Legge - 27/07/1978 - n. 392 art. 39 - Diritto di riscatto.

Mauro Di Marzio

Diritto di riscatto.

Qualora il proprietario non provveda alla notificazione di cui all'articolo precedente, o il corrispettivo indicato sia superiore a quello risultante dall'atto di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile, l'avente diritto alla prelazione può, entro sei mesi dalla trascrizione del contratto, riscattare l'immobile dall'acquirente e da ogni altro successivo avente causa.

Ove sia stato esercitato il diritto di riscatto, il versamento del prezzo deve essere effettuato entro il termine di tre mesi che decorrono, quando non vi sia opposizione al riscatto, dalla prima udienza del relativo giudizio, o dalla ricezione dell'atto notificato con cui l'acquirente o successivo avente causa comunichi prima di tale udienza di non opporsi al riscatto.

Se per qualsiasi motivo, l'acquirente o successivo avente causa faccia opposizione al riscatto, il termine di tre mesi decorre dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio.

Inquadramento

L'art. 39 della l. n. 392/1978, sotto la rubrica «Diritto di riscatto», stabilisce che:

– qualora il proprietario non provveda alla notificazione dell'atto di denuntiatio di cui al precedente art 38 della stessa legge, o il corrispettivo indicato sia superiore a quello risultante dall'atto di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile, l'avente diritto alla prelazione può, entro sei mesi dalla trascrizione del contratto, riscattare l'immobile dall'acquirente e da ogni altro successivo avente causa;

– ove sia stato esercitato il diritto di riscatto, il versamento del prezzo deve essere effettuato entro il termine di tre mesi che decorrono, quando non vi sia opposizione al riscatto, dalla prima udienza del relativo giudizio, o dalla ricezione dell'atto notificato con cui l'acquirente o successivo avente causa comunichi prima di tale udienza di non opporsi al riscatto;

– se per qualsiasi motivo, l'acquirente o successivo avente causa faccia opposizione al riscatto, il termine di tre mesi decorre dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio.

Il diritto riscatto – occorre in primo luogo osservare – spetta al soggetto titolare del diritto di prelazione, nei cui confronti il riscatto svolge funzioni di tutela succedanea: ragion per cui, con riguardo all'individuazione del titolare del diritto non resta che rinviare al commento all'art. 38 della l. n. 392/1978.

La disposizione contempla espressamente due distinte ipotesi di esercizio del diritto di riscatto:

a) qualora il proprietario non provveda alla denuntiatio;

b) qualora la denuntiatio rechi l'indicazione di un corrispettivo superiore a quello risultante dall'atto di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile.

Occorre, tuttavia, subito dire che la prevalente dottrina reputa che l'elencazione abbia carattere esemplificativo e non tassativo (Lazzaro, Preden, 1303), sicché la giurisprudenza di legittimità ha ammesso l'interpretazione estensiva della norma.

Difatti, è stato detto, anche per le norme speciali, mentre è vietata l'interpretazione analogica, è consentita quella estensiva, la quale riconduce entro l'ambito di applicazione della disposizione casi che solo apparentemente ne sembrano esclusi, ma che in rapporto all'effettiva ratio il legislatore ha inteso comprendervi (Cass. III, n. 3211/1991).

Trasferimento effettuato prima della scadenza del termine per l'esercizio della prelazione

In tale prospettiva, si è riconosciuta la sussistenza del diritto di riscatto nell'ipotesi – non espressamente contemplato dall'art. 39 della l. n. 392/1978 – in cui il proprietario locatore, dopo aver provveduto alla notifica della denuntiatio, trasferisca la proprietà dell'immobile locato prima ancora della scadenza del termine per l'esercizio del diritto di prelazione.

La pronuncia così motiva: «Un'interpretazione organica, letterale e funzionale insieme, induce a ritenere consentito il diritto di riscatto anche nell'ipotesi in cui il proprietario locatore, nonostante la notifica della denuntiatio e gli ulteriori obblighi a lui incombenti, abbia trasferito gli immobili a terzi in pendenza del termine per l'esercizio della prelazione. Tale conclusione è sorretta dalle seguenti considerazioni: a) anche per le norme speciali, mentre è vietata l'interpretazione analogica, è consentita quella estensiva, la quale riconduce entro l'ambito di applicazione della disposizione casi che solo apparentemente ne sembrano esclusi, ma che in rapporto all'effettiva ratio il legislatore ha inteso comprendervi; b) l'art. 39, posto a tutela del diritto di prelazione del conduttore, non contiene enunciazioni incompatibili con la prospettata estensione; c) l'ipotesi di alienazione del bene locato in pendenza del termine per l'esercizio della prelazione è riconducibile nell'ambito della disposizione in esame, non solo perché il diritto di riscatto costituisce l'unico mezzo di tutela specifica accordata al conduttore, ma soprattutto perché vi è equivalenza tra vendita a terzi senza denuntiatio e vendita dopo la comunicazione ma prima della scadenza del termine concesso al conduttore. In entrambi i casi si verifica l'inosservanza dello stesso fondamentale obbligo del proprietario di preferire il conduttore ed il sostanziale impedimento della vicenda acquisitiva a favore di questo ultimo voluta dalla norma; d) la dichiarazione di esercizio della prelazione non costituisce presupposto formale ed indefettibile del diritto di riscatto, come è dimostrato dalla mancata previsione della stessa in relazione alle ipotesi di riscatto menzionate nell'art. 39; e) un'interpretazione strettamente letterale condurrebbe a conclusioni illogiche ed in netto contrasto con la ratio legis, perché verrebbe a consentire al proprietario locatore di eludere facilmente il diritto di prelazione del conduttore, ed il succedaneo diritto di riscatto, mediante la notifica di una denuntiatio puramente formale ed il successivo immediato trasferimento a terzi dell'immobile locato senza attendere la scadenza del termine concesso al conduttore» (così Cass. III, n. 3211/1991).

Perciò, in definitiva, al conduttore di immobile urbano avente diritto alla prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 compete il diritto di riscatto, ai sensi del successivo art. 39, anche nell'ipotesi che il proprietario-locatore, dopo aver provveduto alla notifica di rituale denuntiatio, abbia trasferito a terzi la proprietà dell'immobile locato (eventualmente insieme ad altri beni) in pendenza del termine di sessanta giorni concesso allo stesso conduttore per l'esercizio del diritto di prelazione, a nulla rilevando che il conduttore non abbia entro detto termine dichiarato di esercitare la prelazione.

Concessione di condizioni di pagamento più vantaggiose rispetto a quelle indicate nella denuntiatio

Va ancora riconosciuto il diritto di riscatto non solo nell'ipotesi in cui nella denuntiatio sia stato indicato al conduttore un prezzo superiore a quello risultante dalla vendita stipulata con il terzo, ma anche qualora, a parità di prezzo, siano state concesse al terzo acquirente delle condizioni di pagamento più vantaggiose, senza che delle stesse ne sia data tempestiva ed esatta comunicazione al conduttore avente diritto alla prelazione (in tal senso, la sintetica motivazione di Cass. III, n. 7241/1991).

Nello stesso senso, si trova affermato che il conduttore ha diritto di esercitare il riscatto non solo nei casi in cui il locatore che ha alienato a terzi l'immobile abbia omesso di comunicargli tempestivamente il suo proposito di alienazione, ma anche quando nella comunicazione sia stato non solo omesso ma anche erroneamente indicato il prezzo e le condizioni che, anche indirettamente, influiscono sui termini e le modalità del suo pagamento, come nel caso in cui la stipulazione dell'atto di vendita con il terzo sia stata effettuata in data successiva e diversa da quella indicata nella denuntiatio, comportando uno spostamento della data di pagamento del prezzo rispetto a quella che il conduttore, a norma dell'art. 38, comma 4, della l. n. 392/1978, avrebbe dovuto osservare in base alla denuntiatio (Cass. III, n. 6999/1992).

Ed ancora il diritto di prelazione deve essere riconosciuto anche quando nella denuntiatio non siano state specificate le condizioni del contratto rilevanti per la valutazione della convenienza dell'acquisto, come nel caso in cui si sia omessa la precisazione che il bene sarebbe stato frazionato per la vendita a due diversi acquirenti o che il contratto definitivo sarebbe stato stipulato in breve termine, con conseguente dilazione del termine di pagamento dovuto dall'acquirente (Cass. III, n. 4532/1993).

Trasferimento dell'immobile locato a terzi nonostante l'esercizio della prelazione

Il diritto di riscatto, inoltre, spetta nel caso in cui il proprietario si sia sottratto all'obbligo di addivenire alla conclusione del contratto di vendita con il conduttore il quale abbia esercitato la prelazione, vendendo l'immobile ad altri.

Trova dunque applicazione il principio secondo cui il diritto di riscatto di cui all'art. 39 della l. n. 392/1978 può essere esercitato oltre che nei casi espressamente previsti nel primo comma della citata norma (omessa denuntiatio o indicazione di un prezzo superiore a quello risultante dall'atto di trasferimento dell'immobile) anche nell'ipotesi in cui il proprietario locatore, nonostante la notifica della denuntiatio abbia trasferito l'immobile a terzi in pendenza del termine per l'esercizio del diritto di prelazione. A maggior ragione, deve ritenersi ammissibile l'esercizio del diritto di riscatto una volta che il diritto di prelazione sia stato esercitato ed il locatore si sia sottratto al vincolo legale di addivenire alla conclusione del contratto con il conduttore, vendendo ad altri l'immobile, perché anche in questo caso si verifica l'inosservanza dello stesso fondamentale obbligo del proprietario di preferire il conduttore ed il sostanziale impedimento della vicenda acquisitiva a favore di quest'ultimo voluta dalla norma (Cass. III, n. 7998/1992; il medesimo principio è stato successivamente ribadito da Cass. III, n. 2872/1997).

Passaggio in giudicato della sentenza di annullamento dell'atto di trasferimento dell'immobile locato

Il diritto di riscatto attribuito al conduttore di immobile destinato ad uso diverso da quello abitativo dall'art. 39 della l. n. 392/1978 presuppone la sussistenza di un atto di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile stesso.

Ne consegue che, il giudicato di annullamento di tale atto, formatosi in pendenza dell'azione diretta all'esercizio del riscatto, nel giudizio instaurato dal locatore nei confronti dell'acquirente, produce i suoi effetti riflessi nei confronti del conduttore, precludendogli il soddisfacimento del suo diritto, salva la possibilità di tutelarsi, ricorrendone i presupposti, con l'azione di terzo revocatoria (Cass. III, n. 9294/1999).

Ha osservato la Suprema Corte quanto segue: «Ha considerato la Corte territoriale ... che la domanda di riscatto proposta ... non poteva trovare accoglimento poiché la sopravvenuta sentenza di annullamento della compravendita (per incapacità naturale della venditrice) era opponibile al ..., in quanto incideva, caducandolo, sul presupposto del diritto di riscatto. La soluzione accolta dalla Corte d'Appello è esatta, anche se ne va precisato il fondamento giuridico. Fondamento che si ravvisa nella c.d. efficacia riflessa del giudicato. Questa Suprema Corte ha, infatti, avuto modo di affermare che il giudicato, oltre ad avere una sua efficacia diretta nei confronti delle parti, degli eredi e degli aventi causa, è dotato anche di una efficacia riflessa, nel senso che esso, come affermazione oggettiva di verità, produce conseguenze giuridiche nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo in cui la pronuncia è stata emessa, allorquando questi siano titolari di un diritto dipendente dalla situazione definitiva di quel processo o comunque di un diritto subordinato a tale situazione (Cass. III, n. 10654/1991; Cass. III, n. 792/1995; Cass. III, n. 7271/1997; Cass. III, n. 11153/1997). E giova precisare che si configura dipendenza o subordinazione del diritto, qualora nella fattispecie costitutiva dello stesso sia compresa l'esistenza o l'inesistenza della situazione oggetto del giudicato (Cass. III, n. 10654/1991). Ora, poiché nella fattispecie costitutiva del diritto di riscatto ai sensi dell'art. 39 della l. n. 392/1978 è compreso l'avvenuto trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato, del quale il riscatto modifica gli effetti sostituendo il riscattante all'acquirente, il giudicato che determina il venir meno di tale trasferimento, intervenuto in pendenza del giudizio di riscatto, produce effetti riflessi nei confronti del conduttore riscattante, ancorché estraneo al giudizio di annullamento, atteso che l'eliminazione dell'atto di trasferimento determina il venir meno della ragione stessa del riscatto, l'eliminazione in radice del presupposto per l'esercizio del diritto di riscatto. Al riguardo, può ricordarsi che questa Suprema Corte ha avuto modo di statuire, con riferimento all'ipotesi della simulazione dell'atto di trasferimento, che, in tema di riscatto urbano, disciplinato dall'art. 39 della l. n. 392/1978, poiché l'accertamento della sussistenza o meno di una delle condizioni previste in via alternativa per il suo esercizio dalla detta norma incide sul diritto del conduttore, questi subisce gli effetti riflessi della sentenza che accerti la simulazione, assoluta o relativa, della alienazione dell'immobile locato, ancorché pronunciata tra locatore e terzo acquirente, ferma restando la possibilità per il conduttore di proporre l'opposizione di terzo revocatoria, ove ne ricorrano gli estremi (Cass. III, n. 12168/1991; in senso conforme v. anche la precedente Cass. III, n. 4933/1978; nel senso dell'inopponibilità si sono invece pronunciate, traendo peraltro argomento dall'art. 1415, comma 1 c.c., altre decisioni: Cass. III, n. 334/1980; Cass. III, n. 4777/1983; Cass. III, n. 5181/1992). Facendo applicazione dei suindicati principi in tema di efficacia riflessa del giudicato con riferimento all'ipotesi (ricorrente nella specie) dell'annullamento dell'atto di trasferimento, va quindi affermato che, postulando il riscatto ex art. 39 della l. n. 392/1978 la sussistenza di un atto di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato (art. 38, comma 1, legge citata), il giudicato di annullamento della compravendita in relazione alla quale il riscatto è esercitato in via giudiziale, formatosi, in pendenza del giudizio di riscatto, nel giudizio instaurato dal locatore nei confronti degli acquirenti con sentenza passata in giudicato, produce i suoi effetti riflessi sul conduttore riscattante, precludendogli il soddisfacimento del diritto di riscatto, salva la possibilità di tutelarsi, ricorrendone i presupposti, con l'opposizione di terzo revocatoria. E non vale opporre che, nella specie, il riscatto si era già perfezionato, per effetto della sola dichiarazione del retrattante, contenuta nella citazione introduttiva del relativo giudizio, in epoca antecedente alla proposizione della domanda di annullamento. I convenuti nel giudizio di riscatto avevano infatti manifestato la loro opposizione, sicché la sussistenza o meno dei presupposti condizionanti la fondatezza del diritto azionato era ancora sub iudice alla data di instaurazione del giudizio di annullamento del contratto, ed il riscatto non aveva quindi prodotto effetti, occorrendo la pronuncia del giudice, recante l'accertamento della sussistenza delle condizioni dell'azione ...». Nel disattendere i motivi svolti dal ricorrente, la Suprema Corte ha aggiunto: «Il richiamo all'art. 2653, n. 3) c.c. non è pertinente. Tale disposizione considera infatti l'ipotesi del patto di riscatto convenzionalmente apposto alla compravendita, laddove nella specie si verte in tema di riscatto legale ex art. 39 della l. n. 392/1978. Ai sensi dell'art. 1445 c.c., l'annullamento che non dipende da incapacità legale non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento. La norma va quindi coordinata con l'art. 2652, n. 6) c.c., secondo il quale, nel caso di trascrizione, entro cinque anni dalla trascrizione dell'atto impugnato, della domanda volta a far pronunziare l'annullamento per una causa diversa dall'incapacità legale (ipotesi ricorrente nella specie, essendo stato richiesto l'annullamento del contratto di compravendita per incapacità naturale ex art. 428 c.c.), la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi in buona fede in base ad atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda. L'intangibilità della posizione dei terzi di buona fede riguarda quindi soltanto i diritti acquistati a titolo oneroso con atto a sua volta trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda di annullamento. Ma tale ipotesi non ricorre nel caso in esame, poiché, come già rilevato, il conduttore non era titolare di un acquisto a titolo oneroso perfezionatosi anteriormente alla trascrizione della domanda di annullamento, poiché l'opposizione degli acquirenti al riscatto aveva impedito che la dichiarazione di riscatto producesse i suoi effetti di sostituzione del riscattante agli acquirenti, rendendo necessaria una sentenza favorevole al riscattante. Né può assumere rilevanza, ai fini in esame, l'avvenuta trascrizione della domanda di riscatto anteriormente a quella della domanda di annullamento. Pur volendo ritenere che la trascrizione della domanda giudiziale di riscatto legale sia consentita, in ragione dell'interpretazione estensiva dell'art. 2653, n. 1) c.c., per essere volta l'azione di riscatto all'accertamento della proprietà in capo al riscattante per effetto della sostituzione ex lege all'acquirente, occorre infatti considerare che gli effetti della trascrizione delle domande sono esclusivamente quelli espressamente previsti dalla legge (Cass. III, n. 4482/1976). Consegue che unico effetto della trascrizione della domanda di cui trattasi è quello di attribuire efficacia alla sentenza pronunciata contro il convenuto anche contro coloro che hanno acquistato diritti dal medesimo, in base ad un atto trascritto successivamente. A parte il rilievo che un tale effetto cautelare verso i terzi subacquirenti è superfluo per il riscattante, dal momento che la legge ... gli attribuisce il diritto di riscattare l'immobile dall'acquirente e da ogni altro successivo avente causa, va comunque tenuto per fermo che la trascrizione della domanda non produce effetti equiparabili alla trascrizione dell'atto di acquisto, e che pertanto non può valere a salvaguardare i terzi (tali rispetto al giudicato di annullamento) nei sensi previsti dagli artt. 1445 e 2652, n. 6) c.c.».

Termine a quo per l'esercizio del diritto di riscatto

Occorre, in primo luogo, rammentare che l'art. 39, comma 1, della l. n. 392/1978, il quale, per il riscatto da parte del conduttore dell'immobile non abitativo venduto dal locatore, fa decorrere dalla trascrizione della vendita il termine semestrale di decadenza – dunque dalla conoscenza legale dell'evento e non dalla sua conoscenza effettiva – non impone un onere eccessivamente gravoso, e perciò non contrasta con gli artt. 3 e 24 Cost.

Il giudice delle leggi, dopo aver ricordato che il complesso delle disposizioni in tema di prelazione urbana sono ispirate al principio del favor conductoris, ha in proposito osservato che la norma è il prodotto di un bilanciamento spettante al legislatore. Il legislatore ha cioè «inteso bilanciare il descritto favor conductoris con l'interesse più generale della circolazione dei beni immobili stabilendo termini di decadenza per l'esercizio del diritto di prelazione e del diritto di riscatto, rispettivamente di sessanta giorni e di sei mesi. Le dimensioni temporali scelte non appaiono incongrue, nel primo caso per la decorrenza da un dato di conoscenza soggettivamente certo quale la comunicazione notificata per ufficiale giudiziario, nel secondo da un dato oggettivamente certo di pubblicità legale ma non di conoscenza quale la trascrizione dell'atto di compravendita nei registri immobiliari, cui corrisponde, nel sistema tavolare, la registrazione della domanda di intavolazione nel giornale tavolare e non la materiale trascrizione nel libro fondiario del decreto del giudice tavolare. La Corte di Cassazione ritiene che la vanificazione della durata del termine semestrale per la decadenza dal diritto di riscatto può essere impedita solo da una assidua vigilanza da parte del conduttore mediante ispezioni dei registri immobiliari, nel sistema comune, e dei libri fondiari, nel loro insieme di libro maestro e di collezione dei documenti, per il sistema tavolare. Tale onere di visura aggraverebbe la posizione del conduttore ai fini dell'esercizio del diritto di riscatto e vulnererebbe la garanzia costituzionale del diritto di azione, di cui all'art. 24 Cost. Questa Corte ha al contrario ritenuto che periodiche ravvicinate ispezioni dei registri immobiliari costituiscono un “onere che, pur fastidioso, non può dirsi eccessivamente gravoso al punto di offendere l'art. 24 Cost.” (Corte cost. n. 311/1988); e persino che “la periodica verifica dell'esistenza in vita, dell'imputato, [...] in quanto normalmente esperibile presso gli uffici di stato civile, non può dirsi talmente gravosa da confliggere con l'art. 24 Cost.” (Corte cost. n. 732/1988). Né può richiamarsi il diverso principio, affermato da Corte cost. n. 185/1988, circa l'indispensabilità della conoscenza effettiva del termine iniziale di decorrenza, senza del quale l'azione si intende inutiliter data, perché ivi si trattava di mutamento di destinazione dell'immobile ad opera del conduttore, cioè di uno stato di fatto, per accertare il quale, non essendo predisposti né ipotizzabili strumenti di conoscenza legale, non poteva non esigersi la conoscenza soggettiva del locatore» (Corte cost. n. 228/1990).

Nel caso di specie, far decorrere il termine semestrale di decadenza del diritto di riscatto dall'effettiva conoscenza del conduttore dell'avvenuta compravendita a lui non denunziata o, se denunziata, con indicazione di prezzo maggiorato che lo ha distolto dall'esercitare il diritto di prelazione, «significherebbe spingere il favor conductoris fino a creare incertezza e intralcio al traffico commerciale degli immobili, restando il terzo acquirente permanentemente esposto per un tempo indeterminato all'esercizio del diritto di riscatto del conduttore. Imporre d'altra parte al terzo acquirente un onere di comunicazione verso il conduttore a supplenza della mancata denuntiatio del locatore-venditore postulerebbe un vizio del trasferimento qualora esso non fosse adempiuto. Si tratta, come ognun vede, di operazioni di ricostruzione della norma che richiedono ponderazione di interessi sociali riservata al legislatore. Se quest'ultimo, tenendo conto degli inconvenienti addotti nelle controversie presso i giudici di merito, vorrà confermare il favor conductoris fino a sostituire la conoscibilità legale tramite i registri immobiliari con la conoscenza effettiva, sarà egli a dettare una nuova formulazione della norma. Al giudice delle leggi non resta che rilevare allo stato della disciplina la non irragionevolezza del criterio adottato di assumere come dies a quo del decorso del termine semestrale di decadenza per l'esercizio del diritto di riscatto la trascrizione del trasferimento a titolo oneroso nei registri immobiliari, per il bilanciamento ch'esso realizza tra l'interesse del conduttore titolare del diritto potestativo di riscatto, pertanto onerabile della opportuna vigilanza sui registri anzidetti, e l'interesse del terzo acquirente ad un sollecito consolidamento dell'acquisto a partire dalla data di trascrizione o dalla domanda d'intavolazione» (Corte cost. n. 228/1990).

Il termine semestrale per l'esercizio del diritto di riscatto è previsto a pena di decadenza e l'effetto preclusivo prodotto dal decorso del termine di decadenza è assoluto e prescinde da ogni considerazione dei motivi per i quali il conduttore non sia venuto tempestivamente a conoscenza della trascrizione della vendita e non abbia potuto, anche senza colpa evitare la decadenza, sicché neppure può rilevare che l'ignoranza del conduttore trovi giustificazione in un comportamento fraudolento del proprietario. In tal senso – secondo una prospettiva ribadita da Cass. III, n. 3985/1999; Cass. III, n. 4039/1993 – si è affermato che: «In tema di vendita a terzi dell'immobile locato, nel caso che il proprietario-locatore non abbia provveduto a comunicare al conduttore la propria intenzione di vendere l'immobile, indicando il relativo prezzo, come prescritto dall'art. 38 della l. n. 392/1978, il successivo art. 39 prevede, con una disposizione analoga a quella di cui all'art. 8 della l. n. 590/1965 in materia di retratto agrario, che il conduttore debba a pena di decadenza esercitare il diritto di riscatto entro sei mesi dalla trascrizione del contratto di vendita dell'immobile a terzi. L'effetto preclusivo del diritto di riscatto del conduttore a seguito del decorso del termine di decadenza è assoluto e prescinde da ogni considerazione dei motivi, per i quali il conduttore non sia venuto tempestivamente a conoscenza della trascrizione della vendita e non abbia, quindi, potuto evitare, senza colpa, la decadenza, e ciò anche se la detta ignoranza del conduttore trovi giustificazione in un comportamento fraudolento del proprietario (v., in tal senso in materia agraria, Cass. III, n. 310/1984). La ratio di tale disciplina, così rigorosa per quanto riguarda la tempestività dell'esercizio di riscatto, appare evidente ove si tenga conto che il legislatore, stabilendo un termine, peraltro non incongruo, di decadenza, ancorato al fatto obiettivo della trascrizione della vendita dell'immobile locato, prescindendo dall'ignoranza anche incolpevole di tale trascrizione da parte del conduttore, ha inteso soddisfare l'esigenza di una rapida definizione delle situazioni connesse all'esercizio del diritto di riscatto, nel quadro di un'equilibrata tutela degli interessi del conduttore, favorito con la predisposizione degli strumenti idonei a fargli conseguire la proprietà della cosa locale, e del locatore, che per effetto di tale predisposizione vede in qualche modo limitata la facoltà di disporre liberamente di essa. Ultroneo è il richiamo della ricorrente alle norme del codice civile in materia di prescrizione (artt. 2935 e 2941, n. 8 c.c.), dal momento che, ai sensi dell'art. 2966 c.c., la decadenza non è impedita da una non colpevole ignoranza del fatto, a cui è ricollegato l'inizio del termine di decadenza, ma solo dal compimento dell'atto che va posto in essere nel detto termine» (Cass. III, n. 3734/1989).

Il termine semestrale per l'esercizio del diritto di riscatto è destinato ineluttabilmente a spirare anche nel caso che l'azione di riscatto richieda l'esperimento di altra azione, quale quella di simulazione del prezzo risultante dall'atto di trasferimento: «Un identico problema è stato già affrontato dalla giurisprudenza della Corte in tema di applicazione dell'art. 8 della l. n. 590/1965, nella materia della prelazione agraria, dove si è pervenuti alla conclusione che “la tutela concessa dal legislatore all'affittuario del fondo rustico, al quale il comportamento del concedente abbia impedito di concretamente avvalersi del diritto di prelazione consiste fondamentalmente nell'esercizio del diritto di riscatto, mentre le altre azioni (di nullità, dichiarazione di inefficacia, simulazione) sono dal coltivatore esperibili in quanto funzionalmente collegate ad un contemporaneo esercizio dell'azione di riscatto, con la conseguenza che il termine perentorio di un anno dalla trascrizione del contratto previsto per tale azione non può ritenersi spostato, nell'inizio del suo decorso, dal previo esperimento di una delle altre azioni” (Cass. III, n. 4155/1982; Cass. III, n. 6089/1988). È stato conseguenzialmente affermato che “difetta di interesse alla declaratoria della simulazione del contratto di compravendita del fondo rustico, l'affittuario coltivatore diretto il quale non abbia validamente esercitato il diritto di riscatto, conferitogli dall'art. 8 della l. 26 maggio 1965, n. 590” (Cass. III, n. 4669/1981). L'art. 39 della l. n. 392/1978 riprende la formulazione del comma 5, dell'art. 8 della l. n. 590/1965, il quale pure non contiene l'espressa previsione del caso della simulazione, sicché non si tratta di affrontare rispetto ad esso una questione che non sia già stata esaminata, né la Corte ritiene di doversi distaccare dalla propria precedente giurisprudenza» (Cass. III, n. 7947/1991).

Ed anzi, una volta spirato il termine di decadenza per l'esercizio del riscatto, il conduttore perde interesse alla proposizione dell'azione di simulazione: «Con il secondo motivo ... il ricorrente sostiene che il locatore, il quale non adempie all'obbligazione di comunicare al conduttore le effettive condizioni della vendita programmata, sì da impedirgli di esercitare il diritto di prelazione, è tenuto a risarcire al conduttore il danno che gliene sia derivato. Da ciò l'interesse ad agire per l'accertamento della simulazione relativa, ancorché sia mancato l'esercizio del diritto di prelazione nella forma del riscatto. Anche questa censura non è fondata. L'art. 1415, comma 2, c.c. dispone che i terzi possono far valere la simulazione in confronto delle parti, quando essa pregiudica i loro diritti. L'interesse, che, secondo la norma, consente ai terzi di agire per far accertare la simulazione, è nel pregiudizio che il negozio simulato può determinare in rapporto all'esercizio di un diritto dei terzi. pregiudizio che l'accertamento della simulazione è in grado di rimuovere o impedire. Ne deriva che il terzo, per dimostrare l'esistenza d'un interesse ad agire per l'accertamento della simulazione, deve allegare quale sia il proprio diritto ed il pregiudizio cui è esposto. Non è questa, però, la situazione presupposta dal ricorrente nel motivo. L'assunto su cui si basa non è che l'accertamento della simulazione valga ad elidere o impedire il pregiudizio al diritto del ricorrente, suscettibile d'esser poi esplicato senza incontrare ostacolo nel negozio simulato. L'assunto è bensì che la simulazione abbia provocato al ricorrente un danno e che in questo giudizio possa esser intanto accertato il fatto della simulazione, mentre in un successivo giudizio potrà esser accertato che dalla simulazione è derivato un danno. La Corte osserva che una siffatta scissione non è ammissibile e che il ricorrente avrebbe dovuto agire proponendo una domanda di risarcimento del danno e che, in funzione di tale domanda, avrebbe potuto chiedere l'accertamento della simulazione del prezzo, dedotto come fatto, nel caso, illecito» (Cass. III, n. 7947/1991).

Alla luce dei principi accolti dalla giurisprudenza di legittimità, è stato osservato che il termine per l'esercizio dell'azione di riscatto decorre dalla trascrizione dell'atto di trasferimento anche nel caso che il conduttore di un immobile ad uso commerciale ritenga leso il suo diritto di prelazione in seguito alla vendita a terzi dell'intero stabile in cui l'immobile è sito ad una pluralità di acquirenti in comproprietà indivisa, assumendo il carattere simulato della vendita in blocco, nulla rilevando il successivo atto di divisione, con il quale gli acquirenti abbiano proceduto ad assegnarsi le varie unità immobiliari dell'edificio in ragione delle rispettive quote di proprietà ideale (Trib. Milano 6 giugno 1994).

Tutela aquiliana del conduttore indotto ad escludere la sussistenza del trasferimento

Il terzo acquirente e il locatore-alienante che, attraverso una condotta volta ad ingenerare nel conduttore la rappresentazione che l'immobile non sia stato trasferito, conseguono il risultato del mancato esercizio da parte dello stesso conduttore del diritto di riscatto sono tenuti al risarcimento dei danni, in applicazione dell'art. 2043 c.c.

Nel motivare l'affermazione che precede, la Suprema Corte ha evidenziato che lo spirare del termine per l'esercizio del diritto di riscatto va di regola riguardato come la conseguenza di un comportamento proprio del conduttore, che ha omesso di adottare la diligenza necessaria per attuare l'interesse all'acquisto dell'immobile locato facendo valere, appunto, il riscatto, con conseguente esclusione di ogni responsabilità del proprietario locatore. Può accadere, tuttavia, che il mancato esercizio del diritto di riscatto sia il prodotto di un comportamento «ingannevole» del proprietario locatore e del terzo acquirente: «In ragione delle già viste esigenze di bilanciamento tra il favore per il conduttore e il più generale interesse della circolazione dei beni, il sistema di protezione dell'interesse del conduttore attuato dal legislatore, per risultare funzionante ed in concreto non eludibile, deve certo fare necessario affidamento sulla diligenza del medesimo conduttore quanto al rendersi edotto dell'avvenuto trasferimento. Ma va anche rilevato che alla strutturazione di tale sistema da parte del legislatore non sarà stata estranea la considerazione, che la conoscenza del trasferimento debba aversi nella generalità dei casi come normale conseguenza della successione dell'acquirente al locatore e dell'esercizio da parte del primo dei diritti inerenti al rapporto di locazione. Orbene, il nesso causale tra un comportamento del locatore-alienante e del terzo acquirente e l'inattuazione dell'interesse del conduttore all'acquisto del bene, che deve considerarsi mancante tutte le volte che il locatore si sia limitato a non dare comunicazione dell'intenzione di trasferire l'immobile e il conduttore abbia mancato di esercitare tempestivamente il diritto di riscatto, può invece configurarsi quante volte il comportamento del locatore-alienante e/o del terzo acquirente, successivo al trasferimento dell'immobile locato ed al subentro del terzo nel rapporto di locazione (art. 1602 c.c.), sia stato tale da ingenerare nel conduttore la rappresentazione che un trasferimento non vi sia stato, sì da distoglierlo dall'onere di consultazione dei registri immobiliari. Si profilano, in questo caso, tutti gli elementi necessari alla configurazione del fatto illecito (art. 2043 c.c.). Sulla base del contratto di locazione, in caso di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato, nasce per il conduttore il diritto di riscatto, verso l'acquirente e ogni altro successivo avente causa: diritto potestativo, alla attuazione del quale è logicamente estranea un'obbligazione del locatore-alienante, come del terzo acquirente, intesa a renderla possibile. Contrasta, però, in diritto, il principio del neminem laedere, una condotta, del locatore e/o del terzo acquirente, volta ad ingenerare nel conduttore la rappresentazione che l'immobile non sia stato trasferito, sì da distoglierlo dall'onere di consultazione dei registri immobiliari. L'inattuazione dell'interesse del conduttore all'acquisto dell'immobile locato, che si ha in conseguenza del mancato tempestivo esercizio del diritto di riscatto, si presta in questo caso ad essere considerata un evento ricollegabile con nesso causale alla condotta preordinata a provocare l'evento medesimo. L'inattuazione dell'interesse del conduttore all'acquisto può dar luogo ad un pregiudizio d'ordine patrimoniale e questo danno è da considerare ingiusto, in quanto è conseguenza di una condotta volta ad impedire l'esercizio di un diritto. Ciò detto, va osservato che l'attuale ricorrente, in sede d'appello, aveva dedotto in fatto che, a trasferimento avvenuto, gli acquirenti avevano lasciato che i diritti inerenti al rapporto di locazione continuassero ad essere esercitati dagli alienanti; e che la risposta data dalla sentenza impugnata, per escludere l'esistenza di una «trama dolosa», appare non sufficientemente motivata» (Cass. III, n. 5519/1991).

Dopodiché, il principio secondo cui l'inosservanza da parte del conduttore del termine previsto a pena di decadenza per l'esercizio del diritto di riscatto comporta la responsabilità aquiliana per il locatore o anche per il terzo acquirente qualora vi sia stata una loro condotta rivolta ad indurlo nel convincimento dell'insussistenza del trasferimento e, quindi, a distoglierlo dall'onere di consultare i registri immobiliari per avere notizia del trasferimento stesso, è stato più volte ribadito (Cass. III, n.18233/2008; Cass. III, n.6891/2001; Cass. III, n.2872/1997; Cass. III, n.6417/1996; Cass. III, n.6293/1992; Cass. III, n.8040/1991).

Si è, inoltre, precisato che, in caso di pluralità di alienanti, la responsabilità per avere indotto ad escludere il trasferimento dell'immobile ricade su chi abbia posto in essere la condotta aquiliana: «L'obbligazione risarcitoria – derivante da un fatto unico dannoso imputabile a più soggetti – è solidale, non cumulativa, e, perciò, non dà luogo a litisconsorzio necessario passivo e non impone, di conseguenza, il simultaneus processus, incontrando tale regola una deroga, in via eccezionale, soltanto nei casi in cui la responsabilità, in capo ad uno dei danneggianti, si ponga in rapporto di dipendenza con la responsabilità di altri danneggianti, ovvero quando le distinte posizioni dei coobbligati presentino obiettiva interrelazione, alla stregua della loro stretta subordinazione, anche sul piano del diritto sostanziale, sicché la responsabilità dell'uno presupponga la responsabilità dell'altro, nonché nell'ipotesi in cui sia la legge stessa che – presupponendo, e derogando a detto principio – imponga esplicitamente, sempre in via eccezionale, il litisconsorzio necessario tra coobbligati solidali» (Cass. III, n.7501/2007).

Applicando il principio, la Suprema Corte ha rilevato come, nel caso dell'azione aquiliana in discorso, esercitata congiuntamente nei riguardi degli alienanti e degli acquirenti, in rapporto al preteso comportamento degli alienanti, non sussistesse stretta subordinazione o rapporto di dipendenza tra le condotte di tutti gli alienanti, ben potendo alcuni di essi essere rimasti estranei al denunciato fatto dannoso della preordinata dolosa condotta diretta a vanificare il diritto di riscatto del conduttore.

Nella stessa prospettiva si è anche di recente affermato che, in riferimento alle locazioni di immobili urbani a uso non abitativo, l'inosservanza da parte del conduttore del termine, previsto a pena di decadenza dall' art. 39, comma 1, l. n. 392/1978, per l'esercizio del diritto di riscatto in caso di vendita del bene locato, implica per il locatore o anche per il terzo acquirente una responsabilità aquiliana solo ove vi sia stata una loro condotta rivolta ad indurlo nel convincimento dell'insussistenza del trasferimento e, dunque, a distoglierlo dall'onere di consultare i registri immobiliari per avere notizia del trasferimento stesso. Pertanto, il conduttore di un immobile a uso non abitativo, ove sia decaduto dal diritto di cui all'art. 38 della suddetta legge può domandare, sia al venditore che al compratore, il risarcimento dei danni patiti, purché ne dimostri la rispettiva malafede, consistita nell'intento di tenerlo all'oscuro dell'avvenuto trasferimento (App. Napoli 17 febbraio 2020, n. 719).

Termine ad quem per l'esercizio giudiziale e stragiudiziale del diritto di riscatto

Il diritto di riscatto può essere fatto valere non soltanto per via giudiziale, ma anche attraverso un atto stragiudiziale.

Viene in tal senso affermato che il diritto di riscatto previsto dall'art. 39 l. n. 392/1978 può essere fatto valere non soltanto con la citazione in giudizio, ma anche al di fuori del processo, con qualsiasi atto, ricevuto dall'acquirente entro sei mesi dalla trascrizione della compravendita, con il quale il conduttore comunichi per iscritto la volontà di riscattare l'immobile locato (Cass. III, n. 4039/1993).

Da ciò discende che il termine semestrale per l'esercizio del diritto di riscatto non è assoggettato a sospensione dei termini feriali. Poiché il diritto di riscatto di cui all'art. 39 l. n. 392/1978 può essere esercitato non soltanto con la proposizione di un'azione giudiziaria, ma anche al di fuori del processo, con una dichiarazione unilaterale di carattere negoziale, è dunque manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della l. n. 742/1969, nella parte in cui non contempla fra i termini soggetti a sospensione nel periodo feriale quello – comunque di natura sostanziale – di sei mesi previsto per l'esercizio del diritto di riscatto di cui innanzi, in riferimento all'art. 24 Cost. (Cass. III, n. 6222/1988).

L'atto di esercizio del diritto di riscatto ha natura ricettizia, e dunque deve essere portato a conoscenza del retrattato entro il previsto semestre. Come è stato ribadito, in tema di prelazione e riscatto di immobili urbani, il conduttore può manifestare la sua volontà di riscatto dell'immobile con qualsiasi atto scritto, purché esso, in quanto atto recettizio, sia ricevuto dal compratore entro il termine di sei mesi dalla trascrizione della compravendita, sicché, ove la dichiarazione di riscatto sia contenuta nell'atto introduttivo del giudizio finalizzato a far valere il relativo diritto, non è sufficiente il mero deposito del ricorso nel termine semestrale, occorrendo che l'atto venga anche notificato al compratore, non trovando applicazione, nella specie, il principio di scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario (Cass. III, n. 14833/2016).

Nel caso in cui, dunque, il retraente opti per l'esercizio del diritto di riscatto per via giudiziale, pertanto, occorre che l'atto introduttivo del giudizio sia notificato al retrattato. E, nell'ipotesi di adozione della forma del ricorso ex art. 447-bis c.p.c., il ricorrente non può dolersi che il giudice non abbia provveduto alla fissazione dell'udienza di discussione entro il termine di cinque giorni di cui all'art. 415 c.p.c., precludendo così la possibilità di tempestiva notifica: «Poiché ai sensi dell'art. 39 l. n. 392/1978 – a differenza di quanto previsto dall'art. 79, comma 2, della stessa legge – la decadenza non è impedita esclusivamente ed unicamente da un'azione proponibile fino a sei mesi dalla trascrizione del contratto essendo, invece, richiesta, a tal fine, una dichiarazione negoziale recettizia che non necessariamente deve essere posta in essere con un'azione giudiziale e che deve, quindi, essere comunicata all'acquirente entro il predetto termine semestrale, qualora il conduttore, anziché comunicare con qualsiasi atto scritto all'acquirente la dichiarazione di riscatto, opti per un'azione giudiziaria, lo stesso non può sostenere di non aver potuto rispettare il termine predetto per fatto a lui non imputabile e, in particolare, perché (come prospettato nella fattispecie) il presidente del Tribunale adito non ha fissato con decreto l'udienza di discussione entro il termine di cinque giorni dal deposito del ricorso, così impedendo la notifica di quest'ultimo entro il semestre di cui all'art. 39 citato, atteso che, in tal caso, il mancato rispetto del termine è stato determinato dal fatto dello stesso conduttore che, nella sua autonomia, ha ritenuto di avvalersi, nell'esercizio della facoltà di riscatto, di uno strumento risultato, in concreto, non idoneo a garantire la conoscenza da parte dell'acquirente dell'atto negoziale recettizio di riscatto entro il termine di legge» (così Cass. III, n. 23301/2007).

La soluzione adottata dalla Suprema Corte ha resistito agli argomenti in seguito apportati contro di essa: «Con l'unico motivo ..., la ricorrente si duole che la Corte non abbia applicato il principio affermato (in materia di impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore) da Cass. S.U., n. 8830/2010, che avrebbe "sostanzialmente introdotto un principio generale di ordine costituzionale secondo cui l'effetto impeditivo della decadenza si verifica al momento in cui si dà impulso al procedimento di comunicazione". Assume, più precisamente, che: – il diritto di riscatto può essere esercitato solo con l'atto introduttivo del giudizio; – al fine di evitare la decadenza, è sufficiente che l'interessato abbia esternato la propria volontà, non richiedendosi anche la conoscenza di tale volontà da parte del destinatario; – "ne deriva che, essendo destinato l'atto introduttivo del giudizio ad essere notificato alla controparte, il solo deposito del ricorso varrà quale impulso della comunicazione del riscatto, idoneo ad impedire la decadenza dell'onerato"; tanto più che l'art. 39 "non impone alcuna forma né dice che il riscatto deve essere comunicato oppure che deve giungere al locatore nel termine di sei mesi" e che i C. avevano possibilità di "verificare la pendenza del ricorso proposto da B.A. consultando il registro cartaceo del Ruolo Generale consultabile da chiunque". Il motivo va disatteso. La sentenza impugnata ha correttamente applicato i principi elaborati da questa Corte, che ha affermato – in termini generali – che "in tema di prelazione e riscatto di immobili urbani, il conduttore può manifestare la sua volontà di riscatto dell'immobile sia con un atto di citazione, sia con un qualsiasi altro atto scritto, purchè, trattandosi di atti recettizi, essi siano ricevuti dal compratore entro il termine di sei mesi dalla trascrizione della compravendita" (Cass. III, n. 3985/1999; conforme, ex multis, Cass. III, n. 12280/2010) e ha precisato (Cass. III, n. 23301/2007), in riferimento ad un caso esattamente sovrapponibile a quello in esame, che: – "la circostanza che la dichiarazione di riscatto può essere effettuata anche con l'atto introduttivo del giudizio diretto a far valere il diritto di riscatto non esclude che, anche in tal caso, sia necessaria l'osservanza dell'onere di comunicare alla controparte la dichiarazione de qua entro il termine predetto"; – "ne consegue che tale atto introduttivo (ricorso o citazione) è idoneo ad impedire la decadenza prevista dell'art. 9 della l. n. 392/1978, solo se sia portato a conoscenza del retrattato entro il termine di legge, a nulla rilevando, a tal fine, che il giudice adito abbia avuto conoscenza dell'atto sin dal momento in cui lo stesso è stato posto nella sua disponibilità, ad esempio con il deposito del ricorso ai sensi dell'art. 415 c.p.c.". Non è affatto pertinente il richiamo al principio espresso da Cass. S.U., n. 8830/2010, secondo cui "l'impugnazione del licenziamento ai sensi dell'art. 6 della l. n. 604/1966, formulata mediante dichiarazione spedita al datore di lavoro con missiva raccomandata a mezzo del servizio postale, deve intendersi tempestivamente effettuata allorché la spedizione avvenga entro sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento o dei relativi motivi, anche se la dichiarazione medesima sia ricevuta dal datore di lavoro oltre detto termine". Tale pronuncia costituisce, infatti, applicazione eccezionale del principio di scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario nella peculiare materia dell'impugnazione del licenziamento, giustificata da ragioni (espressamente individuate nella brevità del termine di decadenza e della necessità di riconoscere adeguata tutela al "diritto del prestatore a conservare il posto di lavoro e a mantenere un'esistenza libera e dignitosa") che non ricorrono nella materia del riscatto, ove è previsto un termine di decadenza ben più ampio ed ove sussiste la necessità di tener conto anche dell'interesse dell'acquirente a conseguire, nel termine massimo semestrale, la certezza degli effetti del giuridici del negozio concluso. Deve peraltro rilevarsi – e la considerazione appare dirimente – che, nel caso, la ricorrente non reclama la mera trasposizione nella materia del retratto urbano del principio espresso dalle Sezioni Unite per la specifica ipotesi dell'impugnativa del licenziamento, ma vorrebbe trarre da tale precedente un principio di più ampia portata che consenta di considerare assolto l'onere di comunicazione non già con la spedizione della comunicazione, ma addirittura col mero deposito del ricorso giudiziario, e quindi in un momento che precede l'avvio di qualunque attività di comunicazione o notificazione all'acquirente della volontà di esercitare il retratto. Va considerato – da ultimo – come l'indirizzo seguito dalla Corte di merito abbia trovato recentissima conferma in Cass. S.U., n. 24882/2015 che – sebbene in riferimento alla prescrizione – ha ribadito il principio generale per cui, al di fuori delle ipotesi in cui il diritto non possa farsi valere che con un atto processuale, gli atti unilaterali producono effetto solo al momento in cui pervengono all'indirizzo del destinatario. Inammissibile, prima ancora che manifestamente infondata, è la questione (subordinata) di legittimità costituzionale, proposta "in termini di contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto il riscatto verrebbe ad essere oggetto di una disciplina differenziata in maniera irragionevole" (in ragione del fatto che "la differenziazione sarebbe fondata unicamente sul tipo di atto e di modalità di comunicazione dello stesso", con "aggravio ingiustificato di rischi per il riscattante in ordine alla possibilità di esercitare il diritto di riscatto in via giudiziale depositando il ricorso ai sensi dell'art. 447-bis c.p.c., entro il termine semestrale di decadenza"). Nel caso specifico, infatti, non è neppure astrattamente configurabile alcuna disparità di trattamento fra l'ipotesi esaminata e quelle in cui viene ammessa la scissione degli effetti della comunicazione (rispetto al dichiarante e al destinatario), giacché la ricorrente pretende di assegnare significato di avvio della comunicazione al mero deposito del ricorso (ossia ad un'attività del tutto distinta ed antecedente rispetto all'inizio del procedimento notificatorio dell'atto giudiziario contenente la comunicazione di riscatto)» (Cass. III, n. 14833/2016).

Sempre in caso che il retraente eserciti il diritto di riscatto per via giudiziale, occorre che il difensore sia munito di apposita procura, se l'atto non è sottoscritto anche dalla parte personalmente. In tema di riscatto di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, previsto dall'art. 39 l. n. 392/1978, tale istituto (come il riscatto nella materia agraria), integrando un diritto potestativo, si esercita per il tramite di una dichiarazione unilaterale recettizia di carattere negoziale, attraverso la quale si determina autoritativamente ex lege l'acquisto dell'immobile a favore del retraente, e tale dichiarazione può essere effettuata anche con l'atto di citazione diretto a far valere il diritto di riscatto. In tale seconda ipotesi, in particolare, la procura speciale ad litem, conferita al difensore per promuovere il relativo giudizio, non gli conferisce anche la legittimazione sostanziale per effettuare, in rappresentanza del titolare del diritto, la dichiarazione unilaterale recettizia di retratto, salvo che la detta procura sia redatta in calce o a margine dell'atto di citazione, nel cui testo sia contenuta la dichiarazione di riscattare l'immobile, in quanto la parte, con la sottoscrizione della procura, fa proprio tale contenuto (Cass. III, n. 20948/2006; Cass. III, n. 23301/2007).

In quest'ultima pronuncia, viene osservato che, se «la dichiarazione di riscatto è un atto negoziale ciò non può che significare che il conduttore deve manifestare la sua volontà di riscatto dell'immobile con un qualsiasi atto scritto (v. Cass. III, n. 3985/1999). La circostanza che tale dichiarazione possa essere effettuata anche con l'atto con cui si introduce il giudizio diretto a far valere il diritto di riscatto, non vale ... a fare ritenere che in quest'ultima evenienza non sia necessaria l'osservanza dell'onere di comunicare alla controparte la dichiarazione in questione entro il termine di sei mesi dalla trascrizione del contratto. Del resto, se in caso di riscatto esercitato mediante l'atto introduttivo di un giudizio, la circostanza non esclude che la volontà di voler esercitare il retratto provenga dallo stesso retraente o da un suo procuratore ad negotia (sì, per l'effetto, che la procura speciale ad litem, conferita al difensore per promuovere il relativo giudizio, non gli conferisce anche la legittimazione sostanziale per effettuare, in rappresentanza del titolare del diritto, la dichiarazione unilaterale recettizia di retratto, salvo che la detta procura sia redatta in calce o a margine dell'atto di citazione, nel cui testo sia contenuta la dichiarazione di riscattare l'immobile, in quanto la parte, con la sottoscrizione della procura, fa proprio tale contenuto ...), analogamente deve affermarsi che un tale atto (ricorso o citazione) è idoneo a produrre i suoi effetti e, in particolare, a impedire la decadenza prevista dall'art. 39 l. n. 392/1978, solo nella eventualità che sia portato a conoscenza del retrattato entro il termine di legge, senza che rilevi che il giudice adito che, palesemente, non può identificarsi con il retrattato abbia avuto conoscenza dell'atto sin dal momento in cui lo stesso è stato posto nella sua disponibilità, ad esempio mediante il deposito il cancelleria ex art. 415 c.p.c.».

Nella stessa linea, è stato ripetuto che il diritto di riscatto di un immobile, ex art. 39 l. n. 392/1978, integra un diritto potestativo che si esercita tramite una dichiarazione unilaterale recettizia, di carattere negoziale, attraverso cui si determina l'acquisto della proprietà dell'immobile a favore del retraente. Questa dichiarazione può essere effettuata anche con l'atto di citazione, diretto a far valere il diritto di riscatto, ed in questa ipotesi la procura speciale ad litem, conferita al difensore per promuovere il relativo giudizio, non gli conferisce anche una legittimazione sostanziale per effettuare, in rappresentanza del titolare del diritto, la dichiarazione unilaterale recettizia di retratto (Cass. III, n. 8264/2014).

Giudizio di riscatto e questioni di pregiudizialità

Una volta che il conduttore abbia introdotto il giudizio di riscatto ed il terzo acquirente abbia agito per il rilascio dell'immobile, adducendo la cessazione del rapporto di locazione per fatti successivi al sorgere di detto diritto, la prima causa, in quanto diretta ad ottenere una sentenza dichiarativa implicante la sostituzione ex tunc dell'avente diritto alla prelazione al terzo acquirente, così privando ab initio l'uno e l'altro delle rispettive posizioni di conduttore e di locatore, ha carattere pregiudiziale, ed impone pertanto la sospensione del secondo giudizio, a norma dell'art. 295 c.p.c.

Questi gli argomenti svolti a sostegno della soluzione: «Con un primo indirizzo, si è affermato che non va necessariamente sospesa la causa di recesso dalla locazione promossa dal terzo acquirente dell'immobile locato in attesa della definizione di quella di riscatto instaurata dal conduttore che si assume privato del diritto di prelazione a lui spettante. Si è osservato che nel caso indicato non è configurabile un contrasto di giudicati tra la sentenza di accoglimento della domanda di recesso e quella di accoglimento dell'azione di riscatto in quanto unica conseguenza di quest'ultima sarebbe l'obbligo di restituzione, da parte del terzo acquirente, dell'immobile in precedenza rilasciato dal conduttore (Cass. III, n. 3709/1985). Con un secondo indirizzo, si è sostenuto che il positivo esercizio del diritto di riscatto determina la sostituzione ex tunc del riscattante nella posizione giuridica acquistata dal retrattario con la compravendita dell'immobile e, quindi, il verificarsi di una situazione giuridicamente incompatibile con il rapporto oggetto della domanda di recesso formulata dall'acquirente dell'immobile. In particolare, si è affermata la pregiudizialità della domanda di riscatto rispetto a quella di recesso per il fatto che la prima investe la pregressa estinzione dell'azionata titolarità del rapporto di locazione per cumulo nel retraente della qualità di conduttore e di proprietario concedente (Cass. III, n. 2898/1985; Cass. III, n. 3832/1986). Analogo contrasto, in termini sostanzialmente coincidenti, è sorto in materia agraria in ordine al rapporto tra la causa di riscatto promossa dallo affittuario e quella di rilascio del fondo attivata dal terzo acquirente dello stesso immobile. Anche tale contrasto è stato portato all'esame delle Sezioni Unite e discusso alla medesima udienza» (Cass. S.U., n. 13757/1991).

Dopo aver riassunto le varie posizioni giurisprudenziali in contrasto, la pronuncia si è soffermata sulla nozione di sospensione necessaria così come delineata dall'art. 295 c.p.c.: «Tale norma, nella formulazione vigente ... stabilisce che “il giudice dispone che il processo sia sospeso nel caso previsto nell'art. 3 c.p.p. e in ogni altro caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia civile o amministrativa, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”. Del tutto estranea alla fattispecie è la pregiudizialità penale ... Rilevanti ai fini della decisione sono invece gli altri casi di sospensione necessaria contemplati dalla seconda parte del citato art. 295 c.p.c., i quali hanno dato luogo ad incertezze interpretative in ordine al potere o dovere del giudice di disporre la sospensione ed alle condizioni giustificative del provvedimento. Tenendo presente l'evoluzione registratasi nella determinazione della effettiva portata della norma, può dirsi, in estrema sintesi, che l'orientamento prevalente in dottrina e nella giurisprudenza di questa Corte esclude, da un canto, ogni potere discrezionale del giudice e, dall'altro, che la sospensione vada disposta nei soli casi espressamente previsti dalla legge (ad esempio, artt. 48, 52, 318, 355, 367, 512 c.p.c.). Individuando in particolare la ratio dell'istituto nell'esigenza di evitare contrasti di giudicati, si è affermato che il giudizio civile deve essere sospeso ogni qualvolta la relativa decisione dipenda dalla definizione di altra controversia e s'è precisato che siffatta dipendenza ricorre allorquando la definizione della causa indicata come pregiudiziale costituisca l'indispensabile antecedente logico-giuridico della definizione della seconda, sempre che di tale antecedente sia stato richiesto l'accertamento con efficacia di giudicato. Sotto questo riflesso può dirsi che l'elemento fondamentale della sospensione necessaria è dato dall'accertamento con forza di giudicato che opera dall'una all'altra causa, di guisa che non si ha sospensione necessaria ma quella facoltativa se gli effetti riflessi mancano o la causa cosiddetta pregiudiziale implica soltanto la soluzione incidentale di questioni» (Cass. S.U., n. 13757/1991).

Dopo essersi soffermata, in generale, sulla disciplina della sospensione necessaria, la Suprema Corte ha prestato adesione al secondo filone giurisprudenziale indicato, secondo cui l'accertamento in via di riscatto della proprietà dell'immobile venduto a terzi costituisce l'indispensabile antecedente logico-giuridico della decisione della causa di rilascio dello stesso immobile promossa dall'acquirente sulla base della medesima compravendita in concreto contestata: «Se è vero infatti che il terzo fa valore il titolo di acquisto per dimostrare la sua posizione di nuovo proprietario dell'immobile e di successore del locatore (abilitato all'esercizio dei relativi diritti), l'accertamento della concreta operatività di detto titolo ... incide direttamente sulla legittimazione e sui presupposti dell'azione di rilascio ed integra quindi quel rapporto di pregiudizialità considerato dall'art. 295 c.p.c. Conclusione questa che risulta più chiara e convincente ove si rifletta sulla natura e gli effetti del riscatto alla stregua della disciplina dettata dall'art. 39 della l. n. 392/1978 e della interpretazione che della stessa è stata data ... Questa Corte con orientamento costante ... ha ripetutamente affermato che il diritto di riscatto si esercita mediante una dichiarazione recettizia che produce effetti a partire dalla data della stipulazione della compravendita tra proprietario e terzo e che il giudizio volto a riconoscere detto diritto ha natura di mero accertamento ... Orbene, se la sentenza di riscatto è una sentenza dichiarativa implicante la sostituzione ex tunc dell'avente diritto alla prelazione al terzo acquirente, risulta evidente come l'unico e diretto successore del proprietario alienante sia il soggetto che ha positivamente esercitato il riscatto e non quello che stipulò la compravendita in violazione delle norme sulla prelazione. In concreto il riscatto, quale diritto potestativo con effetti retroattivi, preclude ab initio al terzo di acquisire la qualifica di locatore e di esperire i diritti che alla stessa si ricollegano. Correlativamente il riscattante, divenendo proprietario ex tunc dell'immobile locato, perde contestualmente, per evidente incompatibilità logica e giuridica, la veste di conduttore e non può essere convenuto e condannato in tale veste» (Cass. S.U., n. 13757/1991).

A ciò consegue che l'accertamento con efficacia di giudicato della pregressa estinzione del rapporto di locazione a favore del riscattante è pregiudiziale rispetto al giudizio di rilascio dell'immobile che presenta come causa petendi lo stesso rapporto: «Non può indurre a diversa conclusione l'argomentazione secondo cui l'accoglimento della domanda di riscatto dopo quella di rilascio avrebbe come effetto soltanto la restituzione dello immobile al retraente senza incidere sulla validità della compravendita. Proprio la restituzione dell'immobile, come conseguenza dell'efficacia retroattiva della pronuncia di riscatto, conferma la sussistenza di quel nesso di pregiudizialità che si vorrebbe disconoscere e dimostra inoltre l'inutilità del giudizio di rilascio. Quanto detto non implica che la compravendita stipulata in violazione del diritto di prelazione sia nulla o che, al contrario, la validità del contratto rende incompatibili gli indicati effetti del riscatto. Il retratto opera invero come strumento succedaneo di tutela del diritto leso ed è volto ad assicurare al titolare della violata prelazione l'acquisizione della medesima posizione di proprietario del bene che egli avrebbe avuto se fosse stato posto nella condizione di esercitare quel precedente diritto. A tal fine, non pone nel nulla il negozio concluso tra alienante e terzo, né determina un secondo trasferimento del bene dall'acquirente al titolare del diritto di riscatto, ma, sulla base della dichiarazione unilaterale e recettizia di quest'ultimo, determina soltanto la modificazione soggettiva della vicenda traslativa sostituendo ex tunc il retraente al terzo acquirente» (Cass. S.U., n. 13757/1991).

Alla luce di siffatta ricostruzione, emerge anche la sussistenza del pericolo di giudicati contraddittori in difetto della sospensione necessaria, giacché non sono conciliabili la decisione di rilascio dell'immobile locato, che segna la cessazione del rapporto di locazione, e la decisione di riscatto che nega l'esistenza fra le stesse parti di quel rapporto. La pronuncia, quindi, si sofferma a sottolineare che il rapporto di pregiudizialità ricorre sicuramente se con l'azione di rilascio vengano dedotti fatti e comportamenti successivi al sorgere del diritto di riscatto, perché in tal caso i presupposti e gli effetti del riscatto, in quanto risalenti a data anteriore, non possono essere travolti dalle nuove situazioni poste a base della domanda di rilascio. Con riguardo alla riduzione di fatti antecedenti viene inoltre osservato: «Nell'ipotesi contraria, di domanda di rilascio fondata su fatti antecedenti, è necessario vagliare caso per caso l'oggetto e gli effetti delle specifiche controversie per accertare od escludere quel rapporto di dipendenza. In particolare, nell'ipotesi di azione di risoluzione del rapporto introdotta dal proprietario alienante prima della vendita a terzi e basata su inadempimenti pregressi, viene ad investirsi il rapporto di pregiudizialità posto che, per l'efficacia retroattiva della pronuncia di risoluzione (art. 1458 c.c.), il conduttore resta privato ex tunc della qualifica soggettiva richiesta per la titolarità del diritto di riscatto e, conseguentemente, l'accertamento di quest'ultimo dipenderà dalla sorte della causa di risoluzione. Nel caso di specie, è pacifico che la causa di riscatto fu instaurata prima della causa di recesso da parte dei soggetti convenuti nel primo giudizio e ricorrono quindi tutte le condizioni per l'applicazione dell'art. 295 c.p.c. Può aggiungersi che l'indiscussa anteriorità della causa di riscatto rispetto a quella di recesso esclude anche la possibilità di un'artificiosa instaurazione del giudizio pregiudiziale a fini dilatori e speculativi e quindi quel deleterio ritardo nella conclusione del processo prospettato a volte come motivo per un più rigoroso contenimento della sospensione necessaria. Non senza dire che l'eventuale illecito processuale può trovare sanzione nei modi e nei limiti contemplati dall'ordinamento (art. 96 c.p.c.)» (Cass. S.U., n. 13757/1991).

Il principio è stato ribadito anche in seguito (Cass. III, n. 10194/2004).

Più di recente, è stata esclusa la sussistenza del rapporto di pregiudizialità tra la causa di riscatto, promossa dal conduttore di un immobile destinato ad uso non abitativo, nei confronti del terzo acquirente, e l'azione di rilascio dell'immobile, promossa dall'acquirente per fatti antecedenti al sorgere di detto diritto (Cass. III, n. 10083/1998).

In dipendenza del principio che precede, è stato affermato, con riguardo lo sfratto per finita locazione – ma si ricordi che la pronuncia risale ad epoca antecedente all'introduzione del giudice unico – che la contemporanea pendenza di due cause promosse dal conduttore dell'immobile locato, «l'una davanti al pretore e nei confronti del locatore, per opposizione alla convalida dello sfratto per finita locazione, l'altra davanti al Tribunale e nei confronti del terzo acquirente l'immobile stesso, per esercitare il diritto di prelazione, non determina modificazione di competenza per ragioni di connessione, né sotto il profilo dell'accertamento incidentale ex art. 34 c.p.c., né sotto quello dell'accessorietà ex art. 31 stesso codice, ma crea le condizioni per la sospensione ex art. 295 c.p.c. del procedimento pretorile, rispetto al quale la soluzione della questione di prelazione assume rilievo preliminare e si pone come antecedente logico-giuridico» (Cass. III, n. 13012/1993).

Ed ancora, con riguardo alla domanda proposta dal conduttore di condanna del terzo acquirente al pagamento dell'indennità di avviamento commerciale, è stata affermata la pregiudizialità della causa di riscatto, sulla base degli stessi argomenti utilizzati dalle Sezioni Unite (Cass. III, n. 3625/1996).

Il rapporto di pregiudizialità, viceversa, si capovolge nel caso di domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento posto in essere dal conduttore prima del trasferimento dell'immobile locato: «La domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, quando trae origine da inadempienze precedenti all'esercizio da parte dello stesso conduttore del diritto di riscatto ai sensi dell'art. 39 della l. n. 392/1978, assume carattere pregiudiziale rispetto alla domanda di riscatto, giacché, in caso di accoglimento della prima domanda, la pronunzia di risoluzione contrattuale retroagirebbe al momento in cui l'inadempimento, ritenuto grave, ha avuto inizio, privando il retraente della qualità di conduttore» (Cass. III, n. 10985/1996).

Anche in seguito, la Suprema Corte ha osservato «che la risoluzione del contratto opera ex tunc, nel senso che essa toglie efficacia alla causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali eventualmente effettuate tra i contraenti e ristabilisce fra di essi la stessa situazione economica-giuridica esistente prima del contratto, che viene considerato come se non fosse stato mai concluso. E questa efficacia retroattiva trova un limite, previsto dall'art. 1458 c.c., nel caso dei contratti ad esecuzione continuata o periodica, soltanto con riguardo alle prestazioni già eseguite, cioè a quelle liquidate ed esaurite; cosicché la pronuncia di risoluzione per inadempimento di un contratto ad esecuzione continuata, sebbene di carattere costitutivo, ha efficacia retroattiva dal momento dell'inadempimento (v. Cass. III, n. 2070/1993; Cass. III, n. 2566/1991) e, cioè, dal momento in cui, realizzandosi l'inadempimento rilevante ai fini risolutivi, è venuto meno il sinallagma contrattuale. Ne consegue che tra domanda di risoluzione proposta dal locatore e domanda di riscatto proposta dal conduttore ai sensi dell'art. 39 della l. n. 392/1978, la prima è pregiudiziale alla seconda, solo se il grave inadempimento dedotto in giudizio è anteriore all'esercizio del diritto di riscatto, poiché l'accoglimento di essa priverebbe il retraente della qualità soggettiva di conduttore, che lo legittima al riscatto (Cass. III, n. 10985/1996; Cass. III, n. 2566/1991). I giudici di appello hanno, dunque, fatto corretta applicazione dell'art. 1458 citato, ponendo in risalto che la pronuncia risolutiva della locazione inter partes si riferiva ad inadempimento verificatosi in epoca antecedente all'esercizio del diritto di riscatto, retroagendo, di conseguenza, l'efficacia estintiva del contratto a quella stessa epoca. Quanto al rapporto di pregiudizialità necessaria tra la causa (pregiudicante) di risoluzione e quella (pregiudicata) di riscatto idoneo a legittimare la sospensione di quest'ultimo giudizio sino al passaggio in giudicato della sentenza emessa nella prima, si osserva che la questione non risulta aver formato oggetto del thema decidendum in appello, circoscritto ... all'unica censura concernente la questione della natura dichiarativa o costitutiva della sentenza risolutiva e a quella correlata della decorrenza dei relativi effetti. Si precisa che sarebbe stato onere dell'odierna parte ricorrente non solo di invocare il rapporto di pregiudizialità tra le cause, ma anche di dimostrare in concreto la situazione che la giustificava, all'uopo non essendo sufficiente la sola pendenza del termine legale per impugnare la sentenza pronunciata nel giudizio pregiudicante, la quale crea una mera aspettativa che può anche non realizzarsi, occorrendo anche la documentazione dell'avvenuta impugnazione di quella sentenza» (Cass. III, n. 5771/2010 e, di recente, Cass. III, n. 8972/2011).

Giudizio di riscatto e pagamento del canone

Con riguardo alla questione del pagamento del canone nel corso del giudizio di riscatto, si trova affermato che il conduttore il quale abbia esercitato il riscatto, è tenuto a corrispondere il canone di locazione al terzo acquirente, il quale è subentrato nella medesima posizione del locatore alienante, in conformità del principio generale enunciato dall'art. 1602 c.c., in pendenza del relativo giudizio, al cui esito favorevole soltanto consegue l'acquisto della proprietà dell'immobile locato.

«Il trasferimento della proprietà di un immobile ad altra persona non è inficiata dalla violazione dell'altrui diritto di prelazione. Infatti, se il conduttore è posto in grado di esercitare il diritto di prelazione sul bene goduto, l'effetto traslativo del diritto di proprietà a suo favore si verifica nel momento della stipulazione del contratto di compravendita, in virtù di quanto dispone l'art. 38 della normativa sull'equo canone (v. anche Cass. III, n. 356/1988). Se invece il bene viene venduto ad altra persona, grava sul conduttore pretermesso l'onere di esercitare l'azione di riscatto, disciplinata dal successivo art. 39, al cui esito favorevole consegue il subentro nella qualità di acquirente del bene, con effetti ex nunc (Cass. III, n. 1212/1987). In altri termini, ancorché sussista violazione dell'altrui diritto, l'atto di vendita fa acquisire al terzo il diritto di proprietà sul bene, determinando, come necessaria conseguenza, il suo subentro nelle obbligazioni e nei diritti derivanti dal contratto, nella medesima posizione del locatore alienante, in conformità del principio generale enunciato dall'art. 1602 c.c.» (così Cass. III, n. 300/1991).

La pronuncia è stata oggetto di critiche, ponendosi in contrasto con l'orientamento secondo cui l'effetto dell'esercizio del riscatto consiste nella sostituzione ex tunc del riscattante al terzo acquirente del contratto da questi concluso con il proprietario del fondo, sostituzione che si verifica ipso iure del momento in cui il destinatario riceverà dichiarazione di riscatto, sicché la successiva sentenza è meramente dichiarativa (v., in tal senso, Cass. III, n. 2721/1997).

Nondimeno, anche in seguito è stato ribadito il medesimo principio secondo cui il conduttore di immobile destinato ad uso diverso da quello di abitazione, il quale, a seguito della violazione del diritto di prelazione di cui è titolare abbia esercitato il riscatto, è tenuto a corrispondere il canone di locazione al terzo acquirente (il quale è subentrato nella medesima posizione del locatore alienante, in conformità al principio generale enunciato dall'art. 1602 c.c.) in pendenza del relativo giudizio, al cui esito favorevole soltanto consegue l'acquisto della proprietà dell'immobile locato (Cass. III, n. 11348/2010).

Di recente, il latente contrasto è emerso (Cass. III, n. 25376/2018), ed è stato evidenziato come la giurisprudenza di legittimità abbia assunto orientamenti contrastanti:

– un primo orientamento, espresso da Cass. III, n. 11348/2010, ha affermato che il conduttore di immobile destinato ad uso diverso da quello di abitazione, il quale, a seguito della violazione del diritto di prelazione di cui è titolare abbia esercitato il riscatto, è tenuto a corrispondere il canone di locazione al terzo acquirente (il quale è subentrato nella medesima posizione del locatore alienante, in conformità al principio generale enunciato dall'art. 1602 c.c.) in pendenza del relativo giudizio, al cui esito favorevole soltanto consegue l'acquisto della proprietà dell'immobile locato; tale orientamento trova conforto nella giurisprudenza che afferma che il conduttore di immobile urbano adibito a uso non abitativo, che ai sensi dell'art. 39 della l. n. 392/1978, ha esercitato il diritto di riscatto del bene, alienato a un terzo in violazione del suo diritto di prelazione, e che ha continuato anche dopo l'alienazione a detenere l'immobile in forza del contratto di locazione, deve nei termini di legge corrispondere al retrattato il solo prezzo non rivalutato e non anche interessi compensativi sullo stesso da quest'ultimo pretesi in analogia con la disposizione contenuta nell'art. 1499 c.c., poiché la detenzione e il godimento della cosa dopo l'alienazione avevano titolo nel pagamento dei canoni, corrisposti in forza del rapporto di locazione (Cass. III, n. 8713/1996; Cass. III, n. 5913/2001; Cass. III, n. 699/2010). In particolare, Cass. III, n. 8713/1996 evidenzia che il riconoscimento dell'obbligo di pagamento degli interessi ex art. 1499 c.c., implicherebbe l'accertamento che il conduttore-retraente, rimasto nella detenzione dell'immobile, non abbia corrisposto canoni locativi. Inoltre, la medesima sentenza afferma che la questione dell'eventuale debenza degli interessi ex art. 1499 c.c. (dipendente dall'avvenuto pagamento dei canoni) è indipendente dalla retroattività del riscatto riconosciuto con provvedimento giudiziale;

– un secondo orientamento, espresso da Cass. III, n. 25230/2011, ha invece ritenuto che il conduttore il quale, anche dopo la alienazione del bene locato in violazione del suo diritto di prelazione, abbia continuato a detenere l'immobile in forza del contratto di locazione deve corrispondere al retrattato solo il prezzo di acquisto e non i canoni di locazione, sostituendosi egli con effetto ex tunc nella medesima posizione che il terzo aveva nel negozio concluso; tale sentenza si basa, secondo la Suprema Corte su una giurisprudenza consolidata (Cass. III, n. 25495/2016; Cass. III, n. 18644/2011; Cass. III, n. 5369/2009; Cass. III, n. 28907/2008; Cass. III, n. 410/2006; Cass. III, n. 17433/2006).

A quest'ultimo orientamento, Cass. III, n. 25376/2018 ha inteso dare seguito. L'unico titolo che legittima il retraente a godere del bene è quello dominicale, insorto fin dal momento dell'originaria compravendita (effetto sostitutivo ex tunc). Pertanto, è da escludere che il conduttore-retraente sia obbligato a versare al retrattato i canoni di locazione, sussistendo per converso l'obbligo dello stesso retraente di corrispondere al retrattato gli interessi compensativi sul prezzo dell'immobile, in analogia con quanto previsto dall'art. 1499 c.c., che stabilisce il diritto del venditore a pretendere gli interessi sul prezzo anche quando la cosa produca frutti ed il prezzo non sia immediatamente esigibile.

Giudizio di riscatto e litisconsorzio

L'azione di riscatto proposta, ai sensi dell'art. 39 della l. n. 392/1978, dal conduttore di immobile urbano che assuma violato il suo diritto di prelazione, è diretta nei soli confronti dell'acquirente, e l'alienante non è, quindi, litisconsorte necessario nel relativo giudizio.

«È ascritta alla sentenza impugnata la violazione dell'art. 102 c.p.c., sostenendosi che nel giudizio di merito il contraddittorio sia stato incompleto, non essendo stato radicato anche nei confronti dei proprietari-venditori dell'immobile condotto in locazione, litisconsorti necessari. Si assume che, data la denunciata incompletezza del rapporto processuale, la corte di appello avrebbe dovuto annullare la pronuncia gravata e rimettere la causa al primo giudice. Il motivo non è fondato. L'alienante non è coinvolto nell'azione di riscatto ai sensi dell'art. 38 della l. n. 392/1978. Invero, con l'alienazione trasgressiva della prelazione attribuita da quella disposizione si verifica la sostituzione dell'acquirente all'alienante, nel rapporto di soggezione al diritto potestativo di acquisto del conduttore. La dichiarazione unilaterale di riscatto si dirige, quindi, nei soli confronti dell'acquirente (Cass. S.U., n. 3654/1984, con riferimento al riscatto nell'alienazione di fondo rustico) e il giudizio volto a sancirne l'effetto, di mero accertamento, non coinvolge necessariamente interessi giuridici dell'alienante. Conseguentemente, l'alienante non è litisconsorte necessario nel giudizio medesimo. In tali sensi, sia pure con motivazione diversa, è orientata costantemente la giurisprudenza di questa Corte sulle effettive esigenze di contraddittorio nel processo in tema dell'analogo riscatto agrario» (Cass. III, n. 2721/1987).

Lo stesso principio risulta successivamente ribadito (Cass. III, n. 7501/2007; Cass. III, n. 14901/2002). Se, quindi, il retraente, anche in appello, cita, unitamente al retrattato, il locatore venditore dell'immobile, che assume alienato in violazione del suo diritto di prelazione urbana, pur se non svolge alcuna domanda nei suoi confronti, deve rimborsargli le spese giudiziali, se la domanda di riscatto è rigettata, in virtù del principio di causalità del processo (Cass. III, n. 5977/2001).

Passando ad altra questione, secondo un primo indirizzo della Suprema Corte, nel giudizio di riscatto è litisconsorte necessario il coniuge dell'acquirente, in caso di comunione legale. La sentenza che segue, oltre ad aver esaminato tale problema, si segnala per aver sostenuto che la mancata introduzione del giudizio di riscatto nei confronti di un litisconsorte necessario non giustifica una pronuncia di inammissibilità, ma impone di integrazione del contraddittorio: «Le ricorrenti sostengono che la Corte del merito doveva dichiarare l'inammissibilità della domanda di riscatto perché proposta soltanto nei loro confronti quali acquirenti dell'immobile risultanti dall'atto notarile, e non anche nei confronti di S.P. pur avendo l'attore appreso nel corso del giudizio che questi, in quanto coniuge della Q., era divenuto automaticamente comproprietario dello stesso bene per effetto del regime di comunione legale tra loro esistente; in ogni caso, rilevato il difetto di contraddittorio per la mancata citazione del litisconsorte necessario, la stessa corte doveva emettere i provvedimenti di cui all'art. 354 c.p.c. Esclusa per manifesta infondatezza della relativa eccezione, la configurabilità di un'ipotesi di inammissibilità dell'azione di riscatto ex art. 39 della l. n. 392/1978 quale conseguenza dell'omessa citazione in giudizio di uno dei comproprietari-acquirenti (nessuna sanzione del genere è comminata dalla legge, mentre specifiche norme, artt. 102 e 354 c.p.c., prevedono, in simili casi che il giudice disponga l'integrazione del contraddittorio), la censura risulta fondata per quanto concerne la seconda parte. Secondo il regime di comunione legale introdotto dalla l. 19 maggio 1975, n. 151 ... gli acquisti compiuti da uno degli stessi coniugi anche separatamente, tornano ope legis a vantaggio dell'altro, nel senso che egli diventa automaticamente comproprietario del ben acquistato, in ragione della quota ideale della metà (art. 177 c.c.). Deriva da ciò che tutte le azioni di natura reale aventi per oggetto il bene stesso, debbono essere proposte nei confronti di entrambi i coniugi, che sono litisconsorti necessari, e se proposte soltanto nei confronti di uno di essi, deve essere ordinata dal giudice l'integrazione del contraddittorio a norma dell'art. 102 c.p.c., non potendo la sentenza spiegare effetti nei confronti di colui che non abbia partecipato al giudizio. Siffatta ipotesi si verifica anche nel caso di esercizio del diritto di riscatto ai seni dell'art. 39 della l. n. 392/1978, perché con la relativa azione giudiziale si tende ad ottenere una sentenza che riconosca il diritto di proprietà dell'immobile in capo al conduttore, con effetti reali, validi erga omnes ed in particolare nei confronti di tutti gli acquirenti dello stesso immobile. È quindi evidente che al giudizio a tal fine instaurato dal conduttore, deve necessariamente partecipare il coniuge dell'acquirente, in regime di comunione legale, anche se l'acquisto sia stato compiuto separatamente dall'altro coniuge, pena l'inopponibilità allo stesso della sentenza di accoglimento dell'azione di riscatto, che risulterebbe quindi inutilmente pronunziata (Cass. III, n. 3741/1990).

Dopo che il principio appena esposto è stato ribadito da ulteriori pronunce (Cass. III, n. 8341/1995; Cass. III, n. 6299/1995), la Suprema Corte ha mutato indirizzo, affermando che il conduttore deve esercitare il riscatto, nel termine di decadenza, anche nei confronti del coniuge dell'acquirente in regime di comunione legale dei beni, il quale è litisconsorte necessario in quanto diviene automaticamente comproprietario, pur se nell'atto di trasferimento non è menzionato: a tal fine egli ha l'onere di verificare tempestivamente non solo i registri immobiliari, ma anche quelli dello stato civile per accertare se l'acquirente è coniugato e con quale regime patrimoniale, perché la decadenza del riscatto non è interrotta dall'esercizio dell'azione nei confronti di un solo coniuge, essendo la normativa della prescrizione applicabile soltanto dopo l'impedimento della decadenza, né dalla tempestiva esecuzione dell'ordinanza di integrazione del contraddittorio nei confronti dell'altro coniuge, necessaria per l'ammissibilità dell'azione di riscatto, ma ininfluente sul termine di decadenza spirato.

La pronuncia che ha inaugurato il nuovo indirizzo – già sostenuto nella giurisprudenza di merito da Trib. Termini Imerese 19 novembre 1982 – così motiva: «I ricorrenti censurano la sentenza impugnata: a) per non aver ritenuto l'effetto interruttivo dell'iniziale domanda ... sul termine di decadenza di sei mesi per l'esercizio del diritto di riscatto, anche nei confronti dei coniugi delle originarie acquirenti, stante la natura di comproprietà solidale riconosciuta alla comunione legale dei coniugi da Corte cost. n. 311/1988; b) per non aver tenuto conto, in relazione all'affermato obbligo ... al fine di sottrarsi alla decadenza dell'azione di riscatto, di consultare lo stato civile delle acquirenti, che l'art. 228 della l. n. 151/1975 sulla riforma del diritto di famiglia fa nascere a carico dei terzi l'obbligo della verifica del certificato di matrimonio, solo se dall'atto di trasferimento del bene emerge lo stato di coniugato della parte acquirente; c) per aver omesso di prendere in considerazione l'applicabilità alla specie della l. n. 574/1977 ... Anche tale motivo è infondato in ogni sua articolazione. In relazione al punto sub a), si osserva che correttamente in giudice a quo ha affermato l'infondatezza della tesi dell'effetto interruttivo dell'originaria domanda, attesa la inapplicabilità alla decadenza delle norme dettate per la prescrizione (art. 2964 c.c.), che trova piena giustificazione nella ontologica diversità dei due istituti ricollegabili rispettivamente ad un profilo oggettivo (mancato esercizio del diritto entro un certo termine) e ad uno soggettivo (presunzione di abbandono del diritto). Ne consegue, infatti, che la decadenza è impedita unicamente dal compimento dell'atto (nella specie la dichiarazione di riscatto) nel termine legale o, se si tratta di diritti disponibili, anche dal riconoscimento del diritto da parte del contro interessato (art. 2966 c.c.); solo una volta verificatosi l'impedimento della decadenza nei limiti predetti (non ravvisati nel caso in esame), il diritto rimane soggetto alle norme sulla prescrizione (art. 2967 c.c.). Pertanto, pur ritenendo ... i coniugi in comunione legale solidalmente titolari di un diritto di proprietà avente per oggetto i beni della comunione, ciò non toglie che la domanda di riscatto avanzata tempestivamente nei confronti di uno dei comproprietari non interrompe la decadenza nei confronti dell'altro. Relativamente al punto sub b) e con riferimento all'epoca della compravendita in questione, è sufficiente considerare che l'art. 228 citato, si limita a stabilire, per i beni acquistati successivamente alla data di entrata in vigore della legge stessa, l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio degli atti che formalizzano un regime diverso dalla comunione legale, ma non prevede che l'obbligo di verifica del certificato di matrimonio sia necessario solo se dagli atti di trasferimento emerga lo stato di coniugato dell'acquirente ... In ordine al punto c), si rileva che la l. n. 574/1977, che disciplina l'iscrizione nei libri fondiari dell'acquisto di diritti soggetti alla comunione legale dei beni, concerne il sistema tavolare non applicabile alla specie, ove valgono le disposizioni sulla trascrizione nominativa (Cass. III, n. 5340/1998).

In sintesi, come è stato in seguito ribadito, il coniuge del retrattato è sì litisconsorte necessario, ma l'integrazione del contraddittorio in tanto è configurabile, in quanto il retratto sia stato tempestivamente esercitato nei confronti di entrambi: «In caso di acquisto compiuto separatamente da soggetto coniugato in regime di comunione dei beni, l'omessa citazione, nel giudizio di riscatto proposto ai sensi dell'art. 39 della l. n. 392/1978, del coniuge non contraente, comproprietario ex lege e litisconsorte necessario, non determina l'inammissibilità dell'azione di riscatto, non essendo tale sanzione comminata dalla legge, dovendosi, invece, ai sensi dell'art. 102 c.p.c., disporre soltanto l'integrazione del contraddittorio; l'avvenuta integrazione del contraddittorio nei confronti del detto litisconsorte necessario non è, tuttavia, idonea a sanare di per sé la decadenza sostanziale sopravvenuta a causa del decorso del termine di cui all'art. 39 citato, senza che il conduttore abbia esercitato il riscatto nei confronti del coniuge dell'acquirente in regime di comunione legale dei beni (Cass. III, n. 7271/2008). Anche di recente, si è dunque ribadito che, in tema di locazioni di immobili adibiti ad uso non abitativo, il riscatto previsto dall'art. 39 della l. n. 392/1978, va tempestivamente esercitato dall'avente diritto alla prelazione anche nei confronti del coniuge dell'acquirente, che sia in regime di comunione legale al momento dell'acquisto, e a tal fine l'integrazione del contraddittorio nel giudizio intrapreso tempestivamente nei confronti del solo acquirente non è idoneo ad impedire la decadenza dal diritto di riscatto, se sia già inutilmente decorso il termine di sei mesi dalla trascrizione del contratto (Cass. III, n. 10846/2014).

L'acquirente dell'immobile locato, una volta convenuto del giudizio di riscatto, può agire per l'evizione nei confronti del proprio dante causa, senza che rilevi la circostanza che l'acquirente fosse a conoscenza della possibile causa di evizione: «Può, ora, esaminarsi il primo motivo, con il quale la ricorrente ... deduce che la Corte di merito ha escluso la responsabilità risarcitoria sul riflesso che essa ricorrente era consapevole del rischio. Sostiene che, non trattandosi di contratto aleatorio, un siffatto elemento è privo di rilevanza. Il motivo è fondato nei termini che vengono di seguito precisati. Occorre, in primo luogo, puntualizzare che la domanda, con la quale l'acquirente di immobile locato chieda all'alienante dello stesso di garantirlo dalle conseguenze della pronuncia di riscatto, va ricondotta alla fattispecie della garanzia per evizione (v. Cass. III, n. 2992/1988). Ora, questa forma di garanzia opera indipendentemente dalla conoscenza della possibile causa di evizione da parte dell'acquirente. Ciò perché gli effetti della garanzia conseguono al mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato, che, facendo venir meno la ragione giustificatrice della controprestazione, altera l'equilibrio del sinallagma funzionale e fa sorgere la necessità di porvi rimedio con il ripristino della situazione economica dell'acquirente anteriore all'acquisto. Cosicché, ai fini della responsabilità dell'alienante, è irrilevante che l'acquirente abbia avuto conoscenza della possibile causa dell'evizione ... Alla stregua degli esposti principi è evidente che la Corte di merito ha erroneamente disatteso la pretesa risarcitoria [...] sul rilievo che la medesima ha avuto consapevolezza del diritto di prelazione o che di tale diritto avrebbe potuto acquisire, comunque, consapevolezza con l'uso dell'ordinaria diligenza (Cass. III, n. 3020/1996).

La configurazione dell'azione di garanzia intentata dall'acquirente nei confronti dell'alienante come garanzia per evizione comporta altresì che egli sia legittimato all'impugnazione autonoma della pronuncia a lui sfavorevole. In tal senso – in conformità a Cass. III, n. 2992/1988 – si trova affermato che: «Nel giudizio di riscatto promosso dal conduttore di un immobile urbano nei confronti dell'acquirente, quest'ultimo, ove richieda al venditore di essere garantito nell'eventualità della pronuncia di riscatto, propone una domanda di garanzia per evizione avente natura di garanzia propria, cosicché il venditore è legittimato a proporre impugnazione autonoma efficace ad ogni effetto nei confronti di tutte le parti, anche contro la decisione emessa nella causa principale con riguardo alla domanda di riscatto» (Cass. III, n. 1339/1996).

Giudizio di riscatto, mutatio ed emendatio libelli

Così come già affermato in tema di contratti agrari, una volta esercitato, con l'atto introduttivo del giudizio, il diritto di riscatto questo non è più suscettibile, in prosieguo, di variazioni di sorta, né con riguardo all'estensione del bene, né con riferimento al prezzo offerto, essendo preclusa alla parte non soltanto una vera e propria mutatio libelli, ma anche la mera emendatio, poiché tali nozioni, proprie del processo, non sono trasferibili alle dichiarazioni negoziali (Cass. III, n. 2203/2004). In tal senso, in materia di riscatto operato da conduttore ad uso non abitativo, si trova ribadito che: «Anche con riguardo al riscatto previsto dall'art. 39 della l. n. 392/1978, deve trovare applicazione il principio – in molteplici occasioni enunciato con riguardo al riscatto agrario (di cui all'art. 8 della l. n. 590/1965) – secondo cui, esercitato il diritto di riscatto con l'atto introduttivo del giudizio, il diritto stesso non è più suscettibile, in prosieguo, di variazioni di sorta, né con riguardo alla estensione dei beni oggetto del retratto, né con riferimento al prezzo offerto, essendo preclusa alla parte non solo una vera e propria mutatio libelli, ma anche la mera emendatio libelli, perché tali nozioni, proprie del processo, non sono trasferibili alle dichiarazioni negoziali. Siffatta possibilità è, a fortiori, preclusa al giudice, a meno che dall'interpretazione della domanda non emerga che questa ha non solo a oggetto il riscatto di un determinato e puntualmente descritto bene, ma contiene anche una pretesa subordinata, relativa ai [soli] beni che in sede di giudizio dovessero essere accertati e ritenuti come effettivamente condotti in locazione dal retraente» (così Cass. III, n. 215/2007).

Il pagamento del prezzo.

Si è già visto che, una volta esercitato riscatto, il conduttore deve effettuare il versamento del prezzo entro tre mesi che decorrono da un diverso termine a quo secondo che l'acquirente abbia o non abbia fatto opposizione al riscatto:

– in caso di non opposizione al riscatto il termine per il pagamento del prezzo decorre dalla prima udienza del relativo giudizio, o dalla ricezione dell'atto notificato con cui l'acquirente o successivo avente causa comunichi prima di tale udienza di non opporsi al riscatto;

– in caso di opposizione al riscatto il termine per il pagamento del prezzo decorre dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio.

Non rileva, invece, per i fini del decorso del termine di pagamento del prezzo, l'opposizione da parte dell'alienante, che è estraneo ai rapporti tra conduttore e terzo acquirente, destinatario dell'azione di riscatto (Cass. III, n. 7966/1995). Osserva la Suprema Corte come sia irrazionale sostenere che non solo la opposizione dell'acquirente, ma anche quella del venditore sia produttiva di effetti ed esoneri il conduttore dell'immobile, legittimato al riscatto, dal pagamento del prezzo, sino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio. Tale impostazione contrasta sia con un dato letterale della norma, che con la ricostruzione sistematica della natura dell'azione di riscatto e dei soggetti di essa. Infatti, l'articolo in esame, nel disciplinare la ipotesi della decorrenza del termine della dichiarazione del soggetto, passivamente legittimato, di non volersi opporre, lo individua espressamente nell'acquirente o in un suo avente causa, cosicché è ovvio che è allo stesso soggetto, ed esclusivamente ad esso, che è riferibile anche la distinta e diversa ipotesi del comportamento processuale meramente passivo, idoneo ad integrare il requisito della non opposizione. Ma ciò che soprattutto rileva, in consonanza con il dato letterale, sono la struttura stessa e funzione del diritto di riscatto e i suoi modi di esercizio. Con una costante elaborazione, condivisa da gran parte della dottrina, la giurisprudenza ha difatti affermato in materia di retratto agrario che il diritto di riscatto si realizza con una dichiarazione unilaterale recettizia del retraente – che può essere espressa anche con l'atto di citazione notificato al retrattato – per effetto della quale si ha una modificazione soggettiva degli effetti traslativi del negozio di alienazione, cosicché il retraente subentra nella posizione soggettiva dell'acquirente retrattato e acquista il diritto dall'alienante per effetto dell'unico atto di alienazione. Il relativo giudizio si conclude, perciò, con una sentenza di accertamento pronunciata direttamente nei confronti dell'acquirente retrattato, senza che debba partecipare al giudizio l'alienante (Cass. III, n. 4957/1988; Cass. III, n. 6530/1987; Cass. III, n. 3787/1987; Cass. III, n. 896/1986; Cass. III, n. 1907/1973).

La Suprema Corte si è anche espressa ormai nel senso che, conformemente all'analogo istituto del retratto agrario, il riscatto da parte del conduttore di un immobile urbano, ex art. 39 della l. n. 392/1978, si concreta nell'esercizio di un diritto potestativo e attiene ad un rapporto bilaterale fra retraente e retrattato, rispetto al quale il locatore-venditore rimane estraneo, tanto sul piano sostanziale che su quello processuale (si veda in particolare Cass. III, n. 2721/1987). Ne consegue, perciò, anche nell'ambito di una interpretazione sistematica che il requisito della non opposizione, di cui al comma 2 dell'art. 39, attiene esclusivamente alla posizione soggettiva assunta dall'acquirente retrattato, mentre rimane del tutto irrilevante giuridicamente, ai fini della decorrenza del termine per il pagamento del prezzo (dovuto, d'altronde, al retrattato e non ad altri), la eventuale opposizione manifestata dal venditore, che abbia partecipato, pur non essendo litisconsorte, al giudizio.

Mancanza di opposizione al riscatto

Per stabilire il dies a quo del pagamento del prezzo da effettuarsi da parte del conduttore, prelazionario pretermesso, che propone azione di riscatto nei confronti dell'acquirente dell'immobile urbano da lui condotto in locazione, l'art. 39, comma 2, della l. n. 392/1978 prevede, in caso di non opposizione del retratto, due situazioni distinte, consistenti:

– l'una nella comunicazione con cui l'acquirente dichiari, anteriormente alla prima udienza del giudizio di riscatto, di non opporsi al riscatto, ponendo così in essere un comportamento positivo;

– l'altra, nella mancanza di una siffatta comunicazione e nella non opposizione del retrattato alla prima udienza, alla quale il giudizio sia pervenuto.

In questa seconda ipotesi, è richiesta una condotta esclusivamente negativa che può attuarsi anche con la mancata comparizione alla prima udienza, oltre che con la costituzione senza una esplicita presa di posizione contro la pretesa del retraente: consegue che, in siffatta ipotesi, il termine di tre mesi per il pagamento del prezzo decorre dalla suddetta prima udienza, ancorché non vi sia stata una manifestazione positiva di adesione al riscatto.

Nel riferirsi all'art. 39, comma 2, della l. n. 392/1978, la Suprema Corte ha osservato: «La norma regolatrice del secondo caso di non opposizione del retrattato non suscita dubbi interpretativi perché in essa sono specificati il tempo e il modo del comportamento considerato: quando, cioè, il convenuto manifesti, chiaramente e con prontezza, la volontà di adesione alla domanda con la conseguenza di evitare il giudizio, a questa condotta, che riconosce la fondatezza della pretesa del retraente, è giusto che corrisponda il pronto adempimento di costui nel pagamento del prezzo. Il primo caso disciplinato dal comma 2, dell'art. 39 riguarda il comportamento del convenuto in giudizio alla prima udienza a “quando non vi sia opposizione al riscatto”. Secondo la tesi accolta dai giudici del merito, solo la comunicazione esplicita della non opposizione da parte del retrattato, comportando l'assoluta certezza dell'esistenza del diritto al riscatto, potrebbe segnare il termine di decorrenza di tre mesi per il pagamento del prezzo, in perfetta consonanza con quanto stabilito nel caso di comunicazione della non opposizione anteriormente alla prima udienza; nell'ipotesi, invece, di non comparizione dell'intimato, senza perciò alcuna sua presa di posizione rispetto alla domanda del retraente ed al problema sostanziale posto dall'azione di riscatto, non sarebbe possibile far scattare il termine di tre mesi per il pagamento del prezzo, in mancanza dell'adesione del convenuto alla pretesa dell'istante. Nonché l'equiparazione, nella sostanza e negli effetti, dei compartimenti del retrattato previsti per i due casi di non opposizione del convenuto si raggiunge attraverso una inammissibile forzatura del testo letterale che, invece, quei due casi nettamente distingue nei rispettivi presupposti» (così Cass. III, n. 7463/1986).

Se, dunque, il legislatore avesse inteso stabilire il tempo del pagamento del prezzo ancorandolo sempre all'unico dato della certezza del fondamento dell'azione di riscatto, raggiunta con l'adesione esplicita del retrattato ovvero attraverso la pronuncia giudiziaria definitiva, non avrebbe mancato di adottare, anche per l'ipotesi di costituzione del convenuto alla prima udienza, un'espressione equivalente a quella che, per il caso di non opposizione anteriore alla prima udienza, prevede che il retrattato «comunichi di non opporsi al riscatto», senza alcuna particolare forma, con la conseguente cessazione della materia del contendere. Per contro, nel caso in cui si pervenga alla prima udienza senza che vi sia stata una simile comunicazione del retrattato, il legislatore, al fine della decorrenza del termine per il pagamento del prezzo, richiede unicamente che «non vi sia opposizione al riscatto», cioè una condotta esclusivamente negativa (mancata comparizione alla prima udienza, costituzione in giudizio senza una esplicita presa di posizione contro la pretesa del retraente). E la norma, così interpretata, si inserisce armonicamente nel sistema prevedendo che, in concomitanza col non contrastato esercizio del diritto potestativo di riscatto, cui è connesso l'acquisto della proprietà dell'immobile, sorga il diritto del retrattato alla riscossione del prezzo. Né rileva in contrario il richiamo alla normativa con cui la l. n. 2/1979, ha regolato il versamento del prezzo di acquisto nel riscatto agrario: si tratta, infatti, di materie sostanzialmente diverse (Cass. III, n. 7463/1986).

Si è, tuttavia, affermato – da parte dei giudici di legittimità – che la dichiarazione da parte dell'acquirente di non opporsi al riscatto e la successiva accettazione dell'offerta reale del prezzo non impediscono al retrattato di eccepire la nullità del riscatto per carenza dei presupposti di legge, perché l'art. 39 della l. n. 392/1978 ricollega alla non opposizione del retrattato solo l'effetto di far decorrere il termine per il pagamento del prezzo e questo pagamento perfeziona la fattispecie acquisitiva posta in essere con l'esercizio del riscatto senza renderla inimpugnabile, se affetta da nullità: «La dichiarazione di non opposizione al riscatto ha il semplice effetto di fare decorrere il termine per il versamento del prezzo. D'altro canto, nel silenzio della legge, al successivo pagamento può riconoscersi il ruolo di esaurimento della fattispecie acquisitiva posta in essere, con efficacia immediata, con l'esercizio del riscatto, ma non quello, ulteriore, di rendere inimpugnabile per nullità la fattispecie medesima. Sovviene ora il ricorso ai principi codificati: nella disciplina generale, la conclusione e persino l'esecuzione del contratto non comportano perdita o impedimento dell'azione o dell'eccezione di nullità di quel negozio. Così, per esempio, chi abbia accettato la proposta di vendere, abbia di fatto venduto, e abbia anche riscosso il prezzo, ha tuttora integra la facoltà di far valere in giudizio la nullità del contratto. Salve le rispettive, connaturali differenze ontologiche, il parallelo con l'ipotesi di non opposizione al riscatto e di riscossione del prezzo del retratto medesimo è agevole: sul terreno sostanziale, al pari di quanto si verifica per l'accettazione della proposta e per la riscossione del prezzo, nella vendita, la dichiarazione di non opposizione al riscatto e la successiva ricezione del corrispettivo, semplici atti giuridici in senso stretto, non si combinano con quelli omologhi opposti della controparte retraente (la dichiarazione di retratto e il pagamento) in modo da costituire un diaframma impeditivo dell'azione o della eccezione di nullità del riscatto. Non essendo convalidabile la nullità (art. 1423 c.c.), l'eliminazione della estrema situazione patologica del retratto potrebbe ottenersi soltanto mediante una pattuizione sostitutiva. Invece, quest'ultima non è realizzata da quegli atti ed essi non hanno nemmeno una efficacia negoziale dismissiva o impeditiva di quell'azione o eccezione, talché occorra previamente impugnare ed eliminare il relativo pactum per poter poi agire o difendersi sulla base di quella nullità. Inoltre, nell'esegesi giuridica, poiché le decadenze sono di stretta interpretazione, la perdita di quella facoltà di agire o di eccepire non è rinvenibile sulla sola labile traccia dell'implicita previsione, che potrebbe presupporsi sottostare alla disciplina dei commi secondo e terzo dell'art. 39 della l. n. 392/1978, della stabile composizione degli interessi scaturente dalla dichiarazione di non opposizione al retratto e, meglio, dell'avvenuta riscossione del prezzo relativo» (Cass. III, n. 13779/1991).

Opposizione al riscatto

L'opposizione al riscatto che, ai sensi dell'art. 39, comma 2, della l. n. 392/1978, fa decorrere il termine per il versamento del prezzo dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, è ravvisabile non solo nella contestazione della sussistenza di tutte le condizioni soggettive o oggettive necessarie ai fini di un utile esercizio di tale diritto, ma anche nella opposizione che in qualsiasi modo operi perché il diritto potestativo del retraente di subentrare nella qualità di acquirente del bene, con effetti ex tunc, mediante la dichiarazione unilaterale recettizia rivolta al retrattato, non trovi immediata e diretta soddisfazione, come nel caso in cui il retrattato sostenga che il prezzo deve essere maggiorato di tutti gli esborsi, preliminari, inerenti e conseguenti alla compravendita, da provare in corso di causa.

«Certamente si ha opposizione al riscatto qualora l'acquirente retrattato contesti il titolo in base al quale il retraente esercita il riscatto, ovvero contesti l'applicabilità alla fattispecie della normativa sul riscatto, oppure contesti la ritualità o tempestività dell'esercizio del diritto di riscatto. Sennonché il legislatore non si è limitato a prevedere l'opposizione al riscatto, ma ha precisato che tale opposizione al riscatto può far capo a «qualsiasi motivo». L'ampia formulazione legislativa, ora per avere una sua ratio, sicuramente non può riguardare soltanto gli stretti motivi che investono la sussistenza di tutte le condizioni soggettive o oggettive necessarie ai fini di un utile esercizio di riscatto, ma necessariamente deve considerare tutte quelle opposizioni che in qualsiasi modo operano perché il diritto potestativo del retraente di subentrare nella qualità di acquirente del bene con effetti ex tunc, mediante la dichiarazione unilaterale recettizia rivolta al retrattato, non trovi immediata e diretta soddisfazione. Nella specie ... l'I. non si oppone al diritto di riscatto fatto valere ... ma aggiunge che il prezzo risultante dall'atto di vendita doveva essere maggiorato di “tutti gli esborsi, accessori, preliminari, inerenti e conseguenti alla compravendita” e che “il tutto sarebbe stato provato in causa” ... Non può di certo affermarsi che non vi sia stata opposizione al riscatto, perché il diritto potestativo del ricorrente non poteva trovare immediata attuazione, ma doveva conoscere una fase contenziosa diretta all'accertamento della somma che la retraente avrebbe dovuto versare oltre a quella ... risultante dal predetto negozio di vendita. Se infatti, il versamento del prezzo condiziona l'efficacia del rapporto instaurato ma con la manifestazione della volontà di esercitare il riscatto, la questione sollevata del retrattato, in ordine al contenuto dell'obbligo a carico del retraente in relazione al maggiore prezzo da versare rispetto a quello risultante dall'atto di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile, si configura certamente come opposizione al riscatto, sotto il profilo innanzi considerato, in quanto l'effetto condizionante di esso versamento è ormai legato alla pronuncia giudiziale che indichi il prezzo da versare» (così Cass. III, n. 1212/1987).

Eguali conclusioni sono state raggiunte con riguardo alla dichiarazione dell'acquirente il quale, pur affermando di non opporsi al riscatto, aveva aggiunto che il prezzo doveva essere maggiorato dell'importo delle spese notarili e di quelle sostenute per lavori eseguiti sull'immobile, in quanto l'esatta determinazione della somma da versare ai fini del riscatto risultava subordinata alla statuizione del giudice (Cass. III, n. 7031/1999).

Anche di recente è stato ribadito che, in tema di riscatto di immobile adibito a uso diverso da abitazione, con riguardo al termine di pagamento del prezzo che deve essere effettuato entro tre mesi decorrenti dalla prima udienza del relativo giudizio ovvero dal passaggio in giudicato della sentenza che lo definisce a seconda che vi sia stata o meno opposizione da parte del retrattato, la formulazione dell'art. 39 della l. n. 392/1978, che ha riguardo a qualsiasi motivo per il quale l'acquirente faccia opposizione, comporta che va considerata tale non solo quella inerente ai motivi che investono la sussistenza di tutte le condizioni soggettive e oggettive necessarie ai fini dell'utile esercizio del riscatto, ma anche tutte quelle opposizioni che in qualsiasi modo operano perché il diritto potestativo del retraente, di subentrare nella qualità di acquirente con effetti ex tunc, non trovi immediata e diretta soddisfazione (Cass. III, n. 25376/2018).

Rimborso delle spese sostenute per l'acquisto

In tema di riscatto dall'acquirente dell'immobile locato ad uso diverso da quello abitativo, esercitato dal conduttore ai sensi dell'art. 39 della l. n. 392/1978, la mancata previsione del diritto del retrattato al rimborso delle spese sostenute per l'acquisto manifestamente non pone la citata norma in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto al locatore, ovvero rispetto all'ipotesi del riscatto convenzionale (nel quale il riscattante è tenuto al suddetto rimborso, ai sensi dell'art. 1507 c.c.), in considerazione della non assimilabilità delle rispettive situazioni oggettivamente differenziate. La censura di illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., si fondava sul rilievo che gli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978 determinano una disparità di trattamento tra conduttore e locatore. In caso di prelazione, infatti, l'uno è costretto a sopportare le spese di vendita e quelle accessorie, mentre il locatore non subisce alcun danno; in caso di riscatto il conduttore non va soggetto ad alcuna spesa, mentre l'acquirente deve sostenere in ogni ipotesi delle spese, dato che anche quando l'atto viene dichiarato nullo la legge sull'imposta di registro impone di corrispondere l'imposta con diritto di restituzione della sola parte eccedente la misura fissa, circostanza che può verificarsi anche quando il venditore abbia volontariamente omessa la comunicazione al conduttore.

A ciò, la Suprema Corte ha replicato valorizzando la diversa situazione soggettiva delle due parti, alle quali la legge, sulla base di un criterio discrezionale non soggetto a sindacato di costituzionalità ben può riservare un diverso trattamento, le cui conseguenze eventualmente sfavorevoli possono d'altra parte essere evitate ponendo in essere un comportamento diligente consistente nell'accertarsi che il conduttore abbia ricevuto la prescritta comunicazione. Se si considera che da un lato si ha il titolare di un diritto (di prelazione), dall'altro un soggetto destinatario degli effetti dell'esercizio di tale diritto, non può non convenirsi che manca la pari condizione tutelate dalla Costituzione nell'ipotesi che due soggetti si trovino in eguale posizione giuridica. Va aggiunto che nei confronti dell'alienante è sempre possibile un'azione per danni in grado di assicurare l'idoneo risarcimento (Cass. III, n. 837/1988). Analogamente, nella giurisprudenza di merito, si esclude che chi esercita il riscatto ex art. 39 della l. n. 392/1978 sia tenuto a rimborsare al retrattato, oltre al prezzo, anche le spese notarili ed accessorie, salvo il diritto di quest'ultimo di agire in rivalsa (Trib. Foggia 7 maggio 1981).

Lo stesso principio è parimenti ripetuto nella contermine materia del riscatto agrario (Cass. III, n. 177/1984; Cass. III, n. 1709/1983; Cass. III, n. 3435/1981).

Interessi e rivalutazione

Il conduttore di immobile urbano adibito a uso non abitativo, che ai sensi dell'art. 39 della l. n. 392/1978 ha esercitato il diritto di riscatto del bene, alienato a un terzo in violazione del suo diritto di prelazione, e che ha continuato anche dopo l'alienazione a detenere l'immobile in forza del contratto di locazione, deve nei termini di legge corrispondere al retrattato il solo prezzo non rivalutato e non anche interessi compensativi sullo stesso, da quest'ultimo pretesi in analogia con la disposizione contenuta nell'art. 1499 c.c., poiché la detenzione e il godimento della cosa avevano il loro titolo nel pagamento dei canoni, corrisposti in forza del rapporto di locazione (Cass. III, n. 699/2010; Cass. III, n. 5913/2001; Cass. III, n. 8713/1996).

La Suprema Corte ha, dunque, giudicato errato il riconoscimento da parte del giudice di merito degli interessi al retrattato sulla somma dovuta dal retraente, in applicazione analogica dell'art. 1499 c.c.: viceversa, continuando il conduttore a detenere l'immobile in forza del rapporto di locazione, non sia configurabile a suo carico un obbligo di corrispondere interessi ex art. 1499 c.c., che presuppongono il godimento dell'immobile a titolo di proprietà o quanto meno in funzione dell'acquisto della proprietà, indipendentemente da ogni considerazione circa la retroattività del riscatto riconosciuto con provvedimento giudiziale. Al riguardo, la giurisprudenza di vertice è nel senso che, per effetto della disposizione di cui al comma 3, dell'art. 39 della l. n. 392/1978, nel caso di contestazione, è consentito il versamento del prezzo entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che accerta il diritto, con la conseguenza che non è configurabile l'obbligo per il retrattante di versare interessi, compensativi o corrispettivi che siano, su quel prezzo difettando il presupposto per l'applicabilità dell'art. 1499 c.c., in quanto il conduttore riscattante, fino al conseguimento del diritto dominicale, detiene l'immobile non a titolo di proprietà, ma in forza del contratto di locazione.

L'esercizio del diritto di riscatto previsto dall'art. 39 della l. n. 392/1978, cioè, non determina un nuovo trasferimento del diritto sul bene del terzo acquirente al titolare del diritto di riscatto, bensì la sostituzione con effetto ex tunc di detto titolare al terzo nella medesima posizione che quest'ultimo aveva nel negozio concluso, con la conseguenza che il conduttore di immobile urbano adibito a uso non abitativo, il quale, ai sensi dell'art. 39 della l. n. 392/1978, ha esercitato il diritto di riscatto del bene alienato a un terzo in violazione del suo diritto di prelazione e ha continuato anche dopo l'alienazione a detenere l'immobile in forza del contratto di locazione, deve nei termini di legge corrispondere al retrattato il solo prezzo e non anche gli interessi compensativi sullo stesso, in analogia con la disposizione contenuta nell'art. 1499 c.c. (Cass. III, n. 7905/2014).

Mancato pagamento del prezzo nel termine

Il mancato pagamento del prezzo nel termine previsto dalla legge da parte del conduttore di immobile urbano destinato ad uso non abitativo, il quale abbia esercitato il riscatto a seguito di vendita in violazione del diritto di prelazione di cui è titolare, produce soltanto le conseguenze tipiche dell'inadempimento delle obbligazioni, senza possibilità di incidere sugli effetti del riscatto. Il diritto di riscatto disciplinato dall'art. 39 della l. n. 392/1978 appartiene alla categoria dei diritti potestativi, essendo riconosciuto ad un soggetto (nella specie conduttore, di cui sia stato violato il diritto di prelazione) il potere di operare una modificazione nella sfera giuridica di un altro soggetto (nella specie, acquirente del bene locato), a prescindere dalla volontà (o anche contro la volontà) di quest'ultimo. L'esercizio del diritto di riscatto, nella fattispecie considerata, comporta l'acquisto, da parte del retraente, della proprietà del bene da lui condotto in locazione.

È discusso in dottrina se l'acquisto della proprietà avvenga con effetto ex tunc o con effetto ex nunc e se, in tema di riscatto urbano, con riferimento al quale l'esercizio del diritto avviene mediante proposizione dell'azione giudiziaria, la sentenza che definisce il giudizio abbia natura dichiarativa o costitutiva.

Entrambi i problemi trovano risposta nella giurisprudenza della Suprema Corte, essendo stato affermato, sia pure incidentalmente, da Cass. III, n. 1212/1987 e da Cass. III, n. 2898/1985, che il retraente, mediante la dichiarazione unilaterale recettizia rivolta al retrattato, subentra a quest'ultimo, con effetti ex tunc, nella qualità di acquirente e, da Cass. III, n. 2721/1987, la natura di «mero accertamento» del giudizio conseguente all'azione di riscatto, volto soltanto a sancire l'effetto della dichiarazione unilaterale del retraente. Nella specie, non appare necessario prendere posizione sul problema, atteso che, dovendosi giudicare degli effetti del mancato pagamento del prezzo nel termine di tre mesi, stabilito dall'ultimo comma dell'art. 39 della l. n. 392/1978, dal passaggio in giudicato della sentenza che ha definito il giudizio di riscatto, sta di fatto che, in ogni caso, con la pronuncia della sentenza, il trasferimento del diritto di proprietà in capo al retraente è ormai avvenuto o per effetto della sola dichiarazione o per effetto della sentenza stessa (Cass. III, n. 4535/1992).

Quest'ultima osservazione – a giudizio dei giudici di Piazza Cavour – dà, tuttavia, ragione del perché non possa parlarsi di decadenza dal diritto di riscatto per il mancato pagamento del prezzo nel termine di tre mesi dalla sentenza: «Invero, la pronuncia del giudice, con effetto dichiarativo o costitutivo, a seconda dell'opinione che si intenda seguire, ha ormai accertato che il diritto di riscatto è stato legittimamente esercitato con riferimento ai presupposti ed alle condizioni indicati nel primo comma dell'art. 39 citato, per cui il mancato pagamento del prezzo non può più incidere sulla validità del riscatto, giudizialmente riconosciuta, ma se mai sui suoi effetti. In sostanza il mancato pagamento del prezzo può incidere, in ipotesi, o quale condizione sospensiva o quale condizione risolutiva dell'effetto traslativo della proprietà conseguente al legittimo esercizio del diritto di riscatto. Sennonché, a differenza del riscatto agrario, per il quale, secondo la disciplina dettata dal comma 5, dell'art. 8 della l. n. 590/1965, come autenticamente interpretato dall'art. unico della l. n. 2/1979, il pagamento del prezzo costituisce condizione sospensiva del trasferimento della proprietà nella prelazione urbana manca una disposizione di uguale tenore. Né la configurazione del pagamento del prezzo quale condizione del trasferimento della proprietà potrebbe ipotizzarsi, come da taluno sostenuto, in base ad un principio generale dell'ordinamento secondo cui in ogni trasferimento coattivo la perdita della proprietà è subordinata al versamento del corrispettivo o dell'indennizzo. Nell'ordinamento, infatti, si rivengono casi in cui l'effetto traslativo, a seguito dell'esercizio di riscatto, si verifica a prescindere dal pagamento del prezzo. Esempio tipico è quello del retratto successorio, disciplinato dall'art. 732 c.c., per il quale si ritiene che l'obbligazione del rimborso del prezzo e del pagamento delle eventuali spese non sono in funzione causale al retratto, con la conseguenza della irrilevanza del fatto che il pagamento o l'offerta reale delle somme dovute al retrattato non siano contemporanee alla dichiarazione di retratto (v. Cass. III, n. 1665/1966).

Né, ancora, argomento decisivo potrebbe trarsi dal fatto che, in tema di riscatto urbano, a differenza che per il retratto successorio, sia previsto un termine per il pagamento del prezzo. Infatti, la fissazione del termine non può mutare la natura dell'obbligo né attribuire natura di condizione all'adempimento, poiché il valore condizionante di un determinato fatto giuridico, avendo natura eccezionale, non può ritenersi implicito ma deve essere espressamente previsto, come accade nell'ipotesi della prelazione agraria. Quanto detto a proposito della condizione sospensiva vale con riferimento all'altra ipotesi prospettata dal ricorrente della condizione risolutiva» (Cass. III, n. 4535/1992).

Tirando le fila degli argomenti svolti, gli ermellini giungono a porre i punti fermi che seguono:

– che l'esercizio del diritto di riscatto, di cui all'art. 39 della l. n. 392/1978, è validamente esercitato ricorrendo i presupposti e le condizioni di cui al comma 1 della citata norma;

– che l'esercizio del diritto di riscatto comporta l'acquisto della proprietà del bene da parte del retraente;

– che dall'esercizio del diritto e dal conseguente acquisto della proprietà nasce in capo al retraente un'obbligazione di corrispondere il prezzo al retrattato;

– che il mancato rispetto del termine fissato dalla legge per il pagamento del prezzo non comporta decadenza da un diritto già legittimamente esercitato e giudizialmente riconosciuto, né condiziona gli effetti di esso in mancanza di una espressa previsione;

– che, pertanto, il termine fissato dalla legge per il pagamento del prezzo costituisce soltanto un termine dilatorio per l'adempimento, la cui mancata osservanza produce le conseguenze tipiche dell'inadempimento delle obbligazioni.

Nel quadro delle obbligazioni, dunque, quella di pagare il prezzo del riscatto trova la sua fonte non in un contratto o in un fatto illecito, ma nella legge in conseguenza dell'esercizio del diritto potestativo spettante al retraente (art. 1173 c.c.). Il suo mancato adempimento non può quindi comportare la risoluzione ex art. 1453 c.c., ma fa nascere il diritto nel retrattato all'adempimento coattivo ed al risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 1224 c.c., trattandosi di obbligazione pecuniaria (Cass. III, n. 4535/1992).

Negli stessi identici termini, è stato successivamente ribadito che il mancato pagamento del prezzo nel previsto termine di tre mesi, che ha natura dilatoria, dalla sentenza che ha accolto la domanda di riscatto non comporta, in mancanza di una espressa previsione, decadenza dal diritto legittimamente esercitato e giudizialmente riconosciuto, né condiziona gli effetti della sentenza, ma concreta solo un inadempimento dell'obbligazione pecuniaria del retraente, dal quale può derivare il diritto del retratto all'adempimento coattivo ed al risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 1224 c.c. (Cass. III, n. 8809/1998).

Può, dunque, dirsi fermo l'insegnamento secondo cui, in tema di riscatto di immobili urbani per uso non abitativo, il termine fissato dall'art. 39, commi 2 e 3 della l. n. 392/1978, per il pagamento del relativo prezzo, ha natura dilatoria, sicché la sua inosservanza non comporta decadenza da un diritto già legittimamente esercitato né, in mancanza di una espressa previsione in tal senso, condiziona gli effetti dello stesso, determinando, piuttosto, le conseguenze tipiche dell'inadempimento (Cass. III, n. 655/2017).

Simulazione del prezzo

L'art. 39 della l. n. 392/1978, nel prevedere che, in caso di violazione del diritto di prelazione spettante al conduttore, l'eventuale diritto di riscatto dell'immobile vada esercitato in riferimento al prezzo formalmente dichiarato nel contratto definitivo di alienazione, anche se tale prezzo risulti simulato, ha evidente carattere sanzionatorio.

Da ciò discende che la simulazione relativa del prezzo è irrilevante ai fini della determinazione del prezzo del riscatto. In tal senso – sulla scia di Cass. III, n. 8292/1992 – si trova affermato quanto segue: «I ricorrenti lamentano [...] che la sentenza impugnata ha ritenuto che il prezzo da versarsi per il riscatto fosse quello risultante dall'atto di compravendita ed ha negato la prova che il prezzo effettivo era superiore. Assumono i ricorrenti che nella fattispecie si trattava di una simulazione sul prezzo; che l'art. 39 della l. n. 392/1978 non esclude che possa eccepirsi detta simulazione relativa e che questa simulazione rispetto al conduttore può essere provata anche con testimoni, essendo egli terzo rispetto al contratto di compravendita. Ritengono i ricorrenti che una diversa interpretazione della norma esporrebbe la stessa a dubbi di incostituzionalità in relazione agli artt. 3 e 41 Cost. Ritiene questa Corte che anche questo motivo è infondato. Anzitutto va rilevato che, giusta la lettera dell'art. 39, comma 1, della l. n. 392/1978, il prezzo di riferimento ai fini dell'esercizio del riscatto è esclusivamente quello risultante dall'atto e non il prezzo effettivamente pagato, tant'è che il riscatto è ammissibile anche nel caso in cui il prezzo indicato nella denuntiatio sia superiore a quello risultante dall'atto, mentre, se si dovesse tener conto solo del prezzo effettivamente pagato, è a questo prezzo che si sarebbe dovuto far riferimento. Quanto al dubbio di costituzionalità avanzato dai ricorrenti, esso è manifestamente infondato. Va, infatti, condiviso l'orientamento già espresso da questa Corte (Cass. III, n. 8292/1992), secondo cui è manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 41 e 42 Cost., la questione di legittimità costituzionale del primo comma, dell'art. 39 della legge dell'equo canone, in caso di violazione del diritto di prelazione del conduttore, consente il riscatto dell'immobile al prezzo legale (risultante dal contratto) anche quando questo sia simulato, trattandosi di una norma che, per il suo carattere sanzionatorio, non può considerarsi irrazionalmente discriminante o arbitrariamente ablativa del diritto di proprietà. Da quanto sopra detto, consegue che esattamente la sentenza impugnata non ha ammesso la prova testimoniale in merito all'assunta simulazione relativa del prezzo, essendo essa irrilevante ai fini della determinazione del prezzo del riscatto, non senza rilevare peraltro che la simulazione totale o parziale del contratto, per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam, può essere provata dai contraenti contro i terzi soltanto per mezzo di controdichiarazione, che deve essere anteriore o coeva all'atto e la cui data, quindi, deve essere certa ai sensi dell'art. 2704 c.c.» (così Cass. III, n. 11552/1998).

I principi che precedono possono reputarsi consolidati, giacché ribaditi (Cass. III, n. 6882/2003).

Imposta di registro

Secondo una decisione del giudice di legittimità è assoggettabile all'imposta proporzionale di registro (ai sensi degli artt. 1 d.P.R. n. 131/1986 e 8, lett. a), nonché 1, comma 1, della allegata tariffa, parte I) la sentenza, ancorché non ancora definitiva, che pronuncia sulla domanda di riscatto di immobile urbano destinato ad uso non abitativo formulata ex art. 39 della l. n. 392/1978: né il fatto che la sentenza subordini il trasferimento della proprietà al pagamento del prezzo entro il termine di tre mesi dal suo passaggio in giudicato, rende applicabile la diversa disciplina di cui all'art. 27, comma 1, del citato d.P.R. n. 131/1986 (Cass. III, n. 12551/2001).

La pronuncia svolge gli argomenti che seguono: «È indispensabile premettere che dall'art. 37 del d.P.R. n. 131/1986, applicabile alla fattispecie ratione temporis – come già dall'art. 35 del previgente d.P.R. n. 634/1972 – si traggono, fra le altre, le norme, secondo cui la sentenza, anche non definitiva, in materia civile è assoggettata all'imposta di registro, ancorché, al momento della registrazione, la stessa sia stata impugnata o sia ancora impugnabile, «salvo conguaglio (a favore dell'Erario) o rimborso (a favore del contribuente) in base a successiva sentenza passata in giudicato»; secondo cui alla sentenza passata in giudicato sono equiparati l'atto di conciliazione giudiziale e l'atto di transazione stragiudiziale in cui è parte l'amministrazione dello Stato; e secondo cui il contribuente che ha diritto al rimborso deve chiederlo ai sensi dell'art. 77 (dello stesso decreto, che disciplina oggetto, termini e condizioni del rimborso dell'imposta di registro) all'ufficio che ha riscosso l'imposta. Questa Corte, nella sentenza n. 6952/1996, ha già delineato – con argomentazioni integralmente condivise dal Collegio – il sistema impositivo delineato da tale disposizione, fissando alcuni punti che appare opportuno rammentare: a) La sentenza che, anche parzialmente, definisce il giudizio è soggetta a tassazione, ancorché non passata in giudicato, in quanto impugnata od ancora impugnabile: sicché, l'ufficio del registro provvede legittimamente alla liquidazione dell'imposta, emettendo il relativo avviso, che è impugnabile per vizi, formali o sostanziali, suoi propri, vale a dire inerenti all'atto in sé, al procedimento che lo ha preceduto, oppure ai presupposti dell'imposizione. b) La riforma, totale o parziale, della sentenza assoggettata ad imposta nei successivi gradi di giudizio, e fino alla formazione del giudicato, non incide sul predetto avviso di liquidazione, ma integra un autonomo titolo per l'esercizio dei diritti al conguaglio o al rimborso dell'imposta medesima. c) In particolare, il diritto al rimborso non può esser fatto valere nel giudizio eventualmente instaurato avverso l'avviso di liquidazione fondato sulla sentenza riformata – che resta rigorosamente circoscritto, relativamente alle parti, alla causa petendi ed al petitum, al rapporto tributario che ne costituisce l'oggetto – ma può e deve esserlo nelle forme e nei termini prefigurati dall'art. 77 del d.P.R. n. 131/1986, anche al fine di consentire all'ufficio competente di verificarne, alla luce degli eventi sopravvenuti, la consistenza. d) Soltanto un provvedimento positivo su un'istanza di rimborso sarebbe idoneo, in ipotesi, ad incidere nel giudizio instaurato avverso il predetto avviso di liquidazione, fino a determinare, eventualmente, la cessazione della materia del contendere: effetto, questo, che non potrebbe mai conseguire alla riforma della sentenza assoggettata ad imposta, in quanto, come già detto, il provvedimento giurisdizionale di riforma, quale autonomo e distinto titolo per l'eventuale esercizio dei diritti al conguaglio o al rimborso, non incide, ex se, sulla legittimità e/o sulla fondatezza della pretesa tributaria fatta valere con l'avviso di liquidazione fondato sulla sentenza riformata. Nel ribadire tale orientamento, deve aggiungersi che il sistema delineato dall'art. 37 – e cioè: assoggettamento ad imposta di registro (nella misura fissata per le diverse ipotesi previste dall'art. 8 della Tariffa, parte I, allegata al d.P.R. n. 131/1986) di provvedimenti giurisdizionali anche non definitivi, perché impugnati od ancora impugnabili, salvo esercizio dei diritti al conguaglio o al rimborso sulla base di successiva sentenza passata in giudicato – non può ritenersi collidente con gli artt. 3 e 53 Cost., come è stato più volte riconosciuto dalla Corte costituzionale, sia indirettamente (v. sent. nn. 200/1972, 198/1976 e 285/1985), sia direttamente (v. ord. n. 203/1988, con la quale è stata dichiarata manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35 del d.P.R. n. 634/1972, nella parte in cui stabilisce che il tributo del registro applicato sul provvedimento giudiziario, anche se ancora impugnabile, permane per tutti i gradi del giudizio, salvo conguaglio o rimborso in base a sentenza definitiva; dove si precisa che la disposizione impugnata nella parte censurata è riprodotta testualmente dall'art. 37 del d.P.R. n. 131/1986). In particolare, nella sentenza n. 198/1976 (richiamata espressamente nell'ord. n. 203/1988) – con la quale fu dichiarata non fondata, con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 del r.d. n. 2369/1923 (legge di registro), laddove disponeva che le tasse stabilite dalla legge sono dovute anche nei casi di atti comunque nulli – il giudice delle leggi precisò, tra l'altro, che, a proposito della registrazione della sentenza, e cioè di un'operazione che non è facoltativa, ma obbligata e necessaria, e da eseguirsi in termine fisso, concorrono due interessi, quello dello Stato a percepire un compenso per il servizio reso ai soggetti interessati alla registrazione e ad avere un tributo in occasione di un trasferimento di ricchezza, e quello del contribuente a concorrere alle entrate fiscali dello Stato sulla base della propria capacità contributiva; che, nel concorso di codesti due interessi, con il disposto dell'art. 11 della legge di registro [...] si dà vita ad una norma che, basandosi sull'id quod plerumque accidit (e cioè sul fatto che di regola l'atto sottoposto alla registrazione è valido ed efficace) e sui compiti logicamente attribuibili al procuratore del registro (e cioè sulla impossibilità per questo di indagare circa la regolarità dell'atto, considera prevalente il primo interesse; e che nel contempo anche il secondo interesse trova tutela [...] giacché è fatta salva la restituzione delle tasse [...]. La Corte concluse, pertanto, nel senso che l'art. 11 [...], nella parte in cui consente che l'imposta di registro (ricorrendo le condizioni di legge) sia dovuta anche nei casi di registrazione di sentenza nulla o riformabile, non appare in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., perché detta sentenza, finché non sia dichiarata nulla o riformata con altra sentenza passata in cosa giudicata, denuncia direttamente o indirettamente un trasferimento di ricchezza assoggettabile all'imposta di registro. Sulla base dei principi desumibili da tali affermazioni – che, sebbene riferite alla disciplina del 1923, appaiono consonanti con quella vigente, come ha affermato la stessa Corte costituzionale nella ord. n. 203/1998 citata – deve escludersi anche l'adombrato contrasto dell'art. 37 del d.P.R. n. 131/1986 con il principio del buon andamento dei pubblici uffici, sancito dall'art. 97, comma 1, Cost.: infatti – posto che quella di registro è, come suol dirsi, imposta d'atto; e tenuto conto della struttura del processo tributario – non appare arbitrario o manifestamente irragionevole che il conguaglio o la restituzione dell'imposta, comunque garantiti, costituiscano l'oggetto specifico di distinto procedimento amministrativo e/o giurisdizionale basato sul definitivo assetto di interessi costituito dalla sentenza passata in giudicato o dagli atti a questa equiparati dalla disposizione in esame. Alla luce delle considerazioni che precedono, è del tutto evidente l'irrilevanza, nella fattispecie, della sentenza della Corte di Cassazione n. 1065/1996 ..., i cui eventuali effetti non possono esplicarsi, secondo il disposto dell'art. 37 citato, nel rapporto tributario oggetto del presente giudizio, bensì nell'eventuale, distinto procedimento amministrativo e/o giurisdizionale avente ad oggetto il diverso rapporto tributario risultante dall'eventuale, definitivo assetto di interessi conseguente alla pronuncia medesima e/o alla intervenuta transazione della quale la stessa dà atto. Per respingere anche gli ulteriori profili di censura argomentati nel secondo e terzo motivo del ricorso, è sufficiente osservare, in primo luogo, che – a parte ogni considerazione civilistica sulla natura giuridica, dichiarativa o costitutiva, della sentenza che pronuncia sulla domanda avente ad oggetto l'esercizio del diritto di riscatto ai sensi dell'art. 39 l. n. 392/1978, certamente irrilevante ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro (v. art. 20 del d.p.r. n. 131/1986) – è pacifico che la sentenza della App. Roma n. 2249/91 del 4 luglio 1991 ... dispone il trasferimento della proprietà dell'immobile riscattato a favore della Società ricorrente verso corrispettivo di un prezzo da pagare alle Società retrattate: e tanto basta per integrare la fattispecie prefigurata dal combinato disposto degli artt. 1 del d.P.R. n. 131/1986, 8 lett. a) e 1 comma 1 della Tariffa, parte I, allegata al decreto, laddove prevedono l'applicazione dell'imposta proporzionale dell'8% agli atti giurisdizionali recanti trasferimento di diritti reali su beni immobili, il cui contenuto corrisponda, come nella specie, ad un atto traslativo a titolo oneroso della proprietà di bene immobile. Quanto, poi, alla questione se la sentenza della Corte romana – in quanto contenente una duplice condizione sospensiva ... – debba essere assoggettata ad imposta di registro in misura fissa (art. 27, comma 1, del d.P.R. n. 131/1986), è agevole osservare che, alla fattispecie, non è applicabile tout court la disciplina dettata dall'art. 27, per il decisivo rilievo che siffatta disciplina, in materia di condizione sospensiva, come pure quella stabilita dal successivo art. 28 in tema di condizione risolutiva, attiene esclusivamente alla condizione c.d. «volontaria» (condicio facti) e non anche a quella c.d. «legale» (condicio juris). In proposito, v'è da sottolineare, innanzitutto, che l'attribuzione dei diritti di prelazione e di riscatto, prevista dagli artt. 38 e 39 l. n. 392/1978, è ispirata alla «conservazione, anche nel pubblico interesse, delle imprese considerate, tutelate mediante il mantenimento della clientela, che costituisce una componente essenziale dell'avviamento commerciale» (v. Corte cost. n. 128/1983), e cioè al «favor conductoris nella sua qualità di imprenditore, cui è agevolata la consolidazione della proprietà dell'immobile con l'esercizio d'impresa» (v. Corte cost. n. 228/1990), e, in secondo luogo, che, come il richiamato favor conductoris è preordinato alla realizzazione del predetto interesse pubblico, così anche i termini di decadenza, stabiliti a carico del conduttore per l'esercizio dei diritti di prelazione e di riscatto, rispondono all'esigenza di salvaguardare il più generale interesse alla circolazione dei beni immobili; sicché, siffatte esigenze pubblicistiche giustificano ampiamente una disciplina legislativa ad esse adeguata, rispetto alla quale resta completamente estranea la volontà delle parti. A ciò consegue che – siccome la formulazione del dispositivo della sentenza della Corte romana riproduce testualmente il dettato legislativo contenuto nell'art. 39, comma 3, l. n. 392/1978 (Se per qualsiasi motivo, l'acquirente o successivo avente causa faccia opposizione al riscatto, il termine di tre mesi [per il versamento del prezzo] decorre dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio) – è evidente che tale disposizione, individuando il dies a quo del termine trimestrale per il versamento del prezzo nel passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio di opposizione al riscatto, presuppone inequivocabilmente la piena e definitiva efficacia della sentenza medesima (salvo, ovviamente, il diritto di previamente impugnarla). Ed allora, di fronte ad una sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 39, comma 3, l. n. 392/1978 (come è pacificamente avvenuto nel caso di specie), ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro si dà la seguente alternativa: o la sentenza medesima viene impugnata e, conseguentemente, la relativa fattispecie ricade nella disciplina dell'art. 37 del d.P.R. n. 131/1986, dianzi esaminata; ovvero, in carenza di sua impugnazione, l'efficacia della stessa non può considerarsi, per le ragioni già esposte, sottoposta alla condizione sospensiva del tempestivo versamento del prezzo da parte del conduttore retraente (ché, anzi, questa Corte ha più volte affermato che il mancato versamento del prezzo nel previsto termine, dilatorio, trimestrale dalla sentenza che ha accolto la domanda di riscatto non comporta, in mancanza di espressa previsione, decadenza dal diritto di riscatto legittimamente esercitato e giudizialmente riconosciuto, né condiziona gli effetti della sentenza, ma concreta solo un inadempimento dell'obbligazione pecuniaria del retraente, dal quale può derivare il diritto del retratto all'adempimento coattivo e al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1224 c.c. (Cass. III, n. 12551/2001).

In altra occasione, è stato invece osservato che l'esercizio del diritto di riscatto previsto dall'art. 39 l. n. 392/1978 non determina un nuovo trasferimento del diritto sul bene del terzo acquirente al titolare del diritto di riscatto, bensì la sostituzione con effetto ex tunc di detto titolare al terzo nella medesima posizione che quest'ultimo aveva nel negozio concluso; ne consegue che l'imposta di registro non è dovuta, trattandosi di mero subingresso del riscattante nel contratto di acquisto originario, e non di un nuovo e successivo negozio traslativo della proprietà (Cass. III, n. 28907/2008).

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