Legge - 27/07/1978 - n. 392 art. 79 - Patti contrari alla legge.Patti contrari alla legge. È nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge. Il conduttore con azione proponibile fino a sei mesi dopo la riconsegna dell'immobile locato, può ripetere le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge. In deroga alle disposizioni del primo comma, nei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, anche se adibiti ad attivita' alberghiera, per i quali sia pattuito un canone annuo superiore ad euro 250.000, e che non siano riferiti a locali qualificati di interesse storico a seguito di provvedimento regionale o comunale, e' facolta' delle parti concordare contrattualmente termini e condizioni in deroga alle disposizioni della presente legge. I contratti di cui al periodo precedente devono essere provati per iscritto (1) (2). (1) Articolo abrogato dall' articolo 14, comma 4, della Legge 9 dicembre 1998, n. 431 , limitatamente alle locazioni abitative. (2) Comma aggiunto dall'articolo 18, comma 1, del D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni dalla Legge 11 novembre 2014, n. 164. Per l'applicazione vedi il comma 2 del medesimo articolo 18. InquadramentoLa norma in commento, laddove sancisce, al comma 1, la nullità (dal 1998 per le sole locazioni non abitative) di ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dalla legge dell'«equo canone» ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della stessa legge, ne costituisce l'architrave, tale da connotare il complessivo disegno voluto dal legislatore di quella remotissima, nel bene e nel male, epoca storica. Non che manchino casi in cui, ai sensi dell'art. 1418 c.c., il contratto di locazione è nullo per contrasto con norme imperative, ovvero per la mancanza di uno dei requisiti (accordo, causa, oggetto e forma) indicati dall'art. 1325 c.c., per l'illiceità della causa o dei motivi, nei limiti in cui quest'ultima rileva, nonché per la mancanza nell'oggetto dei requisiti di possibilità, liceità, determinatezza o determinabilità stabiliti dall'art. 1346 c.c. Alle menzionate ipotesi, nelle quali la sanzione di nullità risponde ancora alla sua funzione tipica, ossia alla tutela di un superiore ed obiettivo interesse pubblicistico, leso – in breve – dall'inconsistenza o illiceità del patto, si aggiungono, per il tramite dell'art. 79 in esame, nullità concepite con tutt'altra finalità. È, quello della locazione immobiliare, «un osservatorio privilegiato per studiare il modo di operare della nullità come tecnica di tutela dell'interesse di una delle parti rispetto alla determinazione del contenuto del contratto» (Cuffaro, 358). Difatti, nelle vicende del contratto di locazione, e anzitutto in quello ad uso di abitazione, nel quale viene in questione il diritto costituzionalmente garantito all'abitazione, ma anche nella locazione «commerciale», attraverso la quale può realizzarsi l'iniziativa economica privata, pure oggetto di tutela costituzionale – si riflette l'attitudine del diritto privato all'armonizzazione tra «difesa di diritti-limite (rispetto a poteri prevaricanti, pubblici e privati) e affermazione di diritti-sviluppo per definizione conformi a istanze di partecipazione» (Breccia, 361). Ebbene, mentre nello schema delineato nel codice civile, la locazione è disciplinata da norme pressoché totalmente dispositive, le quali consentono alle parti di determinare il contenuto contrattuale in libertà pressoché totale, il legislatore, fin dal dopoguerra, e soprattutto con la l. n. 392/1978, è pesantemente intervenuto a delineare esso stesso il contenuto del contratto di locazione, da un lato, quello della locazione abitativa, anche dal versante del canone, dall'altro, quello della locazione «commerciale», solo dal versante della durata, oltre che, in entrambi i casi, sotto ulteriori numerosi e tutt'altro che irrilevanti aspetti. A volo d'uccello: è stabilita una soglia al di sotto della quale l'inadempimento dell'obbligazione di pagamento del canone non dà luogo, nella locazione abitativa, a risoluzione contrattuale (art. 5); è previsto che, al verificarsi di determinati eventi, quali anzitutto la morte del conduttore, il contratto di locazione non venga a cessare, ma la posizione contrattuale si trasferisca ai soggetti normativamente individuati (artt. 6 e 37); è espressamente prevista la nullità della clausola che prevede la risoluzione del contratto in caso di alienazione della cosa locata (art. 7); è disciplinata la ripartizione delle spese di registrazione del contratto (art. 8); è minuziosamente regolata la materia del riparto degli oneri accessori (art. 9); il conduttore è in una certa misura inserito nella compagine condominiale (art. 10); sono dettati limiti cogenti per la determinazione del deposito cauzionale, che non può eccedere le tre mensilità (art. 11); al conduttore dell'immobile ad uso non abitativo compete alla cessazione del rapporto una cospicua indennità per la perdita dell'avviamento (art. 34), oltre al diritto di sublocazione e cessione del contratto di locazione (art. 36) ed al diritto, di enorme rilievo sia concettuale che pratico, di prelazione e riscatto (artt. 38-40). In breve, può dirsi che, nell'intenzione del legislatore, le parti, al momento della stipulazione del contratto di locazione di un immobile urbano, si limitano a stabilire se concludere il contratto oppure no, al resto, alla determinazione del contenuto contrattuale, ci pensa la legge. Tale intervento di conformazione del contenuto contrattuale, poi, è per l'appunto assistito dalla sanzione di nullità dei patti stipulati in violazione della disciplina legalmente imposta. Perciò, come si diceva, pietra angolare dell'intera materia della locazione di immobili urbani diviene nel 1978 l'art. 79 della legge dell'«equo canone» (norma, si ripete, abrogata nel 1998 solo per le locazioni abitative), contenente una regola di inderogabilità a senso unico: le clausole difformi dalla previsione legale sono valide se favorevoli al conduttore, nulle se favorevoli al locatore. Il disegno del legislatoreIl legislatore del 1978 era ben consapevole – in relazione ai contrasti che avevano accompagnato l'iter della legge dell'«equo canone» – del tentativo, che si sarebbe potuto verificare, di inceppare taluni meccanismi di essa nella fase applicativa. Previsione fondata ché, ad esempio, l'era dell'«equo canone» ha visto la riesumazione della costituzione pattizia del diritto reale di abitazione, al quale restava inapplicabile la disciplina della l. n. 392/1978 (Cass. III, n. 3342/1984; nello stesso senso, con riferimento all'uso non abitativo, Cass. III, n. 10155/1995). Si è trattato – come è stato detto – «dell'ultimo episodio di una vicenda che aveva già visto l'usufrutto convenzionale ad tempus riesumato dal museo delle antichità ed utilizzato in luogo del contratto di affitto di fondi rustici, disciplinato esso soltanto dalla legge speciale; che aveva visto contrapporre la proprietà separata delle piantagioni, disciplinata tuttora dall'art. 956 c.c., al divieto di concessioni separate (del suolo e del soprassuolo) nei contratti agrari, sottoposto esso soltanto a disciplina via via rinnovata» (Vitucci, 480). Sulla base di questa previsione e paventando che talune norme, pur caratterizzate dall'inderogabilità, non avrebbero potuto scalfire – come constatato in dottrina – «le dimensioni di potere ed eventualmente di soggezione presenti nel momento pregiuridico (nel senso che preesistono alla fase di formazione dell'atto contrattuale)» (Galli, 263), il legislatore del 1978 ha individuato taluni punti deboli della struttura normativa e li ha rafforzati, immaginando le forme di aggressione e predisponendo le relative contromisure. Il conduttore è stato riguardato aprioristicamente come il contraente debole in quanto, sin dal momento della stipulazione della locazione, la sua è una «adesione necessitata», poiché egli è «costretto a subire – non avendo altro modo per ottenere la fruizione abitativa se non alle condizioni proposte dal dominus – i prodotti negoziali ex uno latere coniati» (Galli, 261). In tale prospettiva, il fondamentale intervento ha colpito la conclusione dell'«accordo tra le parti» (secondo il dettato dell'art. 1325, n. 1 c.c.), ed è stato diretto ad evitare situazioni gravose per il conduttore, rese possibili dal fatto che le disposizioni codicistiche afferenti alle principali obbligazioni nascenti dalla locazione sono tradizionalmente considerate derogabili. I c.d. patti in deroga sono stati allora ammessi soltanto a vantaggio del conduttore (art. 79 l. n. 392/1978). In altri termini, per quanto il legislatore si allontana dallo «schema egualitario puramente formale del codice civile» (Rodotà, 15), intervenendo sul governo dell'economia e del mercato, la disciplina della nullità diviene strumento essenziale di tale manovra. L'istituto della nullità, cioè, finisce per acquistare il ruolo di presidio degli interessi che il legislatore intende tutelare. Il fondamento della nullità, così, cessa di essere radicato esclusivamente in quell'interesse «sovraordinato e necessariamente astratto rispetto a quello delle parti contraenti, bensì strumentale, almeno in modo immediato, alla soddisfazione dell'interesse particolare di una di esse, cui il legislatore, più attento alle concrete esigenze di disciplina che alle simmetrie del sistema, appresta tutela anche in punto di validità del contratto» (Passagnoli, 28). Ma, in tal modo, la figura inevitabilmente perde o modifica le proprie consuete caratteristiche: «Quando infatti la comminatoria è giustificata solo dalla considerazione di certi effetti, la disciplina alla nullità tradizionalmente connessa, così rigida e compatta, appare scarsamente adeguata, perché portata ad esorbitare dai confini che in quel caso le specifiche finalità di indirizzo del mercato le assegnerebbero. Da un lato, la comminatoria tradizionalmente collegata alla sola struttura o contenuto dell'atto (la sua incompletezza, la sua intrinseca immeritevolezza) deborda fino a dipendere dalle qualità sociali dell'autore, dagli effetti economici dello scambio, dalle condizioni del mercato. Dall'altro la rigida disciplina consueta – rilevazione d'ufficio, legittimazione assoluta, insanabilità – per adattarsi alle finalità cui va piegata è costretta a mutare, smentendo assiomi collaudati della tecnica civilistica» (Gentili, 76). La figura della nullità, insomma, «appare assai spesso alterata rispetto agli schematismi tradizionali; piegata, quasi, a una differente funzione rispetto a quella innanzi riconosciutale, graduata nel proprio fondamento e differenziata quanto alla disciplina volta a volta applicabile» (Passagnoli, 9). Alla luce di siffatte premesse va analizzata la disciplina posta in tema di nullità delle pattuizioni contra legem sia nella legge dell'«equo canone», già applicabile tanto alle locazioni abitative che a quelle non abitative ed oggi applicabile solo a queste ultime, sia nella legge sulle locazioni abitative, ad esse oggi applicabile. Anche la l. n. 431/1998 ha lasciato in vita alcuni degli istituti di maggior rilievo – tutela del nucleo insediato nell'immobile, rilevanza dell'uso effettivo, sterilizzazione dell'inadempimento – contenuti nella legge dell'«equo canone» a protezione del conduttore, ma ha tuttavia reimpostato il complessivo impianto: se l'art. 79 l. n. 392 del 1978 – abrogato dall'art. 14 l. n. 431 del 1998 – si connotava per la sua atipicità, sanzionando di nullità non soltanto i patti diretti a limitare la durata del contratto e ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello legalmente dovuto, ma, più in generale, ogni patto diretto ad attribuire al locatore altri vantaggi in contrasto con le disposizioni della stessa legge, l'art. 13 l. n. 431/1998 ha individuato fattispecie tipiche di nullità poste in tema di canone e di durata (v. Cass. III, n. 19568/2004). Il congegno della sostituzione automaticaLa previsione di inderogabilità è attuata attraverso il congegno della nullità parziale (art. 1419 c.c.), unito a quello dell'inserzione automatica della clausola prevista (art. 1339 c.c.), per modo che la pattuizione stipulata in violazione della previsione legale non viene cancellata, ma ricondotta al paradigma disegnato dalla legge. La giurisprudenza ha difatti più volte ripetuto che le norme inderogabili dettate dalla legislazione «speciale» in materia – tali per effetto dell'applicazione dell'art. 79 – sono inserite di diritto in contratto ai sensi dell'art. 1339 c.c., in sostituzione delle clausole difformi apposte dai contraenti, le quali vengono invece espunte, senza che la nullità delle singole clausole possa determinare la nullità dell'intero contratto, ai sensi dell'art. 1419, comma 1, c.c., restando questa esclusa a norma del secondo comma della stessa norma (Cass. III, n. 3780/1989; Cass. III, n. 6246/1992; Cass. III, n. 9464/1997; da ultimo, Cass. III, n. 21965/2019): ciò anche se le parti abbiano stabilito che l'invalidità anche di una sola delle pattuizioni comporti il venir meno dell'intero negozio (Cass. III, n. 6308/1991; Cass. III, n. 7927/2004). Trattandosi inoltre di nullità derivante dalla violazione di norme imperative, essa può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse ed essere rilevata d'ufficio dal giudice, secondo il principio generale stabilito dall'art. 1421 c.c. (Cass. III, n. 1776/1989; Cass. III, n. 5827/1993), prescindendo anche dalle allegazioni delle parti (Cass. III, n. 10676/1991). Le fattispecie riconducibili alla legge dell'«equo canone» in generaleLe fattispecie regolate dall'art. 79, che si incontrano consultando i repertori di giurisprudenza, sono numerosissime. In tema di durata, basterà ricordare per tutte la massima secondo cui la nullità della clausola che limita la durata di un contratto soggetto alle disposizioni dell'art. 27 della l. n. 392/1978 ad un tempo inferiore al termine minimo stabilito dalla legge determina l'automatica eterointegrazione del contratto, ai sensi dell'art. 1339 in relazione all'art. 1419 c.c., con conseguente applicazione della durata legale prevista dal quarto comma del citato art. 27 (Cass. III, n. 7927/2004; Cass. III, n. 6308/1991). In tema di corrispettivo, appartiene ormai (entro certi limiti) al passato la massima riferita alla nullità della clausola con la quale fosse convenuto, per le locazioni abitative, un canone superiore a quello «equo», clausola anch'essa espunta e sostituita con il consueto meccanismo previsto dagli artt. 1339 e 1419 c.c. (Cass. III, n. 9464/1997). Era valida, invece, la pattuizione di un canone inferiore a quello «equo», purché risultasse in modo non equivoco che le parti avevano inteso derogare, in maniera favorevole al conduttore, ai criteri fissati dalla legge (Cass. III, n. 10024/1998; Cass. III, n. 3802/1998; Cass. III, n. 390/1997; Cass. III, n. 840/1988). Conserva tuttora grande rilievo la questione della pattuizione del canone, nelle locazioni non abitative, in misura differenziata e crescente. Le parti, in tal caso, sono assolutamente libere, nella fase di formazione del vincolo, di determinarne l'entità, ma esso, nel corso del rapporto, può accrescersi soltanto in applicazione della clausola Istat, ai sensi dell'art. 32 della legge dell'«equo canone», nella misura del 75% della variazione accertata. Da tale previsione normativa, il cui rilievo è stato per via interpretativa enormemente dilatato, giacché essa aveva in realtà all'origine uno scopo meramente antinflazionistico, la giurisprudenza ha tratto il principio della legittimità della clausola che abbia ad oggetto la preordinata maggiorazione annuale del canone solo a condizione che essa sia ancorata ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull'equilibrio economico del sinallagma contrattuale, i quali siano estranei alle variazioni del potere di acquisto della moneta (la decisione capostipite è Cass. III, n. 6695/1987; in seguito, tra le altre, Cass. III, n. 10834/2011; Cass. III, n. 13887/2011). Facendo leva sullo stesso art. 32, in combinato disposto con l'art. 79, la giurisprudenza ha inoltre ritenuto la nullità delle pattuizioni volte all'aumento del canone in corso del rapporto, in quanto dirette ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello legislativamente previsto (Cass. III, n. 10286/2001; Cass. III, n. n. 10728/2002; Cass. III, n. 15647/2003). Con riguardo al contratto di locazione di immobili urbani non abitativi, la clausola che stabilisce aumenti di canone, nel corso del rapporto, in misura diversa da quella legale (e cioè superiore al 75% dell'indice dei prezzi al consumo, accertato dall'Istat) è anch'essa nulla, ai sensi dell'art. 79 citato, per contrasto con l'art. 32, comma 2, della medesima legge dell'«equo canone» (Cass. III, n. 14655/2002). Si è anche detto che, nei contratti di locazione ad uso non abitativo, il patto con il quale le parti concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato è nullo, anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non soltanto funzionale del rapporto; tale nullità vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, e ciò a prescindere dall'avvenuta registrazione (Cass. III, n. 12836/2023). Parimenti, è stata ritenuta nulla, per contrasto con l'art. 79, la clausola contrattuale di aggiornamento automatico del canone, ossia in mancanza della richiesta (Cass. III, n. 1290/1998; Cass. III, n. 15799/2003). Sono nulle, altresì, secondo la giurisprudenza, tutte le clausole concernenti buona entrata e figure simili (Cass. III, n. 8815/1996; Cass. III, n. 11232/1997; Cass. III, n. 1418/1998). Sono valide le clausole che prevedano interessi moratori sul canone in misura ultralegale, e tuttavia tale pattuizione non può operare in sede di applicazione della sanatoria giudiziale di cui all'art. 55 della legge dell'«equo canone» (Cass. III, n. 1303/1989). Sono nulle le clausole aventi ad oggetto la costituzione del deposito cauzionale in misura eccedente le tre mensilità del canone, ai sensi dell'espressa previsione del già citato art. 11 della stessa legge. Ed ancora, è stata giudicata nulla la clausola con la quale le parti deferiscono al giudizio arbitrale le controversie relative al canone, ex art. 54 della legge dell'«equo canone» (Cass. III, n. 3949/1988; Cass. III, n. 1172/1983). Parimenti nulla la locazione separata dell'autorimessa costituente pertinenza dell'appartamento, in quanto i due distinti contratti si configurano quale strumento di attuazione di un patto derogatorio della disciplina legale della locazione, come tale nullo ai sensi dell'art. 79 (Cass. III, n. 1924/1987): la pattuizione, cioè, va considerata come diretta a modificare il regolamento legale per la determinazione dell'«equo canone» (Cass. III, n. 2026/1985). In tema di oneri condominiali, è stata reputata nulla la pattuizione di ripartizione degli stessi in senso più sfavorevole al conduttore, rispetto a quanto previsto dall'art. 9 della legge dell'«equo canone» (Cass. III, n. 10081/1998). Allo stesso modo è stata ritenuta la nullità della clausola contrattuale che obbliga il conduttore al pagamento degli oneri accessori anticipatamente determinati in modo forfettario (Cass. III, n. 3431/2002). Nulla, ancora, la clausola che obbliga il conduttore ad eliminare, al termine del rapporto, le conseguenze del deterioramento subito dalla cosa locata per il suo normale uso, ad esempio ponendo a suo carico la spesa per la tinteggiatura delle pareti (Cass. III, n. 29329/2019; Cass. III, n. 11703/2002; Cass. III, n. 8819/1996). Nulla, ovviamente, la clausola contrattuale di una locazione non abitativa la quale rechi la anticipata rinuncia al diritto di prelazione di cui all'art. 38 della citata legge (Cass. III, n. 8444/1996), ovvero all'indennità di avviamento (Cass. III, n. 24221/2019). La clausola di un contratto di locazione (nella specie, ad uso diverso) che attribuisce al conduttore l'obbligo di farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere relativo ai beni locati ed al contratto, manlevando conseguentemente il locatore, non è affetta da nullità per contrasto con l'art. 53 Cost. configurabile quando l'imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito ma da un soggetto diverso, obbligatosi a pagarla in vece e conto del primo qualora essa sia stata prevista dalle parti come componente integrante la misura del canone locativo complessivamente dovuto dal conduttore e non implichi che il tributo debba essere pagato da un soggetto diverso dal contribuente, trattandosi in tal caso di pattuizione da ritenersi in via generale consentita in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge (Cass. III n. 17453/2019). Costituzionalità della disposizioneNel passare all'esame delle singole questioni sottoposte all'esame della giurisprudenza, occorre muovere dall'esame di alcune eccezioni di incostituzionalità in proposito formulate. È stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 41 Cost., dell'art. 79 della l. n. 392/1978, per la brevità del termine semestrale di decadenza opponibile al curatore che agisca per la ripetizione delle somme indebitamente corrisposte dal conduttore poi fallito, in relazione al possibile danno per la massa dei creditori; ciò in quanto, rispetto alle esigenze di certezza e definitività del rapporto di locazione, delle quali la brevità di tale termine è espressione, è irrilevante il sopravvenire, durante il suo decorso, del fallimento del conduttore, considerato anche che la legge fallimentare non contiene una disposizione di carattere generale che, in relazione ai rapporti giuridici facenti capo al fallito, fermi il decorso dei termini di decadenza, la quale può, invece, risultare inopponibile al curatore in taluni rapporti in relazione ai quali egli assume la (diversa) posizione di «terzo» (Cass. I, n. 8914/2003). Si è anche affermato che rispondono ad esigenze diverse, e quindi non sono comparabili tra loro, ai fini del principio di eguaglianza, le situazioni soggettive del conduttore e del locatore in ordine, rispettivamente, all'azione per la ripetizione di somme corrisposte illegalmente e all'azione per ottenere somme non percepite, sebbene legalmente spettanti, posto che solo nella prima ipotesi l'esercizio della relativa azione è sottoposto al termine di decadenza di sei mesi decorrenti dalla riconsegna dell'immobile. Infatti, mentre la pretesa del locatore discende da un regolamento negoziale secundum legem e si inserisce razionalmente nella generale previsione di prescrizione quinquennale, di cui all'art. 2948, n. 3) c.c., la disciplina concernente il conduttore (art. 79, comma 2, l. n. 392/1978) è volta ad eliminare l'incertezza connessa ad una convenzione contra legem, per cui l'azione a questi riconosciuta implica la previa determinazione del canone legale e, ragionevolmente, ne è riconosciuta la proponibilità entro un circoscritto lasso di tempo. Deve, quindi, escludersi che detta disciplina comporti un ingiustificato trattamento deteriore del conduttore, nella specie, lamentato dal giudice rimettente a fondamento della richiesta finalizzata ad estendere la disciplina stessa – mediante sentenza additiva – al locatore (Corte cost., n. 141/1994). La mancata estensione della disciplina dell'azione di ripetizione di somme corrisposte dal conduttore, in violazione dei divieti e limiti di legge, nel termine di decadenza di sei mesi dalla riconsegna del locale, prevista dall'art. 79, comma 2, della l. n. 392/1978, alle ipotesi di cessazione del rapporto di locazione originario, per vendita allo stesso conduttore o a terzi, cui non si accompagni la restituzione del bene, non può dirsi ingiustificata. Non si può infatti ritenere che in tutti indiscriminatamente i casi in cui il soggetto passivo della domanda di ripetizione delle somme pagate oltre il dovuto abbia cessato di rivestire la qualità di locatore, anche il conduttore abbia dismesso la propria qualità, e così abbia cessato di versare in quella situazione di esposizione a ritorsioni – ricollegabili all'accertamento, da lui postulato, di una minor misura del canone dovuto – che giustifica, per le conseguenti remore all'esercizio del diritto, il trattamento previsto dalla norma impugnata (Corte cost., n. 3/1990). Rilevabilità d'ufficio della nullitàPoiché l'art. 79 della l. n. 392/1978, nel prevedere espressamente la nullità delle pattuizioni dirette a limitare la durata del contratto di locazione, non fissa limiti alla legittimazione a dedurre detta nullità e non contiene alcuna previsione tale da farla ritenere di natura relativa, la stessa, alla stregua del principio generale dell'art. 1421 c.c., può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata, anche di ufficio, dal giudice. Ne consegue che, con riguardo a locazione non abitativa, la nullità della clausola contrattuale, che preveda una durata del rapporto inferiore a quella minima esannale prevista dall'art. 27 della detta legge, può essere dedotta anche dal locatore, come è indicato dagli ultimi due commi dell'art. 27 citato che, consentendo al conduttore di recedere prima del termine dal rapporto locativo solo quando glielo consenta un accordo negoziale o ricorrano gravi motivi, indirettamente conferma l'efficacia vincolante, anche per il conduttore, del termine di durata del contratto in tutti gli altri casi (Cass. III, n. 5827/1993). Ed inoltre, dal momento che l'art. 79 della l. n. 392/1978, nel provvedere espressamente la nullità delle pattuizioni dirette a limitare la durata legale del contratto di locazione, non fissa limiti alla legittimazione a dedurre detta nullità e non contiene alcuna previsione tale da farla ritenere di natura «relativa», la stessa alla stregua del principio generale dell'art. 1421 c.c. può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse ed essere rilevata anche d'ufficio dal giudice (Cass. III, n. 1776/1989). Nullità, simulazione e provaConserva interesse rammentare che, prima dell'abrogazione della norma in commento, limitatamente alle locazioni abitative, ad opera dell'art. 14 della l. n. 431/1998, si affermava in giurisprudenza che il contratto di locazione per uso abitativo, stipulato per eludere la nullità delle clausole che si pongano in contrasto con le disposizioni della legge sull'equo canone relative alla durata ed al canone – nullità espressamente sancita dall'art. 79 della l. n. 392/1978 in considerazione dello scopo di tutela delle primarie esigenze abitative perseguite dalla legge in questione – realizza una fattispecie negoziale di simulazione relativa, che le parti possono, ai sensi dell'art. 1417 c.c., provare, senza limiti, con testimoni, allo scopo di far valere il contratto dissimulato, in cui le clausole nulle sono sostituite di diritto da quelle previste dalla l. n. 392/1978 (Cass. III, n. 6933/1997). E cioè, la nullità delle clausole del contratto di locazione per uso abitativo in contrasto con le disposizioni della legge sull'equo canone relative alla durata e alla misura del canone, essendo espressamente sancita dall'art. 79 della detta legge in considerazione dello scopo di tutela delle primarie esigenze abitative perseguite dalla legge stessa configura un'ipotesi di illiceità del contratto. Ne consegue che il contratto concluso con un conduttore apparente, allo scopo di eludere tale nullità – così come il contratto di locazione stipulato con l'effettivo conduttore, apparentemente secondo un tipo contrattuale non soggetto a limitazioni di canone o di durata – realizza una fattispecie negoziale relativamente simulata, che a norma dell'art. 1417 c.c. è dato alle parti di provare per testimoni allo scopo di far valere il contratto dissimulato nel quale le clausole nulle sono sostituite di diritto da quelle previste dalla citata legge (Cass. III, n. 3782/1997; Cass. III, n. 5371/1995). Clausola di miglior favore per il locatore in conformità a disposizione di legge sopravvenutePer il disposto dell'art. 79 della l. n. 392/1978 – poi abrogato dall'art. 14, comma 4, della l. n. 431/1998 – non era sufficiente, per la configurazione della nullità di una clausola del contratto di locazione, che essa attribuisse un qualche vantaggio al locatore, ma era necessario che gli conferisse un vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge medesima. Tale contrasto non era rilevabile in una clausola che prevedeva la modifica di patti in senso più favorevole al locatore qualora fosse divenuta possibile in base ad una successiva modifica della legge, perché, da un lato, essa non comportava un vantaggio attuale che si ponesse in contrasto con le norme di legge e, dall'altro, condizionava l'eventuale futuro vantaggio all'emanazione di una disposizione di legge che lo consentisse (Cass. III, n. 27004/2005, che, sulla scorta del suddetto principio, ha rigettato il motivo di ricorso con il quale era stata dedotta l'invalidità e l'inefficacia della clausola contrattuale con la quale si era convenuto che, ove norme più favorevoli lo avessero consentito, a decorrere dall'inizio del secondo sessennio di un rapporto di locazione di immobile destinato ad uso diverso dall'abitativo, il canone sarebbe stato aumentato in misura almeno pari al 50 per cento di quello precedente; nello stesso senso, Cass. III, n. 7317/1993). Rinuncia del conduttore a future prorogheLa convenzione con la quale il conduttore di immobile soggetto alla legge sull'equo canone assume l'obbligo di rilasciare l'immobile alla scadenza, nonostante qualsiasi legge di proroga dello sfratto, implica una preventiva rinuncia ai futuri diritti del conduttore ed è, pertanto, nulla, ai sensi dell'art. 79 della legge sull'equo canone, che, prevedendo la nullità di ogni patto diretto a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello previsto dalle precedenti norme ovvero ad attribuirgli altri vantaggi in contrasto con le disposizioni di legge, ha lo scopo di impedire la violazione di diritti del conduttore non ancora sorti, in qualsiasi modo ricollegabili al contratto di locazione (Cass. III, n. 6533/1994). Pattuizione del canone in misura differenziata e crescenteSi deve passare, ora, ad esaminare una importante questione che riguarda il canone delle locazioni non abitative. Le parti sono in tal caso libere, nella fase di formazione del vincolo, di determinarne l'entità. L'art. 32 della l. n. 392/1978, tuttavia, nel contemplare l'aggiornamento Istat, mostrerebbe – secondo un ampio indirizzo giurisprudenziale – a contrario che il canone inizialmente pattuito non potrebbe subire ulteriori maggiorazioni né in dipendenza dell'accordo iniziale (nel caso dei c.d. canoni a «scaletta»), né in dipendenza di accordi sopravvenuti (nel caso di maggiorazioni del canone convenute in pendenza della locazione). Occorre allora approfondire, anzitutto, la questione se i contraenti, nello stipulare il contratto di locazione, possono stabilire un canone differenziato, destinato ad accrescersi, in genere anno per anno, indipendentemente dalla menzionata variazione. Secondo un primo indirizzo, la clausola contrattuale avente ad oggetto la preordinata maggiorazione annuale del canone è illegittima, ove integri una subdola forma di aggiornamento, per contrasto con il citato art. 32, il quale – ha osservato la Suprema Corte – nel porre rigidi limiti cronologici e quantitativi alle convenzioni di aggiornamento, tende a conservare un attenuato sistema di blocco dei canoni. In tal senso – ribadito da Cass. III, n. 8377/1992 – si trova affermato che: «In tema di nuove locazioni di immobili per uso diverso dall'abitazione ... l'art. 32 concernente l'aggiornamento del canone, nel porre i limiti legali alla convenzione di adeguamento del canone per rivalutazione monetaria, tende all'evidenza a conservare un attenuato sistema di blocco dei canoni. La norma infatti vieta alcun aggiornamento per i primi tre anni del rapporto; quindi riserva all'autonomia contrattuale delle parti la previsione di un adeguamento del canone per rivalutazione a partire dall'inizio del quarto anno ma limitato al 75% della variazione accertata dall'ISTAT, vincolandolo per giunta a periodi di invariabilità biennale. Attesa la ratio del cennato art. 32, da individuarsi in correlazione all'intero sistema normativo posto dalla l. n. 382/1978, non può denegarsi che se si riconoscesse la liceità di una convenzione avente ad oggetto la preordinata maggiorazione annuale del canone – in misura fissa o differenziata anno per anno, a partire dal primo anno dopo la stipulazione del contratto avente durata legale – resterebbe frustrata la logica dei rigidi limiti posti all'aggiornamento biennale a partire dal primo giorno del quarto anno dalla data di inizio della locazione, con riferimento alla variazione ISTAT dei 24 mesi precedenti» (Cass. III, n. 6896/1987). Un secondo indirizzo, invece, considera legittima la clausola che abbia ad oggetto la preordinata maggiorazione annuale del canone ogni qualvolta essa sia ancorata ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull'equilibrio economico del sinallagma contrattuale, i quali siano estranei alle variazioni del potere di acquisto della moneta. E ciò salvo che non risulti che le parti abbiano in realtà surrettiziamente perseguito lo scopo di eludere il limite all'aggiornamento del canone stabilito dall'art. 32 della l. n. 392/1978 (Cass. III, n. 6695/1987). Il menzionato indirizzo si è successivamente andato consolidando (tra le altre, Cass. III, n. 4210/2007; Cass. III, n. 10500/2006). Riassunti i termini della questione, è il caso si osservare come la Suprema Corte sembri aver sopravvalutato il significato dell'art. 32 della l. n. 392/1978. Quest'ultimo, nel quadro di una disciplina incentrata sulla libertà delle parti di determinare liberamente il corrispettivo della locazione, restando l'autonomia contrattuale dei contraenti compressa essenzialmente dal versante della durata, pare piuttosto aver perseguito un esclusivo e marginale scopo – ritenuto all'epoca, caratterizzata da un'inflazione «a due cifre», particolarmente rilevante – di contenimento della spirale inflazionistica. Vi è, in altri termini, il fondato dubbio, se non la ragionevole certezza, che, se il legislatore, nel consentire alle parti di determinare liberamente la misura del corrispettivo, avesse però inteso precludergli la previsione, ab origine, di canoni progressivamente crescenti, in ragione della libera regolamentazione dell'assetto negoziale voluto tra le parti, lo avrebbe detto con chiarezza, e non si sarebbe affidato ad una norma nel quale leggere siffatta indicazione è, se non altro, decisamente arduo. E, in effetti, la giurisprudenza più recente pare essersi meglio avveduta dei termini della questione, come emerge dalla pronuncia che segue. Alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati a uso non abitativi, deve ritenersi legittima la clausola in cui venga pattuita l'iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni nell'arco del rapporto. A tal fine deve escludersi la necessità di dimostrare, con rilievo condizionante, il collegamento del previsto aumento nel tempo del canone a elementi oggettivi e predeterminati, diversi dalla svalutazione monetaria, idonei a incidere sul sinallagma contrattuale. L'ancoramento a tali elementi costituisce, invero, dato attraverso cui può operarsi detta predeterminazione del canone a scaletta, in alternativa alla quale questa può altrettanto legittimamente operarsi sia mediante la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo, sia mediante il frazionamento dell'intera durata del contratto in periodi temporali brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione. La legittimità di tale clausola deve essere peraltro esclusa là dove risulti – dal testo del contratto o da elementi extratestuali della cui allegazione deve ritenersi onerata la parte che invoca la nullità della clausola – che le parti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall'art. 32 della l. n. 392/1978, così incorrendo nella sanzione della nullità prevista dal successivo art. 79, comma 1, della stessa legge (Cass. III, n. 23986/2019). Aumento del canone in corso del rapportoAl tema da ultimo affrontato si collega quello della liceità degli aumenti di canone pattuiti dalle parti nel corso del rapporto di locazione non abitativa: è ciò perché l'art. 32 della l. n. 392/1978, richiamato al precedente paragrafo, costituisce il fondamentale indice normativo dal quale la Suprema Corte ha tratto la soluzione del problema. Secondo il più recente indirizzo, ogni pattuizione che, nell'ambito di una locazione non abitativa, abbia ad oggetto non già l'aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell'art. 32 della l. n. 392/1978, ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ex art. 79, comma 1, della l. n. 392/1978, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello legislativamente previsto, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunciare al proprio diritto a non corrispondere aumenti non dovuti. La soluzione – ribadita da Cass. III, n. 20384/2016; Cass. III, n. 2932/2008; Cass. III, n. 2902/2007 – poggia sulle seguenti considerazioni: «Giova premettere che, in materia di locazioni ad uso non abitativo [...], la l. n. 392/1978 consente alle parti la libera determinazione del canone iniziale, ma prevede che questo sia suscettivo soltanto di aggiornamento, nel corso del rapporto, onde neutralizzare l'incidenza della perdita del potere di acquisto della moneta, nelle forme e nei limiti di cui all'art. 32. Consegue che ogni pattuizione avente ad oggetto, non già l'aggiornamento del corrispettivo ai sensi e nei limiti di cui all'art. 32, ma veri e propri aumenti del canone di locazione ad uso non abitativo ..., deve ritenersi colpita da nullità, ai sensi dell'art. 79, comma 1, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello previsto dalla l. n. 392/1978. Nullità che deve ritenersi operante non soltanto per le pattuizioni intervenute nel momento della instaurazione del rapporto, ma anche per le pattuizioni che intervengono nel corso del rapporto» (Cass. III, n. 10286/2001). La nullità prevista dal combinato disposto degli artt. 32 e 79 della l. n. 392/1978, dunque, deve – ad avviso dei magistrati di Piazza Cavour – ritenersi operante non soltanto per le pattuizioni intervenute nel momento della stipulazione del contratto, ma anche per le pattuizioni concluse nel corso del rapporto Un diverso e precedente indirizzo, invece, era pervenuto ad opposte conclusioni (Cass. III, n. 11402/1993, indirizzo che pare ormai abbandonato). Indipendentemente dalla disputa sull'ammissibilità di aumenti di canone concordati in corso di rapporto, è da condividere l'affermazione che non costituisce violazione della disciplina imperativa di cui all'art. 32 della l. n. 392/1978 la stipulazione di un nuovo contratto di locazione, con relativo nuovo canone, avvenuta dopo la comunicazione di disdetta motivata da parte del locatore (artt. 28 e 29 l. n. 392/1978), per effetto della quale il primo contratto è definitivamente cessato, essendo la costituzione di nuova locazione necessaria per superare gli effetti della disdetta intimata (Cass. III, n. 11777/2002). Clausola di corresponsione anticipata del canoneRiguardo alla locazione di immobile urbano, l'art. 2-ter del d.l. n. 236/1974, convertito con modificazioni dalla l. n. 351/1974 (in vigore fino al 21 dicembre 2008) – applicabile, in quanto disposizione non vincolistica in senso stretto, anche alle locazioni non soggette alla proroga legale – il quale commina la nullità delle clausole contrattuali di corresponsione anticipata del canone per periodi superiori a tre mesi, detta una norma pienamente compatibile, oltre che con la disciplina l. n. 392/1978, in tema di locazione di immobile ad uso abitativo, con le disposizioni della stessa legge in materia di locazioni ad uso diverso dall'abitazione, considerato che per queste ultime, mentre non può avere rilievo in senso contrario alla suddetta compatibilità la libera determinabilità del canone (che non implica logicamente la totale libertà delle parti di definirne le modalità di pagamento), la clausola che preveda la corresponsione anticipata del canone, oltre una determinata misura, può avere l'effetto di neutralizzare per il locatore l'incidenza della eventuale diminuzione del potere di acquisto della moneta al di là di quanto consentitogli dall'art. 32 della sopraindicata l. n. 392, ed incorre quindi nella sanzione di nullità che colpisce ogni pattuizione attributiva per il locatore di vantaggi superiori a quelli previsti dalla legge stessa, alla quale si sottraggono, secondo la valutazione preventiva ed insindacabile espressa dal legislatore nel menzionato art. 2-ter della l. n. 351/1974, solo le clausole di pagamento anticipato del canone in misura non eccedente le tre mensilità (Cass. III, n. 9971/2008; contra Cass. III, n. 6247/1992). Corrispettivo riferito ad epoca antecedente alla consegnaIn tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, pur nel regime di libera determinazione del canone da parte dai contraenti, deve ritenersi nulla, ex art. 79 della l. n. 392/1978, la pattuizione con cui le parti convengano, a carico del conduttore, l'obbligo di corresponsione del canone per un periodo antecedente alla consegna dell'immobile, poiché l'attribuzione al locatore delle relative somme non trova giustificazione alcuna in seno al sinallagma contrattuale (Cass. III, n. 23638/2004). Indebito maturato successivamente alla cessazione de iure del rapportoIl conduttore in mora nel restituire la cosa è, perciò stesso, ossia indipendentemente da qualsiasi prova fornita dal locatore, tenuto a corrispondere un importo pari al corrispettivo convenuto, con ciò intendendosi – in caso di applicabilità della l. n. 392/1978 – il canone legalmente dovuto. Ne consegue che egli ha il diritto di ripetere, nei confronti del locatore, quella parte del corrispettivo che superi la misura stabilita dalla legge sul c.d. equo canone, anche se tale corrispettivo si riferisca al periodo successivo alla data stabilita per il rilascio, salva la facoltà del locatore di dimostrare, soggiacendo ai principi generali in tema di prova, di aver subìto un danno maggiore rispetto a quello coperto dal canone legale (Cass. III, n. 8913/2002, in fattispecie concernente locazione per esigenze abitative transitorie determinate da motivi di lavoro). Il conduttore che permanga nel godimento dell'immobile anche dopo la data stabilita per il rilascio, è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna e – correlativamente – ha il diritto di ripetere, nei confronti del locatore, quella parte del corrispettivo che superi la misura stabilita dalla legge sul cosiddetto equo canone, anche se tale corrispettivo si riferisca al periodo successivo alla data stabilita per il rilascio (Cass. III, n. 2205/1994). Interessi moratoriLa l. n. 392/1978 cosiddetta sull'equo canone – compreso l'art. 79 che tende soltanto a garantire l'equilibrio sinallagmatico del contratto secondo la valutazione operata dal legislatore – non pone limiti all'autonomia negoziale con riguardo alla determinazione preventiva del risarcimento del danno nel caso di ritardo nell'adempimento delle reciproche prestazioni, tra cui quella relativa al pagamento del canone alle scadenze pattuite. Consegue che la clausola con la quale le parti abbiano convenuto un tasso di interesse superiore a quello legale sull'importo dei canoni corrisposti in ritardo trova applicazione agli effetti della risarcibilità del maggior danno di cui al secondo comma, dell'art. 1224 c.c., ma non ai fini della sanatoria della morosità, per cui gli interessi devono essere calcolati al tasso legale, come prescrive l'art. 55 della l. n. 392/1978, in quanto altrimenti la suddetta clausola attribuirebbe al locatore l'indebito vantaggio di rendere più oneroso per il conduttore il meccanismo di purgazione della mora (Cass. III, n. 1303/1989). Buona entrata, buona uscita, somme a fondo perdutoNei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso non abitativo, anche se, ai sensi della l. n. 392/1978, il canone può essere liberamente determinato dai contraenti, non è consentito al locatore pretendere il versamento di ulteriori somme che non avendo giustificazione nel sinallagma contrattuale (pagamenti a fondo perduto) incorrono nella sanzione di nullità prevista dall'art. 79 della legge citata (Cass. III, n. 1418/1998; Cass. III, n. 1936/1987). La convenzione negoziale diretta ad attribuire al conduttore uscente una somma a titolo di «buona uscita», ed intervenuta tra questi ed il conduttore subentrante nello stesso immobile, di proprietà di un terzo locatore estraneo alla pattuizione (ed al giudizio ad essa conseguente), non integra gli estremi della violazione dell'art. 79 della l. n. 392/1978, non risultando tale pattuizione (diversamente dalla previsione normativa) diretta a limitare la durata dei successivi contratti di locazione aventi ad oggetto il medesimo immobile, ovvero volta ad attribuire al locatore un canone maggiore od altro vantaggio non dovutogli, unico beneficiario della buona uscita essendo il conduttore uscente (Cass. III, n. 11232/1997). In materia di contratti di locazione di immobili urbani destinati ad uso non abitativo, la vigente normativa, contenuta nella l. n. 392/1978, consente ai contraenti la libera determinazione del canone iniziale, ma vieta al locatore di pretendere il pagamento di somme, diverse dal canone o dal deposito cauzionale, a fondo perduto o a titolo di «buona entrata», che è privo di ogni giustificazione nel sinallagma contrattuale, e il relativo patto è nullo ai sensi dell'art. 79 della citata legge (perché diretto ad attribuire al locatore un vantaggio in contrasto con le disposizioni in materia), anche se stipulato dal locatore non con il conduttore, ma con un terzo, che ai sensi degli artt. 1421 e 2033 c.c. potrà far valere la nullità del patto e pretendere la restituzione delle somme indebitamente pagate, purché sia accertato un collegamento tra l'accordo e il contratto di locazione, la cui conclusione era condizionata alla attribuzione patrimoniale non giustificata ad altro titolo (Cass. III, n. 8815/1996). Somme corrisposte a fronte dello scioglimento del contratto con il precedente conduttoreNella stessa prospettiva, si colloca la massima secondo cui l'art. 79 in esame esclude la validità non di qualsivoglia accordo vantaggioso per il locatore ma solo di quei patti che preventivamente eludono diritti attribuiti al conduttore da norme inderogabili (Cass. III, n. 2069/1995, con cui è stata esclusa la nullità del patto che prevedeva la corresponsione al locatore di un corrispettivo per il consenso di questo all'anticipata risoluzione del contratto locativo con il conduttore che intendeva alienare l'azienda esercitata nell'immobile, trattandosi di accordo utile anche per quest'ultimo dato che, in mancanza, la proposta di alienazione dell'azienda non sarebbe stata accetta dall'acquirente, che aveva interesse a stipulare un nuovo contratto locativo, piuttosto che a subentrare nel contratto in corso prossimo alla scadenza). Spese di manutenzione a carico del conduttoreSempre in tema di locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, la pattuizione che pone a carico del conduttore le spese che di norma gravano sul locatore, comprese quelle imputabili a vetustà, forza maggiore ed all'uso convenuto, non incorre nella sanzione di nullità sancita dall'art. 79 della l. n. 392/1978, poiché tale norma non esclude la validità di qualsiasi accordo vantaggioso per il locatore, ma soltanto di quei patti che preventivamente eludono diritti attribuiti al conduttore da norme inderogabili contenute nella medesima legge (Cass. III, n. 15592/2007; Cass. III, n. 15388/2002). Nello stesso senso può ricordarsi, con riguardo alla locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, che, poiché non trova applicazione l'art. 23 della l. n. 392/1978, che disciplina le riparazioni straordinarie per gli immobili ad uso di abitazione, né è stabilita la predeterminazione legale del limite massimo del canone, non incorre nella sanzione di nullità sancita dall'art. 79 della l. n. 392/1978 la pattuizione che pone a carico del conduttore sia la manutenzione ordinaria che quella straordinaria (Cass. III, n. 9019/2005, che ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto priva di rilevanza la clausola con la quale le parti avevano convenuto che «tutte le riparazioni di cui agli artt. 1576 e 1609 c.c.» erano a carico del conduttore, che doveva «provvedervi tempestivamente»; nello stesso senso, Cass. III, n. 1303/1989). Oneri accessoriIn materia di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da abitazione, il legislatore ha limitato l'autonomia contrattuale in relazione soltanto alla durata del contratto, alla tutela dell'avviamento e alla prelazione, mentre l'ammontare del canone è rimesso alla libera determinazione delle parti, che ben possono prevedere l'obbligazione di pagamento per oneri accessori, specialmente quando questi sono strettamente connessi all'uso del bene. Ne consegue che, ai fini del procedimento di convalida di fratto per morosità, il canone è in tal caso inteso come corrispettivo comunque dovuto dal conduttore, comprensivo anche degli oneri accessori (Cass. III, n. 22369/2004). La sanzione di nullità, prevista dall'art. 79 della l. n. 392/1978, investe non solo le pattuizioni dirette ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello dovuto, ma anche quelle che gli riconoscono altri non legittimi vantaggi in contrasto con le disposizioni delle norme sull'equo canone, avendo lo scopo di impedire che il conduttore, pur di assicurarsi il godimento dell'immobile, sia indotto ad accettare condizioni lesive dei suoi diritti. Detta norma va, dunque, applicata con riferimento a qualsivoglia clausola contenuta nel contratto di locazione, compresa quella che obbliga il conduttore al pagamento degli oneri accessori in misura superiore a quella prevista dall'art. 9 l. n. 392/1978 (Cass. III, n. 10081/1998). È egualmente nulla la clausola contrattuale che obbliga il conduttore al pagamento degli oneri accessori determinati forfettariamente, perché viola il principio della specificità di essi, stabilito dall'ultimo comma, dell'art. 9 della l. n. 392/1978, e consente al locatore di procurarsi vantaggi che non gli spettano (Cass. III, n. 12718/1997). Prelazione del locatoreCon riguardo a locazione di immobile urbano ad uso diverso da quello abitativo, poiché l'art. 79 della l. n. 392/1978 esclude la validità non di qualsivoglia accordo vantaggioso per il locatore, ma solo di quei patti che preventivamente eludono diritti attribuiti al conduttore da norme inderogabili, va esclusa la nullità della clausola contrattuale che attribuisca al locatore il diritto di prelazione nell'ipotesi in cui il conduttore provveda a sublocare o cedere il contratto, unitamente all'azienda. Detta clausola infatti, pur attribuendo al locatore un diritto non previsto dalla legge dell'equo canone, non comprime in alcun modo il diritto del conduttore di sublocare o cedere il contratto (Cass. III, n. 14495/2004). Clausola compromissoriaIn materia di locazione di immobili urbani, la clausola compromissoria, con la quale le controversie inerenti al rapporto di locazione vengano deferite ad arbitri amichevoli compositori, è nulla ai sensi dell'art. 79 della l. n. 392/1978, in quanto, svincolando la soluzione della controversia dalla disciplina legale, è attributiva al locatore di vantaggi in contrasto con le disposizioni di detta legge; è pertanto nulla la clausola con cui le parti di un contratto di locazione di immobile adibito ad uso commerciale deferiscano al giudizio equitativo di un arbitro la determinazione dell'indennità di avviamento (Cass. III, n. 4802/2000). Ancora, è attributiva al locatore di vantaggi in contrasto con le disposizioni della l. n. 392/1978 – e, quindi, nulla ai sensi dell'art. 79 della legge stessa – la clausola compromissoria con la quale le controversie inerenti al rapporto vengano deferiti ad arbitri amichevoli compositori, chiamati a giudicare pro bono et equo, poiché tale clausola svincola preventivamente la soluzione di ogni possibile controversia dalla disciplina legale (Cass. III, n. 1172/1983). Contratti collegatiLe parti, nell'esplicazione della loro autonomia negoziale, possono, con manifestazioni di volontà espresse in uno stesso contesto, dar vita a più negozi distinti ed indipendenti, ovvero a piè negozi tra loro collegati; le varie fattispecie in cui può configurarsi un negozio giuridico composto possono così distinguersi in contratti collegati, contratti misti (quando la fusione delle cause fa sì che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengono assunti quali elementi di un negozio unico, soggetto alla regola della causa prevalente) e contratti complessi (contrassegnati dall'esistenza di una causa unica, che si riflette sul nesso intercorrente tra le varie prestazioni con un'intensità tale da precludere che ciascuna delle predette prestazioni possa essere rapportata ad una distinta causa tipica e faccia sì che le predette prestazioni si presentino tra loro organicamente interdipendenti e tendenti al raggiungimento di un intento negoziale oggettivamente unico). Il collegamento negoziale non dà luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Pertanto, in ipotesi siffatte, il collegamento, pur potendo determinare un vincolo di reciproca dipendenza tra i contratti, non esclude che ciascuno di essi si caratterizzi in funzione di una propria causa e conservi una distinta individualità giuridica. Accertare la natura, l'entità, le modalità e le conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici. (Cass. III, n. 14611/2005, che ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato un collegamento funzionale, finalizzato alla coeva cessazione dei due contratti, tra un contratto di agenzia e un contratto di sublocazione, ferma la restante disciplina dei due negozi, con la conseguenza che era nulla ex art. 79 della l. n. 392/1978 la clausola con la quale il subconduttore aveva rinunziato al diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale). Occorre ancora ribadire che, nella materia delle locazioni non abitative, vige il principio della libertà di determinazione del canone, per cui, tendendo l'art. 79 della l. n. 392/1978 a garantire l'equilibrio sinallagmatico del contratto secondo la valutazione operata dal legislatore, non sono stati imposti limiti all'autonomia negoziale con riguardo alla previsione di un canone in misura inferiore a quella originariamente concordata, ove la stessa trovi la sua giustificazione nella rinuncia, da parte del conduttore, ai diritti derivantigli dal contratto di locazione, relativamente alla prelazione e, conseguentemente al riscatto ed all'indennità di avviamento commerciale. Pertanto, la rinuncia preventiva da parte del conduttore ad uno dei predetti diritti deve trovare il suo corrispettivo sinallagmatico all'interno del contratto stesso di locazione (Cass. III, n. 14611/2005, che, in fattispecie relativa al collegamento negoziale tra un contratto di locazione e un contratto di agenzia, nel confermare la sentenza di merito che aveva escluso la validità della clausola con la quale il subconduttore aveva rinunziato al diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, ha negato che tale rinunzia fosse compensata dalla indennità di fine rapporto di agenzia, indennità che trova la sua fonte in un rapporto contrattuale esterno a quello di locazione e che non può compensare la rottura dell'equilibrio sinallagmatico interno del contratto di locazione come voluto dal legislatore). Diritto reale d'usoNon è viziato da nullità, ai sensi dell'art. 79 della l. n. 392/1978, il contratto con il quale il proprietario locatore di un immobile urbano destinato a uso non abitativo e il conduttore convengono la costituzione temporanea a favore di quest'ultimo di un diritto reale di uso sulla cosa locata, con l'effetto di determinare la cessazione del rapporto locativo per la costituzione del diritto reale e la perdita da parte di chi era conduttore del diritto all'indennità di avviamento, che non gli compete più avendo continuato a utilizzare il bene perché titolare di un diritto reale dopo la cessazione del rapporto locativo (Cass. III, n. 10155/1995, in fattispecie in cui il conduttore era obbligato in forza di verbale di conciliazione al rilascio dell'immobile a una data, anteriore di un giorno alla stipulazione del contratto con il quale era stata convenuta per la durata di un anno la costituzione del diritto di uso). Rinunciabilità dei diritti del conduttoreIn tema di locazione di immobili urbani ad uso diverso da quello di abitazione, i diritti vantati dal conduttore una volta sorti sono disponibili e possono essere oggetto di rinuncia, con o senza corrispettivo, a favore del locatore come di un terzo, non ostandovi la tutela di cui all'art. 79 della l. n. 392/1978, che è volta ad impedire che i diritti vantati dal conduttore siano oggetto di un'elusione di tipo preventivo (Cass. III, n. 21520/2004, che ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva statuito l'impossibilità dell'oggetto del contratto e la sua nullità con riferimento alla cessione del posto ove si svolgeva l'attività commerciale del cedente, senza considerare se fosse configurabile una rinuncia, verso corrispettivo, a far valere il diritto del conduttore alla prosecuzione del contratto, risolvendolo anticipatamente, e la contestuale non opposizione al subentro di un terzo nel rapporto con il locatore; nello stesso senso, Cass. III, n. 11402/1993). Transagibilità delle controversieÈ importante sottolineare che l'art. 79 l. n. 392/1978, il quale sancisce la nullità di ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto di locazione o ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello legale, ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge stessa, non impedisce alle parti, al momento della cessazione del rapporto, di addivenire ad una transazione in ordine ai rispettivi diritti ed in particolare non impedisce al conduttore di rinunciare all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale; tale rinuncia può, peraltro, essere anche implicita, in quanto il citato art. 79 è volto ad evitare la preventiva elusione dei diritti del locatario ma non esclude la possibilità di disporne, una volta che essi siano sorti (Cass. III, n. 24458/2007; Cass. III, n. 3984/1999). L'art. 79 l. n. 392/1978, il quale sancisce la nullità di ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto di locazione o ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello legale, ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge stessa, mira ad evitare che al momento della stipula del contratto le parti eludano in qualsiasi modo le norme imperative poste dalla legge sul cosiddetto equo canone, aggravando in particolare la posizione del conduttore, ma non impedisce che al momento della cessazione del rapporto le parti addivengano ad una transazione in ordine ai rispettivi diritti ed in particolare alla rinuncia da parte del conduttore, dopo la cessazione del rapporto, all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale di cui all'art. 34 della stessa legge, e, a fortiori, ad avvalersi della facoltà di impedire che l'esecuzione si compia senza la corresponsione (o l'offerta nella misura dovuta) della detta indennità (Cass. III, n. 675/2005; nello stesso senso da ult. Cass. III, n. 12405/2020). Le parti di un contratto di locazione possono definire transattivamente la lite tra loro pendente relativa all'ammontare del canone e alla durata del rapporto, convenendo tra loro una scadenza per il rilascio dell'immobile ed un corrispettivo per il suo godimento ove protratto oltre tale scadenza; la transazione così conclusa non è nulla per contrarietà al disposto dell'art. 79 l. n. 392/1978, in quanto tale norma, volta ad evitare l'elusione dei diritti del conduttore a mezzo di rinuncia preventiva ad essi, non esclude la possibilità di disporre dei diritti stessi, una volta che essi siano sorti (Cass. III, n. 9197/2003). La norma non si applica alle transazioniLe parti di un contratto di locazione di un immobile urbano possono definire transattivamente la lite tra loro pendente relativa alla durata o ad altri aspetti del rapporto, convenendo tra l'altro la data di rilascio dell'immobile ed il corrispettivo per il suo ulteriore godimento; il nuovo rapporto instauratosi per effetto dell'accordo transattivo, ancorché di natura locatizia, trova la sua inderogabile regolamentazione nel detto accordo ed è sottratto alla speciale disciplina che regola la materia delle locazioni, tra cui la l. n. 392/1978. La transazione così conclusa non è nulla per contrarietà al disposto dell'art. 79 della legge citata, poiché tale norma, volta ad evitare l'elusione dei diritti del conduttore a mezzo di rinuncia preventiva ad essi, non esclude la possibilità di disporre dei diritti stessi, una volta che i medesimi siano stati già acquisiti (Cass. III, n. 4714/2008, che ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha rigettato la domanda di riscatto proposta ritenendo che dalla data della stipulata transazione il contratto di locazione, relativo ad un immobile adibito a negozio, si era estinto e che il rapporto era ormai regolato dall'accordo transattivo che non prevedeva alcun diritto di prelazione in favore della conduttrice in caso di vendita dell'immobile; nello stesso senso, Cass. III, n. 23910/2006). Inoltre, la sanzione di nullità prevista dall'art. 79 della l. n. 392/1978 per le pattuizioni dirette a limitare la durata legale del contratto di locazione, o ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello dovuto o altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge sull'equo canone, si riferisce solo alle clausole del contratto di locazione e non può essere estesa, pertanto, agli accordi transattivi conclusi dal conduttore, che già si trovi nel possesso del bene, per regolare gli effetti di fatti verificatisi nel corso del rapporto e che, perciò, incidono su situazioni giuridiche patrimoniali già sorte e disponibili (Cass. III, n. 2148/2006, che ha confermato la validità della transazione della lite pendente relativa ad un rapporto locativo esistente ritenendo irrilevante la simultanea costituzione, con altra scrittura privata, di un nuovo rapporto locativo regolato dalle disposizioni l. n. 392/1978; nello stesso senso, Cass. III, n. 11323/2003; Cass. III, n. 5253/1997; Cass. III, n. 683/1996; Cass. III, n. 10684/1994; Cass. III, n. 12154/1992). In altri termini, la norma in commento mira ad evitare che al momento della stipula del contratto le parti eludano in qualsiasi modo le norme imperative poste dalla legge sul c.d. equo canone, aggravando in particolare la posizione del conduttore, ma non impedisce che al momento della cessazione del rapporto le parti addivengano ad una transazione in ordine ai rispettivi diritti ed in particolare alla rinuncia da parte del conduttore, dopo la cessazione del rapporto, all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale di cui all'art. 34 della stessa legge (Cass. III, n. 4041/1993). Parimenti, non è nullo per violazione dell'art. 79 l'accordo raggiunto, in sede di conciliazione giudiziale, con il quale le parti stabiliscano la data di rilascio dell'immobile locato, giacché la nullità dei patti contrari alle disposizioni imperative della legge del 1978 si riferisce alle sole convenzioni tendenti ad escludere preventivamente i diritti del conduttore e non anche alla disposizione di tali diritti effettuata in corso di rapporto (Cass. III, n. 5687/1990). L'azione di ripetizione dell'indebitoL'art. 79, comma 2, della l. n. 392/1978 – abrogato con riguardo alle locazioni abitative dall'art. 14 della l. n. 431/1998 – stabilisce che il conduttore con azione proponibile fino a sei mesi dopo la riconsegna dell'immobile locato, può ripetere le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge Con il riconoscere al conduttore l'azione di ripetizione dell'indebito nel termine semestrale, che si vedrà essere di decadenza, dal rilascio dell'immobile, il legislatore ha voluto: – consentire al conduttore di riottenere quanto indebitamente corrisposto senza la remora che il locatore possa agire in ritorsione, ad esempio con la «finita locazione» alla prima scadenza utile nei suoi confronti (Cass. III n. 3588/1986), il che è stato autorevolmente confermato dalla Corte Costituzionale (Corte cost., n. 3/1990); – far sì che i rapporti di locazione esauriscano i loro effetti entro un tempo ragionevole, al fine di evitare che un'eventuale situazione di incertezza perduri per un tempo eccessivo dopo la cessazione del rapporto (v. già Pret. Taranto 4 marzo 1982). Taluno ha sostenuto che il legislatore, per ragioni di simmetria, avrebbe dovuto prevedere un analogo termine decadenziale con riguardo all'azione del locatore diretta ad ottenere il pagamento di quanto non corrisposto dal conduttore durante il corso della locazione. Il diverso trattamento riservato alle due contrapposte situazioni non ha però giustificato l'accoglimento, da parte del giudice delle leggi, dei dubbi di costituzionalità sollevati da alcuni giudici di merito (Corte cost., n. 141/1994). Il termine semestrale. L'azione di ripetizione può essere esercitata anche prima del rilascio, poiché «la riconsegna dell'immobile locato» (art. 79, comma 2, l. n. 392/1978) non identifica un dies a quo (Cass. III, n. 12214/2003), ma deve essere esercitata entro il termine semestrale che dalla riconsegna decorre, analogamente a quanto prescriveva, nel regime vincolistico, l'art. 2 sexies della l. 12 agosto 1974, n. 351 ed a quanto oggi dispone l'art. 13 della l. n. 431/1998, termine stabilito, secondo un indirizzo giurisprudenziale ampio e costante, a pena di decadenza (tra le tante pronunce conformi, su diverse questioni, possono ricordarsi Cass. III, n. 14679/2003; Cass. III, n. 12214/2003; Cass. III, n. 8914/2003; Cass. III, n. 2507/2002; in senso parzialmente diverso, però, v. di recente Cass. III, n. 10128/2004, secondo cui il conduttore può agire per la ripetizione dell'indebito anche dopo la decorrenza del termine semestrale, nel rispetto, in tal caso, del termine di prescrizione ordinario decennale). La natura decadenziale del termine semestrale in questione è parimenti riconosciuta dalla dottrina (Cosentino, Vitucci, 230; Tamponi, 772). La decadenza va eccepita dalla parte interessata e, non attenendo alla mancanza di un presupposto processuale, non può essere rilevata d'ufficio dal giudice (Cass. III, n. 11167/1997; Cass. III, n. 11949/1992). La brevità del termine non merita alcun sospetto di incostituzionalità, neppure se venga lamentata dal curatore del fallimento del conduttore in relazione al possibile danno per la massa dei creditori, dal momento che essa risponde ad esigenze di certezza e definitività del rapporto di locazione (Cass. III, n. 8914/2003). Il dies a quo del termine semestrale: la riconsegna La ratio del termine semestrale previsto dalle disposizioni che si sono poc'anzi ricordate, in quanto diretto a salvaguardare il conduttore da azioni ritorsive del locatore, induce ad identificare la «riconsegna» con il materiale rilascio della cosa in favore del locatore. In proposito, gli ermellini hanno ripetuto che il termine semestrale per l'azione di ripetizione di somme indebitamente corrisposte dal conduttore decorre dalla materiale riconsegna, coincidente con la data in cui l'immobile viene posto nell'effettiva disponibilità del locatore, e non dalla cessazione del rapporto giuridico intercorrente tra le parti. Si è ad esempio osservato – sulla scorta di Cass. III, n.8077/1994; Cass. III, n. 2205/1994 – che: «Come già affermato da questa Suprema Corte, il termine riconsegna, riferito al bene oggetto di locazione, si ricollega alla cessazione del rapporto di fatto con il bene locato, e cioè alla incondizionata messa a disposizione del locatore del detto bene, che solo può realizzarsi con la materiale consegna, normalmente attuata con la restituzione delle chiavi; esso non attiene perciò alla mera eliminazione del vincolo negoziale fra i due soggetti. Quanto poi alla ratio della norma, ritiene questa Corte che essa debba identificarsi nella necessità di proteggere il conduttore da possibili reazioni, per lui negative, da parte del locatore in pendenza del rapporto. È evidente infatti che l'eventuale richiesta di accertamento in ordine al rispetto delle condizioni locative imposte dalla legge può seriamente influenzare, a tutto svantaggio del locatario, le relazioni con il locatore (v., ad esempio, la possibile rinnovazione del contratto), ed è proprio per evitare che ciò avvenga che il legislatore concede al locatario il termine di sei mesi dalla riconsegna dell'immobile per far valere le eventuali sue pretese. I giudici del merito hanno ritenuto la teorica inesistenza di possibilità di ritorsioni da parte del proprietario succeduto al precedente locatore, ma tale impostazione non appare suffragata da alcun valido argomento. Infatti, se il legislatore ha inteso proteggere il locatario, assicurandogli la possibilità di ripetere quanto indebitamente corrisposto fino allo spirare di un semestre successivamente alla riconsegna del bene, esso ha certamente inteso assicurare anzitutto il pacifico godimento del bene locato, rinviando a tale data, successiva al predetto godimento, la scadenza del termine per far valere eventuali violazioni di diritto» (così Cass. III, n. 11185/1995). La riconsegna dell'immobile locato, a partire dalla quale decorre il termine di sei mesi previsto dall'art. 79, comma 2, della l. n. 392/1978, per la proposizione dell'azione di ripetizione delle somme corrisposte indebitamente dal conduttore, dunque, si verifica soltanto con la restituzione delle chiavi o con una incondizionata messa a disposizione dell'immobile in favore del locatore, sicché – concretandosi in un facere indivisibile non identificabile con atti antecedenti o preparatori del conduttore – nulla rileva che già in precedenza il conduttore si sia trasferito altrove o abbia invitato il locatore a procedere alle formalità della riconsegna (Cass. III, n. 2071/1993). La riconsegna, per altro verso, va riguardata con riferimento all'oggetto principale e cioè all'alloggio: appare da condividere, pertanto, una pronuncia di merito che – in fattispecie in cui era stata locata anche una cantina – ha affermato l'avvenuta decadenza dalla domanda di ripetizione proposta oltre sei mesi dopo il rilascio dell'appartamento, a nulla rilevando che il conduttore fosse rimasto nella detenzione della cantina, non essendo questo l'immobile cui si riferiva la domanda di ripetizione (Pret. Milano 2 novembre 1988). Tuttavia, si è ammesso un diverso decorso del termine semestrale in taluni casi peculiari in cui la materiale riconsegna della cosa locata non può aver luogo. Viene in questione, a tal riguardo, il mutamento del titolo del godimento del bene da detenzione qualificata per locazione ad esercizio del diritto di proprietà: così nel caso di vendita dell'immobile al conduttore ovvero di positivo esercizio da parte di costui del diritto di prelazione, nel qual caso il termine decorre non dalla data dell'adesione alla denuntiatio, bensì da quella della stipulazione del relativo contratto (Cass. III, n. 356/1988). Quest'ultima pronuncia, nel soffermarsi sull'art. 79 della l. n. 392/1978 e sulle analoghe norme che lo hanno preceduto, ha osservato: «La ratio di dette disposizioni è quella di evitare al conduttore ritorsioni in dipendenza della situazione di debolezza in cui versa, nei confronti del locatore, per mantenere il godimento dell'immobile locato. Le norme ricordate riecheggiavano analoga cautela relativa al lavoratore subordinato, in relazione all'impugnazione di rinunzie e transazioni aventi a oggetto suoi diritti inderogabili (art. 2113 c.c.) e, per un aspetto la sospensione del termine di prescrizione breve del diritto alla retribuzione, durante il rapporto di lavoro non caratterizzato da garanzia di stabilità (Corte cost., n. 63/1966). La riconsegna dell'immobile locato, segnando in pari tempo l'estinzione sia dell'obbligazione primaria del locatore, di far godere quel bene al conduttore (artt. 1571 e 1575, n. 1 c.c.), è certamente collegata alla cessazione del rapporto locativo da una relazione di dipendenza la quale si manifesta anche nel profilo cronologico di posteriorità o contemporaneità e mai di anteriorità rispetto allo spirare della locazione. Comunque, essa implica così l'eliminazione sia del vincolo negoziale sia della relazione di fatto (godimento) che dal primo traeva titolo (detenzione qualificata del conduttore). Quando, dunque, il conduttore si renda acquirente della cosa locata, la riconsegna di cui si tratta, ovviamente mancante [...] è sostituita da una nuova situazione giuridica, caratterizzata dall'acquisto della proprietà dell'immobile da parte del conduttore – con conseguente, automatica risoluzione del rapporto di locazione per sopravvenuta carenza di causa ed estinzione per confusione dell'obbligazione residuale di restituzione – e dal mutamento del titolo del godimento del bene da parte dell'ex locatario, da detenzione qualificata per locazione a esercizio del diritto di proprietà». Altra ipotesi del tutto peculiare in cui il decorso del termine semestrale non coincide con la materiale riconsegna del bene è stato individuato nell'ipotesi in cui la morte del conduttore, in mancanza dei soggetti indicati dall'art. 6 della l. n. 392/1978, abbia determinato la cessazione de iure del contratto: in tal caso, infatti, l'erede, pur gravato dall'obbligo di rilascio e legittimato ad agire in ripetizione, non può essere assimilato al titolare del rapporto, sicché nei suoi confronti il termine di cui all'art. 79, comma 2, della l. n. 392/1978, decorre non dalla materiale riconsegna dell'immobile al locatore, ma dalla morte del conduttore: «Si deve a questo punto procedere all'esame della questione circa la proponibilità del ricorso ex art. 45 della l. n. 392/1978 da parte dell'erede del conduttore che non sia succeduto nel contratto ex art. 6 della l. n. 392/1978 [...]. Si ritiene al riguardo che l'espressione conduttore utilizzata dall'art. 79 [...] non può costituire uno sbarramento per precludere aprioristicamente la proponibilità dell'azione ivi disciplinata a chi riveste la qualità di erede del conduttore medesimo, anche senza essere convivente di quest'ultimo. Invero, di principio la nullità del contratto di locazione per uso abitativo – per contrasto con le disposizioni inderogabili della legge sull'equo canone – è espressamente prevista dal citato art. 79 [...] ed integra gli estremi del contratto illecito [...]. Non vi sono del resto elementi normativi che inducano a ritenere che l'azione ex art. 79 [...] sia di natura prettamente personale e non trasmissibile in via ereditaria: l'erede agisce esercitando il proprio diritto di credito ex art. 79 [...] nei limiti e con le facoltà spettanti al suo dante causa. È dunque possibile, in assenza di una specifica preclusione normativa, ritenere che all'erede sia data la possibilità di agire per tutelare il proprio patrimonio ereditario da eventuali depauperamenti connessi alla corresponsione di canoni in misura eccedente quella legale, con l'azione che il de cuius in vita non abbia potuto o non abbia voluto proporre. D'altro canto, diversamente argomentando [...] si giungerebbe all'assurda ed ingiustificata conclusione che in fattispecie del genere non sussiste tutela alcuna da parte dell'ordinamento. Si ritiene invece [...] che tale azione è proponibile ex art. 79 della l. n. 392/1978, ma che essa deve essere esercitata entro i sei mesi dal momento in cui il contratto è cessato per lo spirare dell'ultimo conduttore [...] ossia entro il termine in cui il contratto è cessato per il venir meno di una delle parti. Deve ritenersi infatti che l'art. 79, nello svolgere il preliminare richiamo alla figura del conduttore, si riferisca al termine di sei mesi per la riconsegna del bene, a cura del conduttore, in forza del connesso obbligo contrattuale. Non può farsi rientrare in analoga previsione il caso dell'erede che rilascia il bene nel termine da lui arbitrariamente prescelto, ed inizia da tale momento a far decorrere in suo favore il termine per la proposizione dell'azione ex art. 79 della l. n. 392/1978. Tale interpretazione non è consentita proprio perché l'art. 79 [...] svolge espresso riferimento all'espressione tecnica rilascio collegata alla parola conduttore, ossia ad una delle parti del rapporto contrattuale. D'altro canto, una diversa interpretazione consentirebbe ingiustamente l'introduzione a favore dell'erede di un termine più ampio di quello spettante al suo dante causa, perché, come detto, affidato al mero arbitrio dell'erede in questione, in favore del quale il termine di decadenza dei sei mesi decorrerebbe solo dal momento in cui questi decide di rilasciare il bene» (così Pret. Milano 20 aprile 1995). La soluzione che precede appare da condividere. In effetti, in caso di cessazione de iure del rapporto per morte del conduttore, l'erede che agisce per la ripetizione dei canoni indebitamente versati dal suo dante causa è un non-conduttore, nei riguardi del quale non ha perciò ragione di operare il criterio di collegamento del termine decadenziale dell'azione di ripetizione all'effettivo rilascio, giacché non v'è esigenza di tutela contro eventuali azioni ritorsive del locatore. Viceversa, la regola enunciata dal giudice ambrosiano non può trovare ingresso – come è ovvio – se, morto il conduttore, questi lasci a succedergli nel rapporto locativo qualcuno dei soggetti indicati dall'art. 6 della l. n. 392/1978. La deviazione dal criterio enunciato dall'art. 79 della l. n. 392/1978 non appare inoltre applicabile, malgrado i problemi pratici che la soluzione involge, nel caso di vendita ad un terzo della cosa locata: l'azione di ripetizione, infatti, metterebbe costui – subentrato nella posizione di parte locatrice – sull'avviso circa la tendenza del conduttore a far valere i propri diritti. Quest'ultimo rimarrebbe così esposto a quelle azioni ritorsive che la norma vuole invece scongiurare: «Il giudice a quo, al fine di postulare l'estensione, mediante sentenza additiva, del trattamento previsto dalla norma impugnata per l'ipotesi di riconsegna dell'immobile da parte del conduttore alle altre ipotesi dinanzi richiamate, muove dal presupposto della sostanziale omogeneità di queste rispetto alla prima, sotto l'aspetto che anche in esse verrebbe meno il rapporto di locazione, inteso peraltro evidentemente come rapporto fra conduttore e locatore originario; [...] il suindicato presupposto non è condivisibile, non potendosi ritenere che in tutti indiscriminatamente i casi in cui il soggetto passivo della domanda di ripetizione delle somme pagate oltre il dovuto abbia cessato di rivestire la qualità di locatore, anche il conduttore abbia dismesso la propria qualità, e così abbia cessato di versare in quella situazione soggetta a ritorsioni – ricollegabili all'accertamento, da lui postulato, di una minor misura del canone dovuto – che giustifica, per le conseguenti remore all'esercizio, il trattamento previsto dalla norma impugnata; [...] pertanto, la questione va dichiarata manifestamente infondata» (Corte cost., n. 3/1990). Del resto, appare difficile concepire una «riconsegna» dell'immobile, obbligazione residuale dipendente dalla cessazione del rapporto, durante la vigenza del rapporto stesso che, infatti, continua con le stesse caratteristiche (Cass. III, n. 2417/1984; Cass. III, n. 4195/1987). Parimenti, è senz'altro da escludere la decorrenza del termine semestrale, in mancanza di materiale riconsegna, nell'ipotesi di consecutio tra una locazione soggetta ad «equo canone» ed una locazione a canone libero, disciplinata vuoi dall'art. 11, comma 1 e 2, della l. n. 359/1992, vuoi dall'art. 2 della l. n. 431/1998: palese, in tal caso, è il permanere delle esigenze protettive cui il termine semestrale decorrente dalla materiale riconsegna presiede. Di diverso avviso una pronuncia del tribunale capitolino (Trib. Roma 31 ottobre 2003). Il dies ad quem del termine semestrale: il deposito del ricorso Poiché si verte in materia di locazione, la domanda di ripetizione dell'indebito va proposta nell'osservanza dell'art. 447-bis c.p.c., sicché occorre fare riferimento alla data di deposito del ricorso e non alla sua notificazione. Si riteneva in assoluta prevalenza che, ai fini della tempestiva proposizione dell'azione, fosse sufficiente – fin tanto che la disposizione è stata vigente – il deposito del ricorso per il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all'art. 44 della l. n. 392/1978. Termine semestrale, decadenza e prescrizione Il congegno della decadenza derivante dal decorso del termine semestrale per l'esercizio dell'azione di ripetizione si combina con l'istituto della prescrizione nel seguente modo: da un lato, una volta verificatasi la decadenza, il conduttore non può promuovere l'azione, ancorché il termine di prescrizione non sia decorso; dall'altro lato – ed è questo l'aspetto di maggior rilievo – l'istituto della prescrizione non opera ogni qual volta la decadenza non si sia ancora verificata. I termini del problema sono stati così riassunti in una pronuncia di merito: «La decadenza contemplata dall'ormai abrogato art. 79, comma 2, della l. n. 392/1978 ... incideva sul termine di prescrizione in un doppio senso. Per un verso impediva, una volta verificatasi la decadenza, ogni azione a favore del conduttore per ottenere quanto corrisposto, neanche nei limiti della prescrizione decennale (Pret. Piacenza 23 aprile 1988), ancorché il credito fosse sussistente. Per altro verso, proprio per la ratio che sorreggeva l'istituto, la prescrizione decennale restava inapplicabile ed il conduttore poteva ripetere, agendo entro il semestre, anche le somme versate illecitamente nei periodi oltre il decennio (in tal senso, v., p. esempio, Pret. Verona 26 giugno 1985, che sottolinea sia l'origine giuslavoristica dell'istituto, sia la volontà del legislatore di ampliare le facoltà del conduttore di ripristinare l'equilibrio globale dell'esauritosi rapporto. Più recentemente v. Pret. Molfetta 3 aprile 1987; Pret. Udine 6 ottobre 1989; Pret Firenze 5 dicembre 1996) [...]. In senso opposto, si è sottolineato che la prescrizione e la decadenza operano su piani distinti e sono astrattamente compatibili (tanto è vero che lo stesso codice civile prevede talora la cumulativa applicazione dell'uno all'altro istituto, come accade nel caso della disciplina dei vizi in tema di vendita e di appalto) ed altresì che le ipotesi di sospensione del corso della prescrizione sono tassative ed inapplicabili analogicamente. D'altro canto – sì è aggiunto – la posizione del conduttore non sarebbe equiparabile a quella del lavoratore subordinato privo di garanzia di stabilità, considerata, appunto, la caratteristica di stabilità del rapporto locativo disegnato dalla l. n. 392/1978 (App. Perugia 12 febbraio 2004). Esaminati i diversi indirizzi giurisprudenziali, la Corte perugina ha aderito alla prima delle opzioni ricordate: «Vale qui rammentare – sì da rendere evidente il ragionamento da seguire – la nota sentenza della Corte Costituzionale n. 63/1966, con la quale fu dichiarata l'incostituzionalità degli artt. 2948 n. 4), 2955, n. 2), e 2956, n. 1) c.c., nella parte in cui consentivano che la prescrizione del diritto alla retribuzione del lavoratore subordinato decorresse durante il rapporto di lavoro. Il giudice delle leggi, in sintesi, affermò, nella decisione, che il timore del recesso da parte del datore di lavoro può spingere il lavoratore a non esercitare il proprio diritto nel termine prescrizionale: da qui la necessità che la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2948, n. 4) c.c., quella annuale prevista dall'art. 2955, n. 2) c.c. e quella triennale prevista dall'art. 2956, n. 1) c.c., inizino a decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro, ove non caratterizzato dal requisito della stabilità» Ciò detto la pronuncia ha posto l'accento sul rilievo costituzionale del diritto all'abitazione – avendo deciso, come si diceva, una lite riguardante una locazione abitativa – e sulla intrinseca mancanza di stabilità del rapporto locativo: «Orbene, una volta rammentato che il diritto all'abitazione parimenti si presenta fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico ed è da ricomprendere tra i fra i diritti inviolabili dell'uomo di cui all'art. 2 Cost. [...] non sembra potersi dubitare che la formula contenuta nell'art. 79 della l. n. 392/1978 debba essere interpretata, in senso costituzionalmente orientato, in guisa da ritenere che esso escluda, fintanto che il rapporto locativo permane in vita – non solo de iure, ma fino al concreto conclusivo rilascio – il corso di ogni termine di prescrizione: giacché, se così non fosse, il conduttore potrebbe essere indotto a non esercitare il proprio diritto per il metus di perdere l'abitazione. Ed invero – occorre chiarire – il rapporto locativo è per sua natura non assistito – per così dire – dal requisito della stabilità, giacché esso è per definizione un rapporto a tempo determinato, destinato a cessare per effetto della pura e semplice volontà del locatore alla scadenza del rapporto». Siffatta soluzione è stata di poi accolta – ma con una significativa differenza – dalla magistratura di vertice, la quale ha avuto modo di osservare che il termine semestrale di decadenza per l'esercizio dell'azione di ripetizione delle somme sotto qualsiasi forma corrisposte dal conduttore in violazione dei limiti e dei divieti previsti dalla stessa legge, posto dall'art. 79, comma 2, della l. n. 392/1978 fa sì che il rispetto del termine di sei mesi consente al conduttore il recupero di tutto quanto indebitamente è stato corrisposto fino al momento del rilascio dell'immobile locato, il che si traduce nella inopponibilità di qualsivoglia eccezione di prescrizione (Cass. III, n. 10128/2004). I magistrati del Palazzaccio hanno interpretato la norma nel senso che la decadenza prevista dalla norma comporta che l'azione esperita oltre il termine semestrale espone il conduttore al rischio dell'eccezione di prescrizione dei crediti per i quali essa è già maturata – questo il punto di frizione con la pronuncia della Corte di merito prima trascritta, giacché la decisione ora in esame ammette che il conduttore possa agire per la ripetizione dell'indebito anche dopo il decorso del termine semestrale, pur esponendosi all'eccezione di prescrizione – mentre il rispetto del termine dei sei mesi gli consente il recupero di tutto quanto indebitamente è stato corrisposto sino al momento del rilascio dell'immobile locato. La soluzione prospettata dalla Suprema Corte – ribadita da Cass. III, n. 13681/2008; Cass. n. 16009/2010; Cass. n. 20554/2014 – se è sicuramente condivisibile nella parte in cui esclude che il conduttore, una volta introdotta tempestivamente la domanda di ripetizione, rimanga esposto all'eccezione di prescrizione, non appare persuasiva laddove ammette che lo stesso possa proporre la medesima domanda anche dopo la scadenza del termine semestrale di cui all'art. 79, comma 2, c.c. Come si è visto, infatti, l'unanime giurisprudenza – ivi compresa la stessa pronuncia in esame – qualifica il termine posto dalla citata disposizione quale termine di decadenza, sicché «o il conduttore propone l'azione di restituzione di quanto pagato in eccedenza entro sei mesi dalla riconsegna dell'immobile o non la può più proporre» (Gabrielli, Padovini, 376). L'essenza della decadenza, cioè, sta proprio nel limitare nel tempo l'esercizio di un diritto, quando il sollecito esercizio di esso sia conforme ad un qualche interesse considerato dall'ordinamento. E tale interesse sta, in questo caso, nel favorire la rapida definizione delle eventuali pertinenti controversie locatizie, come emerge da una pronuncia del giudice delle leggi già menzionata (Corte cost., n. 141/1994). In conclusione, gli argomenti svolti dalla decisione in esame al fine di dimostrare che il conduttore può agire per la ripetizione anche dopo lo spirare del termine semestrale non possono essere condivisi, dal momento che: a) non sembra esatto assimilare la posizione del conduttore, esposto al termine decadenziale in questione, al locatore, esposto al solo termine di prescrizione, secondo quanto ritenuto dalla Corte costituzionale; b) il conduttore, parte debole del rapporto, è sufficientemente tutelato dalle possibili reazioni del locatore mediante la possibilità di agire dopo il rilascio senza temere la prescrizione; c) la previsione del termine di decadenza semestrale ha lo scopo di favorire la sollecita decisione delle controversie, secondo un indirizzo perseguito dal legislatore fin dall'epoca della disciplina vincolistica. Resta, infine, da aggiungere che, ove si ritenga ammissibile l'applicazione del termine di prescrizione dopo la scadenza del termine semestrale di decadenza, il termine applicabile sarà quello ordinario decennale (Cass. S.U., n. 11666/2007). Termine semestrale e sospensione feriale Il termine di sei mesi entro il quale il conduttore deve proporre l'azione di ripetizione delle somme indebitamente corrisposte al locatore, avendo natura processuale, va computato tenendo conto della sospensione dei termini feriali introdotta dell'art. 1 della l. n. 742/1969 (Cass. III, n. 8077/1994). L'applicabilità al termine di decadenza in questione del regime di sospensione in periodo feriale trova altresì conferma nell'interpretazione della formula «termini processuali» accolta dal giudice delle leggi. Quest'ultimo, infatti, nel soffermarsi sull'analoga questione della soggezione alla sospensione feriale del termine trimestrale di cui all'art. 80 della l. n. 392/1978, ha chiarito che la locuzione «termini processuali», adoperata dall'art. 1 della l. n. 742/1969, deve essere correttamente interpretata in modo tale «da non limitarne la portata nell'ambito del compimento degli atti successivi all'introduzione del processo, ma da comprendere, invece, anche il ristretto termine iniziale entro il quale il processo deve essere introdotto, quando la proposizione della domanda costituisca l'unico rimedio per la tutela del diritto che si assume leso (Corte cost., n. 268/1993). Orbene, siccome anche il termine semestrale ex art. 79, comma 2, della l. n. 392/1978, è senz'altro da considerare «ristretto», anche in questo caso la sospensione in periodo feriale è operante. Ed infatti: «L'art. 3 della l. n. 742/1969, stabilendo che la sospensione dei termini processuali dal 10 agosto al 15 settembre non si applica, tra le altre, alle controversie previste dall'art. 429 c.p.c. (ora sostituito dall'art. 409) si riferisce alle controversie individuali di lavoro e non, invece, a tutte le controversie che sono regolate con il rito del lavoro, richiamandosi tale norma alla natura della causa e non al rito da cui essa è disciplinata. Ne deriva che le controversie che riguardano l'azione proposta dal conduttore a norma dell'art. 79 della l. n. 392/1978, per ripetere fino a sei mesi dopo la riconsegna dell'immobile locato le somme corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla suddetta legge, non rivestano carattere d'urgenza e non potendosi includere neppure per analogia nell'elencazione tassativa dell'art. 92 ord. giud., non si sottraggono alla regola generale della sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale» (così Cass. III, n. 13681/2007). Il soggetto legittimato ad agire e quello obbligato alla restituzione I giudici di legittimità hanno avuto modo di osservare che la particolare azione di ripetizione, prevista dall'art. 79 della l. n. 392/1978, delle somme pagate in eccedenza rispetto al canone legale, si differenzia dalla comune azione di ripetizione di indebito, trovando titolo nel rapporto di locazione, onde la relativa legittimazione spetta unicamente al conduttore, anche in caso di pagamento dei canoni effettuato da altra persona (Cass. III, n. 253/1997). La restituzione dell'indebito, poi, grava, naturalmente, sul locatore. Può però accadere che quest'ultimo, al momento dell'introduzione dell'azione di ripetizione, sia soggetto diverso da quello che ha percepito i pagamenti indebiti. In particolare, con riguardo all'acquirente dell'immobile locato, egli, subentrando nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione dal giorno dell'acquisto, è terzo rispetto alla parte del rapporto svoltosi in precedenza (Cass. III, n. 6142/1984): sicché non è tenuto alla restituzione dell'indebito percepito dal suo dante causa (Trib. Bologna 23 giugno 1986). Viceversa, poiché subentra anche nella pattuizione nulla, l'acquirente è tenuto a restituire le somme indebitamente percepite dal momento dell'acquisto alla riconsegna (Pret. Bari 17 novembre 1982). In caso di immobile locato congiuntamente a più conduttori, ciascuno di essi, essendo tenuto in solido per il pagamento dei canoni, diviene creditore in solido della somma versata in eccedenza rispetto alla misura legale e, pertanto, può chiedere l'intero con effetto liberatorio anche nei confronti degli altri, senza che il proprietario-debitore tenuto alla restituzione possa opporre eccezioni personali a questi ultimi (Pret. Parma 17 ottobre 1990). Diversamente, come emerge dalla pronuncia, nell'ipotesi di una pluralità di conduttori di singole porzioni distinte di un'unità abitativa, ciascuno ha diritto al rimborso pro quota dei canoni versati in misura superiore a quello legale. L'azione di ripetizione, inoltre, non spetta affatto all'occupante senza titolo, che sia subentrato nel godimento dell'immobile e nel pagamento del corrispettivo convenuto dopo la cessazione de iure del rapporto (Cass. III, n. 1952/2009). In applicazione del riportato principio, il supremo consesso decidente ha escluso che la parte ricorrente fosse subentrata nel contratto di locazione, ai sensi dell'art. 6 della l. n. 392/1978, quale coniuge assegnatario della casa familiare non titolare del rapporto locativo, in quanto il provvedimento di omologazione della separazione personale era successivo alla cessazione de iure del medesimo contratto di locazione e, pertanto, in tal caso, al coniuge non assegnatario faceva capo solo una situazione di occupazione de facto dell'immobile già condotto in locazione. Ripetizione dell'indebito maturato dopo la cessazione de iure del contratto Il conduttore in mora nel restituire la cosa, ai sensi dell'art. 1591 c.c., è tenuto a corrispondere al locatore, indipendentemente da ogni prova, un importo pari al corrispettivo convenuto, con ciò intendendosi – in caso di applicabilità della c.d. legge dell'equo canone – il corrispettivo legalmente dovuto. Ne consegue che egli ha il diritto di ripetere, nei confronti del locatore, quella parte del corrispettivo che superi la misura stabilita dalla citata legge, anche se tale corrispettivo si riferisca al periodo successivo alla data stabilita per il rilascio, salva la facoltà del locatore di dimostrare, soggiacendo ai principi generali in tema di prova, di aver subito un danno maggiore, sempre sensi del citato art. 1591 c.c., rispetto a quello coperto dal canone legale (Cass. III, n. 8913/2002). Prova del credito ed entità della somma da restituire. Il conduttore, che agisce per la ripetizione delle somme che assume di avere versato oltre la misura legale del canone, non può limitarsi a produrre il contratto di locazione contenente la clausola che prevede il pagamento di tale canone in misura eccedente il limite legale, ma deve provare – in caso di contestazione delle locatore – anche l'effettivo versamento di quel canone nella misura così stabilita, atteso che tale domanda, come si è già visto, è soggetta ai medesimi principi che regolano la domanda di ripetizione di indebito (Cass. III, n. 3277/1992). Va, quindi, rammentato che, al fine della liquidazione della somma che il locatore deve restituire in relazione alla riscossione di un canone convenzionale eccedente il canone legale, quest'ultimo deve essere computato con gli aggiornamenti ISTAT, ancorché non richiesti dal locatore, in quanto la richiesta è implicita nella percezione del maggior corrispettivo pattuito. In proposito, la Suprema Corte – dando vita ad un indirizzo poi seguito da Cass. III, n. 18972002; Cass. III, n. 13419/2001 – ha osservato che: «Allorché le parti stabiliscano il canone in misura eccedente quello equo, la necessità della richiesta dell'aggiornamento – posta dall'art. 24 della l. della n. 392/1978 – resta superata dalla particolare situazione, caratterizzata dalla corresponsione di un prezzo che assorbe gli aggiornamenti ISTAT e che renderebbe incomprensibile una richiesta che in tal senso il locatore avesse ad avanzare. In particolare, qualora – stabilito dalle parti un canone convenzionale – il conduttore richieda successivamente la determinazione di quello equo (e l'eventuale restituzione di somme corrisposte contra legem), questo deve intendersi comprensivo degli aggiornamenti ISTAT che il locatore non aveva motivo di richiedere, in quanto già considerati – per così dire – nel maggiore canone pattiziamente stabilito» (Cass. III, n. 4382/1987). Spetta altresì al conduttore, ove provato, il maggior danno da svalutazione (Trib. Roma 28 marzo 1984). Parimenti, nella giurisprudenza di legittimità, è stato osservato che il credito per ripetizione del canone ultralegale ha natura di debito di valuta, con conseguente risarcibilità del maggior danno, ove debitamente provato (Cass. III, n. 7165/1997). Si deve, infine, ricordare che il conduttore ben può rinunciare all'azione di ripetizione del proprio credito già maturato: difatti, l'art. 79 della l. n. 392/1978 è diretto ad evitare un'elusione preventiva dei diritti del conduttore ma non esclude la possibilità di disporne una volta che gli stessi siano sorti e possano essere fatti valere (tra le tante, Cass. III, n. 23910/2006). Non si configura, tuttavia, come rinuncia ad un'eventuale azione di ripetizione da parte del conduttore moroso di somme pagate in eccedenza rispetto all'equo canone la richiesta del termine di grazia, pur valendo ad impedire l'emissione del provvedimento di rilascio (Cass. III, n. 14481/2000). Buona e malafede dell'accipiens Si è già visto che l'azione di ripetizione contemplata dall'art. 79 della l. n. 392/1978 trova la sua naturale disciplina nell'istituto della ripetizione dell'indebito, alla stregua del quale chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in malafede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda (art. 2033 c.c.). In proposito, è stato osservato che alla violazione della norma imperativa che stabilisce il canone per un immobile adibito ad uso di abitazione (art. 12 l. n. 392/1978), da cui non deriva la nullità dell'intero contratto, bensì della sola clausola difforme (artt. 1419 e 1339 c.c.), non consegue automaticamente la malafede del locatore e perciò, ai fini della decorrenza degli interessi sulla somma pagata in più – ripetibile pur se concordata, ex art. 79, comma 2, della l. n. 392/1978 – il conduttore deve dimostrare di esser stato indotto dal locatore medesimo alla corresponsione in misura superiore alla legale, malgrado la sua diversa volontà: «La nullità di clausole che stabiliscano un canone in misura maggiore di quello legale [...] non determina nullità del contratto, operando al riguardo l'art. 1339 c.c. con la conseguenza che è inserita di diritto la clausola imposta dalla legge. Il comma 2, dell'art. 79 della l. n. 392/1978 facoltizza il conduttore, con azione proponibile fino a sei mesi dopo la riconsegna dell'immobile a ripetere le somme corrisposte in violazione dei limiti di legge. Senza possibilità di autoriduzione unilaterale. La determinazione del canone deve essere richiesta dal giudice, ex art. 45 della l. n. 392/1978; deve escludersi che la violazione della norma, se voluta da entrambe le parti che hanno così dato causa alla nullità successivamente eccepita, possa costituire l'accipiente, per ciò solo, in malafede. Esclusa l'equiparazione della violazione di legge, alla malafede di uno dei contraenti, appare pertanto esatto il principio fatto proprio dai giudici di merito per cui in siffatta ipotesi non può ritenersi la malafede, se non si prova che il conduttore è stato consapevolmente indotto dal locatore a pagare le somme non dovute e maggiori dall'equo canone e ciò è stato conseguenza della sua libera determinazione. Il riferire la decorrenza degli interessi alla domanda, che il conduttore può proporre sin dal momento successivo alla conclusione del contratto contenente la clausola viziata, ma voluta dallo stesso, appare così conforme al generale principio stabilito dall'art. 2033 c.c.» (così Cass. III, n. 7165/1997). Opposto – e forse più ragionevole, sebbene meno garantista – il responso di una più recente pronuncia della Suprema Corte, secondo cui il comportamento delle parti diretto ad eludere l'applicazione di norme imperative di legge vale di per sé a superare la presunzione di buona fede: «Il comportamento delle parti diretto ad eludere l'applicazione di norme imperative di legge, allo scopo di conseguire somme non dovute (nella specie, il pagamento di un canone superiore a quello esigibile ai sensi della l. n. 392/1978) vale di per sé a superare la presunzione di buona fede dell' accipiens, agli effetti della restituzione dell'indebito, ove si concretizzi in atti che inequivocabilmente dimostrino la consapevolezza dell'esistenza della norma imperativa ed il deliberato intento di eluderne gli effetti. La coeva stipulazione di due contratti di locazione: uno simulato, recante l'indicazione del canone conforme alla legge, ed altro dissimulato, recante l'indicazione del canone realmente richiesto, integra gli di cui sopra ed impedisce di applicare la presunzione di buona fede in favore del locatore che abbia indebitamente riscosso il canone maggiore» (Cass. III, n. 1861/2009). Ma in seguito l'orientamento tradizionale è stato riaffermato: in tema di locazione di immobili urbani, qualora il conduttore abbia corrisposto a titolo di canone una somma maggiore rispetto a quella consentita dalla legge, trova applicazione, in riferimento alla domanda di restituzione delle somme corrisposte in eccedenza, la regola generale di cui all' art. 2033 c.c. , secondo la quale gli interessi sulle somme da restituire decorrono dal giorno della domanda giudiziale se l' accipiens era in buona fede e da quello del pagamento se era in mala fede; in particolare, alla violazione della norma imperativa che stabilisce il canone per un immobile adibito ad uso di abitazione non consegue automaticamente la mala fede del locatore, sicché il conduttore ha l'onere di dimostrare di essere stato indotto dal locatore alla corresponsione del canone in misura superiore a quella legale, nonostante la sua volontà contraria, a meno che la mala fede non emerga dalle circostanze di fatto (Cass. III, n. 16067/2023). La liberalizzazione delle «grandi locazioni commerciali»Il comma 3 della norma in commento vi è stato aggiunto dall'art. 18, comma 1, del d.l. n. 133/2014, convertito, con modificazioni dalla l. 11 novembre 2014, n. 164. La nuova norma si pone espressamente in deroga alle disposizioni del comma 1: ergo essa rimuove la sanzione di nullità delle pattuizioni dirette a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dalla legge del 1978, ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge. La deroga – sulla quale non risultano per ora significativi responsi giurisprudenziali – trova applicazione: – nei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, anche se adibiti ad attività alberghiera, per i quali sia pattuito un canone annuo superiore ad € 250.000; – a condizione, che non si tratti di locali qualificati di interesse storico a seguito di provvedimento regionale o comunale. In tale ipotesi, è facoltà delle parti concordare contrattualmente termini e condizioni in deroga alle disposizioni della presente legge. Per detti contratti è stabilito il requisito della forma scritta ad probationem. BibliografiaBarrasso, Di Marzio, Falabella, La locazione. Percorsi giurisprudenziali, Milano, 2008; Benedetti, La locazione tra codice civile e leggi speciali, in AA.VV., Contratti non soggetti all'equo canone, Milano, 1981; Bompani, Equo canone. 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