzione dell'assemblea, della validità delle deliberazioni e delle tabelle millesimali; Cass. II, n. 9833/1991, in una fattispecie in cui le spese per la riparazione dell'ascensore, che serviva un solo corpo di fabbrica, erano state poste a carico di tutti i condomini, in applicazione di un'esplicita previsione del regolamento).

In altri termini, il conduttore non può dolersi dell'esclusione dalla contribuzione di taluno dei condomini alle spese comuni, con conseguente lievitazione della somma (che è tenuto a rimborsare) gravante sul proprio locatore; invero, l'art. 1123 c.c., nel consentire la deroga convenzionale ai criteri di ripartizione legale delle spese condominiali, non pone alcun limite alle parti, con la conseguenza che deve ritenersi legittima non solo una convenzione che ripartisca le spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda l'esenzione totale o parziale per taluno dei condomini di partecipare alle spese medesime (v., tra le altre, Cass. II, n. 6844/1988).

Diversa appare, invece, la soluzione qualora la diversa ripartizione delle spese intervenga nel corso del rapporto locatizio.

Invero, la disciplina della ripartizione delle spese condominiali contenuta in un regolamento di natura contrattuale può essere rinnovata, in base al principio dell'autonomia contrattuale enunciato dall'art. 1322 c.c., da una nuova convenzione, la quale, non incidendo sui diritti reali, non richiede la forma scritta ai sensi dell'art. 1350 c.c., ma richiede il consenso di tutti i condomini, che può essere espresso anche per facta concludentia, dovendo, pur sempre, la manifestazione tacita di volontà rapportarsi ad un comportamento univoco e concludente, dal quale possa desumersi, per il comune modo di intendere, un determinato volere con un preciso contenuto sostanziale (v., ex plurimis, Cass. 20318/2004; riguardo alla peculiarità delle singole fattispecie, si segnalano: Cass. II, n. 8863/2005, la quale aveva cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto al riguardo sufficiente la circostanza che i condomini ricorrenti, partecipando alle assemblee per tre anni ed effettuando i pagamenti in conformità delle nuove tabelle, avessero manifestato per facta concludentia quel consenso che avevano espressamente negato in occasione della relativa delibera condominiale; Cass. II, n. 13592/2000, secondo cui l'approvazione, da parte di un condomino, tramite delegato, dei bilanci preventivi e consuntivi, redatti in base a nuovi criteri di ripartizione, applicativi di precedente deliberazione di modifica delle tabelle millesimali, adottata senza la partecipazione del condomino, non invitato, e non comunicatagli, e il versamento delle corrispondenti somme, pur dopo il giudizio instaurato dal medesimo condomino per la nullità di tutte le delibere, non costituiscono, di per sé, circostanze induttive dell'esatta conoscenza, della piena consapevolezza e dell'inequivoca accettazione di detta modifica, e cioè tali da consentire di desumere, per il comune modo di intendere, un determinato volere, con un preciso contenuto sostanziale; Cass. II, n. 4814/1994, ad avviso della quale la partecipazione con il voto favorevole alle reiterate deliberazioni adottate dall'assemblea dei condomini di un edificio per ripartire le spese straordinarie secondo un valore delle quote dei singoli diverso da quello espresso nelle tabelle millesimali, o l'acquiescenza alla concreta applicazione di queste deliberazioni, può assumere il valore di unico comportamento rivelatore della volontà di parziale modifica delle tabelle millesimali da parte dei condomini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione; Cass. II, n. 7884/1991, la quale aveva confermato la decisione dei giudici del merito che aveva escluso la formazione di un nuovo accordo negoziale per facta concludentia riguardo ad un'applicazione di diversi criteri di ripartizione delle spese condominiali, ancorché avutasi per diversi anni, ma senza la consapevolezza della diversità di quei criteri e delle tabelle millesimali relative).

In quest'ordine di concetti, potrebbe opinarsi che, se tale nuova convenzione si risolva in un aggravio di spesa, una tale decisione è efficace nei confronti del conduttore soltanto nei casi in cui risponda a criteri obiettivi e non si traduca in un atto di liberalità.

Esenzione del conduttore

Il lievitare del costo dei servizi condominiali può far propendere il conduttore a rinunciare a qualcuno di essi per essere esentato dal pagamento del relativo costo; nulla vieta – stante la validità del “patto contrario” a favore del conduttore – che, al momento della stipulazione del contratto, le parti si accordino per escludere una o più delle spese afferenti a servizi già esistenti, dei quali il conduttore non intende godere, salva poi la facoltà, per il condomino-locatore, di considerare tale situazione nei rapporti con il condominio (così, ad esempio, per quanto riguarda il servizio di riscaldamento e nei limiti previsti dalla legge).

Ad analoga soluzione potrebbe pervenirsi per i servizi futuri, nel senso che il conduttore può garantirsi dal pericolo di aumenti, stabilendo convenzionalmente che il pagamento resti limitato agli oneri per quelli esistenti, con esclusione di altri che dovessero sopravvivere per la messa in opera – stabilita dal condominio – di nuovi servizi (Simonazzi 1982, 527).

Effettiva prestazione dei servizi

Costituendo il pagamento degli oneri in commento il corrispettivo per il godimento di una certa utilità, il “rimborso” è collegato all'effettuazione, da parte del locatore, della prestazione accessoria e, quindi, all'effettiva esistenza e fruibilità dei servizi in questione (De Tilla 1989, 1879).

Il locatore-condomino deve, pertanto, attivarsi – facendo eventualmente valere le proprie ragioni attraverso le procedure endocondominiali – per rendere attuale e concreta la godibilità di utilizzazione dei previsti servizi: si può, in tal senso, ipotizzare il caso del personale (portiere, donna delle pulizie, ecc.) che non adempia agli obblighi stabiliti nel contratto di lavoro, oppure dell'acqua che arrivi in maniera insufficiente all'appartamento locato, sito in un piano alto.

In argomento, sia pure con riferimento ai rapporti tra condomini, si era affermato che il singolo condomino non fosse tenuto a contribuire alle spese di esercizio dell'impianto centrale di riscaldamento, allorquando il servizio stesso, per deficienza strutturale o funzionale dell'impianto centrale che non erogava calore in misura apprezzabile all'appartamento di sua proprietà esclusiva, dovesse considerarsi come non reso nei suoi confronti (Cass. II, n. 2342/1972).

Tale affermazione è stata, però, oggetto di rivisitazione da parte della stessa giurisprudenza di legittimità, anche nella sua massima composizione, ad avviso della quale l'obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti comuni dell'edificio, alla prestazione dei servizi nell'interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla maggioranza, trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell'edificio (art. 1123, comma 1, c.c.), con la conseguenza che la semplice circostanza che l'impianto centralizzato di riscaldamento non eroghi sufficiente calore non può giustificare un esonero dal contributo, neanche per le sole spese di esercizio dell'impianto, dato che il condomino non è titolare, nei confronti del condominio, di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica e, quindi, non può sottrarsi dal contribuire alle spese allegando la mancata o insufficiente erogazione del servizio (Cass. S.U., n. 10492/1996; cui adde Cass. II, n. 15664/2003; Cass. II, n. 5813/1998).

Con particolare riferimento alla posizione dell'inquilino, si registra una pronuncia secondo cui, ove il servizio di portierato non venga svolto dal relativo incaricato in maniera conforme alle prescrizioni e con la diligenza dovuta, il conduttore di un appartamento sito nell'edificio, cui quel servizio si riferisce, può eccepire, nei confronti del proprietario-locatore, la sua inadempienza in relazione a quel servizio, e chiedere giudizialmente di essere esonerato dal pagamento delle relative spese (Cass. III, n. 7257/1991; v., altresì, nella giurisprudenza di legittimità, Cass. III, n. 11388/1997, con particolare riguardo al servizio di pulizia, e, in quella di merito, Trib. Roma 25 ottobre 2001; dal canto suo, Pret. Alessandria 21 novembre 1995 ha avuto modo di chiarire che, qualora il conduttore che abbia partecipato o comunque sia stato posto in condizione di partecipare – in luogo del condomino-locatore, ai sensi dell'art. 10 della l. n. 392/1978 – all'assemblea condominiale che ha deliberato in tema di spese e modalità di gestione del servizio di riscaldamento e di condizionamento d'aria, non può sottrarsi all'obbligo di rimborsare al locatore le suddette spese adducendo contestazioni in ordine al funzionamento dei menzionati servizi, a meno che fornisca la prova che la mancanza o deficienza del riscaldamento derivi da difetti o guasti della parte dell'impianto di proprietà esclusiva del locatore, cioè quella a partire dalla diramazione dell'impianto ai locali di sua esclusiva proprietà, la cui riparazione sia posta dalla legge a carico di quest'ultimo).

Tuttavia, così si potrebbe aprire – ed a prescindere da ogni “colpa” del locatore – un fascio di problemi in ordine al principio inadimplenti non est adimplendum, perché, se i servizi in questione costituiscono l'oggetto di un'obbligazione del locatore comunque unitaria, è conseguente che l'omessa prestazione di uno di essi può assumere rilievo nell'àmbito di tutto il sinallagma, mentre se, invece, si opina per una loro ontologica diversità, la corrispettività può essere considerata anche con riferimento alla sola prestazione “accessoria” dei servizi.

In quest'ottica, vanno letti quei rilievi (Cass. III, n. 680/2005), in base ai quali il principio relativo alla legittimità del pagamento delle spese per riscaldamento, svincolato dall'effettivo godimento del servizio – affermato in materia di condominio negli edifici se la relativa previsione sia contenuta nel relativo regolamento – ove fondato sulla sola volontà delle parti, non è applicabile in via generale nell'àmbito del contratto di locazione degli immobili urbani, poiché, per il principio di cui all'art. 9 della l. n. 392/1978 – applicabile anche alle locazioni di immobili adibiti ad uso non abitativo – sono a carico del conduttore le spese relative alla fornitura del riscaldamento; ne consegue che se detta fornitura non esiste, mancando la sinallagmaticità, non è dovuto alcun corrispettivo per la stessa, nonostante che esso sia previsto in contratto, laddove un'eventuale contraria pattuizione, in forza del principio per cui non è dovuto un onere accessorio per una fornitura se la stessa non è effettivamente prestata, è nulla a norma dell'art. 79 della l. n. 392/1978, e tale nullità è rilevabile anche d'ufficio a norma dell'art. 1421 c.c.

Sul punto, riguardo alla configurazione di tali oneri data dal codice civile, è stato ritenuto che il principio de quo non si applica nel caso di omissione di riparazioni da parte del locatore e, pertanto, il conduttore non è autorizzato a rendersi inadempiente nel pagamento dei canoni, specialmente quando egli continua a godere della cosa locata (Pret. Cassino 18 febbraio 1970).

Riduzione e ampliamento dei servizi

I “servizi” resi al fine del miglior godimento dell'unità immobiliare possono registrare, nel tempo, significative evoluzioni.

Relativamente alle innovazioni, l'obbligazione del locatore “si estingue (o si sospende) per impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”, qualora una modifica dei servizi condominiali venga imposta dalla maggioranza dei condomini, e ciò – secondo un'autorevole dottrina – ancorché il voto del condomino-locatore abbia concorso alla formazione della maggioranza prescritta dall'art. 1120 c.c. (Tabet, 424).

In argomento, mette conto rammentare, fra le innovazioni, la decisione di utilizzare a parcheggio di autovetture private un'area comune alberata, goduta prima come parco-giardino (Cass. III, n. 4922/1977), il che poteva riflettersi sul canone ove avesse modificato – nel regime della l. n. 392/1978 – taluno dei coefficienti per la sua determinazione.

Per le semplici modifiche dei servizi, è stato affermato che la deliberazione condominiale, che sottopone a particolari modalità l'accesso di automezzi nel cortile dell'edificio, non può costituire causa di risoluzione del contratto in danno del locatore per violazione dell'obbligo di garantire il godimento della costa locata (App. Napoli 22 maggio 1969).

Appare, quindi, sprovvisto di concreta tutela il conduttore, ove il condominio decida, ad esempio, di sostituire – e per far ciò sembra che sia sufficiente la semplice maggioranza dell'assemblea, v. Cass. II, n. 1479/1969 – con un sistema citofonico il servizio di portierato, anche se questo fosse per lui, in relazione ad una particolare situazione, un servizio essenziale (al massimo, un tale evento potrebbe integrare uno dei “gravi motivi” legittimanti il suo recesso, ai sensi dell'art. 4 della l. n. 392/1978); in proposito, si è osservato, con specifico riferimento alla mancata riparazione dell'ascensore in un edificio condominiale, che non è possibile ipotizzare un “obbligo di intervento da parte del singolo locatore diretto alla bisogna” (così Pret. Portici 23 aprile 1977).

Va, peraltro, ricordato che il comma 2 dell'art. 10 della l. n. 392/1978, proprio per garantire un minimo di tutela al conduttore, gli conferisce il diritto di intervenire all'assemblea condominiale in cui venga trattato un tale argomento, per potere “difendere”, senza avere però il diritto di voto, il proprio punto di vista: e ciò apre indubbiamente un campo di indagine su un certo maggior “potere”, almeno sotto il profilo del controllo, conferito al conduttore, con il quale la richiamata impostazione dovrà confrontarsi (Caputo, 394).

Al contrario, può succedere che il condominio deliberi di effettuare taluni servizi comuni, che non esistevano al momento della stipula del contratto di locazione, sia perché resisi successivamente necessari, sia per conferire una maggiore godibilità al complesso immobiliare.

Nessun dubbio esiste sulla legittimità di una spesa “necessaria”: in proposito, è stato ritenuto, nel caso di appartamento facente parte di un fabbricato circondato da un parco e privo di accesso diretto sulla strada, che la custodia dell'ingresso del parco costituisce un servizio a carattere necessario, equiparabile a quello di portierato, rispondente a primarie esigenze di sorveglianza e di sicurezza, con il conseguente diritto del locatore di rivalersi sul conduttore degli oneri da ciò derivantigli (Cass. III, n. 1201/1964); parimenti, nel caso di aumentato consumo di energia elettrica o di acqua per servire in maniera normale altri appartamenti che soffrivano una carenza di tali servizi, il conduttore non può esimersi dal rimborsare al locatore-condomino la somma che quello effettivamente corrisponde e della quale non può essere esentato (App. Roma 30 gennaio 1962).

Per quanto riguarda un servizio “voluttuario”, non si pone alcun problema se esso sia oggetto di una vera e propria gestione separata (ad esempio, il campo da tennis o la piscina): il conduttore potrà partecipare al maggiore godimento e corrispondere, di volta in volta, il prezzo del servizio; se, invece, si tratta di servizi di uso comune, il condomino locatore sarà libero di associarsi alla maggioranza che li ha deliberati e sopportarne il relativo, proporzionale, costo (art. 1121, comma 2, c.c.).

Tuttavia, appare ragionevole ritenere che il locatore non possa richiedere il rimborso della spesa al conduttore che non intende usufruirne e che, altrimenti, verrebbe ad essere gravato per un servizio che non poteva considerare al momento del contratto e che è di natura voluttuaria; in altri termini, la dizione “altri servizi comuni” adoperata dal citato art. 9, comma 1, in fondo, sembra riferibile, oltreché a tutti i servizi esistenti in quel momento, anche a quelli successivamente posti in essere, ma non aventi il carattere della eccessiva gravosità o della voluttuarietà; né di ciò il condomino-locatore può dolersi, ben potendo esimersi – specie se l'inquilino, opportunamente interpellato, abbia manifestato il proprio disinteresse per il servizio – dall'associarsi alla deliberazione della spesa, soprassedendo alla stessa ed aderirvi, eventualmente, in epoca successiva ai sensi dell'art. 1121, comma 3, c.c. (Lazzaro, Di Marzio, 901).

In argomento, gli ermellini (Cass. III, n. 7001/1993) hanno stabilito che, qualora l'installazione del servizio di riscaldamento in un edificio in condominio risulti, in relazione alle caratteristiche ed alla situazione logistica dell'immobile, non gravosa né voluttuaria, tale innovazione, se approvata nei modi prescritti, è vincolante per tutti i condomini, con la conseguenza che, nell'ipotesi di un immobile dato in locazione, come il proprietario-locatore è tenuto a sostenere pro quota le spese di impianto, parimenti il conduttore non può sottrarsi (trattandosi di innovazione lecita ex art. 1582 c.c.) al pagamento delle spese di esercizio fin dal momento dell'attuazione del servizio stesso, ancorché questo sia stato introdotto nel corso della locazione, essendo l'aumento degli oneri accessori conseguente all'applicazione dell'art. 9 della l. n. 392/1978, senza alterazione del rapporto sinallagmatico, posto che, a fronte di una maggiore spesa per il conduttore, vi è un obiettivo miglioramento delle condizioni di utilizzabilità del bene.

Si segnala, in proposito, che è stata esclusa la ripetibilità della spesa per l'installazione delle TV svizzere, opera, questa, non di esercizio ma che serve a corredare l'appartamento di un nuovo impianto, aumentandone il pregio, ma che proprio per questo fa carico al locatore (Pret. Milano 7 giugno 1975).

Normalità della spesa

In ordine all'ammontare del rimborso – se cioè le spese debbano essere considerate nella loro totalità, o il conduttore abbia una qualche possibilità di contestarle – si deve far richiamo ad un concetto di “normalità”.

In proposito, la giurisprudenza, esaminando il caso in cui un Comune aveva adibito a portiere dello stabile locato un salariato comunale, con stato giuridico ed economico particolari, anziché un privato, ha avuto occasione di affermare che la rivalsa deve avere per oggetto la spesa “giusta, ossia normale, ordinaria, che si incontra per ritrarre quell'utilità” (così Cass. III, n. 3181/1958).

In tale prospettiva, si pone il problema se il giudice possa indagare sulla congruità delle spese condominiali.

In caso di unico proprietario dello stabile, può convenirsi che la facoltà dell'inquilino di controllare per tabulas l'attività gestionale svolta dal locatore non può essere limitata ad una mera presa d'atto della documentazione esibita: invero, l'art. 9, comma 3, della l. n. 392/1978, nel riconoscere al conduttore di un immobile il diritto di prendere visione dei documenti giustificativi delle spese, conferisce allo stesso anche la potestà di sindacare, per il tramite dell'autorità giudiziaria, l'economicità e la congruità degli oneri accessori posti a suo carico rispetto al servizio svolto (Conc. Roma 26 aprile 1988: nella specie, il giudice adìto ha ritenuto eccessiva la spesa per il servizio di pulizia delle scale e del portone, quale addebitata ex lege al conduttore, riducendola in via equitativa).

Qualora, invece, si tratta di edificio in condominio, la valutazione della congruità o meno delle spese sostenute – sempre che ne sia provato l'effettivo esborso attraverso idonea documentazione – compete esclusivamente all'assemblea (Trib. Genova 10 gennaio 1991).

La rivalsa in questione è stata, poi, esclusa per spese portate sotto le voci “omaggio donna pulizie”, “strenna natalizia” e “avviso mortuario” di un condomino deceduto, in ordine alle quali è stato affermato – v. anche infra – trattarsi “non di spese vere e proprie, bensì di atti di liberalità, per i quali non può pretendersi la partecipazione pro quota del conduttore” (Pret. Vigevano 28 settembre 1973).

La normalità della spesa è stata, invece, ravvisata nel caso in cui venga corrisposto, in relazione ad uno dei servizi prestati dalla portiera, un superminimo, se vi sia equivalenza oggettiva tra la prestazione di lavoro ed il compenso ad essa relativo (Pret. Milano 29 maggio 1976).

In buona sostanza, il criterio di “normalità e di “giustificatezza” deve presiedere ad ogni incremento di costo, richiamando antiche disposizioni – proprie della legislazione vincolistica – secondo le quali eventuali aumenti degli oneri accessori gravanti sul conduttore dovevano essere agganciati al correlativo lievitare dei costi, dovuto a motivi obiettivi, cioè a “comprovati” aumenti per il personale e per i servizi pubblici: il sacrificio economico del conduttore trovava così ragione, ad esempio, in un incremento dei contributi assicurativi ed assistenziali per il personale, in un aumento del costo dell'energia elettrica, ecc., situazioni, tutte, alle quali il locatore non poteva sottrarsi.

Sublocazione

La problematica relativa agli oneri accessori si complica riguardo all'ipotesi della sublocazione, in ordine alla quale è opportuno analizzare partitamente le diverse situazioni.

In particolare, nella sublocazione totale, si deve ritenere che gravino sul subconduttore le stesse spese che fanno carico al conduttore e che egli possa esercitare i diritti di cui all'art. 10 della l. n. 392/1978: va constatato, infatti, che il sistema conferisce – negli obblighi come nelle facoltà – maggior peso a colui che in concreto “gode” dei servizi e, nell'ipotesi in considerazione, è proprio il subconduttore che viene a trovarsi in tale situazione.

Nei confronti del condominio, resta obbligato il solo condomino-locatore, il quale ha anche azione diretta nei confronti del subconduttore “per costringerlo ad adempiere tutte le obbligazioni derivanti dal contratto di sublocazione” (art. 1595, comma 1, c.c., in fondo): in tale evenienza, peraltro, la problematica esaminata (modalità di richiesta, diritto di ottenere la distinta, ecc.) tenderà a porre in rilievo la posizione del subconduttore, piuttosto che quella del conduttore (sublocatore).

Nella sublocazione parziale, invece, al fine di risolvere il problema della ripartizione degli oneri accessori, appare preferibile applicare il criterio della proporzionalità, tenendo conto cioè della superficie (convenzionale) che viene concessa al subconduttore; in concreto, il calcolo sarà rapportato al canone: se, ad esempio, quello della sublocazione costituisce il 35% di quanto corrisposto dal conduttore al proprio locatore, anche l'entità delle spese per servizi accessori potrà commisurarsi (salvo il particolare atteggiarsi della singola fattispecie, in considerazione di specifiche situazioni) al 35% delle stesse.

Appare conseguente riconoscere al subconduttore il diritto di avere comunicazione dei criteri di ripartizione e di controllare le c.d. pezze giustificative.

Circa la partecipazione alle assemblee, l'espresso richiamo di cui all'ultimo comma dell'art. 10 della l. n. 392/1978, induce a ritenere analogicamente applicabile la disposizione di cui all'art. 67, comma 2, disp. att. c.c. – come parzialmente modificato dalla l. n. 220/2012 – che, sia pure con riferimento all'ipotesi di comproprietà, prevede la partecipazione di un solo rappresentante, designato dai proprietari interessati a norma dell'art. 1106 c.c.: occorrerà, dunque, che sublocatore e subconduttore stabiliscano chi parteciperà alle assemblee (per quanto concerne la sufficienza di un unico avviso, v. App. Milano 9 novembre 1976); altra ipotesi di soluzione, rispondente ad un sostanziale criterio di equità, potrebbe vedere legittimato chi ha il maggiore godimento del servizio, come sopra accertato.

Si tratta chiaramente di una problematica che, traendo origine da una sovrapposizione di istituti aventi presupposti e contenuti non facilmente riconducibili ad unità sistematica, appare tutta da ricostruire e da verificare; e seppure la prevedibile rarità dei casi la colloca essenzialmente su di un piano teorico – è da auspicare, infatti, che le parti risolvano con “buon senso” gli eventuali conflitti d'interessi – nondimeno legittima qualche dubbio sul rigore giuridico di alcune novità introdotte dalle leggi di vincolo, ribadite da quella sul c.d. equo canone, e tuttora presenti nella disciplina locatizia (Lazzaro, Di Marzio, 924).

Estraneità del conduttore ai rapporti condominiali

La totale “estraneità” del conduttore rispetto ai rapporti condominiali costituiva un dato acquisito dalla giurisprudenza riguardo alla normativa vincolistica, che pure aveva affermato il diritto del conduttore a “gestire” il servizio di riscaldamento, sostituendosi al locatore-condomino nelle assemblee condominiali convocate per decidere su tale punto (art. 6, comma 2, l. n. 841/1973).

Invero, si osservava che la legge in questione non lo poneva “sullo stesso piano del condomino, nei confronti del condominio, sia pure limitatamente alle spese di riscaldamento ed alla gestione”, né intendeva “instaurare un rapporto diretto tra il condominio ed il locatario” (così Trib. Napoli 22 giugno 1976).

D'altra parte, si sottolineava che, ove si fosse affermato un tale rapporto “diretto”, sarebbe stato conseguente ritenere il locatore non più obbligato al pagamento e assoggettare il conduttore al regime di esazione previsto dalla legge in tema di rapporti condominiali – anche con riferimento ai termini, svincolati così dai patti locatizi – impedendogli di utilizzare, nei confronti del locatore, i rimedi legati al rapporto negoziato (App. Milano 25 febbraio 1977).

In dottrina, si rilevava, poi, che l'obbligo gravante sul conduttore di rimborsare il proprietario delle spese di gestione dei servizi comuni traesse la sua fonte – non dalla possibilità di partecipare all'assemblea di condominio, bensì – dalla specifica pattuizione contenuta nel contratto di locazione (Caputo, 394).

Riguardo, poi, alla l. n. 392/1978, il suddetto principio – largamente acquisito dalla giurisprudenza di merito (Trib. Nocera Inferiore 6 maggio 1999; Pret. Sapri 18 marzo 1986; Pret. Bologna 9 febbraio 1984; Pret. Roma 10 marzo 1983; Pret. Portici 10 novembre 1982; Pret. Marano di Napoli 15 febbraio 1982) – è stato sostanzialmente recepito dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha affermato – a chiare note – che l'amministratore ha diritto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1123 c.c. e 63 disp. att. c.c., di riscuotere i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell'interesse comune direttamente ed esclusivamente da ciascun condomino, restando esclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole unità immobiliari – contro i quali può, invece, agire il locatore ex art. 5 della l. n. 392/1978, per il mancato rimborso degli oneri accessori – pure riguardo alle spese del servizio comune di riscaldamento, ancorché questi ultimi abbiano diritto di voto, in luogo del condomino-locatore, nelle deliberazioni assembleari riguardanti la relativa gestione (Cass. III, n. 25781/2009; Cass. III, n. 17039/2007; Cass. II, n. 246/1994; Cass. II, n. 10719/1993; Cass. II, n. 4606/1988).

Dunque, l'art. 9 della l. n. 392/1978 non ha aggiunto, in favore del condominio, un altro debitore dell'obbligazione relativa alle indicate spese, rispetto all'originario debitore rappresentato dal condomino-locatore, nella persona del conduttore dell'unità immobiliare compresa nell'edificio; di fronte al condominio, esistono solo i condomini e non i conduttori: il condominio, a mezzo del suo amministratore pro-tempore, può rivolgersi soltanto nei confronti dei locatori, i quali, a loro volta, non possono opporre l'eventuale mancato pagamento da parte dei conduttori, né altre eccezioni relative al rapporto contrattuale intercorrente con questi ultimi.

A stretto rigore, al locatore non può correttamente dirsi spettante un'azione di rivalsa verso il conduttore inadempiente per quanto anticipato al condominio, atteso che il medesimo locatore, versando gli oneri condominiali all'amministratore, non soddisfa un debito altrui – cui consegua un diritto di rivalsa – ma un debito proprio (Carrato, Scarpa, 387); e un argomento in tal senso deriva proprio dal richiamato art. 5, laddove le spese in questione sono considerate come oneri accessori del corrispettivo locativo, ossia come un'obbligazione del conduttore nei confronti del solo locatore, che si cumula con quella principale di pagamento del canone, tanto che l'inadempimento, oltre una data soglia, dà diritto al locatore a chiedere la risoluzione del contratto di locazione.

Comunque, poteva registrarsi anche un indirizzo – improntato ad evidente pragmatismo – che suggeriva il pagamento diretto da parte del conduttore sulla base di un apposito patto da inserire nel contratto o anche in via di prassi: il conduttore avrebbe versato, “direttamente e periodicamente”, le somme dovute nelle mani dell'amministratore, con semplificazione dei rapporti, potendo, in tale occasione, prendere conoscenza di tutti i dati necessari (Cappelli, Lonardo, 90).

Circa il valore di un tale patto, veniva, peraltro, affermata l'impossibilità per il condominio di avvalersene per agire, in nome e nell'interesse proprio, contro il conduttore (comunque, ad avviso di App. Genova 24 gennaio 2014, l'eventuale intesa diretta fra conduttore dell'immobile e amministratore condominiale per il pagamento delle spese di amministrazione non impedisce al conduttore di ripetere dal locatore spese di amministrazione che abbia pagato in eccedenza); né una tale facoltà sarebbe potuta derivare dal fatto di essere stato incaricato dal locatore-condomino di riscuotere i contributi direttamente, essendo tale mandato limitato alla riscossione (Cass. III, n. 1998/1952); in ordine, invece, alla clausola pattizia concernente l'assunzione, da parte del conduttore, del debito del locatore-condomino per le spese condominiali relative alla somministrazione dei servizi e delle utilità concernenti le cose comuni, era stato ritenuto trattarsi di “accollo semplice”, se ad essa mancava l'adesione del condominio (Pret. Latina 15 dicembre 1973; ad avviso di App. Napoli 14 giugno 1988, la circostanza che nessuna delle parti sia riuscita a dare la prova di accollo all'altra degli oneri accessori, è negativa solo per il conduttore, che ha l'onere di dimostrare la convenzione derogante al regime legale di cui all'art. 9 della l. n. 392/1978, in base al quale gli oneri accessori sono a suo carico nei limiti e nelle misure ivi previsti).

Dunque, i magistrati di Piazza Cavour – sia pure dopo qualche tentennamento in sede di prima applicazione della norma – sul rilievo che la l. n. 392 citata disciplinava i rapporti tra locatore e conduttore, senza innovare in ordine alla normativa generale sul condominio, si era assestata nel senso che l'amministratore aveva diritto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1123 c.c. e 63 disp. att. c.c., di riscuotere pro quota i contributi, relativi alle spese di manutenzione delle cose comuni ed ai servizi comuni, direttamente ed esclusivamente da ciascun condomino, restando esclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole unità immobiliari facenti parte del condominio.

Le pronunce di cui sopra attribuivano rilievo preminente alla constatazione che il mancato pagamento degli oneri condominiali da parte del conduttore costituiva causa di risoluzione del contratto di locazione; ciò significava che, se il locatore può agire per l'inadempimento del conduttore, egli, e non quest'ultimo, risultava obbligato in via diretta alla corresponsione all'amministratore del condominio delle somme dovute.

Decisamente minoritaria era, invece, la ricostruzione di un'obbligazione del conduttore di pagare direttamente all'amministratore la quota degli oneri accessori, e, di converso, di attribuire all'inquilino la legittimazione passiva rispetto all'azione giudiziaria esercitata dall'amministratore per la riscossione dei contributi dei condomini morosi, o la configurazione nel segno della solidarietà delle obbligazioni verso il condominio del locatore-condomino e dell'inquilino.

Del resto, si osservava che l'ultimo comma dell'art. 9 citato nella sostanza attribuiva al pagamento da parte del conduttore un sostanziale carattere di “rimborso”, con ciò confermando indirettamente che esclusivo obbligato verso l'ente condominiale era solo il condomino-locatore; la norma, infatti, prevedeva che il pagamento da parte dell'inquilino avvenisse entro due mesi dalla richiesta dal locatore, e che, prima di effettuare il pagamento, il conduttore aveva diritto di ottenere l'indicazione specifica delle spese sostenute, con la menzione dei criteri di ripartizione, nonché di prendere visione dei relativi documenti giustificativi (Giraldi, 577; Guida, 37; Fortunato, 406).

Quindi, anche se relativamente alle spese del servizio comune di riscaldamento competeva al conduttore il diritto di voto, in luogo del condomino-locatore, nelle deliberazioni assembleari riguardanti la relativa gestione ex art. 10 citato, il mancato pagamento degli oneri condominiali da parte dello stesso conduttore – che aveva soltanto l'obbligo di tenere indenne il locatore di quanto da costui pagato per i servizi comuni fruiti da chi aveva avuto in godimento la cosa principale – rilevava soltanto per il locatore, che avrebbe potuto agire per la risoluzione del contratto per inadempimento ai sensi dell'art. 5 della l. n. 392/1978 a causa del mancato rimborso degli oneri accessori a suo carico (v., altresì, Cass. II, n. 384/1995; Cass. II, n. 1104/1994; Cass. II, n. 5160/1989).

Detta interpretazione tradizionale, del resto, trovava anche conforto nelle disposizioni del codice civile, che disciplinavano, da un lato, la materia condominiale negli edifici, e, dall'altro, il contratto di locazione di immobili urbani; nell'àmbito del condominio, poi, l'amministratore agiva in forza di un mandato con rappresentanza ricevuto dai singoli condomini, mentre, nell'àmbito del contratto di locazione, il locatore ed il conduttore contraevano reciproci diritti ed obblighi, nel contesto di un rapporto che aveva effetto solo inter partes, senza alcun riflesso rispetto ai terzi estranei a tale rapporto, quali il condominio e gli altri condomini.

Alla luce di quanto sopra delineato, in pratica, anche se l'amministratore sapeva chi fosse il conduttore, oppure gli era stata comunicata l'esistenza di un contratto di locazione, doveva “fingere” di non conoscere l'inquilino e rivolgersi soltanto al proprietario, unico suo legittimo destinatario: infatti, era a lui che doveva richiedere i contributi condominiali non corrisposti, ed era sempre a lui che doveva indirizzare gli avvisi di convocazione per l'assemblea.

Sul primo versante, ossia quello relativo alla riscossione dei contributi, sembra che nulla sia cambiato a seguito della l. n. 220/2012 (entrata in vigore il 18 giugno 2013), nel senso che l'amministratore deve continuare a riscuotere i contributi soltanto dai “condomini” – tale espressione, peraltro, viene richiamata ripetutamente nel corso dei cinque capoversi in cui ora si articola l'art. 63 disp. att. c.c. – anche se, nella nuova anagrafe condominiale, che è tenuto a curare ed aggiornare, devono comparire anche gli inquilini (art. 1130, n. 6, c.c.).

Diverso appare, invece, il discorso sul secondo versante, ossia quello relativo agli avvisi di convocazione, atteso che il comma 7 dell'art. 1136 c.c. attualmente, prevede che “l'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati”, laddove la versione precedente era nel senso che “l'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti i condomini sono stati convocati alla riunione” (in ordine a tale maggiore coinvolgimento del conduttore nella realtà condominiale, si rinvia al commento dell'art. 10 della l. n. 392/1978).

Rimborso delle spese anticipate dal locatore

Delineato quello del conduttore come obbligo di tenere indenne il locatore in ordine agli oneri condominiali, si pone il problema del momento in cui esso si concreta, tenuto conto delle particolari caratteristiche delle spese in questione, cadenzate su determinati periodi di gestione (generalmente annuali o stagionali).

Al riguardo, sono ipotizzabili le seguenti situazioni.

Il cessato regime vincolistico parlava espressamente di “rimborso” delle spese sostenute dal locatore (art. 6, ultimo comma, l. n. 841/1973), ponendo così a carico di questi l'obbligo di anticiparle e individuandosi un diritto del conduttore al controllo sulle somme “effettivamente spese dal locatore” (così Cass. III, n. 2035/1977), pure se il locatore poteva richiedere il conguaglio delle spese di riscaldamento, anche prima dell'approvazione del consuntivo, qualora il pagamento all'impresa fornitrice del combustibile fosse avvenuto, in tutto o in parte, anticipatamente (Pret. Milano 24 gennaio 1975).

Analogamente, l'art. 9, comma 3, della l. n. 392/1978, sembra stabilire il diritto del conduttore di prendere visione, prima di effettuare il pagamento, delle spese effettuate e che, evidentemente, il locatore deve aver anticipate.

Questa anticipazione di spesa appare, altresì, presupposta in una non recente decisione secondo la quale “non si ha mora del conduttore in ordine al rimborso al locatore delle spese, da questo sostenute a vantaggio del conduttore, fino a quando il locatore non abbia adempiuto all'onere di comunicare la distinta” (così Cass. III, n. 107/1960).

In maniera ancora più rigorosa, è stato affermato che l'obbligo di pagamento degli oneri condominiali si concretizza in capo al conduttore solo mediante l'approvazione del bilancio consuntivo, con le relative ripartizioni per ciascun condomino, da parte dell'assemblea condominiale (Pret. Napoli 13 giugno 1987; Pret. Milano 13 novembre 1981); parimenti, si è rilevato che, solo dopo aver effettuato il pagamento al condominio, il locatore avrà diritto di rivalsa nei confronti del conduttore (Trib. Nocera Inferiore 6 maggio 1999).

Il rigore di tale principio viene, tuttavia, attenuato, in altre pronunce, alla luce di accorgimenti che rendano possibile un corretto andamento della gestione condominiale, senza, al contempo, gravare eccessivamente sul locatore: in particolare, per quanto concerne il servizio del riscaldamento, è stato reputato che l'approvazione preventiva della relativa spesa, effettuata nell'apposita assemblea alla quale è stato invitato il conduttore, vincola lo stesso, anche se si sia astenuto dal parteciparvi, al pagamento in via anticipata (Pret. Verona 20 giugno 1983).

Corresponsione delle spese in base al preventivo

La diversa opzione, concernente la corresponsione delle spese sulla base del preventivo, si fonda sulla dizione dell'art. 9 della l. n. 392/1978 che pone con immediatezza (“sono interamente”) le spese in questione a carico del conduttore, e che, quindi, non adopera più, nel suo contesto, la parola “rimborso”; inoltre, con riferimento alla sanatoria di cui al successivo art. 55, si parla di oneri accessori maturati, facendo riferimento, pertanto, ad una scadenza, piuttosto che ad un rimborso (sull'obbligo di pagamento c.d. anticipato, salvo il controllo della relativa documentazione, Lazzaro, Di Marzio, 412).

In quest'ordine di concetti, quindi, il comma 3 dell'art. 9 dovrebbe essere inteso come diritto ad un controllo successivo delle pezze giustificate, e non anteriore al pagamento: l'espressione “prima di effettuare il pagamento” dovrebbe essere, cioè, riferita esclusivamente all'indicazione delle spese ed ai criteri di ripartizione; l'ultima proposizione di tale comma avrebbe, poi, una propria autonomia, rimarcata dallo “stacco” della frase, ancorché collocata nello stesso capoverso, e dall'uso dell'avverbio “inoltre” (in proposito, v. Pret. Milano 30 marzo 1976, il quale aveva già affermato che il locatore poteva chiedere il rimborso delle spese accessorie sulla base del preventivo, “salvo conguaglio”).

Si è, altresì, puntualizzato che sia “normale” (così Pret. Bergamo 6 aprile 1993) che il pagamento di tali oneri avvenga anticipatamente in base al preventivo, trattandosi di oneri relativi a spese di ordinaria amministrazione e connesse al diretto godimento del bene da parte di proprietari o conduttori – salva la ripetizione delle somme corrisposte in eccedenza – e che il pagamento del proprietario in base al preventivo e del conduttore solo in forma di consuntivo determinerebbe una complessità dell'iter di pagamento tanto più ingiustificata alla luce della possibilità del conduttore di pretendere entro due mesi dalla richiesta la specifica delle spese a suo carico nonché i relativi documenti giustificativi.

Si è anche evidenziato che il pagamento assume la veste di un'anticipazione di fondi, e che il locatore, nel gestire i servizi accessori, agisce quale mandatario, con la conseguenza che i conduttori, quali mandanti, sono obbligati a fornirgli i mezzi per l'esecuzione del mandato ex art. 1719 c.c., salvo l'obbligo del rendiconto (Conc. Taranto 28 maggio 1976; Conc. Milano 12 marzo 1974).

Sempre nella prospettiva di tenere indenne il locatore da anticipazioni di danaro – che, talvolta, possono essere gravose – si è considerata pure l'importanza della partecipazione del conduttore all'assemblea, finalizzata a consentirgli di prendere visione della documentazione, per potere poi ripartire, in via preventiva, tra i conduttori fruitori del riscaldamento, le spese relative ed impegnarli al pagamento in via anticipata.

In proposito, si è sottolineato (Pret. Roma 6 febbraio 1980) che il conduttore è tenuto a rimborsare al locatore le spese anticipate per il servizio del riscaldamento, dietro presentazione dei documenti relativi, nonostante la mancata approvazione del rendiconto da parte dell'assemblea, in analogia a quanto previsto nei rapporti tra condomino e amministratore.

La sufficienza del preventivo di spesa – che, peraltro, costituisce un criterio di riscossione ordinario nei rapporti tra condomino e condominio (v., per tutte, Cass. II, n. 24299/2008) – viene affermata dai giudici di legittimità, per i quali il credito del locatore nei confronti del conduttore per il rimborso degli oneri accessori non presuppone l'avvenuta prestazione dei relativi servizi, essendone normalmente richiesto il pagamento anticipato, con conseguente preventiva acquisizione della necessaria liquidità, fermo restando l'onere, a carico del locatore, di fornire, a richiesta, i documenti giustificativi delle spese effettuate (Cass. III, n. 5031/1991).

In quest'ottica, il rischio di litigiosità gravante su tale profilo del rapporto induce ad assecondare quelle soluzioni che, sul piano effettuale, realizzino un equo contemperamento degli opposti interessi: a tal fine, la dottrina ha suggerito che il conduttore possa, sulla base del preventivo, operare una “rateizzazione fissa mensile” (così Canevacci, Perego, Racheli, 58), salvo il conguaglio a fine esercizio, previo controllo delle pezze giustificative delle spese.

D'altra parte, questa è una soluzione che non si poneva in contrasto con l'art. 79 della l. n. 392/1978 – né contrasta con la disciplina della l. n. 431/1998 – in quanto, da una parte, evita comunque l'accumularsi a carico del conduttore di un debito che potrebbe divenire “pericoloso” per gli effetti risolutori del contratto, e, dall'altro, serve ad equilibrare l'indubbio svantaggio che colpirebbe il locatore se fosse costretto ad anticipare tutte le spese (non indifferenti) di un anno di esercizio.

Richiesta da parte del locatore.

Il pagamento degli oneri accessori al locatore deve essere effettuato entro due mesi dalla richiesta, ma il conduttore, “prima di effettuare il pagamento, ha diritto di ottenere l'indicazione specifica delle spese con la menzione dei criteri di ripartizione”, nonché di “prendere visione dei documenti giustificativi delle spese effettuate” (art. 9, comma 3, l. n. 392/1978).

Si tratta di diritti intrinsecamente collegati con l'obbligazione gravante sul debitore-conduttore, sicché, in difetto di tali accadimenti, non sorge l'obbligo del pagamento, con la conseguenza che – tenuto anche conto della necessità di un “normale” atteggiarsi del sinallagma – dovrebbe ritenersi invalida una clausola con la quale il conduttore rinunciasse a tali suoi diritti (Barigazzi, 415).

Non essendo prescritte particolari formalità – e, in particolare, la forma scritta – nulla vieta che la richiesta del locatore possa essere rivolta oralmente, rientrando il contratto di locazione (e, quindi, le clausole che ad esso ineriscono) fra quelli per i quali c'è libertà di forma, senza escludere, ovviamente, che le parti possano prevedere pattiziamente che essa debba avvenire per iscritto (ad ogni buon conto, ad avviso di Giud. Pace Prato 17 aprile 1996, l'art. 9 della l. n. 392/1978 impone al locatore soltanto un onere di richiedere il pagamento degli oneri accessori, senza alcun onere di comunicazione di bilancio o pezze giustificative).

Tuttavia, tale ultima forma – e si tratterà, preferibilmente, di lettera raccomandata con ricevuta di ritorno – sembra quella consigliabile al fine di evitare ogni contestazione circa la data della ricezione della richiesta da parte del conduttore, dalla quale vanno calcolati i due mesi, trattandosi di dichiarazione ricettizia, sicché varrà la presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 c.c.

Legittimato a formulare la richiesta è il locatore, il quale potrà conferire all'amministratore del condominio un mandato in tal senso, in uno con quello di procedere alla riscossione: in tal caso, la richiesta dell'amministratore avrà l'efficacia di mettere in mora il conduttore.

In mancanza di tale richiesta – e sino a quando non siano decorsi due mesi dalla sua ricezione – il conduttore non può essere ritenuto in mora (Pret. Gallarate 4 marzo 1980; conforme, Pret. Napoli 9 luglio 1980, per il quale non sussiste mora solvendi nell'ipotesi in cui al conduttore non sia stata comunicata la distinta degli oneri accessori che gli vengono richiesti dal locatore), con la conseguenza che non può pronunciarsi la risoluzione del contratto per inadempimento (Pret. Lecce 27 febbraio 1990).

Per converso, la scadenza dei due mesi, senza che il conduttore abbia provveduto al pagamento degli oneri accessori, determina la sua automatica costituzione in mora indipendentemente dalla circostanza che abbia o meno richiesto l'indicazione specifica delle spese e degli eventuali documenti giustificativi (Trib. Roma 29 febbraio 1984; cui adde Trib. Milano 9 aprile 1998, secondo il quale, dovendo il conduttore effettuare il pagamento degli oneri accessori entro due mesi dalla richiesta del locatore ex art. 9, comma 3, della l. n. 392/1978, è entro tale termine che il medesimo può esercitare il diritto di richiedere la distinta delle spese e l'indicazione dei criteri di ripartizione, nonché di prendere visione dei documenti giustificativi, restando, diversamente, automaticamente in mora).

In pratica, non essendovi, in mancanza dell'istanza del conduttore, alcun onere di comunicazione del locatore, il conduttore stesso, decorsi i due mesi dalla richiesta di pagamento, deve ritenersi automaticamente in mora alla stregua del principio dies interpellat pro homine, e non può, quindi, sospendere, ridurre o ritardare il pagamento degli oneri accessori, adducendo che la richiesta del locatore non era accompagnata dalle indicazioni delle spese e dei criteri di ripartizione (Cass. III, n. 9669/1997; Cass. III, n. 540/1996; Cass. III, n. 11838/1995; Cass. III, n. 4154/1995; Cass. III, n. 9980/1994; Cass. III, n. 1451/1991; in senso conforme, v., nella giurisprudenza di merito, Trib. Monza – Desio 15 gennaio 2005).

Nell'ipotesi in cui la richiesta sia effettuata giudizialmente, unitamente alla domanda di risoluzione del contratto, l'adempimento del conduttore entro i due mesi dalla vocatio in ius va ritenuto pienamente satisfattorio ed efficace (Pret. Lecce 28 marzo 1989); se, poi, il conduttore contesti la domanda, incombe al locatore, ai sensi dell'art. 2697 c.c., dare la prova dei fatti costitutivi del proprio diritto, con la conseguenza che, mancando la relativa documentazione, la domanda deve essere rigettata (Cass. III, n. 8938/1987; Trib. Napoli 17 luglio 1985; secondo Concil. Caltanissetta 27 dicembre 1994, la richiesta di rimborso ex art. 9 della l. n. 392/1978 può essere proposta dal locatore, per la prima volta, anche con l'atto di chiamata in causa del conduttore per la rivalsa nel giudizio, pendente tra il proprietario ed il condominio, e, in tal caso, l'onere di indicare analiticamente le spese e di offrire in visione i documenti giustificativi può essere assolto anche con la produzione in giudizio dei conteggi e degli altri documenti e con la loro allegazione ai fascicoli di causa).

Indicazione specifica delle spese e dei criteri di ripartizione

Nell'àmbito della normativa vincolistica (art. 9-ter l. 28 luglio 1967, n. 628), veniva affermato che la comunicazione della distinta delle spese era indispensabile per la stessa costituzione del vincolo giuridico, con la conseguenza che, prima di tale atto, il conduttore non solo non poteva essere considerato in mora, ma non era neppure tenuto a corrispondere alcunché (Cass. III, n. 2086/1966), restando il credito del locatore inesigibile (Pret. Milano 30 aprile 1975; cui adde Pret. Morbegno 10 marzo 1987, ad avviso del quale non può essere dichiarata la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento, correlato alla mancata corresponsione da parte del conduttore degli oneri accessori, qualora il locatore non abbia trasmesso al conduttore medesimo le specifiche delle spese con la menzione dei criteri di ripartizione di cui all'art. 9 della l. n. 392/1978).

Rispetto alla norma del 1967, che usava la dizione “distinta degli oneri con l'indicazione dei criteri di ripartizione”, l'art. 9 della legge dell'equo canone, parlando di “indicazione specifica delle spese ... con la menzione dei criteri di ripartizione”, sembra richiamare – attraverso l'uso dell'aggettivo “specifica” – ad una pregnante limpidezza della c.d. distinta, nel senso che le varie tabelle per la suddivisione degli oneri, se vogliono essere utilizzate quale documento-base per il pagamento da parte del conduttore, devono presentarsi analitiche e chiare, tali da consentire un rapido e semplice controllo.

D'altronde, era stato già affermato che si doveva ritenere insoddisfatto l'onere in parola, con conseguente giustificazione dell'omesso pagamento da parte del conduttore, qualora il locatore si fosse limitato “a mettere a disposizione una distinta di spese non analitica” (Pret. Milano 18 gennaio 1975); era, al contrario, soddisfatto il diritto del conduttore nel caso della trasmissione di rendiconti così dettagliatamente formulati da metterlo in condizione di eseguire le opportune verifiche, circa la realtà delle spese e l'ammontare delle quote a suo carico, da considerarsi pertanto equivalenti alle distinte previste dalla norma (Cass. III, n. 1889/1981; peraltro, secondo Trib. Milano 9 aprile 1981, l'onere di specificazione e documentazione delle spese accessorie ex art. 9 della l. n. 392/1978, non attiene alla perfezione di una condizione di procedibilità, ma al merito sicché può essere soddisfatto in corso di causa).

Al contempo, a fronte alla richiesta del locatore di pagamento degli oneri accessori sulla base di estratti-conto condominiali, la contestazione del conduttore non può fondarsi sulla generica impugnazione dell'ammontare delle spese, dovendosi invece basare su specifiche deduzioni concernenti l'entità delle singole partite conteggiate a carico di ciascuno dei beneficiari (Cass. III, n. 246/1982).

Si è, altresì, chiarito che il locatore, il quale convenga in giudizio il conduttore per il pagamento delle spese condominiali, adempie il proprio onere probatorio producendo i rendiconti dell'amministratore approvati dai condomini, senza necessità di allegare le c.d. pezze di appoggio, in quanto i documenti giustificativi si trovano nella disponibilità dell'amministratore e non del locatore, e non è configurabile un onere dello stesso di premunirsi dei documenti in previsione di possibili contestazioni del conduttore; spetta, pertanto, a quest'ultimo l'onere di specifiche contestazioni in ordine alle varie partite conteggiate, prendendo all'uopo visione dei documenti giustificativi oppure ottenendone l'esibizione a norma degli artt. 210 ss. c.p.c. (Cass. III, n. 6202/2004).

Pertanto, il conduttore, ricevuta la richiesta, deve attivarsi entro i due mesi che la legge gli concede, con l'avvertimento che appare opportuno considerare il periodo tra la richiesta della distinta e l'invio della stessa come un periodo di sospensione dello spatium solvendi di due mesi, che riprende a decorrere (sommandosi al periodo già trascorso) dal momento della ricezione delle notizie sulle spese e sui criteri di ripartizione delle stesse: ciò per evitare che, ove l'invio della documentazione (pur richiesta per tempo) avviene a ridosso della scadenza dei due mesi, il conduttore possa trovarsi penalizzato, per non avere il tempo necessario al fine di controllare la spesa (Torelli, 149).

In altri termini, per un verso, a fronte della richiesta del locatore relativa al pagamento degli oneri accessori, il conduttore è legittimato, ai sensi dell'art. 9 della l. n. 392/1978, a chiedere spiegazioni e chiarimenti nonché a visionare i documenti giustificativi di spesa presso l'amministratore dello stabile, ma tale diritto del conduttore deve essere esercitato entro il termine di due mesi dalla richiesta effettuata dal locatore, e ciò anche per la correlazione esistente fra il precitato art. 9 e l'art. 5 della legge sull'equo canone (Pret. Firenze 12 dicembre 1987); per altro verso, la morosità del conduttore legittimante la risoluzione del contratto si concretizza decorsi due mesi dal momento in cui il locatore abbia presentato al conduttore domanda di pagamento degli oneri condominiali e, ove questi ne abbia fatta richiesta, gli abbia immesso la distinta con l'indicazione specifica delle spese (Pret. Sorrento 9 febbraio 1990).

In definitiva, poiché in mancanza della richiesta del conduttore, non vi è alcun onere per il locatore di fornire le c.d. pezze giustificative, il conduttore richiesto del pagamento degli oneri condominiali deve considerarsi automaticamente in mora alla scadenza del termine di due mesi se in tale termine sia rimasto inerte (v. la giurisprudenza richiamata nel precedente paragrafo).

Al contrario, una volta che il conduttore si sia tempestivamente attivato in tal senso, non è configurabile una sua mora fino a quando il locatore non abbia adempiuto all'onere di comunicargli la distinta delle spese con l'indicazione dei criteri di ripartizione (Pret. Roma 10 dicembre 1979), con la conseguenza che non può pronunciarsi la risoluzione della locazione e con l'avvertimento che non è sufficiente ai fini de quibus “il generico rinvio ai documenti esibiti nel processo” (così App. Napoli 10 maggio 1991).

Per quanto concerne, poi, la menzione dei criteri di ripartizione, è necessario che siano inviate tabelle analitiche e chiare da cui risultino non solo i vari criteri di ripartizione seguiti in generale – ad esempio, caratura millesimale, superficie, cubatura, ecc. – ma anche specificamente il valore cui corrisponde la quota proporzionale di spesa gravante sull'immobile locato e sugli altri immobili del complesso, così da rendere possibile al conduttore il controllo dell'obiettività e dell'esattezza della stessa suddivisione delle spese comuni (Pret. Milano 10 aprile 1984).

È da opinare che l'indicazione dei criteri generali possa essere specificata all'inizio del rapporto, sì da porre il conduttore in grado di conoscere i criteri vigenti in quel condominio, salvo l'obbligo di comunicargli eventuali variazioni degli stessi; in ogni caso, tale specificazione è un'abitudine da suggerire, tenuto conto dell'opportunità di assecondare un'analitica indicazione dei parametri che sottendono ad ogni pagamento.

Messa a disposizione dei documenti giustificativi

Il conduttore ha diritto di controllare i documenti concernenti le varie spese: si tratterà di fatture, ricevute, versamenti vari, ecc. o anche – ove si opini per un obbligo di “anticipare” dette spese – di preventivi, richieste, e quant'altro.

Il locatore, però, non ha alcun obbligo di trasmettere tali documenti, neppure se l'altra parte gliene rivolge esplicita richiesta (Cass. III, n. 5485/1998): è il conduttore, infatti, che “deve farsi parte diligente per prendere visione della documentazione”, essendo sufficiente per il locatore tenerla “a disposizione del conduttore medesimo per fargli esercitare la facoltà di consultarla e di fare le proprie osservazioni” (così Cass. III, n. 1995/1962; Trib. Milano 30 aprile 1987 ha chiarito che il dovere del locatore di comunicare la distinta delle spese prevista dall'art. 9 della l. n. 392/1978 quale requisito di esigibilità del credito e, conseguentemente, quale condizione di fondatezza nel merito dell'azione giudiziale, può verificarsi e sopravvenire nel corso del processo fino al momento della decisione; ad avviso di Trib. Firenze 7 febbraio 1998, l'onere imposto dall'art. 9, comma 3, della l. n. 392/1978 di indicare le spese e i criteri di ripartizione degli oneri accessori viene assolto dal locatore che “indichi un luogo ove siano visionabili dal conduttore con un modesto impegno”: nella specie, l'I.N.P.D.A.I. aveva indicato che la documentazione poteva essere visionata presso una propria fiduciaria con sede nel luogo di residenza del conduttore).

Non è neppure necessario che, nella richiesta di pagamento, il locatore dichiari espressamente “che tiene a disposizione degli interessati la documentazione” (Cass. III, n. 928/1961); la possibilità di controllo deve esser resa concreta ed attuabile “normalmente”, sicché, in caso di contrasto, occorre accertare se, nella particolare situazione, ciò sia avvenuto.

In passato, si suggeriva la determinazione di un orario durante il quale l'amministratore fosse a disposizione – oltre che dei condomini, anche – dei conduttori perché questi ultimi potessero prendere visione delle c.d. pezze giustificative e ricevere eventuali chiarimenti.

Qualora tale sistema incontrasse difficoltà di attuazione, non restava al condomino-locatore che richiedere all'amministratore l'esibizione della documentazione che quello era tenuto a fornirgli in ogni tempo – e non soltanto in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell'assemblea (v., per tutte, Cass. II, n. 8460/1998) – ed estrarne copia a proprie spese dovendo i costi relativi alle operazioni compiute gravare esclusivamente sui condomini richiedenti (Cass. II, n. 19210/2011).

La situazione è parzialmente mutata a seguito dell'entrata in vigore della l. n. 220/2012, atteso che, in forza dell'art. 1130-bis, comma 1, c.c., non solo i condomini, ma anche “i titolari di diritti di godimento sulle unità immobiliari” e, dunque, gli inquilini, possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copie a proprie spese (aggiungendo che le scritture contabili e le c.d. pezze d'appoggio vanno conservati per dieci anni dalla data della relativa registrazione).

In tal modo, il diritto di prendere visione “in ogni tempo”, estraendo copia dei documenti giustificativi di spesa, è stato opportunamente esteso anche ai conduttori, ai quali, finora – come sopra delineato – il comma 3 dell'art. 9 della citata l. n. 392/1978, facendo obbligo di pagare gli oneri condominiali di loro spettanza entro due mesi dalla richiesta da parte del locatore, delimitava, di fatto, entro il medesimo periodo, il termine massimo per l'esercizio del diritto di chiedere l'indicazione analitica delle spese e dei criteri di ripartizione, nonché di prendere visione dei documenti.

Ne consegue che, attualmente, gli inquilini non devono attendere la chiusura della gestione condominiale per poter esercitare tali diritti, essendo legittimati a visionare i suddetti documenti giustificativi pure nelle more dell'annualità amministrativa, purché non siano di ostacolo all'attività professionale dell'amministratore; parimenti, potranno estrarre copie a proprie spese, salvo soggiacere alle eventuali prescrizioni, stabilite in via generale dall'assemblea, circa i costi fissi per ogni fotocopia o l'onorario per il tempo che l'amministratore dedica affinché l'interessato metta in atto i suoi controlli.

A quest'ultimo proposito, mette punto rammentare che l'art. 71-ter disp. att. c.c. abilita l'accesso al sito internet – attivato dall'amministratore su richiesta dell'assemblea, previa deliberazione da approvarsi con il quorum di cui all'art. 1136, comma 2, c.c. – agli “aventi diritto” e, tra questi, senz'altro gli inquilini, i quali possono, quindi, consultare ed estrarre copia in formato digitale dei documenti previsti dalla stessa delibera assembleare, tra i quali possono rientrare a pieno titolo i documenti giustificativi di cui sopra.

Azione diretta ad ottenere il pagamento

Trascorsi i due mesi dalla richiesta, senza che il conduttore abbia provveduto al pagamento e senza alcuna istanza di delucidazioni, al locatore si prospettano due soluzioni, per così dire, operative.

La prima riguarda l'azione diretta al pagamento; a questi fini, il locatore deve dimostrare che le spese di cui chiede il rimborso rientrino tra quelle previste dall'art. 9 della l. n. 392/1978, a carico totale o parziale del conduttore e che delle stesse ha fatto richiesta di pagamento da almeno due mesi (Trib. Roma 7 giugno 1986).

Potrebbe essere utilizzato il procedimento monitorio, “purché il locatore dimostri per iscritto che l'assemblea condominiale abbia formato lo stato di ripartizione in base a criteri oggettivi” (così Pret. Latina 15 dicembre 1973); trattasi, infatti, di un documento degno di fede in ordine ai fatti giuridici costitutivi del diritto di credito, non occorrendo, per l'emissione del decreto ingiuntivo, una scrittura privata proveniente dal debitore (Cass. II, n. 1588/1972); è stato, del pari, ritenuto sufficiente il prospetto mensile delle spese condominiali, purché non contestato (Cass. II, n. 1585/1973).

Si pone, peraltro, il problema se il suddetto stato di ripartizione conservi quel valore privilegiato che (nella pretesa dell'amministratore verso il condomino) gli conferisce l'art. 63, comma 1, disp. att. c.c. con conseguente immediata esecutività del decreto ingiuntivo, nonostante opposizione.

La summenzionata decisione del giudice laziale nega tale possibilità, sulla considerazione che il rapporto condominio-condomino è diverso da quello locatore-conduttore, né è consentita un'interpretazione analogica, essendo quella del citato art. 63 una norma derogante il disposto dell'art. 634 c.p.c.; a sostegno di tale considerazione – che appare da condividere – si può osservare che l'esecutività in discorso ha un significato in quanto serve a garantire la tempestività della “provvista” per il condominio esposto a pagamenti verso terzi fornitori di servizi e beni, restando, invece, estranea al normale rapporto di dare-avere tra locatore e conduttore regolato, quanto all'esecutività del provvedimento monitorio, dal comma 2 dell'art. 642 c.p.c.

Resta fermo che il debito per il pagamento degli oneri accessori costituisce un debito di valuta poiché ha ad oggetto, fin dall'origine, una somma di denaro, sicché, in difetto della prova del pregiudizio da parte del creditore, la rivalutazione monetaria non spetta automaticamente (Cass. III, n. 23157/2014).

Azione per la risoluzione del contratto

La seconda soluzione è l'azione per la risoluzione del contratto di locazione, che presuppone che l'importo dovuto sia superiore ad una somma pari all'ammontare di due mensilità del canone: il legislatore, infatti, oltre che la durata del comportamento antigiuridico, ha voluto quantificare anche l'entità del dovuto, quale parametro di valutazione dell'inadempimento (art. 5 l. n. 392/1978, tuttora in vigore, al cui commento si rinvia).

Siamo, quindi, in presenza – come sopra anticipato – di una predeterminazione legale della gravità dell'inadempimento, ancorata ad un elemento quantitativo (morosità di importo superiore a due mensilità del canone), e ad uno temporale, relativo al ritardo consentito e tollerato (Cass. III, n. 8418/2006; Cass. III, n. 5191/1998; Cass. III, n. 3558/1988; Cass. III, n. 7213/1987).

Pertanto, qualora il conduttore, convenuto in giudizio per il mancato pagamento di oneri condominiali, contesti che il locatore abbia effettivamente sopportato le spese di cui chiede il rimborso o ne abbia effettuato una corretta ripartizione, incombe al locatore stesso, ai sensi dell'art. 2697 c.c., dare la prova dei fatti costitutivi del proprio diritto, i quali non si esauriscono nell'aver indirizzato la richiesta prevista dall'art. 9 della l. n. 392/1978, necessaria per la costituzione in mora del conduttore e per la decorrenza del bimestre ai fini della risoluzione, ma comprendono anche l'esistenza, l'ammontare ed i criteri di ripartizione del rimborso richiesto (Cass. III, n. 20348/2010; Cass. III, n. 6403/2004; Cass. III, n. 751/2000; Cass. III, n. 8938/1987; nella stessa lunghezza d'onda, si pone, nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma 4 febbraio 2010, il quale ha aggiunto che il relativo onere probatorio, nel caso di immobile compreso in uno stabile condominiale, può ritenersi assolto con la produzione in giudizio dei consuntivi di spesa, nonché delle relative tabelle di riparto predisposte dall'amministratore ed approvate dall'assemblea).

Dal canto suo, in tale occasione, il conduttore potrà far valere le sue ragioni in ordine all'eventuale inesigibilità del credito per mancata comunicazione della “distinta”, oppure per non aver potuto controllare le c.d. pezze giustificative, come potrà anche dedurre la non congruità delle spese, la loro non riconducibilità fra quelle a suo carico, eventuali errori di calcolo, la non rispondenza con gli stabiliti criteri di ripartizione, e quant'altro (Razza, 878).

Talvolta, vengono in evidenza situazioni in cui il conduttore non ha pagato (o ha “autoridotto” la somma richiestagli) come reazione ad un assunto comportamento illegittimo del locatore, che non ha fornito taluno dei servizi, che non ha inviato la distinta in maniera analitica, ecc.: la questione se un tale atteggiamento sia idoneo ad escludere la “colpa” va, ovviamente, risolta riguardo alla singolarità del caso concreto.

Prescrizione del credito del locatore

L'art. 2948 c.c. prevede la prescrizione quinquennale per il canone ed “ogni altro corrispettivo di locazioni” (n. 3), tra cui dovrebbero rientrare gli oneri accessori, mentre l'art. 6, ultimo comma, della l. n. 841/1973 stabiliva, invece, una prescrizione biennale del “diritto al rimborso delle spese sostenute dal locatore per la fornitura di servizi a carico, per contratto, del conduttore”.

Stando così le cose, atteso che nulla specificava al riguardo la legislazione successiva, si è posto il problema dell'individuazione della norma applicabile (su cui si è confrontata, a vario titolo, la dottrina: Russo, 496; Scarpa, 437; Spagnuolo 2004, 429; Tagliolini 2003, 321; in ordine a problematiche di diritto transitorio, v. Piombo, 109; Pirotta, 387).

Nella considerazione dell'esigenza di concludere in un ragionevole periodo rapporti giuridici di interesse economico generalmente abbastanza limitato ed evitare liti su vecchi conteggi, la previsione della prescrizione biennale costituiva una di quelle innovazioni di carattere generale, entrate a far parte in via “ordinaria” nella disciplina delle locazioni abitative, trattandosi di norma solo occasionalmente inserita in un provvedimento vincolistico, ma rispondente ad esigenze trascendenti quel regime e aventi un àmbito generale di applicazione, con la conseguenza che l'obbligazione relativa al pagamento degli oneri accessori restava soggetta alla suddetta prescrizione anche nel regime di equo canone (Potenza, Chirico, Annunziata, 103).

Tale orientamento era stato accolto pacificamente dai giudici di Piazza Cavour, i quali avvertivano che l'art. 6 della l. n. 841/1973 aveva introdotto una deroga al principio codicistico della prescrizione quinquennale del canone di locazione e di ogni altro corrispettivo di locazione fissato dall'art. 2948, n. 3), c.c., rispondendo ad un'esigenza di rapida definizione di quell'accessorio rapporto giuridico, comune ad ogni locazione (Cass. III, n. 17424/2003; Cass. III, n. 1953/2003; Cass. III, n. 1292/2003; Cass. III, n. 1291/2003; Cass. III, n. 4688/1999; Cass. III, n. 11163/1997; Cass. III, n. 4588/1995; Cass. III, n. 5795/1993; nella giurisprudenza di merito, nel senso che il credito relativo al pagamento degli oneri condominiali, previsti nell'art. 9 della l. n. 392/1978 a carico del conduttore, si prescrive nel termine di due anni, a norma dell'art. 6 della l. n. 841/1973, v. Trib. Napoli – Pozzuoli 15 gennaio 2003; Trib. Milano 30 aprile 1987; Pret. Milano 24 novembre 1986; contra, Trib. Napoli 20 gennaio 1993, secondo cui l'azione diretta al pagamento degli oneri condominiali, cui il conduttore è tenuto ex art. 9 della l. n. 392/1978, è soggetta a prescrizione quinquennale, attesa la natura accessoria di tali oneri rispetto al canone di locazione; Pret. Trieste 10 dicembre 1993, ad avviso del quale non è applicabile la prescrizione biennale prevista nell'art. 6 della l. n. 841/1973, in caso di inadempimento per gli oneri accessori al contratto di locazione, a seguito dell'entrata in vigore della l. n. 392/1978, bensì il termine di prescrizione quinquennale previsto nell'art. 2948, n. 4, c.c.).

In particolare, si affermava che il credito del locatore per il pagamento degli oneri condominiali posti a carico del conduttore dall'art. 9 della legge sull'equo canone si prescriveva nel termine di due anni indicato dall'art. 6 di cui sopra per il diritto del locatore al rimborso delle spese sostenute per la fornitura dei servizi posti, per contratto, a carico del conduttore, in quanto tale norma, anche se inserita in una legge relativa alla proroga dei contratti di locazione degli immobili ad uso di abitazione, introduceva una deroga al principio codicistico della prescrizione quinquennale del canone di locazione e di ogni altro corrispettivo di locazione fissato dall'art. 2948, n. 3), c.c., ed era applicabile agli oneri accessori dovuti dal conduttore in base all'art. 9 della l. n. 392/1978, senza che a ciò ostasse l'art. 84 di quest'ultima legge che, disponendo l'abrogazione di tutte le norme incompatibili con la legge sull'equo canone, non poteva essere riferita anche alla disposizione in materia di prescrizione del sopra citato art. 6, trascendendo quest'ultima il mero regime vincolistico.

Si aggiungeva che era manifestatamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale del citato art. 6, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui disponeva che il credito del locatore per il pagamento degli oneri accessori posti a carico del conduttore (art. 9 l. n. 392/1978) si prescriveva nel termine di due anni, non sussistendo, un'irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina stabilita dall'art. 2948, n. 3), c.c., che fissava in cinque anni il termine di prescrizione del credito per le pigioni delle case, trattandosi di situazioni non omologhe, in quanto il credito per oneri accessori aveva ad oggetto somme di importo variabile in relazione alla concreta erogazione dei servizi e la relativa spesa era confortata da una specifica documentazione, e, inoltre, la fissazione di un più breve termine di prescrizione risultava giustificata dall'esigenza di contenere le relative contestazioni in un lasso temporale ragionevolmente breve.

La questione, tuttavia, può ritenersi definitivamente risolta, atteso che l'antica norma, ossia l'art. 6, comma 4, della l. n. 841/1973, essendosi constatato che essa faceva parte del sistema, è stata abrogata espressamente dall'art. 24 del d.l. n. 112/2008 (c.d. decreto Calderoli “taglia-leggi”), convertito, con modificazioni, in l. 6 agosto 2008, n. 133, con la conseguenza che, in evidente ricerca di simmetria, il termine di prescrizione del credito del locatore verso il proprio conduttore è ritornato ad essere quello quinquennale, in maniera peraltro identica al credito del condominio nei confronti del condomino; tale legge, in quanto ius superveniens, non dovrebbe avere effetto su rapporti giuridici già esauriti, escludendosi che l'abrogazione dell'art. 6 citato, e la conseguente reviviscenza dell'art. 2948, n. 3), c.c., abbiano potuto produrre effetto su crediti già estinti per prescrizione (secondo la legge anteriore) alla data del 22 dicembre 2008.

Al riguardo, va rilevato che la prescrizione del credito nei confronti di ciascun condomino inizia a decorrere soltanto dalla delibera di approvazione della ripartizione delle spese e non dall'esercizio di bilancio (Cass. II, n. 11981/1992); in particolare, i pagamenti periodici relativi alle spese fisse di manutenzione del fabbricato – ad esempio, quelle di pulizia – attengono all'obbligazione del singolo nei confronti della collettività condominiale e rientrano nella previsione dell'art. 2948, n. 4) c.c., e quindi sono assoggettati alla prescrizione breve quinquennale (Cass. II, n. 12596/2002); tali principi sono stati ribaditi, di recente, dai giudici di legittimità (Cass. II, n. 4489/2014), secondo i quali le spese condominiali hanno natura periodica, sicché il relativo credito è soggetto a prescrizione quinquennale ex art. 2948, n. 4) c.c., con decorrenza dalla delibera di approvazione del rendiconto e dello stato di riparto, costituente il titolo nei confronti del singolo condomino.

Ritornando al rapporto locatizio, va rilevato che il termine di prescrizione inizia a decorrere, ai sensi dell'art. 2935 c.c., dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere che, per il locatore-condomino, è costituito dalla data della deliberazione condominiale la quale, approvando il consuntivo ed il relativo piano di ripartizione, fa sorgere il debito a carico del condomino e correlativamente il credito del medesimo nei confronti del conduttore (Cass. II, n. 1291/2003).

È da opinare, tuttavia, che, ove sia instaurata la prassi di pagamenti in base al preventivo o comunque anticipazioni di spesa, il debito del locatore verso il condominio nasce in questo momento, con possibilità per lui di far valere il relativo credito nei confronti del conduttore, salvo conguaglio finale (con l'approvazione del consuntivo); insomma, l'esistenza stessa del credito del locatore avente ad oggetto il rimborso degli oneri accessori a carico del conduttore è subordinata all'adozione di un atto formale sottratto all'immediata disponibilità del locatore.

Nella diversa ipotesi di locatore unico proprietario delle singole unità immobiliari che compongono l'edificio, la data di decorrenza della prescrizione del diritto al rimborso degli oneri accessori, posti (per legge o per contratto) a carico dei conduttori, deve essere individuata in relazione a quella di chiusura della gestione annuale dei servizi accessori, secondo la cadenza con cui questa in concreto si svolge nell'àmbito del rapporto di locazione, in quanto l'unico proprietario ha la possibilità di elaborare il consuntivo e di accertare se le spese effettuate per quell'immobile locato superino o meno gli acconti periodicamente percepiti alla chiusura della gestione annuale, non avendo rilevanza la data di effettuazione della spesa (Cass. III, n. 3947/2015, per la quale è anche irrilevante che, successivamente alla chiusura della gestione, sia stata venduta taluna delle unità abitative; Cass. III, n. 5666/2010; Cass. III, n. 8609/2006: nella specie, si era affermato che non poteva tenersi conto della normativa che imponeva all'I.N.A.I.L. di approvare il bilancio entro il 31 luglio dell'anno successivo, trattandosi di norma concernente l'organizzazione interna dell'ente ai fini contabili, la cui osservanza non può incidere sul rapporto privatistico di locazione dal quale nasce il credito per gli oneri accessori; Cass. III, n. 7184/2003, ribadendo che non può tenersi conto delle eventuali norme che dispongano l'approvazione dei consuntivi in epoca successiva a quella di chiusura della gestione annuale, le quali non sono idonee ad incidere sul rapporto privatistico di locazione dal quale nasce il credito per gli oneri accessori, Cass. III, n. 3988/2003, secondo la quale é manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della l. n. 841/1973 prospettata, in riferimento all'art. 3 Cost. e in relazione all'art. 2948 c.c., in ragione del diverso regime di prescrizione che la sua applicazione agli oneri accessori inerenti a locazione stipulata dallo I.A.C.P. comporta rispetto al regime di prescrizione applicantesi agli oneri accessori di locazione disciplinata dalla l. n. 392/1978, in quanto, sotto il profilo della disparità di trattamento, essa è logicamente errata nella premessa, ponendo a confronto situazioni oggettive la cui pur diversa regolamentazione giuridica, uniformemente applicata a tutti i soggetti giuridici, non determina discriminazione sociale, e la questione di costituzionalità risulta infondata sotto il profilo della ragionevolezza, giacché le situazioni giuridiche a confronto sono sostanzialmente disomogenee, stante la diversa natura stessa delle due obbligazioni, quella principale di pagamento del canone e quella aggiuntiva di pagamento degli oneri accessori; Cass. III, n. 1338/2000).

Per altro verso, l'interruzione della prescrizione si verifica solo a seguito di una comunicazione che possegga i caratteri della messa in mora o della formale richiesta di pagamento del credito, mentre non è necessario che la medesima richiesta contenga la specificazione analitica delle spese, in quanto tale obbligo nasce solo dell'iniziativa del conduttore, da esercitarsi nel termine di decadenza di due mesi dalla richiesta di pagamento (Trib. Roma 13 luglio 1992).

Per completezza, va precisato che esulano dalla previsione in parola i crediti derivanti da altri rapporti, connessi con la locazione, ma al di fuori della nozione di oneri accessori; ad esempio, con particolare riferimento al rimborso delle spese di registrazione del contratto, è stata ritenuta applicabile l'ordinaria prescrizione decennale, in considerazione che le stesse non possono essere considerate un corrispettivo della locazione, trattandosi di un adempimento fiscale (Pret. Milano 24 novembre 1986; Pret. Roma 30 agosto 1969).

Possibili ingerenze del conduttore

Come sopra delineato, anche se la tendenza della normativa vincolistica, in certo qual modo valorizzata dalla l. n. 392/1978, era quella di consentire una certa ingerenza del conduttore nell'amministrazione dei servizi comuni, con carattere più marcato per quel che concerne il riscaldamento, la posizione di esso rispetto al condominio è rimasta “estranea”, anche se, in concreto, potrebbero verificarsi zone di interferenze (se non, addirittura, di attrito).

Richiamando quando rilevato in precedenza, seppure non è configurabile un potere del conduttore di intervenire sulle “tabelle”, che possono essere modificate soltanto attraverso le decisioni dell'assemblea condominiale (e con le maggioranze prescritte), egli può dolersi per una ripartizione delle spese fatta in base a criteri di “evidente irrazionalità” (Cass. III, n. 4166/1974, con riferimento alle spese di riscaldamento); ne consegue che, anche se il condomino-locatore non ritenga di dovere contestare (nei confronti degli altri condomini) le tabelle macroscopicamente errate, non sembra potersi negare il diritto del conduttore a che la propria obbligazione sia limitata a quanto risultante da una ripartizione congrua.

Problematica analoga si pone ove si sia verificato errore di calcolo (od altro errore essenziale) nella predisposizione delle tabelle millesimali: in tal caso, l'obbligo del conduttore è da credere circoscritto all'utilità che effettivamente trae, restando affidato all'iniziativa del condomino-locatore il far valere l'errore ed ottenere la modificazione delle tabelle stesse; in ordine a tale tema, si era, peraltro, ritenuto che non possono qualificarsi essenziali gli errori determinati soltanto dai criteri più o meno soggettivi con i quali la valutazione dei singoli elementi, necessari per la stima, sia stata compiuta, in quanto l'errore di valutazione, in sé considerato, non può essere mai ritenuto essenziale (Cass. III, n. 1801/1964).

La possibilità di contestazioni appare maggiormente consistente in caso di mancanza delle tabelle millesimali – con conseguente gestione, per così dire, “familiare” del condominio – la cui mancata approvazione non può, d'altronde, costituire fonte di responsabilità a carico del condominio neppure sotto il profilo della omessa ripartizione interna delle spese condominiali tra i condomini e gli inquilini (Cass. III, n. 5686/1988).

Può, altresì, accadere che la condizione del conduttore assuma un qualche rilievo sulla suddivisione delle spese: in proposito, è stato, ad esempio, messo in luce che, per il servizio di acqua calda, ove non esista un contatore, la relativa spesa può essere “ripartita per il numero degli abitanti” (Terzago, 272); qualora si ritenga che la composizione della famiglia del conduttore rilevi per la suddivisione della spesa in questione, si deve conseguentemente ipotizzare l'obbligo del condomino-locatore di comunicare all'amministratore il numero delle persone che occupano l'appartamento.

Da ricordare, poi, che l'art. 63, comma 3, disp. att. c.c. – leggermente modificato dalla l. n. 220/2012, che non condiziona più il potere di autotutela dell'amministrazione all'esistenza di una disposizione del regolamento di condominio che lo autorizzi – prevede che, in caso di mora nel pagamento dei contributi potrattasi per un semestre, l'amministratore “può sospendere al condomino moroso l'utilizzazione dei servizi comuni che sono suscettibili di godimento separato”.

Riflessa nei rapporti locatore-conduttore, questa norma pone il quesito se sia scriminato il condomino-locatore il quale, dinanzi al mancato pagamento degli oneri accessori da parte del proprio conduttore, ometta a sua volta di corrispondere i contributi, rendendo attuabile una sospensione del servizio.

Si tratta di materia opinabile: sul punto, può rammentarsi una decisione di merito secondo la quale “va disattesa l'eccezione di inadempimento, in forza della quale il locatore pretende di non fornire il servizio di riscaldamento al conduttore, atteso che tale eccezione potrebbe fondatamente porsi nell'àmbito di un rapporto diretto ed autonomo di somministrazione, in cui fornitura del bene e pagamento del corrispettivo costituiscono le prestazioni, legate da vincolo sinallagmatico, dedotte in obbligazione, non già in relazione ad un contratto di locazione, in cui l'erogazione del riscaldamento deve essere considerata, piuttosto che oggetto di un'obbligazione distinta ed autonoma da quella primaria, come un aspetto accessorio della stessa, diretto a rendere più agevole e più comoda la realizzazione dell'utilitas principale che la casa di abitazione è destinata a dare” (Pret. Roma 14 gennaio 1974).

Da ricordare, altresì, che l'art. 1134 c.c. – anch'esso oggetto di lieve modifica ad opera della riforma della normativa condominiale, che ora si riferisce alle spese per la “gestione delle parti comuni”, anziché a quelle per le “cose comuni” – consente al singolo condomino di effettuare spese urgenti concernenti un servizio comune e di ottenere, poi, il rimborso di quanto anticipato: in proposito, è stato affermato che il concetto di spesa urgente deve interpretarsi nel senso di comprendervi tutte quelle spese che comunque appaiono, secondo il criterio di un bonus pater familias, indifferibili allo scopo di evitare un possibile, anche se non certo, nocumento, sul presupposto sempre dell'impossibilità di avvertire tempestivamente l'amministratore o l'assemblea, ossia gli organi istituzionalmente preposti a tali iniziative gestorie (v., ex multis, Cass. II, n. 18759/2016; Cass. II, 27159/2011; Cass. II, n. 9743/2010; Cass. II, 4364/2001; Cass. II, n. 7181/1997; Cass. II, n. 6400/1984; Cass. II, n. 5356/1977; Cass. II, n. 475/1972), puntualizzando che il concetto di urgente va considerato “con una certa elasticità” (così App. Perugia 19 dicembre 1971; v., da ultimo, Cass. II, n. 9280/2018, che distingue l'urgenza dalla mera necessità, poiché ricorre quando, secondo un comune metro di valutazione, gli interventi appaiano indifferibili allo scopo di evitare un possibile, anche se non certo, nocumento alla cosa, mentre nulla è dovuto in caso di mera trascuranza degli altri comproprietari, non trovando applicazione le norme in materia di comunione ex art. 1110 c.c.).

Orbene, data l'estraneità del conduttore ai rapporti condominiali, è da escludere che egli possa intervenire –salvo, eventualmente, il caso in cui ricorrano i presupposti per ipotizzare una gestione d'affari, ex art. 2028 c.c.sostituendosi al proprio locatore (condomino), per eseguire un lavoro urgente che interessa un servizio comune, evitando così l'interruzione dello stesso (ad esempio, quello dell'ascensore); si dovrebbe, infatti, pensare, per legittimare poi la richiesta di rimborso agli altri condomini, ad una sorta di “rappresentanza”, della quale i termini tendono a sfuggire, né appare facilmente delineabile un obbligo del locatore-condomino a tenere indenne il conduttore, rivalendosi poi sugli altri condomini.

In proposito, è stato puntualizzato che il conduttore di un immobile ad uso ufficio, posto al piano terreno di uno stabile ed insufficientemente riscaldato nonostante il regolare funzionamento dell'impianto centralizzato condominiale di riscaldamento, non può pretendere dal condominio la realizzazione di modifiche all'impianto esistente o di un nuovo impianto idoneo ad assicurare nei locali occupati temperature adeguate, né può vantare analogo diritto nei confronti del locatore, ai sensi dell'art. 1575 c.c., qualora la situazione lamentata dipenda dalle stesse caratteristiche originarie dell'impianto – di tipo “a pannelli radianti posati a pavimento” – e debba, quindi, considerarsi alla stregua di un vizio dell'immobile già esistente all'inizio della locazione (Pret. Milano 14 giugno 1991).

Singole tipologie

Qualora le parti non abbiano, con apposita clausola, regolato espressamente tale aspetto del rapporto – nell'ancora vigente art. 9 della l. n. 392/1978, che enumera analiticamente le spese accessorie che sono a carico del conduttore e del locatore – rispetto alla legislazione vincolistica, si introduce un elemento di qualificante novità, ponendo a carico del conduttore anche le spese concernenti la fornitura di “altri servizi comuni”, l'individuazione dei quali resta affidata all'elaborazione della giurisprudenza (segnatamente, di merito) tenendo conto delle variegate situazioni (per un'attenta disamina delle singole tipologie, v. Lazzaro, Di Marzio, 927).

L'abrogazione dell'art. 79 della l. n. 392/1978 ha reso, poi, legittimi patti differenti, stante la derogabilità del sistema; da ciò nasce il “regolamento per la determinazione dei costi e dei servizi delle spese degli immobili ad uso abitativo”, sottoscritto in data 22 luglio 1999 dalle Organizzazioni sindacali della proprietà (Arpe, Asppi –Appc, Confappi) e degli inquilini (Sunia, Sicet, Uniatconia), che, all'allegato G, indica una ripartizione tra la proprietà ed i conduttori del costo dei servizi e delle spese relativi alla gestione ed alla manutenzione degli immobili, precisando che, per quanto eventualmente non previsto, troveranno applicazione le disposizioni del codice civile.

L'applicazione di tale regolamento resta “limitata ai casi in cui lo stesso viene richiamato”: anche in tale evenienza, però, la relativa clausola pattizia rimane circoscritta agli “oneri accessori” veri e propri, mentre quella relativa ad altri elementi – come, ad esempio, la manutenzione straordinaria che attiene a tutt'altro elemento del rapporto – perde ogni vincolatività assoluta e deve essere ricondotta nella valutazione del giudice, riguardo alla singolarità della fattispecie, nella considerazione dell'equilibrio globale del sinallagma, come disegnato anche dal codice civile.

Non sembra, infine, sufficiente, per concretare l'impegno del conduttore, un generico richiamo al regolamento in parola, dovendo la relativa clausola contrattuale specificare le varie “voci” che vengono considerate dalle parti.

Pulizia

Il servizio di pulizia è costituito da quel servizio rivolto alle parti comuni dell'edificio condominiale che non sia effettuato dal portiere o dai condomini direttamente (con criterio turnario), bensì da un dipendente (“lavoratore”); in tal caso, si verte in tema di lavoro subordinato e, fra le spese gravanti sul conduttore, vanno ricomprese, oltre quelle per i materiali impiegati e per il compenso al medesimo lavoratore (stipendio e contributi previdenziali), quelle di assicurazione e di accantonamento per indennità di fine rapporto (Corda, Confortini, 74).

Il servizio de quo può essere del pari affidato in appalto ad apposite ditte, anche individuali, con l'avvertimento, però, che deve trattasi di impresa iscritta presso la Camera di commercio e che una tale scelta non deve dissimulare un rapporto di lavoro dipendente.

Nel servizio di pulizia, dovrebbe rientrare anche la disinfestazione (Monaco Sorge, 98) e la spalatura della neve (Saieva, 71).

Ascensore

Le spese di funzionamento dell'ascensore tendono sostanzialmente a coincidere con quelle di esercizio riguardando il relativo impianto nel suo “momento dinamico”, e raggruppando tutto ciò che è necessario perché il servizio possa svolgersi.

In quest'ottica, dovrebbero ricomprendersi le spese per i periodici controlli e verifiche stabiliti dalla legge, fra cui quelle dell'E.N.P.I. (contra, Pret. Milano 8 ottobre 1975), quelle relativa alla forza motrice (Pret. Milano 29 maggio 1976), quelle per il compenso di eventuale personale impiegato (ascensorista), mentre non dovrebbero annoverarsi quelle di manutenzione straordinaria, come, ad esempio, quelle di adeguamento alle direttive europee (d.m. n. 587/1987).

Rientra nell'ordinaria manutenzione anche tutto quanto riguarda l'impianto nel suo “momento statico”, ossia la tenuta in efficienza delle parti di maggiore usura, secondo un criterio di pratica normale, come il cambio delle funi (Cass. III, n. 2864/1960), il rifacimento del cuscinetto e l'eliminazione del gioco del gruppo elicoidale (Cass. III, n. 1826/1951), il cambio delle serrature (Cass. III, n. 363/1965), la normale pulizia e lubrificazione (Trib. Roma 22 febbraio 1962).

In pratica, occorre aver riguardo alla normalità dell'intervento, in considerazione della sua prevedibilità e del suo peso economico, dovendosi la “normalità” confrontare anche con tale aspetto (Trib. Napoli 16 giugno 1970).

Nel caso di esistenza della (oramai anacronistica) gettoniera – la cui installazione, non essendo riconducibile alle spese di funzionamento, fa carico al proprietario (Saieva, 78) – il relativo introito servirà a coprire le spese in questione ed eventualmente, in caso di supero, le altre spese di gestione del condominio.

Acqua e energia elettrica

Si tratta essenzialmente del corrispettivo dovuto periodicamente all'ente erogatore, sulla base dei consumi riferiti alle parti comuni dell'edificio: così, per l'illuminazione dell'androne e delle scale, riguardo all'energia elettrica, nonché, per la pulizia delle scale e dell'androne, per i lavatoi, per l'uso (estetico) di esistenti fontane, per l'innaffiatura dei giardini, ecc., riguardo all'acqua.

Quanto al resto, il conduttore resta vincolato a quelli che sono i criteri legittimamente adottati dal condominio del quale fa parte l'appartamento condotto in locazione: così, per quanto riguarda il consumo domestico dell'acqua, la ripartizione potrà essere effettuata a contatore (se essi sono stati predisposti), in parti eguali, in relazione al numero delle persone che compongono le varie famiglie, ecc.

Segnatamente relativamente all'energia elettrica, può condividersi l'osservazione che le spese seguono la “sorte dei beni cui servono” (Terzago, 299), sicché il consumo del “portiere” graverà sulle spese di portierato; quello per l'autoclave, sulle spese per la fornitura dell'acqua; quello per l'ascensore sulla relativa voce.

Va, tuttavia, avvertito che, se non sussiste siffatta distinzione sul piano concreto (con riferimento ad uno specifico condominio), sarà corretta la suddivisione delle spese per il consumo portato dall'unitaria bolletta ed il conduttore dovrà corrispondere quanto viene a gravare (sulla base del criterio adottato dal condominio) sull'immobile del quale ha il godimento.

Grava, altresì, sul conduttore – sotto il diverso profilo delle spese di piccola manutenzione – quanto speso per l'acquisto di disinfettanti o filtri di depurazione/decalcificazione per l'acqua, per la periodica pulizia dei serbatoi, nonché per la sostituzione di lampadine, temporizzatori, interruttori.

Riscaldamento e condizionamento

La dizione testuale dell'art. 9 della l. n. 392/1978 esclude che possano essere poste a carico del conduttore le spese per la “ordinaria manutenzione”, avendo voluto la legge limitare una tale previsione solo riguardo all'ascensore, e non potendo essa essere estesa ad ipotesi diverse per le quali resta fermo il principio codicistico per il quale il locatore è obbligato ad effettuare tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione poste a carico del conduttore (Trib. Roma 19 ottobre 1983; Pret. Milano 27 aprile 1983).

In tale prospettiva, vanno poste a carico del conduttore le spese per il combustibile, per l'energia elettrica necessaria al funzionamento dell'impianto, e per il compenso dovuto al personale eventualmente occorrente per la conduzione dello stesso.

Quanto agli interventi riparatori, analoga imputazione va fatta per quelle di modesto rilievo economico e la cui necessità derivi dall'uso: può accogliersi, in proposito, l'indicazione fatta dalla dottrina che considera la sostituzione di guarnizioni, puntine e filtri dei bruciatori, di lampadine e valvole elettriche, di interruttori, di termometri, di termostati, di pressostati, di idrometri, di galleggianti, ecc. (Saieva, 81); restano a carico del locatore tutti gli altri interventi di manutenzione ordinaria (delle caldaie, dei bruciatori, delle pompe) e straordinaria.

Nel caso di installazione ex novo dell'impianto – trattandosi di opera importante e (tenuto conto dell'attuale maniera di intendere l'abitazione) indilazionabile, necessaria a conservare all'appartamento la sua destinazione – al locatore competeva la “integrazione” del canone, ai sensi dell'art. 23 della l. n. 392/1978 (Preden, 129).

Analogamente, dovrebbe ritenersi per quanto concerne le spese per l'adeguamento dell'impianto imposto da disposizioni di legge.

Pozzi neri e latrine

Lo spurgo dei pozzi neri e delle latrine – indubbiamente al limite, sul piano concettuale, tra gli interventi di manutenzione sul bene locato e quelli conseguenti all'uso di determinati servizi – è posto dall'art. 1610 c.c. a carico del locatore.

La sua collocazione, immediatamente dopo la norma che disciplina le “piccole riparazioni a carico dell'inquilino”, mostra la preoccupazione del legislatore di risolvere ex autoritate una questione che avrebbe potuto innescare una certa litigiosità, anche in considerazione che, all'epoca, tale tipo di “impianto” presentava una certa frequenza.

La legislazione vincolistica (art. 19 della l. n. 253/1950) e l'art. 9 della l. n. 392/1978 hanno un pò ribaltato siffatta impostazione, sia per gli scarsi spazi lasciati all'autonomia delle parti nella determinazione del globale “prezzo” per il godimento dell'alloggio, sia per una certa tendenza a fare gravare sull'utente talune spese strettamente collegate alla fruizione di un determinato impianto.

È, quindi, da condividere la considerazione che, se lo stabile sia fornito di apposite apparecchiature per lo spurgo, gravano sul conduttore le spese tanto di funzionamento che di ordinaria manutenzione dell'impianto (Monaco Sorge, 103).

Tale soluzione può, inoltre, costituire una traccia per una diversa lettura dell'art. 1609 c.c., nel senso che – ferma comunque la valutazione del peso economico dell'intervento – al fine di stabilire le spese di manutenzione da porre a carico del conduttore questa dovrebbe essere riguardata “in senso funzionale”, con il conseguente allargamento dei casi in cui il costo degli interventi va posto a carico del conduttore.

Portierato

Il comma 2 dell'art. 9 della l. n. 392/1978 stabilisce che “le spese per il servizio di portineria sono a carico del conduttore nella misura del 90 per cento, salvo che le parti abbiano convenuto una misura inferiore”.

Orbene, la retribuzione per la prestazione del portiere – da ricondursi nell'alveo del rapporto subordinato – consta di varie voci, quali, ad esempio, il salario mensile, l'indennità di contingenza, gli scatti di anzianità, le indennità supplementari, la tredicesima mensilità, le assicurazioni sociali.

Si pongono, pertanto, taluni problemi sui quali conviene soffermarsi.

Avendo il trattamento di fine rapporto anche natura retributiva, il relativo carico grava proporzionalmente sui conduttori che si sono succeduti nel godimento dell'immobile nel periodo considerato, per cui rientra nelle spese de quibus, ripetibili nella misura del 90% dal locatore (Trib. Roma 22 marzo 2001), la quota di accantonamento per detta indennità.

Deve, poi, condividersi la tesi della non ripetibilità di maggiori somme ricollegabili a sanzioni, interessi moratori, risarcimento, ecc. derivanti da ritardi od omissioni da parte dell'amministrazione condominiale (Saieva, 68).

In senso contrario, tuttavia, si è espressa la giurisprudenza di merito (Trib. Napoli 12 aprile 1979), ad avviso della quale il conduttore deve rimborsare al locatore anche il maggior danno di cui all'art. 429 c.p.c. nel caso in cui il condominio, in un giudizio per crediti di lavoro promosso dal portiere, sia stato condannato anche a tale maggior danno.

Inoltre, rientrano nella nozione di retribuzione, il costo dell'alloggio (o un'indennità convenzionale qualora l'immobile ne sia privo) ed i consumi di energia elettrica e di acqua: tali spese fanno, quindi, carico (nella misura del 90%) al conduttore.

Sembra potersi opinare che, qualora il portiere occupi l'alloggio condominiale, il relativo costo possa essere calcolato nella “retribuzione” ai fini di ottenerne il rimborso da parte del conduttore (Monaco Sorge, 105; Saieva, 67).

Rientra ancora nella “retribuzione” la spesa per il riscaldamento dell'alloggio del portiere.

Per le spese del telefono, può optarsi – stante, un tempo, l'importanza di tale servizio, anche in rapporto all'utilità che può derivare ai singoli condomini dalla possibilità di comunicare facilmente con il portiere, anche se l'avvento dei cellulari ha reso tale questione quasi anacronistica – per la riconduzione fra le spese gravanti sul condominio (e, quindi, sul conduttore nella misura del 90%) di quelle relative al canone, e non pure di quelle concernenti il consumo.

È stato, altresì, ritenuto che rientrano tra le “spese di portineria” quelle concernenti la retribuzione della persona che sostituisce il portiere durante i periodi di assenza (Pret. Milano 22 luglio 1979); tale soluzione merita di essere condivisa alla luce dell'insegnamento del Suprema Corte, secondo il quale per il rapporto di lavoro del sostituto del portiere, ancorché persona appartenente al nucleo familiare del portiere titolare, trova applicazione la disciplina dell'art. 2126 c.c., con la conseguenza che l'obbligo di retribuire le prestazioni di fatto del sostituto è a carico del condominio dell'edificio destinatario delle stesse (Cass. lav., n. 6099/1991).

Appare abbastanza ovvio – v. anche supra – che, in relazione alla prestazione del servizio de quo, il conduttore ha il diritto di goderlo secondo un criterio di normalità; ne consegue che, ove il servizio di portierato non venga svolto dal relativo incaricato in maniera conforme alle prescrizioni e con la diligenza dovuta, il conduttore di un appartamento sito nell'edificio, al quale quel servizio si riferisce, può eccepire, nei confronti del proprietario-locatore, la sua inadempienza in relazione a quel servizio e chiedere giudizialmente di essere esonerato dal pagamento delle relative spese (Cass. III, n. 11388/1997).

In tale prospettiva, era stato reputato che, nel caso di più immobili con ingressi non comunicanti ed unica portineria, il conduttore fosse tenuto al pagamento solo delle incombenze effettivamente svolte dal custode, potendo il giudice stabilire criteri di ripartizione diversi da quello fissato nell'art. 9 della l. n. 392/1978, ove il servizio di portineria fosse espletato in modo inadeguato o in misura ridotta (Pret. Torino 30 gennaio 1985); siffatta interpretazione appare però disattesa dal giudice di legittimità, secondo il quale – qualora il proprietario di due o più palazzine contigue ne affidi, con apposito contratto di lavoro, la sorveglianza, la pulizia ed in genere i servizi ad una persona cui concede anche l'uso, per sé e per la sua famiglia, di un alloggio compreso in una di dette palazzine – il complesso di prestazioni e di attività che questa si impegna a svolgere integra un rapporto di portierato; in detta ipotesi, ancorché il controllo sulle persone che accedono alle palazzine non possa essere eseguito con la stessa intensità impiegata riguardo ad un unico edificio, il portiere è tenuto ugualmente a svolgere quell'attività all'interno dell'area in cui sono comprese le palazzine affidate alla sua custodia, vigilando – specialmente nei periodi diurni di maggiore rischio – secondo le precise indicazioni stabilite dall'unico proprietario o dall'assemblea condominiale ad integrazione delle prescrizioni contenute nel contratto collettivo, senza che gli sia vietato di svolgere limitate attività lavorative durante il periodo di servizio, purché nell'àmbito del comprensorio e sempre che compatibili con le modalità di esercizio della vigilanza stessa (Cass. III, n. 7257/1991).

Invero, riconosciuta la qualità di portiere pleno iure, diventa quasi impossibile individuare il quantum di vigilanza e di altre utilità del singolo abitante; basti pensare che la sola esistenza del servizio costituisce di per sé una garanzia di maggiore sicurezza, garanzia, ordine, e quant'altro (in una fattispecie particolare, Pret. Roma 22 agosto 1982 ha statuito che il conduttore d'immobile urbano, pur se appartenente ad un ente previdenziale, è tenuto a rimborsare al locatore le spese di portierato nella misura del 90%, in rapporto proporzionale al servizio di vigilanza nel caso in cui il portiere sia addetto a più condominii).

Per completezza, si ricorda che la giurisprudenza di legittimità ha affermato la carenza di giurisdizione dell'A.G.O. in ordine ai rapporti di lavoro in immobili di proprietà pubblica, stante l'inserimento del dipendente nell'organizzazione del datore di lavoro e la riconducibilità della sua attività (nella specie, di pulizia) nell'àmbito delle finalità pubblicistiche (Cass. S.U., n. 2316/1983).

Muovendo da tale presupposto, la dottrina ha posto il problema della natura del rapporto intercorrente tra i conduttori dell'immobile ed il “portiere”, osservando in particolare, che l'attività di costui si sostanzia nella custodia dell'immobile (svolta a favore del locatore) e nella vigilanza (svolta a favore degli utenti): si è, in particolare, rilevato che tali compiti sono scindibili, anche sulla base del C.C.N.L., “ove dispone che la disciplina propria dei portieri si applica solo in parte a quei lavoratori le cui mansioni consistono esclusivamente nella pulizia ed apertura del portone, senza avere l'obbligo di vigilanza” (Ferrone 1984, 100).

Nella situazione considerata, il portiere è assunto essenzialmente in vista del perseguimento dei fini dell'ente, fra i quali essenziale è quello della custodia del proprio patrimonio immobiliare; inoltre, sfuma quel vincolo in certo qual modo gerarchico che, in un normale condominio, esiste fra il lavoratore dipendente e l'amministratore, il quale – su segnalazione di taluno dei condomini o dei conduttori – può richiamarlo per quelle inosservanze ai propri obblighi in cui dovesse incorrere, nonché “impartire ordini o disposizioni, cioè di sostituirsi al locatore per quanto concerne l'opera di vigilanza”; la mancanza di tali presupposti comporta l'inapplicabilità dell'art. 9 della l. n. 392/1978, in cui “l'obbligo del rimborso si atteggia come correlativo all'effettiva prestazione del servizio di portineria” (così Ferrone, 102; v., altresì, anche se in maniera più dubitativa, Berruti, 102).

Tale indirizzo – che non ha trovato accoglienza in una pronuncia di merito, la quale ha ravvisato una sostanziale parità tra il portiere dipendente da ente pubblico e quello dipendente da proprietario privato (Pret. Roma 22 agosto 1982) – coglie indubbiamente talune anomalie del rapporto in questione, in cui certamente il portiere non è a “completo servizio” dei conduttori, ma, per taluni versi, tende a privilegiare la “custodia” (intesa lato sensu) dell'immobile e ad essere la longa manus dell'ente; sul piano economico, poi, gli emolumenti del dipendente sono generalmente superiori a quello che è il normale compenso per il portiere.

In tale situazione, certamente il conduttore è tenuto a contribuire ad un servizio del quale sotto molti profili (vigilanza, distribuzione della posta, pulizia, ecc.) gode, tuttavia, la relativa misura potrà essere nelle singolari situazioni adeguatamente proporzionata, anche in considerazione del principio che i servizi vanno rimborsati nell'àmbito di un criterio di adeguatezza e normalità.

Altri servizi comuni

La genericità della formula adoperata dal legislatore del 1978, all'art. 9, comma 1, in fondo, crea una sorta di “categoria residuale” che l'interprete deve tratteggiare e riempire di contenuto con riferimento alle concrete situazioni.

L'elencazione contenuta nell'art. 9 della l. n. 392/1978 deve, dunque, ritenersi, solo parzialmente tassativa, in quanto, con il sintagma “fornitura di altri servizi comuni”, si comprendono anche tutte quelle spese in qualche misura connesse al godimento della cosa locata (Cosentino, Vittucci, 241).

Orbene, tenendo conto che il condominio comporta la convivenza in un unico edificio di più famiglie, non necessariamente legate da alcun vincolo di parentela o di amicizia, con il crearsi di prassi che non possono lasciare estraneo il conduttore, si può opinare che il concetto di “servizio comune” tende ad acquistare una più pregnante valenza ed a coinvolgere alcuni adempimenti derivanti da consolidati usi dei cui benefici – a volte solo di migliori rapporti umani – l'utente dell'immobile (e cioè il conduttore) viene a godere.

Altre volte si tratta di benefici indiretti, nel senso che garantiscono all'utente la tranquillità per eventuali accadimenti incresciosi che abbiano a verificarsi, per cui appare riduttivo riguardare il “servizio comune” nell'unica, anche se più frequente, prospettiva di un'attività meramente materiale.

La valutazione caso per caso di una clausola convenzionale stabilita in tal senso dalle parti – che appare suggerita in una pronuncia di legittimità (Cass. III, n. 6088/1988) – potrebbe costituire la traccia per risolvere equamente i tanti minuti problemi, mentre, per altro verso, in ordine a tale profilo, dovrebbero valorizzarsi fortemente gli spazi che la “novella” del 1992 e, a fortiori, la l. n. 431/1998 hanno attribuito all'autonomia delle parti.

Impianti particolari

Anche quando non è particolarmente gravosa, è da escludere la riconducibilità a carico del conduttore della spesa che attiene – non all'esercizio, bensì – all'instaurazione di un determinato servizio: così è da dire per la messa in opera dell'antenna centralizzata (Pret. Milano 5 settembre 1979), o per la sua amplificazione (Pret. Taranto 4 dicembre 1981), per l'installazione dell'impianto di citofono o di videocitofono, per la posa delle cassette postali (la cui spesa è, di solito, suddivisa in parti uguali fra i condomini).

La manutenzione di tali impianti, invece, è generalmente “piccola” e derivante dall'uso, con la conseguenza che la relativa spesa fa carico al conduttore, ai sensi dell'art. 1609 c.c.

E ancora, se gli impianti sportivi sono oggetto di gestione separata, nel senso che sia previsto – di volta in volta o con altre modalità (ad esempio, abbonamento all'uso della piscina) – il pagamento del servizio da parte di chi lo utilizza, il conduttore avrà diritto di usufruire dell'impianto al pari di ogni altro condomino e non si porrà alcun problema di rimborso verso il locatore.

Qualora, invece, sia reso indistintamente, un tale servizio, indubitabilmente comune, verrà a gravare sul conduttore anche se non intenda usufruirne od in concreto non ne usufruisca, sempre se tale servizio preesista al sorgere del rapporto locatizio; se è instaurato successivamente, trattandosi di innovazione voluttuaria, il conduttore – che abbia fatto presente al locatore di non avervi interesse – sarà esonerato dalla relativa spesa.

Spese di amministrazione

La soluzione discende dalla configurazione che si dà alla nozione di “servizio comune” alla quale s'è fatto cenno: se, infatti, si ha riguardo alla comunità insediata nello stabile, è indubbio che l'attività dell'amministratore è, almeno in parte, finalizzata al soddisfacimento delle necessità degli abitanti e, quindi, dei conduttori.

Restando per altro verso un quantum di attività svolta esclusivamente a vantaggio del proprietario-locatore – il che comporta l'inaccettabilità del criterio di far gravare detta spesa per intero sul conduttore – appare da condividere la tesi della ripartizione della spesa in base all'utilizzazione del servizio medesimo, da calcolare percentualmente sulla base della suddivisione tra locatore e conduttore delle globali spese (Monaco Sorge, 112).

In ogni caso, non è nullo il patto con il quale dette spese siano poste, in tutto o in parte, a carico del conduttore (Cass. III, n. 6088/1988).

In senso decisamente restrittivo, tuttavia, confermando un indirizzo espresso nella vigenza del regime vincolistico, il giudice di legittimità (Cass. III, n. 2597/1984) ha statuito che le spese relative al compenso corrisposto all'amministratore del condominio – la cui specificazione analitica è ora imposta all'atto dell'accettazione della nomina e ad ogni rinnovo ai sensi del novellato art. 1129, comma 13, c.c. – e le spese sostenute dello stesso nell'esercizio della sua attività non rientrano tra gli oneri accessori che l'art. 9 della l. n. 392/1978 pone a carico del conduttore dell'immobile, sicché del relativo importo non può essere tenuto conto ai fini di accertare la sussistenza o meno della morosità del conduttore medesimo (Cass. III, n. 6216/1991; Cass. III, n. 2693/1991; contra, Trib. Napoli 13 gennaio 1984, secondo cui, a norma dell'art. 9 della l. n. 392/1978, gravano sul conduttore le spese dei servizi comuni, fra i quali rientra l'amministratore, le cui attribuzioni sono esercitate nell'interesse esclusivo o prevalente del conduttore).

In una peculiare fattispecie, si è, di recente, chiarito (Cass. III, n. 15482/2014) che, quando i canoni d'uso previsti per le aree asservite a parcheggio di edificio condominiale siano assimilati a canoni di locazione, sono i proprietari delle stesse a dover sopportare le spese di amministrazione condominiale (compenso per l'amministratore, spese per cartoleria e contabilità, ecc.), in quanto non ricomprese tra quelle che il conduttore deve rimborsare al locatore, il quale, diretto interessato all'attività di amministrazione e relativo mandante, ne sopporta per intero il carico, salvo diversa previsione contrattuale; ad analoghe conclusioni deve pervenirsi in relazione al “fondo di riserva” che – quale accantonamento per eventuali future spese condominiali – risponde all'interesse del condomino (locatore) di accantonare somme che consentano un'adeguata e tempestiva amministrazione del bene.

In relazione all'effettiva utilizzazione, dovranno, poi, ripartirsi le spese di cancelleria e di corrispondenza, mentre, per quelle di affitto della sala di riunione per l'assemblea, si deve avere riguardo all'oggetto della delibera alla luce del discrimen delineato dai commi 1 e 2 dell'art. 10 della l. n. 392/1978.

Si supera cosi – come è stato sottolineato (Saieva, 60) – quella “visione statica” ed ormai anacronistica dei rapporti condominiali, e si prende atto della nuova realtà caratterizzata, specie in un momento in cui si tende ad un contratto di lunga durata, dalla presenza attiva e dell'inserimento del conduttore nella vita condominiale.

Assicurazione

La soluzione va ricercata sulla base del rischio che l'assicurazione è destinata a coprire, ossia accertando che il rischio assicurato vada in tutto o in parte a beneficio del conduttore: se essa comprende, ad esempio, il furto delle auto ricoverate nell'autorimessa condominiale, i danni causati a terzi dalla caduta di vasi di fiori od altri oggetti, l'incendio della cosa locata (art. 1588 c.c.), è certamente valido il patto con il quale tali spese vengono poste (in parte) a carico dell'inquilino.

In tal senso, appare orientata sia una pronuncia di merito, secondo la quale l'importo del premio va posto a carico del locatore e del conduttore in parti eguali (Trib. Napoli 13 gennaio 1984; v., però, Trib. Roma 13 luglio 1992, ad avviso del quale le spese condominiali per l'assicurazione dell'immobile contro i rischi che può provocare ai terzi non sono a carico del conduttore, salvo patto contrario), sia la giurisprudenza di legittimità la quale mostra di pretendere un apposito patto, affidando al giudice la valutazione che esso non si risolva in un vantaggio per il locatore (Cass. III, n. 6088/1988).

Vigilanza notturna

Pur essendo pacifico che il servizio di vigilanza notturna rientri fra i servizi comuni, il cui costo il conduttore è tenuto a sopportare, in dottrina vi è divergenza sul quantum del contributo: taluno, infatti, nella considerazione che l'attività del vigilante notturno viene svolta esclusivamente a protezione delle persone e delle cose (e, quindi, a vantaggio del conduttore), opina che la relativa spesa debba far carico per intero a costui (Tamborrino, 46).

Altri, sottolineando l'“effettivo servizio di sorveglianza” che caratterizza anche i compiti del portiere e valorizzando la stretta analogia con il servizio di portierato, reputa che la spesa per il servizio de quo debba far carico anche al locatore, nella misura del 10% (Saieva, 70).

Giardinaggio

Il giardinaggio è un servizio presente in quei complessi immobiliari dotati di ampio giardino o parco che abbisogna di cura, pulizia, manutenzione, e quant'altro.

Le spese di esercizio sono costituite dalla retribuzione del relativo personale (o dal corrispettivo di un eventuale appalto), dall'acquisto di concimi e sementi, dal consumo di energia elettrica (per pompe, illuminazione, ecc.) e dell'acqua (ove abbia un contatore autonomo).

Gravano, invece, sul locatore quelle che concernono la posa in opera di impianti (ad esempio, di irrigazione o di illuminazione); anche l'acquisto dei necessari attrezzi è da ritenere faccia carico al locatore, non essendo riconducibile alla “fornitura” del servizio, bensì al mantenimento degli “impianti” che tale fornitura rendono possibile, e lo stesso dicasi per le piante da installare nel giardino.

Tasse e imposte

Sono necessarie alla prestazione del servizio, e quindi a carico del conduttore, talune prestazioni pecuniarie dovute all'ente pubblico: così le tasse per l'occupazione di suolo pubblico (ad esempio, per il passo carrabile che immette nell'autorimessa comune), ovvero i canoni per lo scarico in pubblica fognatura delle acque provenienti dal condominio, ai sensi della l. n. 319/1976.

Risultano, altresì, correlate alla conduzione dei locali a qualsiasi uso adibiti la tassa per la raccolta ed il trasporto dei rifiuti solidi e urbani, la tassa sugli scarichi fognari (in ordine alla T.A.S.I., v., di recente, l'art. 1, comma 14, l. n. 208/2015, c.d. legge di stabilità 2016, che distingue le quote a carico del possessore e dell'utilizzatore).

In particolare, si è affermato che la tassa dovuta per l'occupazione del suolo pubblico corrispondente al passo carraio va compresa negli oneri accessori posti per legge a carico del conduttore, rientrando nella categoria residuale prevista dall'art. 9 della l. n. 392/1978 e costituita dalla “fornitura di altri servizi comuni” (Trib. Milano 29 aprile 1996; nella stessa lunghezza d'onda, App. Milano 20 luglio 1999, secondo cui, in tema di passo carraio, rientra tra gli oneri accessori gravanti sul conduttore il rimborso al proprietario, formale intestatario dell'accesso, di quanto da quest'ultimo sborsato per la tassa di occupazione del suolo pubblico, strettamente collegata all'effettivo pieno godimento della cosa locata).

Spese non ripetibili

Restano a carico del locatore, non essendo comunque riconducibili alla prestazione di un servizio comune, le spese per l'ammortamento degli impianti, trattandosi di un deposito frazionato nel tempo di somme occorrenti per l'acquisto di nuovi impianti a seguito della vetustà di quelli in uso, effettuato nell'esclusivo interesse del locatore, tenuto a mantenere la cosa in stato da servire all'uso convenuto (Cass. III, n. 6088/1988; Pret. Milano 24 aprile 1982).

Analogamente, deve convenirsi riguardo al fondo cassa (o di riserva) per spese impreviste, trattandosi di un'erogazione anticipata di importi per interventi imprevisti, straordinari ed urgenti in genere facenti carico al locatore; inoltre, il conduttore non avrebbe la possibilità di esaminare le c.d. pezze giustificative delle spese che è tenuto a corrispondere e che, nella situazione considerata, non possono esservi; naturalmente, sino a quanto tale somma non venga impiegata in lavori straordinari, importanti ed urgenti, il locatore non ha diritto ad alcun interesse sulla somma accantonata.

Nel gruppo delle spese non ripetibili, vanno poste, infine, quelle relative alle quote di adesione ad associazioni di categoria (Monaco Sorge, 117; Saieva, 89).

Regalie

Le considerazioni svolte circa un più ampio significato da attribuire alla nozione di servizio comune inducono a credere che talune modeste spese, dovute a prassi instaurate – a volte anche dagli “abitanti”, in condominii in cui la maggior parte di essi siano conduttori – possano essere poste, con apposito patto (desumibile anche da un comportamento in tal senso o da mancanza di contestazioni) a carico del conduttore: così per mance al personale dipendente, omaggi floreali in occasione di nascite, matrimoni, ecc. (Saieva, 90; contra, Monaco Sorge, 117).

Aspetti processuali

Sul piano testuale, si può osservare che l'art. 5 della l. n. 392/1978, mentre per il mancato pagamento del canone fa riferimento alla “scadenza” – peraltro, in perfetta sintonia semantica con l'art. 658 c.p.c. – per quello concernente gli oneri accessori parla di “termine previsto”, comportando così la necessità di controllare la ritualità dei presupposti del credito (ad esempio, della richiesta, ex art. 9, comma 3): quindi, in ipotesi, il procedimento speciale dovrebbe essere esteso in via interpretativa (Cavallo, 1168).

Per altro verso – anche se relativamente alla competenza – era pacificamente sottolineata la diversità tra canone e oneri accessori (Cass. III, n. 5836/1992; Cass. III, n. 6212/1991; Cass. III, n. 4596/1990; Cass. III, n. 2353/1988; Cass. III, n. 5854/1982); in questa prospettiva, si era osservato che il procedimento di convalida di sfratto per morosità, di cui agli artt. 658 ss. c.p.c., è predisposto per i casi di “mancato pagamento del canone di affitto”, costituendo così un rimedio per l'inadempimento dell'obbligazione principale del conduttore, quella diretta cioè a compensare il locatore per il godimento da parte sua della res indicata in contratto; conseguenza di ciò era che detto procedimento non trovava applicazione in caso di mancato assolvimento degli “oneri accessori” gravanti sul conduttore, i quali non si traducono in compensi per il locatore, senza che il rito speciale della convalida possa essere utilizzato in via analogica per il divieto di cui all'art. 14 disp. prel. c.c., e restando la concessione del termine di grazia per il relativo pagamento, a norma dell'art. 55 della legge sul c.d. equo canone, attuabile anche in un ordinario giudizio di cognizione per la risoluzione del rapporto locatizio (Cass. III, n. 7745/1986; tra le pronunce di merito, ad avviso delle quali il procedimento per convalida di sfratto ex art. 658 c.p.c. è inammissibile qualora la morosità dedotta dal locatore riguardi unicamente gli oneri accessori, e non anche il canone di locazione, v. Trib. Monza – Desio 11 febbraio 2003; secondo Trib. Modena 28 dicembre 2001, l'intimazione di sfratto per morosità nel pagamento degli oneri accessori previsti a carico del conduttore nel contratto di locazione di immobile urbano destinato ad uso abitativo è preclusa, essendo riservato il procedimento sommario alla causa tipica dei canoni di locazione e non rilevando l'assenza dell'intimato e la mancata contestazione, in quanto spetta al giudice adito la verifica dei presupposti dell'azione intrapresa).

In senso decisamente opposto, è stato affermato – sempre dal giudice della nomofilachia – che gli artt. 5 e 55 della l. n. 392/1978 hanno introdotto relativamente alla gravità dell'inadempimento predeterminata ex lege, alla possibilità della sanatoria ed alla concessione del termine di grazia, un'equiparazione fra canone di locazione ed oneri accessori, con la conseguenza che anche la morosità per soli oneri accessori può essere dedotta in giudizio con lo speciale procedimento di convalida ex art. 658 c.p.c. (Cass. III, n. 10776/1993; Cass. III, 1835/1989; Cass. III, n. 6535/1987; Cass. III, n. 1066/1987).

Tale indirizzo ha trovato conforto in una pronuncia della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato infondata l'impugnativa dell'art. 5 della l. n. 392/1978 – formulata sull'assunto che il mancato pagamento degli oneri accessori, da parte del conduttore, non consentirebbe al locatore il ricorso al procedimento ex art. 658 c.p.c. – non consentendo il silenzio della norma di affermare l'esclusione della procedura di convalida di sfratto per morosità, aldilà della stessa dizione letterale dell'art. 658 c.p.c., anche nel caso di mancato pagamento degli oneri accessori (Corte cost., n. 377/1988).

Inoltre, analogamente a quanto affermato in tema di canone, è stato precisato che, quando dal locatore siano già state chieste in giudizio al conduttore le somme contrattualmente dovute per rimborso di spese condominiali, e quest'ultimo si sia reso moroso anche nel pagamento di ulteriori somme maturate dopo il bilancio consuntivo, l'estensione della domanda al pagamento degli ulteriori crediti determina non una mutatio, ma una emendatio libelli, rimanendo immutata la causa petendi (inadempimento dell'obbligazione contrattuale) già dedotta in giudizio ed essendo solamente ampliato il petitum inteso come oggetto mediato della domanda, che rimane inalterato nella sua individualità ontologica (Cass. III, n. 4165/1994).

Nello stesso ordine di concetti, si è statuito (Cass. III, n. 14961/2006; Cass. III, n. 2853/2005) che la diversa quantificazione o specificazione della pretesa, fermi i suoi fatti costitutivi, non comporta prospettazione di una nuova causa petendi in aggiunta a quella dedotta in primo grado e, pertanto, non dà luogo ad una domanda nuova, come tale inammissibile in appello ai sensi degli artt. 345 e 437 c.p.c., conseguendone l'ammissibilità in materia di locazione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 420 e 414 c.p.c., della domanda di pagamento (dei canoni e) degli oneri accessori maturati in corso di causa formulata in sede di precisazione delle conclusioni, risolvendosi essa in un mero ampliamento dell'istanza originaria che, mantenendo inalterati i termini della contestazione, incide solo sul petitum mediato, relativo all'entità del bene da attribuire, e determina, quindi, soltanto una modifica, piuttosto che il mutamento dell'originaria domanda.

Sul versante della competenza per valore, si è ribadito, di recente, che, in relazione alle pretese creditorie che hanno fonte in un contratto di locazione, ancorché di importo non eccedente il limite di cinquemila euro di cui all'art. 7, comma 1, c.p.c., deve escludersi la competenza del giudice di pace, trattandosi di materia da ritenersi riservata alla competenza del tribunale (Cass. III, n. 15639/2024:nella specie, si è affermata la competenza del tribunale in relazione ad azione di ripetizione di indebito relativa a oneri condominiali versati dal conduttore).

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