Legge - 27/07/1978 - n. 392 art. 6 - Successione nel contratto.

Massimo Falabella

Successione nel contratto.

In caso di morte del conduttore, gli succedono nel contratto il coniuge, gli eredi ed i parenti ed affini con lui abitualmente conviventi (1).

In caso di separazione giudiziale, di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso, nel contratto di locazione succede al conduttore l'altro coniuge, se il diritto di abitare nella casa familiare sia stato attribuito dal giudice a quest'ultimo.

In caso di separazione consensuale o di nullità matrimoniale al conduttore succede l'altro coniuge se tra i due si sia così convenuto (2) (3).

(1) La Corte costituzionale, con sentenza 7 aprile 1988, n. 404,  ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui non prevede tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio.

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 7 aprile 1988, n. 404, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui non prevede che il coniuge separato di fatto succeda al conduttore, se tra i due si sia così convenuto.

(3) La Corte costituzionale, con sentenza 7 aprile 1988, n. 404, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo, nella parte in cui non prevede la successione nel contratto di locazione al conduttore che abbia cessato la convivenza, a favore del già convivente quando vi sia prole naturale.

Inquadramento

L'art. 6 della l. n. 392/1978 prevede e regolamenta distinte fattispecie di trasferimento della posizione contrattuale facente capo al conduttore: quella che si attua mortis causa, e che porta alla successione nella locazione dei congiunti o degli eredi del defunto, e quelle, integranti vere proprie forme di cessione legale del contratto, che si attuano inter vivos in ragione di situazioni sopravvenute incidenti sul vincolo matrimoniale contratto dallo stesso locatario, ma anche sulla convivenza more uxorio da lui intrapresa, secondo quanto stabilito dall'intervento additivo della Corte Costituzionale di cui si dirà. Le singole disposizioni sono espressione dell'intento di assicurare stabilità al nucleo familiare insediato nell'immobile: intento che il legislatore ha voluto realizzare attraverso quella che, con forma ellittica, la rubrica dell'articolo, denomina, appunto, “successione nel contratto”.

La successione mortis causa nella locazione abitativa: i successibili

Prendendo in esame il profilo attinente alla vera a propria successione mortis causa, occorre muovere dalla premessa per cui la locazione, secondo una regola di carattere generale, non cessa per il decesso di una delle sue parti. Vale ricordare, in proposito, che l'art. 1614 c.c. conferisce agli eredi dell'inquilino il potere di recesso dal contratto, così confermando l'applicabilità del richiamato principio alla locazione.

La peculiarità della successione nella locazione ad uso di abitazione è da rinvenire nel fatto che la trasmissione del rapporto locatizio si opera in capo a soggetti che possono non avere la qualità di eredi: il fenomeno è riconducibile a quello delle c.d. vocazioni anomale. Queste sono disposte da norme particolari che individuano ipotesi di successione in diritti reali o in rapporti obbligatori in deroga alle regole successorie ordinarie (Gabrielli, Padovini, 745): nel caso in esame la vocazione anomala consente il subentro nel rapporto di locazione ad uso abitativo a soggetti che possono non essere eredi del conduttore. Tale trasmissione è stata qualificata legato ex lege di posizione contrattuale (Gabrielli, Padovini, 749; è da sottolineare che la dottrina esclude, invece, che sia possibile l'istituzione testamentaria di un legato avente ad oggetto il contratto di locazione, giacché un contratto non può formare oggetto di disposizione mortis causa a titolo particolare, ma solo di successione: Tabet, 596).

La scelta del legislatore del 1978 non ha l'attributo della novità. Già l'art. 1, comma 4, della l. n. 253/1950 aveva riconosciuto il diritto alla proroga al coniuge, agli eredi, ai parenti e agli affini del defunto che fossero abitualmente conviventi con questo; in seguito, sempre nel quadro della legislazione vincolistica, l'art. 2-bis della l. n. 351/1974 aveva ristretto l'àmbito dei successibili al coniuge e ai parenti entro il secondo grado, anagraficamente conviventi, escludendo in tal modo gli eredi e gli affini.

L'articolo in commento, al comma 1, riammette questi ultimi tra i successibili, prevedendo che in caso di morte del conduttore, gli succedono nel contratto il coniuge, gli eredi ed i parenti ed affini, sempre che siano stati (non più anagraficamente, ma) abitualmente conviventi con lui.

Per i parenti non è prevista alcuna limitazione, onde il vincolo rileva fino al sesto grado, secondo la regola posta dall'art. 77 c.c. Manca pure alcuna restrizione quanto agli affini, il cui grado è stabilito secondo il criterio posto dall'art. 78, comma 2, c.c.: è da ricordare che il vincolo di affinità viene meno con la declaratoria di nullità del matrimonio, ma non cessa con la morte (art. 78, comma 3, c.c.) e, secondo la giurisprudenza, nemmeno con lo scioglimento del matrimonio (Cass. I, n. 2848/1978, in materia di obbligo alimentare).

Con riferimento alla posizione del coniuge, si è precisato, in giurisprudenza, che il matrimonio celebrato da cittadini italiani all'estero secondo le forme ivi stabilite, ed anche il matrimonio celebrato all'estero in forma religiosa, ove per tale forma la lex loci riconosca gli effetti civili (sempre che sussistano i requisiti sostanziali relativi allo stato ed alla capacità delle persone previsti dal nostro ordinamento) è immediatamente valido e rilevante nell'ordinamento italiano con la produzione del relativo atto, anche al fine di far valere il diritto di succedere al coniuge defunto nel contratto di locazione dell'abitazione a lui intestato, indipendentemente dall'osservanza delle norme italiane relative alla pubblicazione, che possono dar luogo solo ad irregolarità suscettibili di sanzioni amministrative, ed alla trascrizione nei registri dello stato civile, la quale (a differenza del caso del matrimonio concordatario) ha natura certificativa e di pubblicità, e non costitutiva (Cass. I, n. 3599/1990).

Quanto agli eredi, rilevano ovviamente sia quelli testamentari che quelli legittimi, ed essi succedono nel contratto indipendentemente dal fatto di essere parenti o affini del conduttore con cui convivono.

Come in precedenza accennato, occorre poi ricordare l'estensione della categoria dei successibili al convivente more uxorio del conduttore: estensione che è stata operata attraverso l'intervento della Corte costituzionale che, ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l'art. 6, comma 1, della l. n. 392/1978 nella parte in cui non includeva tale soggetto tra quelli che hanno titolo a subentrare nella locazione in caso di decesso del locatario. Il giudice delle leggi ha avuto modo di sottolineare, nell'occasione, come il legislatore del 1978, abbia inteso tutelare non la famiglia nucleare, né quella parentale, ma la convivenza di un aggregato esteso fino a comprendervi estranei – potendo tra gli eredi esservi estranei – i parenti senza limiti di grado e finanche gli affini, facendosi così interprete di quel dovere di solidarietà sociale, che ha per contenuto l'impedire che taluno resti privo di abitazione, e che nella norma in commento si specifica in un regime di successione nel contratto di locazione, destinato a non privare di una abitazione, immediatamente dopo la morte del conduttore, il più esteso numero di figure soggettive: e ciò anche al di fuori della cerchia della famiglia legittima, purché gli interessati siano stati abitualmente conviventi col conduttore. Spiega la Corte che, tale essendo la ratio legis, è irragionevole che nell'elencazione dei successori nel contratto di locazione non compaia chi sia stato legato nella stabile convivenza more uxorio al titolare originario del contratto. L'art. 3 Cost. è stato dunque invocato dalla Corte non per la sua portata eguagliatrice, restando comunque diversificata la condizione del coniuge da quella del convivente more uxorio, ma per la contraddittorietà logica della esclusione di un convivente dalla previsione di una norma che intende tutelare l'abituale convivenza. E al pari dell'art. 3, il giudice delle leggi ha reputato violato l'art. 2 della carta fondamentale, avendo riguardo al diritto fondamentale che nella privazione del tetto è direttamente leso (Corte cost., n. 404/1988).

L'ampliamento dell'area dei successibili al convivente more uxorio trova, quindi, fondamento nel richiamato intervento additivo che opera il superamento del dato normativo, incentrato sulla tassatività dell'elencazione dei soggetti di cui all'art. 6, comma 1: tassatività che fino a pochi anni prima aveva impedito alla Corte di Cassazione di ricomprendere il detto convivente tra coloro che avrebbero avuto diritto a subentrare nella locazione in caso di morte del conduttore (v., infatti, Cass. II, n. 7392/1986 e Cass. III, n. 7133/1983).

Il subentro tra persone legate da una relazione omosessuale è oggi desumibile muovendo dalla l. n. 76/2016 la quale ha stabilito, al comma 20 dell'art. 1, che, al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. Ne discende che la successione prevista dall'art. 6, comma 1, della l. n. 392/1978, che individua tra i successibili, per l'appunto, il coniuge, debba trovare applicazione anche nel caso di morte di uno dei componenti dell'unione civile.

Di diverso tenore è, con riferimento alla successione nella locazione, la portata dell'intervento legislativo del 2016 per quanto concerne le semplici convivenze.

È stato rilevato, su di un piano generale, come la l. n. 76/2016, sia ispirata a due principi radicalmente divergenti: per le unioni civili, l'estensione sostanzialmente lineare della disciplina dedicata al coniuge superstite; per le convivenze, l'individuazione di alcune rarefatte figure di nuove vocazioni anomale legali; sicché, si è detto, la scelta ha finito per privilegiare la continuità normativa rispetto al diritto positivo vigente e ha preferito la rinuncia a soluzioni innovative (Padovini, 1817).

Con riferimento alla casa di abitazione la l. n. 76/2016, all'art. 1, comma 42, prevede, che, salvo quanto previsto dall'art. 337-sexies c.c., in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha il diritto di continuare ad abitare nella stessa per un dato periodo (per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni; per un periodo non inferiore a tre anni ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite). Il legislatore ha voluto così assicurare il diritto della convivente o del convivente al godimento dell'alloggio in caso di morte della compagna o della compagna che ne fosse proprietario, con ciò ampliando il diritto che quel soggetto avrebbe potuto già aver conseguito in ragione dell'assegnazione della casa familiare a seguito di cessazione della convivenza (di qui la clausola di salvezza dell'art. 337-sexies).

Pare dunque che la posizione del convivente di fatto esca nel complesso rafforzata dal nuovo intervento legislativo, e ciò proprio in quanto occorre considerare l'ipotesi in cui l'abitazione familiare fosse fissata in un immobile di proprietà del convivente di fatto deceduto: immobile nel quale potrà ora continuare ad abitare il convivente superstite, sebbene per il limitato periodo temporale previsto dal citato comma 42 dell'art. 1 (Bonilini, 989).

Il subentro nella locazione, con riferimento alle convivenze di fatto, è regolato dal comma 44 dell'art. 1 della l. n. 76/2016: Questo dispone che “[n]ei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto”. La previsione nella sostanza sembra replicare, con riferimento all'ipotesi del decesso del conduttore, quella dell'art. 6, comma 1, per come risultante dall'intervento additivo della Corte Costituzionale del 1988.

Non è, tuttavia, ben chiaro come debba intendersi la locuzione che attribuisce rilievo alla “facoltà del convivente di succedere: per certo, se la norma fosse da intendere nel senso che l'interessato debba manifestare al locatore la propria volontà di subentrare nella locazione, la disciplina contenuta nel comma 44 citato divergerebbe da quella più generale, di cui all'art. 6, comma 1, della l. n. 392/1978, nella misura in cui si ritenga che quest'ultima disposizione programmi una successione automatica.

Una questione particolare si pone nell'ipotesi in cui al momento del decesso del locatario non vi siano soggetti titolati a succedere nella locazione a norma dell'art. 6, comma 1: il problema è, dunque, quello dell'ammissibilità di una successione dell'erede non convivente secondo le regole ordinarie.

Secondo una parte della dottrina, in mancanza di eredi, parenti e affini che abbiano convissuto con il conduttore, riprenderebbe vigore la disciplina di diritto comune in materia di successione ereditaria, che conserverebbe, pertanto, una portata applicativa residuale (Bozzi, 58; Cosentino, Vitucci, 355; Bucci, Malpica, Redivo, 336). In base a questo indirizzo, la deroga alle regole successorie ordinarie opererebbe non incondizionatamente, ma nei soli casi in cui trovi concreto riscontro applicativo la norma speciale: ove non vi siano eredi, parenti e affini che abbiano convissuto con il conduttore si riespanderebbe la disciplina codicistica. È stato sottolineato, in particolare, che la norma di carattere generale di cui all'art. 1614 c.c. non risulterebbe abrogata per una sua incompatibilità con l'art. 6, comma 1, il quale, come norma speciale, avrebbe precedenza rispetto alle norme di carattere generale, senza tuttavia escludere che, in mancanza dei legatari ex lege, possano succedere nella locazione i soggetti che siano chiamati secondo i principi generali; né lo sarebbe per una nuova regolamentazione dell'intera materia, in base all'ultima delle ipotesi previste dall'art. 15 delle preleggi, dal momento che difetterebbe una nuova disciplina globale delle successioni e delle locazioni (Gabrielli, Padovini, 754).

Di segno opposto è l'opinione per cui, in assenza dei soggetti individuati dall'art. 6, comma 1, il rapporto si estinguerebbe (Di Nicola, 189; Izzo, 2380; Lazzaro, Di Marzio, 411). Si è attribuito in tal senso rilievo al fatto che la legge del 1978, con l'art. 6, esprimerebbe la volontà che continui ad essere in vita un tipo speciale di contratto, quello di locazione ad uso abitativo, il quale non dovrebbe subire modificazioni nel suo regime giuridico nel trapasso dal conduttore defunto ai soggetti legittimati a succedere: laddove la morte del conduttore e l'assenza dei soggetti previsti dall'art. 6 determinerebbe, per presunzione di legge, proprio il venir meno ipso jure di quel tipo di contratto (Trifone, 515).

La questione è stata risolta dalla giurisprudenza di legittimità in senso conforme a questo secondo indirizzo; si è così affermato che l'art. 6 della l. n. 392/1978 ha compiutamente disciplinato la materia della successione nel contratto di locazione per uso abitativo nel caso di morte del conduttore, escludendo l'applicabilità dell'art. 1614 c.c. ai rapporti assoggettati alla nuova e diversa disciplina, con la conseguenza che, in mancanza delle altre persone in favore delle quali l'art. 6 citato prevede la successione nel contratto di locazione, gli eredi del conduttore possono subentrare nel rapporto locativo solo se con quest'ultimo conviventi (Cass. III, n. 6965/2001; Cass. III, n. 3074/1995; Cass. III, n. 4767/1992; Cass. III, n. 11328/1990).

Contrario è l'avviso espresso, tra i giudici di merito, da Trib. Firenze 15 maggio 2012, secondo cui ove manchino i presupposti applicativi dell'art. 6 della l. n. 392/1978, il rapporto di locazione si trasferirebbe agli eredi del conduttore secondo il meccanismo, ancora operante, previsto dall'art. 1614 c.c.

Seguendo la soluzione indicata dalla Cassazione, si delinea il problema delle azioni esperibili dal locatore nei confronti dell'erede non convivente che manchi di restituire l'immobile a seguito del decesso del conduttore e, quindi, dell'estinzione del rapporto locatizio. Ci si può domandare, in proposito, se cessando il contratto di locazione con il decesso del conduttore in assenza di successibili ex art. 6, comma 1, della l. n. 392/1978, gli eredi che non abbiano convissuto col defunto siano tenuti ad adempiere, nei confronti del locatore, quali successori dell'originario locatario, all'obbligazione di cui all'art. 1590 c.c., e rispondano, pertanto, a titolo di responsabilità contrattuale, del mancato rilascio, oppure se la loro responsabilità per tale omessa restituzione sia di natura aquiliana, in ragione della loro estraneità al rapporto locatizio, in cui non sono subentrati.

La giurisprudenza di merito, occupandosi della questione, ebbe in passato ad osservare che l'erede non convivente viene a trovarsi in una relazione di mero fatto con la cosa locata, che non può detenere in maniera qualificata ma che mantiene presso di sé eventualmente senza titolo, per fatto proprio originario, non essendo legittimato dalla legge a succedere nel rapporto: dunque l'obbligo alla restituzione della cosa locata, che gravava sul de cuius quale obbligazione contrattuale ai sensi dell'art. 1590 c.c. si profilerebbe, nei confronti dell'erede non convivente, quando la cosa locata passi nella sfera dispositiva effettiva del chiamato all'eredità in base e per effetto di un reale godimento dell'immobile, diretto (in forza del fatto che il detto erede lo comincia ad abitare o ne trattiene indebitamente le chiavi astenendosi dal consegnarle al locatore a lui noto) o indiretto (perché ad esempio l'immobile viene sublocato a terzi), alla stregua dei principi generali del neminem laedere e nell'ambito della responsabilità aquiliana ricadente su chiunque ponga in essere un comportamento doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto. L'illecita detenzione dell'immobile già locato da parte dell'erede, allora, obbligherebbe questi al risarcimento di un danno, da parametrarsi indicativamente al valore locativo del bene, non tanto a norma dell'art. 1591 c.c., quanto in base ai principi in tema di responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2043 c.c. e di arricchimento senza causa (Trib. Roma 8 giugno 1992).

La Cassazione è pervenuta a conclusioni analoghe con riguardo al titolo di responsabilità (extracontrattuale, e non contrattuale) imputabile all'erede non convivente. È stato osservato che l'erede non convivente del conduttore di immobile adibito ad abitazione non gli succede nella detenzione qualificata: poiché il titolo si estingue con la morte del titolare del rapporto, analogamente al caso di morte del titolare dei diritti di usufrutto, uso o abitazione, egli è da considerare un detentore precario della res locata al de cuius, sıcché nei suoi confronti sono esperibili le azioni di rilascio per occupazione senza titolo e di responsabilità extracontrattuale (Cass. III, n. 6965/2001). Analogamente ad ogni situazione in cui il possesso o la detenzione del de cuius si trasferisce, necessariamente modificata, in detenzione precaria, all'erede, l'obbligo di restituzione dell'immobile locato, che sarebbe gravato sul de cuius in virtù del titolo contrattuale ai sensi dell'art. 1590 c.c., assume nei confronti dell'erede non convivente la qualificazione di obbligazione di natura extracontrattuale connessa ad una detenzione senza titolo, che – benché non derivante da autonomo comportamento dell'erede, ma conseguente al semplice subingresso nella sfera giuridica complessiva del suo dante causa, dal momento dell'apertura della successione – legittima nei confronti del detentore senza titolo la pretesa restitutoria del locatore (Cass. III, n. 6965/2001). Il principio per cui contro l'erede non convivente del conduttore, che è un detentore precario dell'immobile già locato al de cuius, sono esperibili le azioni di rilascio per occupazione senza titolo e di responsabilità extracontrattuale è stato ribadito, di recente, da Cass. VI, n. 26670/2017.

Tale impostazione ha portato poi a ritenere essere non proponibile nei confronti dell'erede non convivente l'azione per la convalida di sfratto per finita locazione. Infatti, l'azione ex art. 657 c.p.c., al pari dell'azione di risoluzione del contratto di locazione in via ordinaria, presuppone la qualità di conduttore nel soggetto passivo: qualità che manca a soggetti diversi da quelli previsti dal citato art. 6 della legge sull'equo canone (Pret. Milano 17 dicembre 1983). Ed è stato pure sottolineato che la verifica circa il corretto esercizio dell'intimazione in relazione al ristretto ambito di applicazione dello speciale procedimento, avendo riguardo al profilo indicato, vada operato d'ufficio dal giudice, anche in mancanza di contestazione da parte dell'intimato (Pret. Salerno 13 dicembre 1995).

Contrastanti risultano essere, invece, i responsi forniti dalla giurisprudenza riguardo all'ammissibilità dell'azione di spoglio che il locatore, non rientrato nella disponibilità dell'immobile, intenda esperire nei confronti dell'erede non convivente. Secondo un primo arresto, l'erede del conduttore, in assenza degli altri soggetti aventi titolo a succedere ex art. 6, comma 1, della legge dell'equo canone, pur non subentrando ex art. 1614 c.c. nel rapporto di locazione, non viene privato, dal momento della morte del conduttore originario, di qualsiasi relazione di fatto con l'immobile, poiché questa, comunque, permane nella forma di detenzione precaria, che non consente nei suoi confronti l'esercizio dell'azione di spoglio del locatore (Pret. Salerno 30 novembre 1984). In senso opposto, si è sostenuto essere fondata l'azione di spoglio proposta dal locatore nei confronti di chi abbia occupato l'immobile detenuto in vita a titolo di locazione dal proprio genitore: ciò in quanto il fatto di essere erede del conduttore non importa automaticamente (a prescindere dal requisito della convivenza con il defunto) l'esistenza o la supposizione di un titolo abitativo (Pret. Capri 31 dicembre 1990).

Il decesso del conduttore

Il comma 1 dell'articolo in commento regolamenta il subentro nella locazione in ragione della morte del conduttore e non vi è spazio per un'estensione della norma a ipotesi diverse rispetto a quella indicata: tanto più ove si ricostruisca la trasmissione della posizione contrattuale in termini di vocazione anomala, e quindi come forma speciale di successione mortis causa che si attua attraverso un legato ex lege della posizione stessa.

Non sono mancate, tuttavia, opinioni diverse.

Si è così ritenuto, in passato, che la norma di cui all'art. 6, comma 1, della l. n. 392/1978, in quanto espressione del più generale principio di tutela del nucleo familiare contenuto nel nostro ordinamento giuridico positivo, sarebbe applicabile analogicamente anche a tutti gli altri casi in cui il nucleo familiare verrebbe a trovarsi sfornito di adeguata tutela, indipendentemente dalla propria volontà, a causa di situazioni imprevedibili che non farebbero ritenere più titolare del contratto il conduttore membro della famiglia (sono i casi del conduttore condannato all'ergastolo, ovvero ricoverato in permanenza perché affetto da una grave malattia mentale, o ancora dell'abbandono della famiglia, da parte dello stesso conduttore, che si trasferisca definitivamente all'estero prendendo anche la cittadinanza straniera) (Trib. Asti 25 febbraio 1984).

Il tema dell'abbandono dell'immobile da parte del conduttore è stato preso in esame dalla Corte costituzionale, cui è stato richiesto di pronunciarsi sulla conformità dell'art. 6, comma 1 – nella parte in cui non prevede la successione nel contratto dei parenti ed affini del conduttore, con lui abitualmente conviventi, nell'ipotesi di abbandono dell'immobile o di recesso dal contratto, da parte del conduttore – agli artt. 2 e 3 della carta fondamentale. La questione è stata risolta nel senso della sua infondatezza. Secondo il giudice delle leggi, il diritto all'abitazione tende ad essere realizzato in proporzione delle risorse della collettività: solo il legislatore, rapportando disponibilità ed interessi, nonché mezzi, ai fini, può costruire fattispecie giustiziabili espressive di tali diritti fondamentali. In siffatta prospettiva, secondo la Corte, sarebbe contrario alla ratio legis consentire la successione nella locazione di parenti od affini del conduttore ove questi receda dal contratto o volontariamente abbandoni l'immobile: il diritto del locatore verrebbe infatti compresso da comportamenti non necessitati quando non arbitrari del conduttore. È stato osservato che, del resto, la creazione di nuove situazioni soggettive provocherebbe un'anomala circolazione delle abitazioni, ulteriormente riducendo l'offerta di alloggi in locazione e che ciò contrasterebbe con l'esigenza di riordino del mercato abitativo che la stessa Corte, con la sentenza n. 1028/1988, aveva auspicato potesse realizzarsi “nel quadro di un intervento globale sui settori dell'edilizia pubblica e privata (postulato dal legislatore del 1978, v. Cass. n. 252/1983), idoneo ad incrementare l'offerta di alloggi a canoni economicamente sopportabili” (Corte cost. n. 252/1989).

Si è obiettato che un tale responso non risulterebbe coerente con la pronuncia n. 404/1988 della stessa Corte, che ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 6, comma 3, della l. n. 392/1978 nella parte in cui non prevede la successione nel contratto di locazione al conduttore che abbia cessato la convivenza a favore di già convivente, quando vi sia prole naturale: in particolare, il convivente more uxorio separato di fatto con prole subentrerebbe nel contratto, mentre un trattamento diverso sarebbe riservato ai figli conviventi del genitore vedovo che decida di risposarsi e si allontani dall'immobile; in tal modo, da un lato si equipara la famiglia di fatto a quella legittima, mentre, dall'altro, non si riconosce eguale diritto alla famiglia intera legittima, la cui tutela non dovrebbe esaurirsi nella protezione del coniuge, ma anche dei parenti più stretti (De Tilla, 1273).

È da osservare che, in ogni caso, l'allontanamento del conduttore dall'alloggio, se non giustifica una successione del convivente nel contratto, nemmeno determina necessariamente la risoluzione per inadempimento del contratto di locazione. Si è in proposito evidenziato che, una volta stipulato validamente il contratto, le cause di risoluzione dello stesso debbano essere ricercate tra quelle previste in via ordinaria dagli artt. 1453 ss. c.c., nelle pattuizioni contrattuali o nei divieti previsti dalla legge speciale (come l'art. 2 della l. n. 392/1978 in tema di sublocazione totale), senza che possa ritenersi, sulla base delle disposizioni in tema di locazioni abitative, l'esistenza di un motivo di risoluzione diverso, basato unicamente ed automaticamente sulla circostanza che la persona del conduttore più non abita stabilmente nell'immobile (Trib. Roma 5 luglio 1990: nella fattispecie, a seguito dell'abbandono dell'immobile da parte del conduttore, la figlia dello stesso e il marito, che già convivevano col detto locatario, avevano continuato ad occupare l'alloggio senza mutarne la destinazione d'uso, senza sublocarlo e senza “cedere” ad altri il contratto).

La pluralità dei conduttori non impedisce la vicenda successoria nel caso in cui ne venga a mancare uno soltanto: per la precisione, allorché muoia il conduttore gli succedono nel contratto, a norma dell'art. 6 della l. n. 392/1978, gli eredi ed i parenti e affini con lui abitualmente conviventi, sia nell'ipotesi in cui il defunto fosse l'unico titolare del contratto, sia nell'eventualità che lo stesso fosse contitolare con altri del rapporto stesso (Cass. III, n. 6910/1995). La Suprema Corte ha osservato, in proposito, che in tanto i congiunti conviventi con il defunto contitolare del rapporto di locazione sono tutelati nella loro aspettativa di non dover abbandonare l'alloggio a seguito della morte del loro dante causa, in quanto possano far valere tale pretesa sia nei confronti del locatore, sia (e soprattutto) nei confronti degli altri contitolari del superstite rapporto di locazione: in tale prospettiva, la tesi che nega il subentro risulterebbe incompatibile con lo scopo della norma e renderebbe il successore semplice “ospite” dell'altro conduttore, il quale, pertanto, potrebbe, in qualsiasi momento allontanarlo dall'abitazione.

La convivenza.

L'art. 6, comma 1, esige che i successibili siano “abitualmente conviventi” col conduttore che muore.

Il requisito della convivenza riguarda tutte le categorie di soggetti menzionate dalla norma: è difatti escluso che essa sia riferita ai soli parenti e affini, come pure potrebbe far pensare la congiunzione “ed” che separa l'indicazione di questi dagli altri successibili (Pret. Milano 17 dicembre 1983).

Nell'accezione generalmente condivisa in dottrina la convivenza postula, sul piano oggettivo, l'esistenza di vincoli tali da determinare una comunanza di vita domestica e, sul piano soggettivo, l'intenzione di dimorare stabilmente sotto lo stesso tetto (Bozzi, 60; Militerni, 37; Cosentino, Vitucci, 355; Dogliotti, Figone, 282). In tal senso, la convivenza va distinta dalla mera coabitazione, che ha carattere precario e occasionale (Cosentino, Vitucci, 355; Militerni, 37; Bucci, Malpica, Redivo, 334).

Nondimeno, vi è senz'altro convivenza, ai fini della successione programmata dall'art. 6, comma 1, in presenza di interruzioni, anche frequenti, della convivenza, come quelle che possono essere determinate da ragioni di lavoro, di studio o di assolvimento di pubblici doveri (Cosentino, Vitucci, 355). Si richiede, poi, che il convivente non remuneri il conduttore per il godimento dell'alloggio e che, quindi, la convivenza stessa abbia luogo a titolo gratuito: non si deve tuttavia confondere il vero e proprio corrispettivo della sublocazione con l'apporto economico prestato al conduttore per il pagamento del canone cui lo stesso è tenuto (Cosentino, Vitucci, 355; Dogliotti, Figone, 282).

Concorda, nella sostanza, con la dottrina, la giurisprudenza, per la quale la convivenza con il conduttore defunto, cui, ai sensi dell'art. 6 della l. n. 392/1978, è subordinata la successione nel contratto di locazione di immobile adibito ad uso di abitazione, costituisce una situazione complessa caratterizzata da una convivenza “stabile ed abituale”, da una “comunanza di vita”, preesistente al decesso, non riscontrabile qualora il pretendente successore si sia trasferito nell'abitazione locata soltanto per ragioni transitorie (Cass. III, n. 3251/2008). Ancora più incisivamente Cass. III, n. 11328/1990 ha rilevato come l'art. 6 comma 1, in esame, subordini il diritto alla successione nel contratto, nel caso di morte del conduttore, alla condizione obbiettiva della sussistenza di una “abituale convivenza”, e cioè di una situazione complessa, indicativa di una comunanza di vita idonea, per la sua abitualità, a configurare una comunità familiare (o parafamiliare, in quanto l'erede può essere un estraneo), un aggregato stabile di soggetti, e come scopo della norma sia quello di tutelare i componenti della residua comunità familiare (o parafamiliare), onde evitare che restino immediatamente privi di un tetto i superstiti componenti dell'aggregato conviventi con il conduttore defunto.

Ciò porta ad escludere che possano invocare un diritto di successione le persone che, al momento del decesso del conduttore, si trovavano nell'immobile per prestare assistenza allo stesso (Cass. III, n. 3251/2008, con riferimento alla convivenza tra l'anziana nonna e il nipote trasferitosi nell'abitazione da questa condotta in locazione per assisterla; Trib. Milano 15 febbraio 1996; Pret. Roma 20 marzo 1985, in cui si osserva come tra il conduttore e chi coabiti con lui per assisterlo non possa ravvisarsi il requisito della convivenza nel senso, inteso dal legislatore, quale comunanza di vita di un nucleo di persone legate fra loro da una salda comunione di interessi affettivi, morali ed economici).

Il trasferimento della posizione contrattuale è, poi, condizionato al dato della convivenza tra il conduttore e il successibile al momento del decesso del primo: non è invece necessario che il secondo rimanga nell'immobile nel periodo successivo. È stato, infatti, precisato che ai fini della disciplina della successione in esame, l'abituale convivenza con il conduttore defunto va accertata alla data del decesso di costui, a nulla rilevando che gli aventi diritto alla successione nel contratto siano o meno rimasti nell'alloggio locato dopo la morte del dante causa, giacché la successione mortis causa nel contratto di locazione è fatto giuridico istantaneo che si realizza (o non si realizza) all'atto stesso della morte del conduttore, restando insensibile agli accadimenti successivi (Cass. III, n. 10034/2000).

È dubbio, invece, se il subentro nella locazione sia consentito ai soli successibili che convivevano con il conduttore al momento dell'inizio del rapporto, e facevano parte, quindi, nell'originario nucleo familiare di questo, o anche a quelli che vi abbiano fatto ingresso successivamente.

In una decisione di merito (Pret. Roma 4 luglio 1989) si è ritenuto che la tutela disposta dall'art. 6, comma 1, della l. n. 392/1978, a favore del nucleo familiare in caso di morte del conduttore presupponga che il nucleo stesso sia quello originario, esistente al momento iniziale del contratto. Altra pronuncia – probabilmente più in linea con lo spirito della norma, che mira a conferire protezione al nucleo degli insediati in quanto tale – si è espressa in senso esattamente contrario, affermando che il familiare che conviva abitualmente col conduttore al momento della sua morte subentra nel contratto indipendentemente dal fatto che facesse parte del suo nucleo familiare fin dall'origine e quindi anche se sia venuto a farne parte successivamente (Pret. Genova 24 settembre 1994).

L'art. 6, comma 1, della l. n. 392/1978 – lo si è detto in precedenza – non richiede, come invece l'art. 2-bis della l. n. 352/1974, che la convivenza emerga dalle risultanze anagrafiche. Queste non ricoprono dunque più un ruolo decisivo.

La Suprema Corte ha sottolineato, del resto, come, nel quadro della previsione di cui all'art. 6, comma 1, il mero elemento presuntivo di una comune “residenza”, fornito dalle certificazioni anagrafiche, non sia idoneo a dimostrare la sussistenza della complessa situazione di “abituale convivenza” siccome indicativa di una comunanza di vita idonea, per la sua abitualità, a configurare un aggregato stabile di soggetti (Cass. III, n. 8652/1996).

Si è osservato, con particolare riguardo alla successione mortis causa, che per valutare se sia legittima la successione nel contratto di locazione del convivente more uxorio è necessario verificare in concreto se il rapporto di convivenza tra i soggetti sia stato reale ed effettivo, tenendo conto che l'elemento della coabitazione deve essere inteso quale semplice indizio circa l'esistenza di una convivenza di fatto e deve essere valutato unitamente ad ulteriori elementi  ( App. Roma 12 maggio 2023 ).

In dottrina, si è peraltro posto l'accento sul rilievo che le risultanze anagrafiche possono assumere ai fini della conoscibilità della situazione abitativa del successibile da parte del locatore. Si è osservato, in particolare, che a norma dell'art. 44 c.c., secondo cui il trasferimento di residenza e domicilio non può essere opposto ai terzi di buona fede se non è stato denunciato nei modi prescritti dalla legge, l'abituale convivenza di cui all'art. 6 della l. n. 392/1978 può essere opposta al locatore soltanto qualora sia stata denunciata anagraficamente o ove si dimostri con ogni mezzo che questi ne era a conoscenza (Gabrielli, Padovini, 751).

La successione nel diritto nell'ipotesi di cui all'art. 6, comma 1

È opinione comune che la successione ex art. 6, comma 1, si attui in via automatica, senza necessità che venga manifestata una volontà in tal senso: si è osservato che, del resto, una comunicazione dell'intendimento di subentrare nel contratto sarebbe inutile, dal momento che il conduttore non vi si potrebbe opporre (Bozzi, 59).

Il tema della necessità di rendere o meno edotto il locatore dell'attuato subentro è stato perlopiù affrontato, in giurisprudenza, con riferimento alle ipotesi di trasferimento della posizione contrattuale disciplinate dai commi 2 e 3 dell'art. 6: si rinvia, quindi, al § 10 per un approfondimento del tema. Merita solo di ricordare l'opinione secondo cui il diritto a succedere, in caso di morte del conduttore, dipenda non solo dalla comunicazione del decesso di tale soggetto, ma anche dal fatto che in precedenza siano stati resi noti al locatore quei fatti (come la nascita, il trasferimento) che abbiano modificato il nucleo familiare (Catelani, 305).

Il diritto al subentro è comunque suscettibile di rinuncia, la quale può essere espressa anche con fatti concludenti (Bozzi, 59; Dogliotti, Figone, 287). L'erede potrebbe poi rinunciare all'eredità conservando nondimeno il diritto al subentro a norma dell'art. 6, comma 1, non in quanto erede, ma in quanto soggetto rientrante in altra categoria di successibili presa in inconsiderazione da tale norma: così, ad esempio, il coniuge, erede necessario, potrebbe rinunciare all'eredità e subentrare nondimeno nel contratto di locazione, in quanto sia stato convivente del defunto (Carleo, 224).

La successione di cui all'art. 6, comma 1, opera nei confronti di tutti i soggetti, coniuge, parenti, affini, eredi, abitualmente conviventi col defunto al momento della sua morte e ogni successibile ha un diritto autonomo ed eguale a quello degli altri. Se vi siano persone di diverse categorie, tra quelle enucleate dalla norma (ad esempio: coniuge e parente), ovvero della stessa categoria ma di diverso grado (persone che, ovviamente, possano far valere la condizione della pregressa convivenza abituale col locatore), tutte succedono congiuntamente, in quanto ciascuna di esse ha pari diritto; non vi è, dunque, né successio ordinumsuccessio graduum,: la categoria astrattamente poziore non esclude quella astrattamente inferiore e il grado prossimo di parentela o di affinità non esclude il remoto (Cosentino, Vitucci, 354).

L'eventuale pluralità dei successori determina, come conseguenza, che essi siano litisconsorti necessari nel giudizio intrapreso dal locatore per ottenere il rilascio dell'immobile (Bucci, Malpica, Redivo, 335).

Sulla stessa linea, è stato affermato, in giurisprudenza, che, una volta deceduto il conduttore originario, l'azione di risoluzione per mutamento dell'uso pattuito, ex art. 80 della l. n. 392/1978, del contratto di locazione di immobile adibito ad abitazione, al pari di quella di rilascio per finita locazione, deve essere proposta nei confronti di tutti i soggetti succeduti nel contratto ai sensi dell'art. 6 della legge citata (nella specie, oltre al coniuge, i figli abitualmente conviventi con il defunto conduttore), i quali sono litisconsorti necessari, a nulla rilevando che il dedotto inadempimento contrattuale venga addebitato esclusivamente ad alcuni di loro (App. Napoli 16 gennaio 1996).

A un diverso approdo è pervenuta altra pronuncia: si è detto, infatti, che ove, a seguito della morte del conduttore, venga intrapresa azione di rilascio attraverso intimazione di licenza per finita locazione, non occorre che l'azione stessa sia esercitata nei confronti di tutti i componenti della famiglia, conviventi con il coniuge superstite: ciò in ragione della legittimazione rappresentativa che avrebbe il detto coniuge, di fronte al locatore, rispetto al nucleo familiare residuo (Pret. Grosseto 2 ottobre 1987).

È da sottolineare, però, che l'assunzione del litisconsorzio tra coloro che siano succeduti nel rapporto locatizio a norma dell'art. 6, comma 1, appare coerente con i precedenti arresti della giurisprudenza di legittimità nel periodo vincolistico, in cui era precisato che, ove in caso di decesso del conduttore dell'immobile locato in regime di proroga legale, siano a lui subentrati, nella titolarità del rapporto, con parità di diritti, i figli conviventi, il locatore, che intendesse far valere una causa di cessazione della proroga, doveva convenire in giudizio tutti gli aventi diritto, onde evitare che la sentenza, limitata ad alcuni soltanto di essi, fosse inutiliter data: e ciò in quanto ricorreva una ipotesi di litisconsorzio necessario passivo (Cass. III, n. 1360/1967).

Sempre sul piano processuale, è da segnalare, poi, che, poiché coloro che succedono nella locazione sono titolari di un diritto autonomo rispetto al precedente conduttore, diritto che trae la sua fonte direttamente dalla legge, essi hanno il potere di impugnare la sentenza pronunciata nei confronti del loro dante causa (Cass. III, n. 8967/1998).

Secondo la tesi che appare più convincente, la posizione del successore nel rapporto locatizio rispetto alle obbligazioni che il conduttore deceduto abbia mancato di adempiere va differenziata a seconda che lo stesso sia o non sia erede: solo nella prima ipotesi, infatti, egli sarà tenuto pro quota per il debito maturatosi fino all'apertura della successione (Lazzaro, Di Marzio, 419): e ciò in quanto, l'erede subentra jure successionis in tutti i rapporti attivi e passivi del suo dante causa ed é quindi tenuto anche per gli eventuali debiti dello stesso per canoni arretrati (Bucci, Malpica, Redivo, 334). In base a una diversa opinione, invece, l'art. 6, comma 1, in commento attribuirebbe un diritto di succedere nel contratto jure proprio e non già jure successionis: non potrebbe dunque trovare applicazione l'art. 754 c.c. che chiama gli eredi a rispondere dei debiti del de cuius in proporzione alla quota ereditaria e senza vincolo di solidarietà (Dogliotti, Figone, 287).

Nessun dubbio, invece, quanto al fatto che i successori siano tenuti, in solido, nei confronti del locatore, al pagamento dei canoni e degli oneri accessori maturati dopo il loro subentro.

Dibattuto è se la successione nella locazione possa attuarsi più volte, a beneficio di soggetti diversi da quelli che hanno convissuto col primo conduttore.

È stato affermato, in senso negativo, che il diritto a succedere è strettamente personale e non comunicabile a sua volta ai successori del successore, onde sarebbe irrilevante una convivenza abituale che si iniziasse dopo la prima successione; rilevante sarebbe soltanto una convivenza abituale con l'originario conduttore defunto (Cosentino, Vitucci, 354). Alla indicata soluzione (per cui, tra gli altri, Bozzi, 57; Dogliotti, Figone, 280; Lazzaro, Di Marzio, 432) si è opposto che essa si fonderebbe su una esigenza di tutela del locatore nel periodo di proroga del contratto: proroga che, nel regime vincolistico, esponeva quel soggetto al rischio di plurime vicende successorie in un rapporto che si protraeva coattivamente; tale esigenza sarebbe venuta meno a seguito dell'entrata in vigore della legge sull'equo canone, giacché il locatore, in forza della nuova disciplina, potrebbe far cessare il contratto alla scadenza sia nei confronti del conduttore che dei suoi successori (in tema, v. Trifone, 517; Bucci, Malpica, Redivo, 335; Gabrielli, Padovini, 753).

È senz'altro vero che nel trascorso regime vincolistico la giurisprudenza era venuta consolidandosi nel senso che la proroga legale della locazione nell'ipotesi di successione mortis causa del rapporto si applicasse una sola volta e, pertanto, valesse unicamente per gli immediati successori del conduttore originario e non anche per i successori di tali successori (così Cass. III, n. 1720/1970).

È anche vero, però, che la giurisprudenza di merito, raccordandosi alle considerazioni svolte dal secondo indirizzo dottrinario che si è sopra richiamato, ha avuto modo di rimarcare le differenze che si delineano tra il regime di proroga legale dei contratti e quello introdotto con la legge del 1978. Così Trib. Napoli 31 dicembre 1990 ha sottolineato come il regime di proroga legale si fosse protratto a tempo indefinito per lunghi decenni – sicché consentire più volte, nella vigenza di esso, la successione degli eredi e parenti conviventi al conduttore defunto, anche a quello che fosse a sua volta subentrato, avrebbe comportato in pratica un vincolo intollerabile – mentre con l'entrata in vigore della l. n. 392/1978, tale rischio é venuto meno.

Non sono mancate, per la verità, voci discordi (si vedano Trib. Roma 22 gennaio 1983 e Pret. Genova 24 settembre 1994).

La giurisprudenza di legittimità, occupandosi da ultimo della questione, ha aderito alla tesi della reiterabilità della vicenda successoria, affermando il principio di diritto per cui l'art. 6, comma 1, della l. n. 392/1978 trova applicazione anche qualora l'evento della morte riguardi un soggetto che sia in precedenza subentrato, ai sensi della stessa norma, nella posizione di conduttore al conduttore originario, dovendosi escludere che la norma possa operare solo con riguardo alla successione nella posizione di quest'ultimo (Cass. III, n. 3548/2013).

La cessione legale inter vivos: generalità

L'art. 6 della l. n. 392/1978, oltre a regolamentare la successione mortis causa nel contratto di locazione, prevede, al secondo e al terzo comma, ipotesi particolari che la dottrina ha qualificato come di cessione legale del contratto stesso, in quanto non connotate dalla volontarietà degli effetti prodotti, come invece le fattispecie di cessione ordinaria (Gabrielli, Padovini, 713). La cessione legale opera anzitutto nei casi di separazione personale, di divorzio e di nullità del vincolo matrimoniale; per effetto dell'intervento della Corte Costituzionale che si è attuato con la sentenza n. 404/1988, il trasferimento della posizione contrattuale si determina, poi, anche in caso di cessazione della convivenza more uxorio, sempre che vi sia prole naturale. La stessa Corte ha dichiarato altresì incostituzionale l'art. 6, comma 3, nell'ipotesi di separazione di fatto, ove i coniugi abbiano convenuto che a quello di essi che sia conduttore succeda, nella locazione, l'altro.

È da segnalare che la detta disciplina non può trovare applicazione ove l'immobile oggetto del contratto di locazione non sia stato adibito ad abitazione familiare (Cass. III, n. 4502/2000, che ha confermato la pronuncia di merito con cui il contratto di locazione era stato risolto per inadempimento per la cessione in godimento di un bene cui non era stata data tale destinazione).

L'applicazione dell'art. 6, commi 2 e 3, presuppone, poi, un contratto di locazione; si è quindi escluso che il subentro possa attuarsi in presenza di un accordo transattivo con cui, cessato il rapporto di locazione, il conduttore si impegni al rilascio dell'immobile per una certa data e al pagamento di una penale per il ritardo (Trib. Milano 13 marzo 1997: nella fattispecie, si è ritenuto che l'assegnazione dell'immobile al coniuge del conduttore in sede di separazione non determinasse successione di questo nelle obbligazioni assunte dal coniuge con l'accordo conciliativo, e in particolare nell'obbligo di pagamento della penale concordata con il locatore). Tale conclusione è del resto coerente col più elementare rilievo per cui non può esservi subingresso nella locazione una volta che questa sia cessata: in tal senso, merita allora ricordare Cass. III, n. 1952/2009, che ha rigettato la domanda di ripetizione dei canoni eccedenti la misura legale sul presupposto che la parte ricorrente non era subentrata nel contratto di locazione, ai sensi dell'art. 6 della l. n. 392/1978, quale coniuge assegnatario della casa familiare, non titolare del rapporto locativo, in quanto il provvedimento di omologazione della separazione personale era intervenuto dopo la cessazione de jure del medesimo contratto.

Può ricordarsi, da ultimo, che la disciplina in esame trova applicazione quandanche il contratto sia originariamente intestato a entrambi i coniugi come conduttori. Secondo la Suprema Corte, sarebbe del tutto irrazionale non estendere a casi come questo la disciplina dell'art. 6 della l. n. 392/1978: ricordato che il provvedimento di assegnazione della casa familiare determina una cessione ex lege del relativo contratto di locazione a favore del coniuge assegnatario e l'estinzione del rapporto in capo al coniuge che ne fosse originariamente conduttore, viene rilevato che tale estinzione si verifica anche nell'ipotesi in cui entrambi i coniugi abbiano sottoscritto il contratto di locazione, succedendo in tal caso l'assegnatario nella quota ideale dell'altro coniuge (Cass. III, n. 10104/2009; Cass III, n. 28615/2019).

Segue. Le diverse ipotesi di separazione

Il subentro, in caso di separazione tra coniugi, di scioglimento e di cessazione degli effetti civili del matrimonio, non è un inedito: era infatti stato già previsto dall'art. 2-bis della l. n. 351/1974.

Nel caso della separazione giudiziale, il provvedimento di assegnazione della casa familiare è disciplinato dall'art. 337 sexies, introdotto dal d.lgs. n. 154/2013. Nel primo comma dell'articolo, che riproduce lo stesso comma del previgente art. 155-quater c.c., è stabilito che il godimento della casa familiare sia attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli.

Quella dell'assegnazione della casa coniugale è in effetti una misura finalizzata unicamente alla tutela della prole (Cass. I, n. 9079/2011; Cass I, n. 1491/2011): ed è stato precisato, con rifermento all'abrogato art. 155-quater c.c., che la disciplina dell'assegnazione della casa coniugale, applicabile anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, tutela l'interesse prioritario della prole a permanere nell'habitat domestico, postulando, oltre alla permanenza del legame ambientale, la ricorrenza del rapporto di filiazione legittima o naturale cui accede la responsabilità genitoriale, mentre non si pone anche a presidio dei rapporti affettivi ed economici che non involgano, in veste di genitori, entrambi i componenti del nucleo che coabitano la casa familiare oppure i figli della coppia che, nella persistenza degli obblighi di cui agli artt. 147 e 261 c.c., abbiano cessato di convivere nell'abitazione, già comune, allontanandosene (Cass. I, n. 18863/2011). Tale assegnazione non può dunque costituire una misura assistenziale per il coniuge economicamente più debole, ma postula l'affidamento dei figli minori o la convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti (Cass. I, n. 18440/2013).

In tale prospettiva l'art. 6, comma 2, della l. n. 392/1978 evita che l'assegnazione della casa familiare al coniuge non conduttore – assegnazione con cui, come si è visto, deve essere salvaguardato l'interesse della prole – si risolva, proprio per la mancata stabilizzazione del rapporto in capo a quel soggetto, in una misura effimera, che non assicuri ai figli minori e a quelli maggiorenni che abbiano diritto al mantenimento di continuare a fruire dell'abitazione, insieme al genitore con cui essi convivono, per la residua durata del rapporto.

Si diceva, poco sopra, di come le ipotesi di cui all'art. 6, commi 2 e 3, della l. n. 392/1978 siano state ricondotte ad altrettante fattispecie di cessione legale. Tale ricostruzione è stata condivisa dalla Suprema Corte con particolare riguardo alla separazione giudiziale: si è affermato, difatti, che il provvedimento di assegnazione della casa familiare determina una cessione ex lege del relativo contratto di locazione a favore del coniuge assegnatario e l'estinzione del rapporto in capo al coniuge che ne fosse originariamente conduttore (Cass. III, n. 10104/2009; in senso analogo Cass. III, n. 19691/2008, secondo cui, a seguito del provvedimento del giudice il rapporto, estinto, non è più suscettibile di reviviscenza neppure nell'ipotesi in cui la cosa locata venga abbandonata dal coniuge separato, nuovo conduttore).

Secondo l'opinione prevalente, il provvedimento da prendere in considerazione ai fini del subentro non è la sola sentenza di separazione, ma anche l'ordinanza presidenziale resa in via temporanea ed urgente nell'udienza di cui all'art. 708 c.p.c. (Bucci, Malpica, Redivo, 339; Gabrielli, Padovini, 716; Lazzaro, Di Marzio, 433 s.). È stato sottolineato, in proposito, come tale opzione ermeneutica consenta di raggiungere utilmente in ogni circostanza la finalità, perseguita dalla norma, di far coincidere il conduttore con l'effettivo utilizzatore dell'immobile adibito a residenza familiare, evitando che il coniuge non affidatario dei figli continui a rivestire tale qualità proprio nel momento in cui la conflittualità fra i coniugi è esasperata: ossia in quello di instaurazione del procedimento di separazione giudiziale (Gabrielli, Padovini, 716).

La giurisprudenza di merito aveva aderito, per la verità in modo non univoco, a tale soluzione: era stato così sottolineato che l'art. 6, comma 2, pone, quale presupposto per l'operatività della successione nella locazione del coniuge non conduttore, l'attribuzione da parte del giudice – generica e priva, quindi, di qualsiasi requisito che si riferisca alla definitività o comunque alla natura del correlativo provvedimento – del diritto di continuare ad abitare nella casa coniugale (Pret. Milano 30 novembre 1989; nel medesimo senso, Pret. Milano 8 maggio 1987; di opposto avviso, invece, Pret. Napoli 10 gennaio 1991).

La Corte regolatrice, nell'unica pronuncia massimata sul punto, ha seguito tale indirizzo maggioritario. Ha osservato che nella norma di cui all'art. 6, comma 2, della l. n. 392/1978 si dispone la successione al conduttore, e quindi il subentro al rapporto locatizio, in tale qualità, dell'altro coniuge al quale sia stato attribuito “dal giudice” il diritto di abitare nella casa coniugale: il che, stante l'ampio, generico significato di quel termine (“giudice”, appunto), implica che la norma si riferisca a ogni provvedimento giurisdizionale, pronunciato nel processo di separazione personale dei coniugi, in qualsiasi fase di tale processo e da qualsiasi giudice, del processo medesimo, avente il potere di emetterlo. Non soltanto, quindi, la sentenza che definisce il processo, in primo grado o di appello, ma anche l'ordinanza con la quale, nella fase preliminare, non riuscito il tentativo di conciliazione, il presidente del tribunale pronuncia, ai sensi dell'art. 708, comma 3, c.p.c., i provvedimenti temporanei ed urgenti che reputa opportuni nell'interesse dei coniugi e della prole, nonché l'eventuale successiva ordinanza con la quale il giudice istruttore modifica i provvedimenti emessi dal presidente del tribunale (Cass. III, n. 8613/1990).

Poiché il giudice può limitare l'assegnazione della casa familiare ad una sola porzione dell'immobile (Cass. I, n. 8580/2014), ci si può domandare quale sorte abbia, in questo caso, il contratto di locazione originariamente concluso, dal coniuge non assegnatario, per l'intera unità abitativa.

Si è risposto che il rapporto contrattuale si sdoppia e che ciascuno dei coniugi diviene conduttore della rispettiva porzione (Lazzaro, Di Marzio, 434).

Passando alla separazione consensuale e a quella di fatto, si è ricordato come, a seguito dell'intervento della Corte Costituzionale che ha ammesso il trasferimento della posizione contrattuale del conduttore anche in caso di separazione di fatto, l'accordo dei coniugi, quale presupposto della trasmissione legale del rapporto locatizio, rileva non solo nel caso in cui l'intesa raggiunta dai coniugi circa l'utilizzo della casa coniugale si inscriva nel più esteso accordo sottoposto ad omologazione ex art. 158, comma 1, c.c., ma anche nel caso in cui l'omologazione non investa quanto convenuto dagli interessati con riferimento all'abitazione della famiglia (Gabrielli, Padovini, 717).

È qui da ricordare come il giudice delle leggi abbia difatti dichiarato costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., l'art. 6, comma 3, nella parte in cui non prevede che il coniuge separato di fatto succeda al conduttore nel contratto di locazione se tra i due si sia così convenuto (Corte cost., n. 404/1988): è stato rilevato, in particolare, che rispetto al bene primario dell'abitazione che la ratio legis salvaguarda, il titolo della separazione, di fatto o consensuale, non può avere effetto discriminatorio senza vulnerare il combinato disposto dei predetti articoli della carta fondamentale.

La successione nella locazione, dunque, si attuerebbe sia nel caso in cui esista un accordo di separazione, includente quello sull'attribuzione del diritto a utilizzare l'immobile, sottoposto a omologazione, sia nel caso in cui l'accordo di separazione che ricomprenda la regolamentazione del detto diritto non risulti omologato, sia, infine, nel caso in cui l'accordo stesso sia omologato, ma l'omologazione non abbia ad oggetto anche l'intesa raggiunta dalle parti quanto all'uso della casa coniugale.

Il rilievo conferito dal legislatore, ai fini del subentro, alla separazione consensuale si spiega in un'ottica diversa rispetto a quella che sottende la successione nel contratto in caso di separazione giudiziale: nel primo caso il legislatore ha ritenuto di valorizzare una volontà dei coniugi i quali, anche in mancanza di prole, intendano tutelare la stabilità della situazione abitativa del coniuge non conduttore; nel secondo assume invece centralità la necessità di assicurare ai figli un alloggio in via duratura (Gabrielli, Padovini, 718).

Nei casi di cessione consensuale o di fatto assume rilievo, quale elemento costituivo della cessione legale, non il provvedimento del giudice, come nel caso della separazione giudiziale, ma l'accordo delle parti; si è sostenuto che nella fattispecie verrebbe in questione una cessione anomala del contratto: una cessione che, in deroga agli artt. 1594 c.c. e 2 della l. n. 392/1978, prescinderebbe dal consenso del locatore, il quale, in buona sostanza, si verrebbe a trovare come conduttore una persona diversa senza poterlo impedire (così Bozzi, 62).

Secondo la giurisprudenza, invece, il significato dell'inciso contenuto nel comma 3 dell'art. 6 – “succede l'altro coniuge se tra i due si sia così convenuto” – andrebbe ricercato in riferimento alla volontà espressa dai coniugi in ordine al diritto di abitare la casa familiare, che nella separazione consensuale è fissato dalla convezione delle parti e nella separazione giudiziale è, invece, stabilito d'imperio dal giudice. In altri termini, l'inciso in questione andrebbe letto in tal modo: nella locazione, succede l'altro coniuge se tra i due si sia convenuto che il diritto di abitazione della casa familiare spetti al coniuge non conduttore (Pret. Bergamo 18 novembre 1983). Tale conclusione parrebbe non coincidere del tutto con quella della cessione anomala del contratto di locazione, in quanto non esigerebbe una vera e propria volontà negoziale diretta al subentro nel rapporto in corso.

Nel caso di separazione consensuale omologata, l'accordo risulterà da atto scritto; in caso di separazione di fatto, si è ritenuto che esso possa essere provato con ogni mezzo e, in particolare, desumersi anche da facta concludentia, implicanti l'inequivoco riconoscimento, da parte del coniuge originariamente conduttore, che il diritto a fruire dell'abitazione doveva considerarsi, per quanto concerne i rapporti interni tra il cedente e il cessionario, traslato in capo all'altro coniuge (Cass. III, n. 1831/1992: secondo la sentenza, però, ove la prova dell'accordo tra i coniugi circa la destinazione della vecchia casa familiare sia rimessa esclusivamente, quale fatto concludente, alla permanenza di uno solo di essi nell'alloggio, tale situazione di fatto deve persistere nel momento in cui venga fatto valere il diritto al subingresso nella titolarità del rapporto locatizio: infatti, l'allontanamento dall'alloggio manifesta o il carattere contingente e puramente interno dell'accordo o comunque l'esaurimento della sua efficacia).

La possibilità di provare l'accordo con ogni mezzo andrebbe invece negata nella prospettiva, assunta in dottrina (Gabrielli, Padovini, 720), secondo cui il contratto di cessione, che in forza di legge estenderebbe i suoi effetti al locatore ceduto, dovrebbe concludersi per iscritto, stante la previsione contenuta nell'art. 1, comma 4, della l. n. 431/1998 con riferimento alla locazione: e ciò in ragione del principio consolidato per cui ai fini della cessione del contratto devono essere osservate le stesse forme prescritte per il contratto trasferito.

Si muove in tale direzione la pronuncia secondo cui il coniuge separato che proponga opposizione di terzo avverso l'ordinanza di sfratto per morosità pronunciata nei confronti dell'altro coniuge conduttore, deducendo la propria successione nel rapporto di locazione a norma del comma dell'art. 6 della l. n. 392/1978, in caso di separazione consensuale, deve allegare e provare, attesa l'esigenza di forma ad substantiam, di cui all'art. 1, comma 4, della l. n. 431/1998, la sussistenza di un accordo scritto che gli consenta di sostituirsi nella titolarità del contratto, non potendosi altrimenti validamente desumere per facta concludentia il diritto a fruire dell'abitazione (Trib. Salerno 4 ottobre 2010).

Sempre secondo la giurisprudenza, la cessione ope legis del contratto in favore del coniuge non originario conduttore che si attua col provvedimento del giudice della separazione personale dei coniugi, con cui viene assegnata al coniuge non conduttore la casa di abitazione condotta in locazione dall'altro coniuge, viene meno in caso di accertata riconciliazione degli interessati (Trib. Napoli 9 agosto 1986).

La tesi (Bucci, Malpica, Redivo, 339) secondo cui la riconciliazione dei coniugi ripristinerebbe automaticamente, con il venir meno dell'assegnazione dell'alloggio al coniuge non conduttore, il contratto di locazione tra i contraenti originari (visto che la successione ex lege nel contratto trova la sua ragione, ma al tempo stesso il suo limite, nello stato di separazione) non è tuttavia pacifica. Si è obiettato, per un verso, che, sul piano letterale, l'art. 6 si occupa soltanto delle fattispecie di separazione, ma non dei correlativi fatti estintivi della situazione di separazione personale dei coniugi e, per altro verso, che, dal punto di vista sostanziale, l'esigenza di far ritornare in capo all'originario conduttore il rapporto non è particolarmente sentita: a fronte della decisione dei coniugi di riconciliarsi e di tornare a vivere insieme risulterebbe, in definitiva, ben poco meritevole di tutela l'interesse a che la titolarità del contratto di locazione ritorni all'altro coniuge, giacché l'immobile locato costituente il focolare domestico è pur sempre nella disponibilità della famiglia (Gabrielli, Padovini, 719). Analoghe considerazioni sono svolte da altri autori (Lazzaro, Di Marzio, 441): viene così evidenziato che in caso di riconciliazione mancherebbero le condizioni per una nuova successione del rapporto, giacché il nucleo insediato rimane sempre lo stesso e la situazione di diritto, con conduttore il coniuge subentrato, non è in contrasto con quella reale, ancorché vi sia l'arricchimento di quel nucleo in seguito al rientro dell'altro coniuge. La soluzione che nega la nuova successione sembra poi da condividere avendo pure riguardo all'esigenza di non gravare il locatore dell'onere di verificare se i coniugi abbiano posto in essere “un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione” ex art. 157, comma 1, c.c., oppure facciano parte di un corretto rapporto finalizzato a dare un indirizzo univoco all'educazione della prole, o a coltivare residui sentimenti di stima o comuni interessi culturali (Lazzaro, Di Marzio, 441).

Si è posta pure la questione circa la sorte del rapporto di locazione nel caso di revoca del provvedimento di assegnazione: ma in questo caso non può in alcun modo negarsi che la detta revoca spieghi effetto sull'assunzione della posizione di conduttore.

Si è affermato, in proposito, che realizzando l'assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario della prole, non conduttore, una successione temporanea nel diritto di godimento dell'immobile, collegata alla permanenza del provvedimento di assegnazione dell'abitazione, essa sarebbe destinata a decadere, mediante retrocessione al conduttore originario, qualora la revoca dell'assegnazione intervenga in presenza di un rapporto locativo ancora in corso (App. Bologna 16 dicembre 1986).

In dottrina, si è osservato come la revoca dell'assegnazione determini, più che un venir meno della successione già prodottasi, una nuova successione ex parte conductoris nella residua parte del rapporto locatizio in ragione della modificazione dell'insediamento; ciò, nel senso che, a seguito del provvedimento del giudice della separazione che lo stabilisce, viene riconosciuto che il diritto all'abitazione che l'immobile deve soddisfare è divenuto, per le mutate condizioni, quello dell'originario conduttore (Lazzaro, Di Marzio, 440). Altra parte della dottrina ammette, poi, la possibilità di successioni legali nella locazione in dipendenza di modificazioni alle condizioni della separazione concernenti l'affidamento dei figli (Gabrielli, Padovini, 716).

Segue. Scioglimento e nullità del matrimonio

Lo stesso meccanismo previsto per la separazione giudiziale opera in caso di scioglimento del matrimonio civile o di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario: anche in tal caso il subentro nella locazione è determinato dal provvedimento del giudice con cui è attribuito il diritto ad abitare la casa familiare. Il giudice dispone in tal senso a norma dell'art. 6, comma 6, della l. n. 898/1970, sempre che non si ritenga quest'ultima norma abrogata dall'art. 337-sexies c.c., che regola la materia dell'assegnazione della casa familiare nel più ampio quadro della disciplina della responsabilità genitoriale in presenza di situazioni particolari, tra cui, come indicato nella rubrica del capo II, titolo IX del libro I del codice civile, è appunto compreso lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Come nel giudizio di separazione, anche in quello di divorzio assumerà dunque rilievo l'assegnazione della casa coniugale decisa non solo con sentenza, ma anche in via temporanea e d'urgenza in sede di udienza per la conciliazione (qui a norma dell'art. 4, comma 8, della l. n. 898/1970). Si è poi opinato che in caso di domanda di divorzio congiunto l'attribuzione della casa coniugale possa operare in forza non già del provvedimento del giudice, ma dell'accordo dei coniugi: e cioè sulla base di un titolo analogo a quello espressamente previsto, dal comma 3 dell'articolo in commento, per la separazione consensuale (Gabrielli, Padovini, 721).

Con riguardo alla nullità del matrimonio, per cui vale la medesima regola – in questo caso formulata in modo espresso dal legislatore – merita solo ricordare come, secondo una tesi, potendo il giudice che dichiara la nullità del matrimonio putativo attribuire il diritto di abitare la casa familiare al coniuge di buona fede, in forza del richiamo dell'art. 129, comma 2, all'art. 155 c.c., la successione nel rapporto di locazione potrebbe in questo caso determinarsi in ragione del detto provvedimento, accedendo a una interpretazione analogica della regola posta dall'art. 6, comma 2, in tema di divorzio (Gabrielli, Padovini, 722).

Uno spunto di riflessione lo offre, da ultimo, il tema della possibilità di successione nella locazione in ragione della cessazione dell'unione civile. È qui da richiamare l'equiparazione stabilita dall'art. 1, comma 20, della l. n. 76/2016 tra il matrimonio e l'unione civile, per la quale è contemplato lo scioglimento (non anche la separazione). Sul punto, va ricordato che l'unione civile si scioglie, oltre che nei casi previsti dall'art. 3, nn. 1) e 2), lett. a), c), d) ed e), della l. n. 898/1970, quando le parti abbiano manifestato anche disgiuntamente la volontà di scioglimento dinanzi all'ufficiale dello stato civile (art. 1, commi 23 e 24, l. n. 76/2016) e che sul piano processuale, al detto scioglimento si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 4, 5, comma 1, e dal quinto all'undicesimo comma, 8, 9, 9-bis, 10, 12-bis, 12-ter, 12-quater, 12-quinquies e 12-sexies della l. n. 898/1970, nonché, in tema di negoziazione assistita, le disposizioni di cui al titolo II del libro quarto del codice di procedura civile ed agli artt. 6 e 12 del d.l. n. 132/2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 162/2014 (art. 1, comma 25, l. cit.).

Segue. Cessazione della convivenza more uxorio

L'ultima ipotesi di cessione ex lege del contratto di locazione è quella derivante dalla cessazione della convivenza more uxorio, quando vi sia prole naturale: ipotesi che è entrata a far parte dell'art. 6 attraverso l'intervento additivo che si deve ai al giudice delle leggi (Corte cost., n. 404/1988).

Condizione necessaria per il trasferimento della posizione contrattuale è, qui, l'esistenza della prole naturale: la Corte costituzionale ha ritenuto in più occasioni essere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, sollevata in riferimento agli art. 2 e 3 Cost., nella parte in cui non prevede la successione nel contratto di locazione al conduttore che abbia cessato la convivenza, a favore del già convivente anche quando non vi sia prole naturale (Corte cost., n. 7/2010; Corte cost., n. 204/2003, ove si è sottolineato come la cessazione della convivenza con prole e la cessazione di quella senza prole integrino situazioni del tutto disomogenee, rispetto alle quali non sono invocabili né il principio di eguaglianza né le argomentazioni contenute nella sentenza Corte cost. n. 404/1988 a sostegno dell'esigenza di tutelare un nucleo familiare sul presupposto dell'esistenza della prole naturale).

In ipotesi di allontanamento del conduttore dall'immobile locato, dunque, il convivente more uxorio che rimanga nell'immobile stesso con la prole naturale nata dall'unione, ha diritto di succedere nel contratto: ciò anche quando la convivenza sia sorta nel corso della locazione – a maggior ragione se sia sorta prima – e senza che sia necessario che il locatore ne abbia avuto conoscenza (Cass. III, n. 2524/1989; Cass. III, n. 9868/1997).

In presenza di prole naturale il giudice sarà però investito della questione circa l'assegnazione della casa coniugale, giusta l'art. 337-sexies c.c., operante anche nei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio in forza dell'art. 337-bis c.c.: onde, similmente a quanto accade in materia di separazione giudiziale e di divorzio, ai fini del subentro rileverà, in definitiva, quanto avrà disposto il giudice stesso.

Con riguardo alla posizione del convivente, occorre infine ricordare il comma 44 dell'art. 1 della l. n. 76/2016: norma tutt'altro che chiara, la quale dispone, per quanto qui interessa, che in caso di recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto.

La disposizione è stata interpretata nel senso che la comunicazione di recesso formulata dal convivente che sia intestatario del contratto di locazione è destinata a rimanere priva di effetto per il diritto riconosciuto all'altro convivente di succedere nel contratto (Lenti, 106; Pacia, 209). Resta da chiarire, dal momento che la disposizione sul punto tace, se il convivente non conduttore debba essere notiziato, da parte dell'altro, del recesso che quest'ultimo ha esercitato e, inoltre, entro quale arco di tempo possa essere manifestata la volontà di successione nel contratto (interrogativi, questi, posti da Scalettaris, 595).

Necessità o meno della comunicazione circa la cessione legale del contratto

Si discute se il locatore debba essere avvertito del subentro del nuovo conduttore nelle diverse ipotesi di cui all'art. 6, commi 2 e 3.

In senso affermativo, si é da un lato posta in risalto la vigenza, nell'ordinamento, del principio generale in forza del quale il mutamento soggettivo di un rapporto obbligatorio o contrattuale è opponibile alla controparte, se ad essa viene reso noto; dall'altro, si è sottolineato come, nella materia che interessa, la regola della piena opponibilità della successione a seguito di specifica comunicazione ben si coniuga con l'assenza di meccanismi pubblicitari idonei a rendere altrimenti conoscibili i fatti che costituiscono i presupposti della successione legale ex art. 6 (Gabrielli, Padovini, 729). Si è pure osservato come la trama della l. n. 392/1978 offra indicazioni non trascurabili circa il rilievo che assume la comunicazione nell'economia della vicenda traslativa avente ad oggetto la posizione contrattuale citandosi, al riguardo, gli artt. 2 e 36 della suddetta legge; e si è infine precisato che l'idea secondo cui la cessione possa attuarsi a mezzo del consenso cedente-cessionario, alla condizione sufficiente, ma anche necessaria, della comunicazione al contraente ceduto, è, in definitiva, pienamente conforme allo stesso dettato del codice civile, giacché si armonizza con il precetto fissato dall'art. 1407 c.c., secondo cui, se una parte ha consentito preventivamente che l'altra sostituisca a sé un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, la sostituzione è efficace nei suoi confronti dal momento in cui le è stata notificata o in cui l'ha accettata (Di Marzio, 2055).

Tra i giudici di merito, pare prevalente l'opinione opposta. Si trova così affermato che il coniuge del conduttore originario, in seguito al verificarsi delle situazioni contemplate dall'art. 6 della l. n. 392/1978, subentra nel contratto di locazione in modo del tutto automatico e indipendente dal fatto che di tali situazioni venga data comunicazione al locatore, o che questi ne risulti comunque informato, dal momento che l'articolo in questione non subordina né il perfezionamento, né l'efficacia del trasferimento della titolarità del rapporto dell'uno all'altro soggetto alla conoscenza da parte del locatore degli accadimenti che di detto trasferimento rappresentano il presupposto legale (Trib. Bari 19 luglio 2016). Il numero delle pronunce edite che risultano aver seguito tale indirizzo è nutrito; senza aspirazione di completezza si segnalano: Trib. Nola 24 gennaio 2012; Trib. Salerno 8 giugno 2007; Trib. Nocera Inferiore 18 novembre 2004; Trib. Reggio Emilia, 21 gennaio 2002; Pret. Pordenone 23 dicembre 1998; Trib. Milano 31 gennaio 1994; Pret. Milano 30 novembre 1989; Trib. Roma 27 ottobre 1983.

Quali espressione del diverso indirizzo, quello per cui la cessione, per essere efficace deve essere portata a conoscenza del locatore, si segnalano, invece, Pret. Milano, 30 dicembre 1988 e Trib. Milano 7 novembre 1988.

Va dettoche la Corte di legittimità si è espressa in quest'ultimo senso. Il principio, benché non riprodotto, in massima, nei termini precisi in cui è stato espresso, emerge in modo inequivoco dalla motivazione di Cass. III, n. 1831/1992: vi si legge che il locatore, pur in presenza di una successione nel contratto ex latere conductoris, di stampo legale e non negoziale, ha comunque il diritto di conoscere quale sia il soggetto divenuto nuovo titolare dei diritti e degli obblighi scaturenti dal rapporto (sia agli effetti di un controllo della regolarità della vicenda traslativa, sia agli effetti della individuazione della controparte interessata alle future vicende contrattuali, quali la rinnovazione, l'aggiornamento del canone, la risoluzione); infatti – si spiega – l'automatismo del meccanismo successorio disciplinato nell'art. 6 della l. n. 392/1978 e prima ancora nell'art. 2-bis della l. n. 351/1974 implica l'ininfluenza di un qualsivoglia apporto volitivo, di adesione o di accettazione da parte del locatore ceduto, ma non implica altresì che in un rapporto contrattuale di durata a prestazioni corrispettive, il cambiamento di titolarità di uno dei due contraenti possa operare e svolgere i propri effetti nella ignoranza dell'altro. E questa affermazione risulta ripresa, di recente, da Cass. III, n. 27441/2018.

Vanno pure segnalate, con riferimento al caso della separazione tra coniugi, Cass. III, n. 10104/2009 e Cass III, n. 28615/2019, secondo cui l'ignoranza, da parte del locatore, della successione legale determinata dal provvedimento di assegnazione della casa familiare non incide sul perfezionamento della cessione, ma assume rilevanza ai fini dell'opponibilità della stessa al locatore ceduto.

Gli effetti della cessione ex lege

Le conseguenze delle vicende previste dagli artt. 6, commi 2 e 3, della l. n. 392/1978 sono quelle normalmente riconducibili a una cessione del contratto.

Vale la pena di riassumerne gli aspetti più significativi, sulla base delle massime di giurisprudenza; queste risultano ovviamente formulate facendo riferimento alle diverse fattispecie che si sono prospettate nei rispettivi giudizi, ma è indubbio che tendenzialmente assumano rilievo su di un piano più generale, avendo cioè riguardo a tutte ipotesi di cessione ex lege di cui ci si sta occupando:

– il provvedimento del giudice della separazione, che assegna la casa coniugale al coniuge che non sia l'originario conduttore, comporta un'ipotesi di cessione ex lege del contratto in favore del coniuge assegnatario, con la conseguenza che il rapporto in capo al coniuge originario conduttore si estingue e non è più suscettibile di reviviscenza neppure nell'ipotesi in cui la casa locata venga abbandonata dal coniuge separato, nuovo conduttore (Cass. III, n. 10890/1993);

– il provvedimento del giudice della separazione determina una cessione ex lege del contratto a favore del coniuge assegnatario che succede, pertanto, nella posizione di conduttore della casa coniugale con la conseguenza che il rapporto in capo al coniuge originario conduttore si estingue e non è più suscettibile di reviviscenza neppure nell'ipotesi in cui la cosa locata venga abbandonata dal coniuge separato, nuovo conduttore; peraltro, nel momento in cui si realizza detta successione, si verifica, altresì, in senso del tutto figurativo e virtuale, una sorta di riconsegna dell'immobile al locatore da parte del vecchio conduttore, con contestuale consegna, sempre in senso figurativo, della cosa locata al nuovo conduttore; ne consegue che il termine semestrale di decadenza dall'azione di ripetizione delle somme corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti della l. n. 392/1978, e di cui al comma 2 dell'art. 79 della medesima legge, comincia a decorrere dalla data del provvedimento giudiziale di separazione personale dei coniugi, fatta salva, per il coniuge conduttore non assegnatario, la possibilità di dimostrare che l'effettivo rilascio dell'immobile sia avvenuto in un momento successivo al provvedimento stesso (Cass. III, n. 19691/2008

);

– in caso di separazione giudiziale, il coniuge che ha perduto la qualità di conduttore, perché il diritto di abitare nella casa familiare è stato attribuito dal giudice all'altro coniuge, non è più legittimato ad agire in giudizio per la tutela dei diritti connessi alla qualità di conduttore (nella specie, esercizio dell'azione di rilascio contro il terzo detentore), ancorché sia deceduto il coniuge che in virtù dell'assegnazione è succeduto nel contratto di locazione come conduttore (Cass. III, n. 13004/1993);

– correlativamente, nel giudizio per il rilascio di immobile urbano, instaurato dal locatore nei confronti del coniuge dell'originario conduttore cui, in sede di separazione personale, è stato assegnato dal presidente del tribunale l'alloggio coniugale, l'originario conduttore non è litisconsorte necessario (Cass. III, n. 1423/1983);

– per contro, la già convivente more uxorio, con prole naturale, succeduta nel contratto di locazione per effetto della sentenza n. 404/1988 della Corte Costituzionale prima dell'inizio del giudizio, è legittimata a proporre opposizione di terzo ordinaria a norma dell'art. 404, comma 1, c.p.c. avverso la pronuncia di sfratto per morosità nei confronti del conduttore che abbia cessato la convivenza (Cass. III, n. 9868 /1997);

– l'assegnazione della casa familiare, in sede di separazione personale, al coniuge diverso dal conduttore comporta che questo ultimo, essendo così sostituito nella titolarità del contratto di locazione, resta privo della detenzione dell'immobile, nonché dell'arredamento in esso contenuto, e, conseguentemente, non è legittimato ad esperire azione di reintegrazione contro l'autore del suo spoglio, (nella specie, il locatore): tale principio non trova deroga per il caso in cui il coniuge assegnatario abbia di fatto abbandonato l'immobile, trasferendosi altrove, trattandosi di un comportamento unilaterale di per sé inidoneo a modificare le condizioni della separazione in ordine alla disponibilità del bene (Cass. II, n. 3734 /1982);

– nell'ipotesi di separazione giudiziale o di fatto, scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso, il coniuge assegnatario della casa coniugale è sostituito ex lege nella titolarità del contratto di locazione, con l'attribuzione dei relativi diritti ed obbligazioni che ne derivano e con la cessazione del rapporto di locazione in capo all'altro coniuge, non potendo trovare applicazione i principi dell'apparenza del diritto per il prolungato pagamento dei canoni da parte dell'originario titolare del contratto al fine della conservazione del rapporto (Cass. III, n. 1423/2011).

Da ultimo, occorre sottolineare che le ipotesi previste dai commi 2 e 3 dell'art. 6 della l. n. 392/1978 producono una modificazione soggettiva del contratto di locazione, e nulla di più. Come è stato osservato, l'art. 6 non modifica la natura del rapporto e la natura del diritto in base al quale il conduttore detiene la cosa locata, ma solo consente ad un soggetto diverso dall'originario conduttore di sostituirsi nella titolarità del contratto, con attribuzione dei relativi diritti ed assunzione delle obbligazioni che ne derivano. Ne consegue che il locatore ha diritto alla scadenza di riottenere la disponibilità dell'immobile, senza che tale suo diritto possa trovare un limite nel provvedimento di assegnazione della casa familiare da parte del giudice (Cass. III, n. 6804/1993).

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