Legge - 27/07/1978 - n. 392 art. 42 - Destinazione degli immobili a particolari attività.Destinazione degli immobili a particolari attività. I contratti di locazione e sublocazione di immobili urbani adibiti ad attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche, nonché a sede di partiti o di sindacati, e quelli stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori, hanno la durata di cui al primo comma dell'articolo 27. A tali contratti si applicano le disposizioni degli articoli 32 e 41, nonché le disposizioni processuali di cui al titolo I capo III, ed il preavviso per il rilascio di cui all'articolo 28 (1) . (1) Vedi, anche l'articolo 15 bis del D.L. 23 gennaio 1982, n. 9, convertito in legge 25 marzo 1982, n. 94. InquadramentoL'art. 42 della l. n. 392/1978, sotto la rubrica: «Destinazione degli immobili a particolari attività», stabilisce che: – i contratti di locazione e sublocazione di immobili urbani adibiti ad attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche, nonché a sede di partiti o di sindacati, e quelli stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori, hanno la durata di cui al primo comma, dell'art. 27; – a tali contratti si applicano le disposizioni degli artt. 32 e 41, nonché le disposizioni processuali di cui al titolo I capo III, ed il preavviso per il rilascio di cui all'art. 28. La disposizione contempla attività meritevoli di tutela per il loro rilievo sociale, attività per le quali la legge assicura la durata minima di un sessennio ed il limite all'aggiornamento del canone nella misura indicata dall'art. 32 della l. n. 392/1978. In argomento, merita fin d'ora rammentare un aspetto nodale che sarà più approfonditamente esaminato: ossia che la Suprema Corte, risolvendo un contrasto insorto sul punto, ha ritenuto le locazioni contemplate dal citato art. 42 assoggettate non soltanto alla durata minima sessennale prevista dall'art. 27 della l. n. 392/1978, ma anche al congegno del diniego di rinnovazione alla prima scadenza previsto dagli artt. 28 e 29 della stessa legge. Val quanto dire che le locazioni di immobili destinati a «particolari attività» hanno anch'esse, come le locazioni di cui all'art. 27 della l. n. 392/1978 destinate ad attività industriali, commerciali e artigianali, di interesse turistico, alberghiere, professionali, durata tendenziale di dodici, e non di sei, anni. Ciò senz'altro «assottiglia» la distinzione tra attività a tutela piena e semipiena, da un lato, ed attività a tutela limitata (quelle, appunto, di cui all'art. 42 della l. n. 392/1978) dall'altro, di cui si è parlato in riferimento all'art. 27 della l. n. 392/1978: distinzione che, tuttavia, sembra utile mantenere ferma, sia perché le attività di cui all'art. 42 non godono in se stesse degli strumenti di tutela – indennità per la perdita dell'avviamento, prelazione e riscatto – che non spettano ai conduttori di immobili destinati alle attività di cui all'art. 27 soltanto nelle ipotesi di cui all'art. 35, sia perché gli immobili destinati a particolari attività non godono degli istituti della cessione e della successione (artt. 36 e 37 l. n. 392/1978). Durata delle locazioni di immobili destinati a particolari attivitàCon particolare riferimento ai rapporti locatizi di immobili adibiti ad attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche, a sede di partiti e di sindacati, o stipulati dallo Stato e da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori, si è posto un fondamentale quesito concernente il meccanismo di rinnovazione del rapporto: e, cioè, se tali contratti, aventi durata minima sessennale possano essere fatti oggetto, in occasione della prima scadenza contrattuale, di disdetta pura e semplice, oppure se possano essere fatti cessare, per iniziativa del locatore, soltanto in esito al diniego di rinnovazione alla prima scadenza di cui all'art. 39 della l. n. 392/1978. Vale in argomento rammentare che a tali contratti si applicano le disposizioni degli artt. 32 e 41, nonché le disposizioni processuali di cui al titolo I, capo III, ed il preavviso per il rilascio di cui all'art. 28 (art. 42, comma 2, l. n. 392/1978). In dottrina, si è posto in dubbio che a dette fattispecie sia applicabile l'istituto del «rinnovo tacito» disciplinato dall'art. 28: si è per conseguenza sostenuto che la regolamentazione della materia della riconduzione sarebbe da rinvenire, oltre che nella disciplina pattizia, nel disposto degli artt. 1596 e 1597, comma 1 c.c. (Cuffaro, 488). La conclusione indicata è stata però criticata in base al rilievo che il rinvio del comma 2, dell'art. 42 al preavviso di rilascio di cui all'art. 28 non avrebbe alcun senso se il richiamo non fosse diretto a rendere operativa proprio la rinnovazione prevista dal comma 1 di quest'ultimo articolo (Trifone, 638). D'altro canto, è affermato in giurisprudenza, che anche i contratti di locazione di immobili destinati ad una delle attività particolari indicata nell'art. 42 della l. n. 392/1978, e quelli stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori sono soggetti in virtù dell'espresso rinvio contenuto nell'ultimo comma, dell'art. 42 al regime della tacita rinnovazione alla prima scadenza in mancanza di disdetta (Cass. III, n. 7246/1994; Cass. III, n. 14808/2004). Maggior rilievo possiede il quesito di cui si è detto, ossia se, alla prima scadenza del rapporto, il locatore possa recedere soltanto facendo valere, secondo le modalità prescritte per legge, la propria intenzione di eseguire le opere o di adibire l'immobile agli usi di cui all'art. 29. Difatti la formulazione della norma appare equivoca, e tale da ingenerare perplessità circa il proprio ambito di applicazione. Secondo un primo indirizzo, il richiamo al «preavviso per il rilascio di cui all'articolo 28» determinerebbe l'assoggettamento dei contratti di locazione di cui all'art. 42 all'intera disciplina dettata, in via generale, dalla legge quanto alla durata e al rinnovo: con la conseguenza che, alla prima scadenza del rapporto, la disdetta del locatore sarebbe consentita solo nei casi previsti dall'art. 29. Si è osservato, in dottrina, che l'opposta soluzione, fondata sulla «libera disdettabilità» del contratto allo spirare del primo sessennio non sarebbe completamente appagante, perché, oltre a determinare una non giustificata disparità di trattamento, essa trascurerebbe di considerare l'altro, e più rilevante, aspetto della ratio del diniego motivato di rinnovazione, e cioè la tutela della stabilità del rapporto in favore del conduttore: «alla quale non pare possa negarsi che abbiano interesse anche i conduttori di quei particolari contratti previsti dall'art. 42, in base a quel generale favor conductoris, a cui tale legge, nel suo insieme, si ispira). Sicché, in definitiva, a nostro avviso è possibile, anche se non agevole, un'interpretazione estensiva di quel preavviso per il rilascio di cui parla, richiamando l'art. 28, l'art. 42 della citata legge; interpretazione estensiva atta a ricomprendere tutte le ipotesi dell'art. 28 richiamato, sia quelle di disdetta (impropriamente qui designata come preavviso) immotivata, proprie delle scadenze successive alla prima; sia anche quelle di disdetta motivata, proprie della sola prima scadenza dei contratti di cui all'art. 27 (Cosentino, Vitucci, 421). Detto orientamento è stato seguito da una parte della giurisprudenza di merito (Pret. Roma 8 novembre 1984; Pret. Gallarate 28 aprile 1987; Trib. Milano 7 settembre 1987; Pret. Mantova 19 agosto 1996) ed è stato recepito dal giudice di legittimità in due pronunce del 1991. La Corte ha rilevato che un intendimento del legislatore nel senso di sottrarre le locazioni de quibus all'obbligo della disdetta motivata alla prima scadenza avrebbe trovato più plausibile espressione in un richiamo limitato al solo comma 1 dell'art. 28: «Se è pur vero che l'art. 29 espressamente regola forma e tempi dell'atto di diniego della rinnovazione alla prima scadenza, l'art. 29 tuttavia svolge un argomento che, come parte della disciplina della rinnovazione tacita, è già compreso nell'art. 28, al comma 2» (Cass. III, n. 11756/1991). Nella medesima prospettiva della dottrina che si è innanzi citata, la Suprema Corte ha ritenuto, poi, che le attività menzionate dall'art. 42 postulino comunque l'estensione, alla correlativa tipologia contrattuale, dell'intera disciplina sulla durata e il rinnovo delle locazioni ad uso non abitativo: «I contratti contemplati dall'art. 42 non sono volti ad assicurare la disponibilità di un mezzo per il soddisfacimento di esigenze di natura economica: ciò spiega l'insensibilità ad essi di istituti volti a conservare al conduttore utilità prodotte attraverso l'esercizio di un'attività di questo tipo. Tali contratti si riconnettono però al soddisfacimento di esigenze rilevanti dal punto di vista etico-sociale, economico e politico. Non è dunque ingiustificato che ad essi sia apprestata, sul piano della durata, non solo la protezione rappresentata dalla durata minima legale, ma anche quella costituita dalla disciplina della rinnovazione tacita in tutta la sua estensione» (Cass. III, n. 11756/1991). Movendo dalla valorizzazione dell'esigenza del conduttore quanto alla durevolezza del rapporto, una seconda sentenza ha tra l'altro evidenziato come nell'ipotesi di attività svolte all'interno dell'immobile dallo Stato e degli altri enti territoriali, debba postularsi «quella medesima tutela che la legge appronta nel caso in cui detti soggetti – e in genere le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici o di diritto pubblico: v. art. 29, lett. b) – risultino locatori. Se infatti ha rilevanza l'esigenza di detti soggetti di disporre dell'immobile per l'esercizio di attività tendenti al conseguimento dei loro fini istituzionali all'interno nell'immobile (donde l'attribuzione del potere di dare disdetta alla prima scadenza), uguale rilevanza ha, e non può non avere [...] la stessa esigenza dello Stato e degli enti pubblici territoriali, conduttori: anche in tale ipotesi, esigenza di disposizione dell'immobile duratura nel tempo, stante la natura dei fini istituzionali; comportando ciò la durata legale di dodici anni per il primo periodo locativo, salvo il diniego di rinnovazione tacita alla scadenza dei sei anni per uno dei motivi tassativamente elencati nell'art. 29, al pari delle locazioni di immobile con le destinazioni indicate nell'art. 27» (Cass. III, n. 12167/1991). Sicuramente prevalente, in dottrina, è l'orientamento opposto, secondo cui il richiamo contenuto nell'art. 42 andrebbe inteso restrittivamente: in base al detto indirizzo si postula che alla prima scadenza contrattuale il locatore, per recedere dal rapporto, non sia tenuto a far valere, con il diniego di rinnovo, il proposito di impiegare l'immobile secondo le destinazioni individuate tassativamente dall'art. 29 (Trifone, 638; Bucci, Malpica, Redivo, 376; Izzo, 2414; Lazzaro, Preden, 192; Gabrielli, Padovini 2001, 483). La menzionata soluzione è stata spesso raccordata alla specificità delle locazioni di cui all'art. 42, cui la legge riserverebbe un trattamento distinto, qualificato dall'attenuazione della tutela, rispetto al regime cui sono soggetti i rapporti di cui all'art. 27, commi 1, 2 e 3: si è infatti osservato che il legislatore nel dettare la norma dell'art. 42 ha mostrato di voler predisporre una tutela minima verso quei rapporti di locazione relativi ad immobili destinati allo svolgimento di attività che, sia per i soggetti che le pongono in essere, sia per le finalità in vista delle quali sono svolte, rivestono particolare rilievo sociale; non senza sottolineare, tuttavia, che la tutela apprestata dalla disposizione sia meramente formale, in quanto dal corpus della disciplina protezionistica risultano espunte, riguardo alle locazioni di immobili destinati a particolari attività, proprio quelle norme (artt. 28,34,38,39 e 40 l. n. 392/1978) che maggiormente hanno di mira l'interesse specifico del conduttore allo svolgimento continuato dell'attività nei medesimi locali (Cuffaro, 494). D'altra parte, i rapporti locativi disciplinati dall'art. 42 presentano un'accentuata caratterizzazione non solo ove si guardi all'ambito disegnato dalla legge fondamentale del 1978, ma, a maggior ragione, ove si consideri la normazione successiva e l'incidenza di questa sul profilo della durata. È stato rilevato come il legislatore – anche successivamente alla l. n. 392/1978 – abbia considerato i contratti de quibus, proprio in relazione alla durata, in maniera differenziata rispetto a quelli di cui all'art. 27: la l. n. 94/1982 ha così avvertito la necessità di una norma espressa (ultimo comma, dell'art. 15-bis d.l. n. 9/1982, conv. con modif., in l. n. 94/1982) per estendere la proroga stabilita per gli altri contratti (ex art. 67 l. n. 392/1978); la legge n. 61/1989 ha escluso gli stessi dal beneficio della sospensione, con norma (art. 7 d.l. n. 551/1988, conv., con modif., in l. 61/1989) che il giudice delle leggi (Corte cost., n. 562/1989) ha reputato costituzionalmente legittima in relazione alla «disomogeneità delle due categorie di contratti» e alla circostanza che «per le suddette attività non è rinvenibile quell'esigenza di conservazione della localizzazione dell'impresa e dello studio o del laboratorio professionale in cui si svolga lavoro autonomo che è tutelata dalle disposizioni relative alle locazioni previste dall'art. 27» (Lazzaro, Preden, 192). L'argomento sistematico basato sulla differenziazione esistente tra le locazioni disciplinate dall'art. 42 e quelle concernenti gli immobili adibiti all'esercizio imprenditoriale o professionale è stato fatto proprio anche dalla giurisprudenza di merito, secondo cui la legge avrebbe inteso enucleare un tertium genus di contratti verso i quali ha predisposto una tutela attenuata rispetto agli altri in considerazione della natura dell'attività e dei soggetti che la pongono in essere, mostrando in tal modo di voler privilegiare gli interessi economici e quelli delle aziende a discapito di altri, scelta discrezionale che configurando situazioni diverse non appare attaccabile sotto il profilo costituzionale (Trib. Roma 22 marzo 1986; Pret. Firenze 1o febbraio 1988; Pret. Bari 1 giugno 1989, secondo cui i rapporti in discorso godrebbero di una tutela «attenuata» rispetto agli altri; Pret. Firenze 17 maggio 1988; Pret. Palermo 12 dicembre 1988, per cui le locazioni di immobili dove si svolgono attività prive di riflessi economici immediati e che, per di più, possono essere spostate senza eccessivi disagi, costituirebbero una categoria se non autonoma, almeno speciale, alla quale non irrazionalmente sarebbe accordata una tutela limitata; Pret. Udine 3 febbraio 1990; Pret. Napoli 26 aprile 1991, che riconduce la categoria in questione ad una delle specie in cui si articolerebbe il genere locazioni per uso non abitativo; Pret. Salerno 27 giugno 1992, secondo cui la stessa necessità di un'espressa estensione di una parte della normativa posta in via generale per le locazioni ad uso non abitativo chiarirebbe quale diversa considerazione di partenza abbiano avuto, e dovrebbero continuare ad avere, i rapporti contemplati dall'art. 42). Quest'ultima decisione svolge argomenti rilevanti anche sul piano dell'interpretazione testuale: «La sostanza e il significato del preavviso vanno identificati in un avviso od avvertimento anticipato rispetto ad una determinata scadenza, una semplice manifestazione di volontà – in questo caso, di non intendere rinnovare il contratto per altra durata minima legale – operata in un tempo anteriore al fatto rilevante che ne forma oggetto. Invece, oltre la natura comune (quasi il genus) del preavviso, la disdetta motivata di cui all'art. 28, comma 2, e 29 legge citata, possiede e richiede (quale species) i caratteri ben più pregnanti – e certamente caratterizzanti – della necessità dell'adduzione di motivazioni legittimanti l'esercizio del diritto, il quale cessa di essere rimesso alla semplice circostanza dell'incombente cessazione di un termine (e, quindi, del mero scorrere del tempo) per restare ancorato a situazioni estrinseche rispetto al contratto di locazione in sé considerato» (Pret. Salerno 27 giugno 1992). Altre pronunce pervengono, poi, alla conclusione dell'esistenza del diritto di locatore di recedere liberamente dal rapporto alla scadenza del primo sessennio, attraverso diversi percorsi argomentativi (Trib. Napoli 24 luglio 1990; Pret. Varese 1 febbraio 1992; Pret. Lecco 14 ottobre 1996). Successivamente, la Suprema Corte (Cass. III, n. 12947/1995) si è posta in consapevole contrasto con l'indirizzo interpretativo estensivo, svolgendo le seguenti considerazioni: «Il comma 2, dell'art. 42 contiene uno specifico richiamo al preavviso per il rilascio disciplinato dall'art. 28 e non si vede come possa essere ritenuto che per eventi di fondamentale importanza, quali sono durata e rinnovazione di una serie di locazioni comprendenti un'amplissima gamma di attività, anche di rilievo, il legislatore abbia inteso rinviare all'art. 28 con un semplice richiamo al preavviso di rilascio, disciplinato dal comma 1 della norma, tralasciando di menzionare la ben diversa ipotesi del diniego della rinnovazione alla prima scadenza contrattuale. Occorre quindi dedurre dallo specifico e limitato rinvio, che si sia voluto escludere per le locazioni elencate nel primo comma il meccanismo del rinnovo obbligatorio alla prima scadenza. Va sottolineato che la norma non contiene un semplice richiamo all'art. 28, bensì al preavviso per il rilascio, prima specifica previsione delle due contenute nell'articolo». Ha precisato inoltre la Suprema Corte: «Con siffatta disciplina il legislatore accorda al conduttore un minor grado di tutela, ma non per questo la norma può esser ritenuta incostituzionale, in quanto trattasi all'evidenza di una scelta incensurabile spettante al legislatore allorché ha previsto l'applicabilità soltanto a determinate categorie di rapporti. Le locazioni di beni immobili possono soddisfare esigenze ben diverse tra di loro e al legislatore deve essere riconosciuto il potere discrezionale ed incensurabile di accordare loro un differente grado di tutela, a secondo degli interessi sociali ed economici che intende tutelare, allo scopo di assicurare un equilibrato svolgimento dei rapporti». Di una questione di costituzionalità, nel senso indicato, il giudice delle leggi è stato tra l'altro investito, la Corte Costituzionale si è pronunciata nel senso della manifesta infondatezza, essendo nel frattempo intervenuta la decisione delle Sezioni Unite di cui subito si dirà, sicché l'interpretazione restrittiva era oramai contrastante con il diritto vivente (Corte cost., n. 32/1998). Come appena accennato, la soluzione estensiva è stata recepita dalle Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 6227/1997), anche se tale pronuncia non ha mancato di sollevare perplessità e rilievi critici. In essa, il giudice di legittimità ha svolto le considerazioni che seguono: «In primo luogo, dal punto di vista sistematico, sembra preferibile considerare le locazioni contemplate dall'art. 42 non come un tertium genus delle locazioni di immobili urbani, ma piuttosto una species qualificata delle locazioni non abitative di cui all'art. 27. Inoltre, l'inserimento successivo nel testo della legge dell'art. 42, se rivela l'interesse del legislatore a riconoscere espressamente qualche forma di protezione anche alle locazioni c.d. particolari (verosimilmente per un'esigenza di chiarezza dopo che, nella vigenza del regime vincolistico, era stata dibattuta l'assoggettabilità a tale disciplina delle locazioni in cui lo Stato e gli enti pubblici avevano la posizione di conduttori), non importa necessariamente che tale tutela debba essere minimale, dal momento che le stesse attività, ove esercitate in forma imprenditoriale ed a scopo di lucro, rientrano direttamente fra quelle di cui all'art. 27 [...]. Infine, non sembra fruttuoso insistere sulla discutibile tecnica normativa adottata dal legislatore che, con riguardo al problema de quo, avrebbe facilmente potuto eliminarlo a monte, richiamando esplicitamente solo il primo ovvero ambedue i commi dell'art. 28; ed invece ha adottato un'espressione – preavviso per il rilascio di cui all'art. 28 – della quale proprio in detto articolo non c'è traccia. Di qui la premessa, da cui sono partite la dottrina e la giurisprudenza pressoché unanimi, della sicura improprietà della formula, tralasciando di considerare che l'anomalia poteva essere intenzionale e giustificata dallo scopo, usando un'espressione generica ed aspecifica, di consentire più ampia discrezionalità interpretativa. Tuttavia, dal punto di vista letterale, anche presupponendo che tale terminologia sia impropria e debba intendersi come mera disdetta, non per questo l'interpretazione qui adottata risulta pregiudicata, poiché se è vero che il primo comma dell'art. 28 parla di disdetta, anche la comunicazione di diniego di rinnovazione alla prima scadenza contrattuale, di cui al secondo comma, è chiamata disdetta (art. 29, comma 4); cosicché a ragione è stato affermato che la disciplina della disdetta è contenuta in entrambi i commi dell'art. 28 [...]. Ma quel che appare decisivo è che l'espressione preavviso per il rilascio ha un suo significato nella disciplina delle locazioni, essendo esplicitamente menzionata nell'art. 73 quando prevede, con riguardo ai contratti in regime transitorio, che, ferme restando le scadenze legali, il locatore può recedere in base ai motivi di cui all'art. 29 e con il preavviso di cui all'art. 59. Sembra pertanto corretto dedurre che il legislatore, usando l'espressione preavviso per il rilascio, non sia incorso in errore ed, invece, abbia voluto riferirsi non ad una semplice disdetta, ma ad una disdetta motivata, ossia alla manifestazione di volontà di far cessare il rapporto locatizio, generalmente ante tempus (anche per le locazioni c.d. particolari, secondo la tesi che esse durano tendenzialmente non soltanto 6, bensì 12 anni), in ragione di particolari situazioni di fatto attinenti alla sfera del locatore e suscettibili di verifica giudiziale. Si considera, altresì, che l'art. 30, il quale regola la procedura per fare valere in giudizio il diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza contrattuale, ancorché non richiamato esplicitamente nell'art. 42 (in quanto estraneo al capo III del titolo I), tuttavia si applica alle locazioni ivi previste, stante il richiamo di cui all'art. 46 (che, come disposizione processuale, espressamente si applica)». In tal modo – aggiungono i giudici di Piazza Cavour – sia il dato letterale assunto nel suo significato tecnico, sia il richiamo indiretto allo strumento processuale dell'art. 30 consentono di affermare che l'espressione preavviso di rilascio comporti un richiamo dell'intera normativa in tema di durata e di cessazione del rapporto, come prevista dall'art. 28: «Non è superfluo aggiungere che ove all'espressione contestata dovesse attribuirsi il valore di mera disdetta (comma 1), verosimilmente essa sarebbe inutile; infatti, ferma restando la durata delle locazioni particolari stabilita dalla legge in misura non inferiore a 6 anni, ove non si accedesse alla tesi minoritaria che esclude alla scadenza la necessità di disdetta (peraltro affermata solo per il regime transitorio), comunque l'interprete avrebbe dovuto ricorrere alla disciplina di cui al primo comma dell'art. 28, essendo dubbia l'applicazione di quella civilistica residuale degli artt. 1596 e 1597 c.c., che concerne le locazioni per le quali la determinazione della durata è affidata all'autonomia delle parti. Né varrebbe obiettare che la disposizione dell'art. 28 richiama solo le locazioni di cui ai primi due commi dell'art. 27 (locazioni industriali, commerciali, artigianali, di interesse turistico ed uffici professionali), una volta stabilita l'equiparazione, quoad tempus, di tutte le categorie. La correttezza dell'interpretazione come sopra raggiunta, secondo il criterio formale e sistematico, trova non ostacolo, bensì ulteriore conforto analizzando la ratio dell'art. 42. È stato pacificamente rilevato che i contratti contemplati da tale norma non tendono ad assicurare la disponibilità del bene locato per soddisfare esigenze di natura economica; ciò spiega l'inestensibilità ad essi di istituti volti a conservare al conduttore utilità prodotte attraverso l'esercizio di un'attività di questo tipo (artt. 34, 38, 39 e 40, in tema di indennità per l'avviamento, di prelazione in caso di vendita o di nuova locazione e di riscatto). Essi tuttavia riguardano attività che per la loro qualità intrinseca (ricreativa, assistenziale, scolastica e culturale) o per i particolari soggetti che le esercitano (sindacati e partiti, Stato ed enti pubblici territoriali) si riconnettono al soddisfacimento di finalità rilevanti dal punto di vista etico, sociale e lato sensu politico. Anche queste attività c.d. particolari mostrano esigenze di stabilità non inferiori a quelle riconosciute ai contratti di cui all'art. 27 e, quindi, non è ingiustificato – ed è, come si è visto, costituzionalmente corretto – che ad esse sia accordata, sul piano della durata, una protezione piena, non limitata alla previsione della durata minima legale, ma estesa anche alla disciplina della rinnovazione tacita (e della possibilità di impedimento) in tutta la sua estensione. Per quel che concerne le attività del primo tipo, davvero non si vede una plausibile ragione in virtù della quale locazioni connesse ad attività ricreative (dirette all'utilizzazione in chiave sociale del tempo libero), assistenziali (volte a sopperire alle necessità di persone in istato di disagio o di bisogno), ovvero didattico-culturali in senso ampio (per di più esercitate senza finalità di lucro) debbano avere una tutela inferiore a quella apprestata agli studi professionali, che invece anche tali finalità perseguono in una misura destinata (si pensi agli studi pluriassociati) a divenire sempre più rilevante. E tuttavia non è superfluo rilevare che permane una differenziazione tra le c.d. locazioni particolari e quelle degli uffici e studi professionali, avendo queste ultime pur sempre una tutela più ampia, a seguito dell'applicabilità dei commi 3 e 4 dell'art. 37 che, disciplinando la successione nel contratto in caso di uso concorrente dell'immobile locato, impingono pur sempre nella durata del rapporto. Con riguardo, poi, agli immobili presi in locazione dallo Stato e dagli altri enti pubblici territoriali, evidenti ragioni di uguaglianza comportano invece che se lo Stato-locatore può recedere dal rapporto solo per perseguire le sue finalità istituzionali, parimenti, quando è conduttore, debba rilasciare i locali anzitempo soltanto per analoghe necessità altrui. Infine, sul piano pratico, non costituiscono un ostacolo i paventati effetti negativi, soprattutto economici, che conseguirebbero alla soluzione interpretativa accolta, costringendo i locatori – particolarmente nei rapporti con lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali, che si presume costituiscano la maggior parte delle locazioni protette dall'art. 42 – a rinegoziare il canone ogni 12 anni (invece di 6), per un triplice ordine di considerazioni: perché la situazione è identica nelle locazioni commerciali senza contatti diretti con il pubblico ed in quelle relative ad uffici e studi professionali; perché proprio con riguardo alle pubbliche amministrazioni, esistono esigenze di uguaglianza, già ricordate, nelle contrapposte posizioni di locatrici e di conduttrici; perché in queste locazioni il canone è inizialmente libero e suscettibile di aggiornamento, pur nei limiti dell'art. 32, cosicché il locatore accorto ben può fare i suoi calcoli preventivamente. Del resto, è interessante rilevare che le più recenti provvidenze in materia sembrano orientate nel senso di prorogare, raddoppiando, la durata-base dei contratti di locazione in assenza di una «giusta causa» di cessazione anticipata [...]. Tirando i fili del discorso e concludendo, il contrasto giurisprudenziale va composto affermando il seguente principio di diritto: Con riguardo ai contratti di locazione di immobili adibiti ad una delle particolari attività di cui all'art. 42 della l. n. 392/1978, il comma 2 di detto articolo, importa l'applicabilità a tali contratti dell'intera disciplina della durata contenuta nell'art. 28 e, pertanto, anche del diniego motivato di rinnovazione alla prima scadenza contrattuale, dettata dagli artt. 28, secondo comma, e 29 della stessa legge». Tale articolato percorso argomentativo è stato attaccato, dalla dottrina, proprio nei suoi snodi fondamentali: si è detto, così, che il termine rilascio non è affatto inscindibilmente legato al recesso di cui all'art. 29: «Basta scorrere la disciplina processuale per trovare, per esempio, che nell'art. 56, rubricato modalità per il rilascio, il rilascio non ha nulla a che fare con la disdetta del locatore fondata sui motivi di cui all'art. 29, ma indica semplicemente la riconsegna dell'immobile locato quando per una o per altra causa di cessazione del rapporto il conduttore è tenuto alla restituzione; non vi è, dunque, alcun legame necessario, nel linguaggio della legge tra l'uso dell'espressione rilascio ed il recesso del locatore per i motivi di cui all'art. 29» (Gabrielli, Padovini, 486). Inoltre, l'affermazione secondo cui la norma dell'art. 42, se fosse intesa come richiamo alla sola durata del preavviso indicata dall'art. 28, comma 1, sarebbe una norma inutile perché l'interprete ci sarebbe già potuto arrivare per applicazione analogica, è parimenti un argomento discutibile, dal momento che esiste una disciplina del codice civile valevole per tutte le locazioni; pertanto, dove la legge speciale non dispone, si continua ad applicare la disciplina del codice civile, la quale ha portata generale e non può non trovare applicazione dove la legge più recente e speciale tace (Gabrielli –Padovini, 487). Pertanto, la norma avrebbe comunque un senso preciso, consentendo una espressa deroga alle prescrizioni dettate dagli artt. 1596 e 1597 c.c. Infine, quanto al rilievo secondo cui l'esigenza di stabilità meriterebbe di essere tutelata nelle locazioni di cui all'art. 42 almeno in misura pari rispetto a quanto lo è nel campo delle locazioni di cui all'art. 27, si è obiettato che l'intensità della tutela dell'esigenza di stabilità del conduttore appartiene alla scelta libera del legislatore: «altrimenti si dovrebbe arrivare a dire che è incostituzionale tutto il sistema, poiché garantisce meno la stabilità delle locazioni abitative rispetto a quelle non abitative (e ovviamente la Costituzione si preoccupa dell'interesse al godimento di un'abitazione da parte del cittadino forse più che dell'interesse allo svolgimento di una attività di impresa da parte del cittadino imprenditore)» (Gabrielli, Padovini, 487). E del resto, si è aggiunto il fatto che il legislatore abbia accordato una tutela più intensa alle locazioni ad uso produttivo non parrebbe irragionevole, ben potendo avere egli considerato che un'attività economica richiede, da parte di chi la svolge, una serie di investimenti legati all'immobile il cui ammortamento postula un periodo di tempo lungo: investimenti che le attività non produttive di norma non esigono (Gabrielli, Padovini, 487). Aldilà delle censure dottrinali cui la decisione si è esposta, può convenirsi sulla sensatezza dell'affermazione per cui la soluzione interpretativa indicata dalla Corte costituisca, oramai, un punto di riferimento per gli operatori pratici e per la stessa giurisprudenza (Lazzaro, Preden, 199). E infatti, la Corte di legittimità, in tre successive pronunce, si è conformata alla soluzione interpretativa proposta dalle Sezioni Unite (Cass. III, n. 15082/2000; Cass. III, n. 15212/2001; Cass. III, n. 2567/2007). Pure recentemente si è ribadito che anche ai contratti di locazione di immobili adibiti a uso diverso da quello di abitazione stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori di cui all'art. 42 della l. n. 392 del 1978 è applicabile la disciplina dettata dagli art. 28 e 29 in tema di rinnovazione che accorda al conduttore una tutela privilegiata in termini di durata del rapporto. Invero, a differenza dell'ipotesi regolata dall'art. 1597 c.c., la protrazione del rapporto alla sua prima scadenza in base alle richiamate norme della l. n. 392/1978 non costituisce l'effetto di una tacita manifestazione di volontà – successiva alla stipulazione del contratto e che la legge presume in virtù di un comportamento concludente e, quindi, incompatibile con il principio secondo il quale la volontà della P.A. deve essere necessariamente manifestata in forma scritta – ma deriva direttamente dalla legge, che rende irrilevante la disdetta del locatore quando la stessa non sia basata su una delle giuste cause specificamente indicate dalla legge quali motivi legittimi di diniego della rinnovazione (Cass. III, n. 7040/2017). E ancora da ultimo si è ribadito il medesimo principio (Cass. III, n. 34162/2019). È insomma da ritenere definitivamente stabilizzato l'orientamento secondo cui anche ai contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori di cui all' art. 42 l. n. 392 del 1978 , è applicabile la disciplina dettata dagli articoli 28 e 29 in tema di rinnovazione, che accorda al conduttore una tutela privilegiata in termini di durata del rapporto. Invero, a differenza dell'ipotesi regolata dall' art. 1597 c.c. , la protrazione del rapporto alla sua prima scadenza in base alle richiamate norme della l. n. 392 del 1978 non costituisce l'effetto di una tacita manifestazione di volontà successiva alla stipulazione del contratto e che la legge presume in virtù di un comportamento concludente e, quindi, incompatibile con il principio secondo il quale la volontà della p.a. deve essere necessariamente manifestata in forma scritta, ma deriva direttamente dalla legge (Cass. III, n. 9759/2023; Cass. III, n. 34162/2019). Non possono, tuttavia, non condividersi i timori espressi quanto alle gravi ricadute che la suggerita lettura della norma potrebbe, con il tempo, comportare. E invero, si è giustamente osservato che la decisione ha l'effetto di annullare quelle differenziazioni ontologiche che avevano finora giustificato la particolare disciplina dettata, per le locazioni di cui all'art. 42, in tema di prelazione, indennità di avviamento, cessione del contratto. Nel sistema della legge, la rinnovazione obbligatoria del contratto alla prima scadenza costituisce, unitamente agli istituti che si sono appena menzionati, una delle forme attraverso cui sono tutelate le esigenze di stabilità. Con un così autorevole riconoscimento, invece, della sostanziale identità, sotto il profilo funzionale, delle attività di cui agli artt. 27 e 42, si viene, inopinatamente e indirettamente, a sostanziare uno dei termini della comparazione per la diagnosi del vizio di incostituzionalità delle disposizioni di legge – per violazione del criterio della ragionevolezza del diverso trattamento giuridico – relativamente alla mancata estensione dei predetti istituti giuridici preposti al conseguimento della stessa finalità di stabilità e che il giudice delle leggi aveva giustificato, in passato, limitatamente all'interesse preminente alla stabilità dell'impresa (Izzo, 2419). Applicabilità di istituti previsti per le locazioni ad uso diversoNon v'è dubbio, infatti, che l'applicabilità degli artt. 36 e 37, comma 3, della l. n. 392/1978 non possa essere fondata sull'art. 42 della l. n. 392/1978, nella parte in cui, per i contratti stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori, rende inoperanti, con il richiamo all'art. 41, le disposizioni degli artt. 38, 39 e 40, atteso che siffatta conclusione non implica una previsione di operatività a contrario delle norme non eccettuate. «Al comma 2, l'art. 42 dice applicabili ai contratti previsti dal primo “le disposizioni” dell'art. 41. Il richiamo deve intendersi aver la portata di rendere applicabili le disposizioni indicate nel primo comma dell'art. 41, cioè quelle contenute negli artt. 7 a 11 della legge. Non può esser per contro inteso nel senso di dichiarare non applicabili gli artt. 38, 39 e 40 (nella misura in cui ricorrano le cause di esclusione prevedute dall'art. 35) e applicabili al contrario le norme non eccettuate. Dettando una norma apposita per i contratti considerati dal primo comma dell'art. 42, il legislatore è partito dalla considerazione che, se questi contratti presentano il tratto d'essere preordinati ad uso diverso dall'abitazione, come lo presentano quelli che rientrano nel tipo contemplato dall'art. 27, si differenziano poi da questi ultimi per il fatto di non essere preordinati allo svolgimento di un'attività produttiva. Funzione del comma 2, dell'art. 42 è quella di configurare l'ulteriore disciplina dei contratti considerati dal comma 2 e lo strumento tecnico usato è quello del rinvio. Si intende che il rinvio all'art. 41 va svolto per la parte (il comma 1) in cui integra la disciplina del tipo contrattuale ex art. 27 con norme dettate per i contratti ad uso d'abitazione, rese così di applicazione generale; non per quella (il comma 2) in cui restringe solo ad alcuni contratti ex art. 27 la disciplina specifica di questo tipo contrattuale» (così Cass. III, n. 790/1992). Già in precedenza, del resto, la Suprema Corte aveva osservato che alle locazioni stipulate in qualità di conduttore dalla P.A. non si applica in nessun caso la prelazione ex art. 38 della l. n. 392/1978, senza che rilevi la sussistenza o meno del rapporto con il pubblico degli utenti e dei consumatori di cui all'art. 35 stessa legge: «Per l'art. 42, alle locazioni con la P.A. si applica, fra gli altri, l'art. 41; quest'ultima disposizione al secondo comma nega il diritto di prelazione per le locazioni di cui all'art. 35, che a sua volta esclude l'indennità di avviamento per le locazioni relative ad immobili utilizzati per lo svolgimento di attività che non comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori. La tesi della ricorrente per la quale dal gioco dei rinvii dovrebbe desumersi che la prelazione per le locazioni con la P.A. resterebbe esclusa soltanto se manchi il rapporto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, appare infondata per le seguenti ragioni: a) il limite posto dalla disposizione dell'art. 35 opera all'interno della categoria delle locazioni di immobili ex art. 27 (industriali, commerciali, artigianali, turistiche, ecc.) ed è quindi incongruo applicarlo alle locazioni con la p.a. in genere, che hanno tutt'altra destinazione; b) di conseguenza il rinvio operato dall'art. 42, comma 2, (inapplicabilità della prelazione alle locazioni ex art. 35) può significare soltanto che alle locazioni con la P.A. non si applica in nessun caso il diritto di prelazione» (Cass. III, n. 1661/1990). Nel senso che non si applica ai contratti di locazione stipulati dallo Stato e da enti pubblici territoriali, in qualità di conduttori, l'istituto della prelazione urbana contemplato dall'art. 38 della l. n. 392/1978 per l'ipotesi di vendita dell'immobile locato, si era già espressa anche la giurisprudenza di merito (App. Catanzaro 23 maggio 1985). Occorre ancora ricordare che la disciplina dettata dall'art. 42 della l. n. 392/1978 è compatibile con quella prevista dall'art. 27, comma 5, con riguardo ai contratti transitori. Ciò è stato affermato con riguardo al caso, già citato, della locazione conclusa come conduttore dal Ministero per la protezione civile di un immobile da destinare a scuola per gli alunni di Pozzuoli, rimasti privi di aule in conseguenza di eventi sismici, stipulata per la durata di due anni salvo proroga, in attesa del ritorno della situazione alla normalità: «Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. III, n. 11756/1991) anche i contratti di locazione di immobili destinati ad una delle attività particolari indicata nell'art. 42 della l. n. 392/1978 e quelli stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori sono soggetti in virtù dell'espresso rinvio contenuto nell'ultimo comma dell'art. 42 al regime della tacita rinnovazione alla prima scadenza in mancanza di disdetta. Nella motivazione della sentenza impugnata il giudice di appello ha, ora, rilevato che il contratto inter partes stipulato per ovviare ad esigenze di natura transitoria, destinazione degli immobili ad aule scolastiche per gli alunni di Pozzuoli che in conseguenza degli eventi sismici erano rimasti privi delle aule delle loro scuole, aveva la durata di due anni salvo proroga per il caso non fosse ritornata alla normalità la situazione scolastica per effetto delle riparazioni delle aule nelle singole scuole. I secondi giudici hanno, altresì, evidenziato che essendosi pattuito il recesso del conduttore con preavviso di sei mesi, la relativa disdetta venne data intempestivamente con il conseguente rinnovo biennale del contratto, in concreto venutosi a limitare nel tempo per effetto della richiesta della locatrice di pagamento dei canoni fino all'effettivo rilascio degli immobili avvenuto nell'ottobre 1986. Il giudizio sul punto, essendo adeguatamente motivato e privo di vizi logici ed errori in diritto, non è sindacabile in questa sede fondato come è sull'apprezzamento di fatto delle risultanze processuali. Peraltro, non può non evidenziarsi con riferimento al secondo profilo di censura che il potere normativo extra ordinem invocato dall'amministrazione ricorrente non può che essere esercitato con ordinanze motivate non essendo ipotizzabile una deroga alla vigente legislazione espressa e contenuta direttamente nel contratto. Pertanto, correttamente il giudice di secondo grado, aderendo ad analogo convincimento dei primi giudici, ha ritenuto con ampia motivazione che il contratto rientrasse nella previsione di cui al quinto comma dell'art. 27 della legge sull'equo canone e che in tale articolo trovasse la sua disciplina non essendovi alcun valido provvedimento derogativo sul punto e tanto è sufficiente per sottrarre la denunziata sentenza alle censure del ricorrente» (così Cass. III, n. 7246/1994). Ed ancora, merita di essere ricordata – anche per il complessivo inquadramento della norma – la pronuncia con cui i magistrati del Palazzaccio hanno chiarito che il recesso per gravi motivi trova applicazione anche con riguardo ai contratti di cui all'art. 42 della l. n. 392/1978: «La soluzione cui sono pervenuti ambedue i giudici di merito circa l'applicabilità della norma sul recesso del conduttore anche ai contratti di cui si discute deve essere condivisa. L'art. 27 della l. n. 392/1978, sotto la rubrica “durata della locazione” elenca varie disposizioni. Il comma 1 stabilisce che non può essere inferiore a sei anni la durata delle locazioni e sublocazioni di immobili adibiti agli specifici usi, diversi da quelli abitativi, indicati nello stesso comma 1 e nel comma 2. Il comma 3 stabilisce invece in nove anni la durata minima della locazione di immobili, anche se arredati, adibiti ad attività alberghiera. Il quarto prevede che la norma sulla durata minima legale integra il contratto che manchi di previsione della durata e prevale sulle clausole che ne stabiliscano una inferiore. I commi 5 e 6 regolano i contratti stipulati per esigenze di natura transitoria o stagionale, per i primi consentendone una durata inferiore a quella legale, per i secondi accordando al conduttore un diritto al rinnovo per lo stesso periodo stagionale e per la durata rispettiva di sei e nove anni a seconda dei due diversi tipi di uso previsti dai commi 1 e 2 e dal comma 3. Il comma 7 dice ammissibili patti che accordino al conduttore il diritto di recedere in ogni momento dal contratto e l'ottavo ed ultimo comma prevede il diritto di recesso del conduttore per gravi motivi. Orbene, l'art. 42, per sé, si limita a dire che i contratti di locazione e sublocazione di immobili urbani adibiti ad attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche, nonché a sede di partiti o di sindacati, e quelli stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori hanno la durata di cui al comma 1, dell'art. 27. Dal fatto che il primo comma, dell'art. 42 non richiami le altre disposizioni contenute nell'art. 27 e che esse non siano comprese tra le disposizioni che il comma 2, dell'art. 42 dice applicabili a tali contratti, i locatori ed attuali ricorrenti hanno tratto il convincimento che ai contratti di cui si discute non possa in particolare applicarsi l'istituto del recesso per gravi motivi disciplinato dal comma 8, dell'art. 27. Questo argomento non convince. La stessa conclusione se ne dovrebbe trarre, ad esempio, a proposito delle disposizioni contenute nei commi 4 e 5 dell'art. 27: con la conseguenza che la disciplina sulla durata minima di sei anni non sarebbe presidiata dal meccanismo di integrazione legale previsto dal comma 4 o, ad ammettere che tuttavia lo fosse, non potrebbe poi farsi spazio alla disciplina relativa alle locazioni fatte per esigenze transitorie, sì da impedire contratti di durata inferiore, ancorché di durata adeguata alle esigenze effettive del conduttore. L'esempio mostra che il sistema di richiami contenuto nell'art. 42 non autorizza la conclusione per cui ai contratti di cui si discute sia stata resa applicabile la sola norma sulla durata di sei anni, anziché l'intera disciplina della durata nella versione a sei invece che a nove anni. Non si tratta dunque di prestare al comma 1, dell'art. 42 un'interpretazione estensiva, ma di non darne un'interpretazione restrittiva. Questa sarebbe d'altra parte in contrasto con il dato – cui i giudici di merito hanno quindi fatto corretto riferimento – che il diritto di recesso del conduttore per gravi motivi costituisce, nell'ambito della disciplina delle locazioni di immobili urbani, un istituto comune ai due tipi fondamentali (artt. 4 e 27), sicché per considerarlo non applicabile ai contratti dell'art. 42, specie del più ampio genere rappresentato dai contratti a destinazione non abitativa, ci sarebbe stato bisogno di una disposizione che avesse rivelato in modo certo un'intenzione del legislatore in tal senso. Questa interpretazione dell'art. 42 – cui la Corte è già acceduta a proposito della disposizione sulle locazioni transitorie nella sentenza 4 agosto 1994, n. 7246 – trova ulteriore conferma nella soluzione cui la giurisprudenza della Corte è pervenuta quanto alla portata del richiamo fatto nel secondo comma, dell'art. 42 al «preavviso di rilascio di cui all'art. 28», cioè nella sentenza 9 luglio 1997, n. 6227 già citata. I contratti dell'art. 42 ne risultano ricondotti al complessivo sistema della durata prevista dagli artt. 27, 28 e 29 della legge per le locazioni di immobili urbani adibiti ad usi diversi dall'abitazione» (così Cass. III, n. 15082/2000). Anche in tempi più recenti è stato ribadito che la disposizione dell'art. 27 della l. n. 392/1978, che consente al conduttore di recedere in qualsiasi momento dal contratto per gravi motivi, è applicabile anche ai contratti di locazione contemplati dall'art. 42 della stessa legge e, tra questi, a quelli conclusi in qualità di conduttore da un ente pubblico territoriale. I gravi motivi devono consistere in un'esigenza oggettiva, imposta dal dover esercitare la funzione e soddisfare l'interesse pubblico che ne è oggetto in modo più idoneo rispetto a quanto assicuri l'esercizio della funzione stessa in atto mediante l'utilizzo del bene condotto in locazione (Cass. III, n. 17215/2015). Oltre al recesso per gravi motivi, anche il recesso convenzionale è stato ritenuto applicabile nei contratti in cui lo stato sia conduttore, stante il richiamo contenuto nell'art. 42 della l. n. 392/1978 alla durata di cui all'art. 27, comma 1, della l. n. 392/1978, dovendo ritenersi che ciò comporti anche l'applicabilità delle regole accessorie contenute nel penultimo ed ultimo comma dello stesso art. 27 (Cons. St., n. 62/1980). Ciò detto, vale infine osservare, in generale, che le attività considerate dall'art. 42 della l. n. 392/1978 possono essere riunite in due distinte categorie: le une espressamente considerate (attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche, nonché sedi di partiti o di sindacati), le altre individuate in funzione della qualità soggettiva del conduttore (locazioni stipulate dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali). Destinazione degli immobili a particolari attivitàConviene esaminare partitamene le questioni sorte in materia di contratti di locazione e sublocazione di immobili urbani adibiti ad attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche, nonché a sede di partiti o di sindacati, riunendoli per aree tematiche. Preliminarmente, però, vanno rammentati alcuni aspetti comuni alla generalità delle attività contemplate dall'art. 42 della l. n. 392/1978, prima parte. Va, allora, in primo luogo, osservato che quest'ultima disposizione ha natura, per così dire, residuale: talune delle attività che essa prevede, infatti, possono ricadere nell'ambito di applicazione dell'art. 27 ovvero dell'art. 42 della l. n. 392/1978 – il caso più significativo, che si esaminerà tra breve, è quello delle scuole – secondo che siano o meno esercitate in un contesto imprenditoriale. Per meglio dire, la disciplina delle «particolari attività» in tanto si applica, in quanto non risultino le condizioni per l'applicazione delle regole generali dettate dagli artt. 27 ss. della l. n. 392/1978. Dopo di che occorre sottolineare che i contratti di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso dall'abitazione, stipulati in favore di enti pubblici diversi dallo Stato e non territoriali, sono disciplinati dagli artt. 42 della l. n. 392/1978 a condizione che detti immobili siano effettivamente e concretamente adibiti ad una delle attività assistenziali, ricreative, culturali e scolastiche espressamente previste dalla norma (Cass. III, n. 6101/1985). Ed inoltre, in base al disposto dell'art. 42 della l. n. 392/1978, che estende ai rapporti ivi considerati l'applicazione di alcune delle norme dettate per le locazioni di immobili destinati all'esercizio di attività economiche di cui all'art. 27 della stessa legge, è onere del conduttore provare che l'immobile oggetto del contratto è concretamente adibito ad una delle particolari attività elencate dalla norma, non essendo a tal fine sufficiente il generico richiamo alle finalità istituzionali del conduttore (App. Potenza 27 gennaio 1982). Attività ricreativeUna complessiva disamina della nozione di «attività ricreativa» è contenuta in una non recente decisione di merito che ha considerato tale l'attività di gestione di un botteghino del lotto (Pret. Monza 19 dicembre 1983). La sentenza così motiva: «Escluso [...] che la locazione possa attualmente ricomprendersi tra quelle di cui all'art. 27 della l. n. 392/1978 non rimane che esaminare se la stessa possa ricondursi ad alcuna delle attività di cui all'art. 42 della l. n. 392/1978; al giudicante pare che la stessa vada considerata quale attività ricreativa per la quale opera la proroga biennale ex art. 15-bis della l. 26 marzo 1982, n. 94. La nozione di attività ricreativa non appare normativamente definita ed è inevitabile che della stessa se ne debba offrire una nozione di tipo storico-funzionale-etimologico; in questo profilo, pur riconoscendosi che nel luogo viene svolta una attività diretta alla raccolta delle giuocate (di tipo economico-tributario secondo le varie configurazioni di natura giuridica che si attribuiscono allo Stato c.d. biscazziere-impositore) non vi è dubbio che il botteghino (così chiamato nel gergo popolare) del lotto sia, dal punto di vista della varia umanità che vi si reca settimanalmente per giuocare, un usuale punto di ritrovo ricreativo e di speranze. La ricca letteratura che le scienze sociologiche hanno prodotto sul fenomeno del giuoco del lotto è indicativa del rilevante profilo sociale che i botteghini del lotto svolgono nella settimanale raccolta delle puntate; è noto che nelle ricevitorie (c.d. botteghini) si svolge spesso una funzione di interpretazione ed analisi dei sogni, con divertenti contributi estemporanei offerti dal compiacente gestore o da astanti occasionali; il botteghino è spesso luogo di ripetuti e usuali appuntamenti, tutti contraddistinti da una caratterizzazione psicologico-emotiva collegata con la speranza della vincita. Sulla base delle considerazioni che precedono questo pretore ritiene che alla funzione di punto di raccolta delle puntate della ricevitoria del giuoco lotto si aggiunga quella di attività ricreativa; il botteghino del lotto rappresenta il punto di coagulo in cui si raccolgono, statisticamente, il maggior numero di persone impegnate nei vari giuochi consentiti: si tratta indubbiamente di un momento individualmente e collettivamente “ricreativo” e si deduce la conseguenza che non può riconoscersi al conduttore (gestore della ricevitoria) il diritto alla indennità di avviamento in quanto non qualificabile come imprenditore». L'applicabilità anche dell'art. 42, oltre che dell'art. 27 della l. n. 392/1978 è stato ipotizzato in caso di concessione della gestione di campi da calcio a scopo di lucro dietro il pagamento di un corrispettivo (Trib. Roma 25 maggio 2001). Altre decisioni, per il resto, hanno escluso le attività di volta in volta prese in considerazione dall'area di quelle ricreative di cui all'art. 42 della l. n. 392/1978. Così, l'attività di gestione di un impianto sportivo dotato di attrezzature, mobili ed immobili, esercitata per fine di lucro (si tratta di uno dei numerosi casi in cui la medesima attività può cadere sotto la disciplina degli artt. 27 oppure 42 della l. n. 392/1978 secondo il contesto in cui è esercitata) è stata ricondotta alle attività industriali o, in senso lato, commerciali, considerate dall'art. 27 della l. n. 392/1978 e non tra le attività ricreative di cui al successivo art. 42. L'art. 42 della l. n. 392/1978 contemplando le attività ricreative in sé, ovvero le attività scolastiche, non esclude che le stesse possano essere esercitate con fini di lucro e dietro corrispettivo, rientrando, in tal caso, fra le attività commerciali, o, più esattamente, industriali, e, in conseguenza, nell'ambito della previsione del precedente art. 27. In ciò sta il discrimine tra l'art. 42 e l'art. 27, allorché si tratti della medesima attività: nel primo caso la stessa assume, infatti, rilievo oggettivo, mentre nel secondo viene considerata per il suo inserimento in una attività organizzata ai fini della produzione di un servizio (Cass. III, n. 4113/1993). Parimenti, la locazione di un'area nuda destinata secondo le previsioni contrattuali allo svolgimento di un'attività sportiva svolta da un'associazione «Amici del cavallo» a carattere economico e di natura amatoriale è stata ritenuta sottratta alla disciplina di cui agli artt. 27 ss. della l. n. 392/1978 (Pret. Lucca 11 gennaio 1988). Ed ancora, con riguardo all'U.N.I.R.E. (Unione Nazionale Incremento Razze Equine), è stato detto che le funzioni da essa svolte di coordinamento, controllo, propulsione di iniziative, particolarmente nell'ambito delle corse dei cavalli, il relativo gioco delle scommesse o ad esse collegate non integrano né un'attività commerciale o industriale né tantomeno una delle attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche di cui all'art. 42 della l. n. 392/1978 (Pret. Roma 16 aprile 1985). Neppure si è fatto ricorso all'art. 42 della l. n. 392/1978 nel caso di cessione del godimento dei locali sottostanti una chiesa, nei quali una comunità religiosa aveva organizzato e gestito per anni tutta una serie di attività di assistenza, ginniche, ricreative e culturali, spesso anche a mezzo di terzi ai quali aveva talvolta concesso, gratuitamente o verso corrispettivo, l'utilizzazione degli ambienti in determinate ore di taluni giorni feriali (Trib. Milano 22 febbraio 1990). Attività assistenzialiÈ stato in generale chiarito che l'attività assistenziale prevista dall'art. 42 della l. n. 392/1978 «è quella diretta a soddisfare le esigenze essenziali della vita ed a difendere i cittadini contro i principali rischi dai quali possono essere colpiti, sottraendoli al loro stato di bisogno economico, sanitario o sociale» (App. Potenza 27 gennaio 1982). Attività assistenziali, insomma, sono quelle svolte per sopperire alle necessità di persone in condizioni di disagio, ovvero ai bisogni di intere categorie di persone (Pret. Salerno 28 luglio 1981, resa con riguardo alla Croce Rossa Italiana). Inoltre – in conformità al principio formulato dalla già ricordata Cass. III, n. 6101/1985 – è stato sottolineato anche con riguardo alle attività assistenziali che, ai fini della riconducibilità di un contratto di locazione nell'area disciplinata dell'art. 42 della l. n. 392/1978, l'esercizio delle attività menzionate deve essere accertato in concreto: «Come giustamente ritenuto dalla Corte territoriale, ai fini della riconducibilità di un contratto di locazione di immobile nella disciplina dell'art. 42 citato per esercizio di attività assistenziali occorre aver riguardo all'attività che, in concreto, viene svolta nell'immobile stesso. Orbene, secondo gli accertamenti di fatto contenuti nella sentenza in esame, l'immobile di cui trattasi, si trova in Roma, cioè in regione diversa da quella ove l'Ente ricorrente svolge la sua attività, e serve esclusivamente da ufficio di collegamento tra gli organi regionali e quelli nazionali, sì che nessuna attività assistenziale vi viene svolta» (Cass. III, n. 8880/1991). Nello stesso senso, ma questa volta per l'applicabilità dell'art. 42 della l. n. 392/1978, è stato esaminato il caso della locazione stipulata da una USL che aveva in concreto destinato l'immobile allo svolgimento della propria attività assistenziale (Cass. III, n. 3232/1990). Passando all'esame delle ulteriori fattispecie, merita ricordare che, mentre un giudice di merito ha ritenuto che la durata del contratto di locazione di immobile destinato a sede di consolato sia disciplinata dal codice civile (Trib. Napoli 16 dicembre 1985) e, dunque, non dall'art. 42 della l. n. 392/1978, la Suprema Corte, attesa la natura assistenziale delle attività consolari, ha affermato che i contratti di locazione e sublocazione di immobili urbani ad esse adibiti rientrano tra quelli disciplinati dalla disposizione in commento ed hanno, quindi, come d'ordinario, durata sessennale. Soffermandosi sull'interpretazione della l. 9 agosto 1967, n. 804, che ha ratificato e resa esecutiva la convenzione sulle relazioni consolari adottata a Vienna il 24 aprile 1963, il giudice di legittimità ha chiarito: «L'art. 5 della convenzione sulle relazioni consolari sopra menzionata – avendo valore di legge nello Stato Italiano in virtù della l. 9 agosto 1967, n. 804 – specifica le funzioni e, alla lettera a, [...] stabilisce che esse consistono nel proteggere, nello Stato di residenza, gli interessi dello Stato d'invio, cioè dello stato di provenienza, e delle sue persone fisiche e morali. Trattasi dell'enunciazione di un principio generale da cui si desume che le funzioni consolari hanno, sostanzialmente, natura assistenziale che si estrinseca nelle molteplici attività svolte dal Consolato e dettagliatamente elencate nelle successive lettere dell'articolo in esame. Il che rende irrilevante ogni distinzione tra le singole attività, anche se alcune soltanto di esse – che però non possono ritenersi meno importanti delle altre – evidenziano meglio la natura assistenziale delle funzioni consolari, laddove prescrivono di prestare soccorso ed assistenza alle persone fisiche e morali dello Stato di invio (lett. e) e di salvaguardare, nei limiti fissati da leggi e regolamenti dello Stato di residenza, gli interessi dei minori e degli incapaci dello Stato d'invio (lett. h). Ne consegue che i contratti di locazione e sublocazione di immobili urbani adibiti ad attività consolari che – alla stregua del principio sopra enunciato – debbono ritenersi di natura assistenziale, rientrano tra quelli disciplinati dall'art. 42 della l. n. 392/1978 ed hanno la durata di cui al primo comma, dell'art. 27 della medesima legge» (così Cass. III, n. 11168/1990). Vi è contrasto, nella giurisprudenza di merito, sulla questione della riconducibilità all'area di applicazione dell'art. 42 della l. n. 392/1978 delle locazioni concluse da taluni enti di analoghe caratteristiche. Così, mentre è stata esclusa la natura assistenziale delle attività dell'Ente regionale per lo sviluppo agricolo della Basilicata (Trib. Matera 29 dicembre 1980; App. Potenza 27 gennaio 1982), è stata riconosciuta l'applicabilità della disposizione in esame all'Ente regionale per lo sviluppo agricolo delle Puglie (Pret. Foggia 13 ottobre 1982). Talune pronunce sostanzialmente conformi risultano invece resa nei confronti dell'Inps. Così, è stato affermato che tale Istituto «deve ritenersi incluso tra gli enti di cui all'art. 42 della l. n. 392/1978 in quanto nel concetto di assistenza sociale, intesa lato sensu, vanno comprese tutte le attività che [...] sono dirette ad assicurare al cittadino il diritto alla vita garantita dalla costituzione e nelle quali rientrano quelle svolte dall'ente medesimo» (Pret. Pordenone 22 marzo 1984). E già in precedenza era stato sostenuto che il meccanismo della proroga legale previsto dall'art. 69, comma 1, della l. n. 392/1978 si applicasse anche ai contratti di locazione relativi ad immobili adibiti attività assistenziali, quali quelli condotti dall'Inps (Pret. Lamezia Terme 26 febbraio 1982). Più ampiamente, secondo altra pronuncia, poiché l'Inps attua fini di sicurezza sociale enunciati nell'art. 38 Cost., tutta la sua attività – anche se svolta in immobili non concretamente adibiti ad attività assistenziali – rientrerebbe nella previsione della prima parte dell'art. 42 della l. n. 392/1978 (Pret. Savona 19 dicembre 1979). Sul che è intervenuto il chiarimento dei giudici di Piazza Cavour, i quali hanno affermato che la locazione di un immobile destinato ad uffici amministrativi dell'Inps non rientra nella previsione dell'art. 42 della l. n. 392/1978, giacché nei relativi locali non viene concretamente svolta alcuna attività assistenziale (Cass. III, n. 6101/1985). Ed ancora, con riguardo all'Inps, si deve rammentare che l'applicabilità dell'art. 42 della l. n. 392/1978 può essere radicata soltanto dalla natura assistenziale delle attività svolte e non dalla qualità soggettiva dell'Istituto, che non è ente pubblico territoriale (Pret. Reggio Calabria 30 giugno 1979; Pret. Catanzaro 20 ottobre 1978). Analogamente, l'attività di prevenzione delle malattie ed infortuni professionali, svolta da altro ente, l'ENPI, è stata considerata ricompresa nell'attività assistenziale di cui all'art. 42 della l. n. 392/1978 (Pret. Como 6 aprile 1982). Attività culturali e scolasticheSi diceva poc'anzi che le attività culturali e scolastiche – queste ultime in particolare – non vanno di necessità ricomprese nell'ambito di applicazione dell'art. 42 della l. n. 392/1978, potendo rimanere assoggettate alla disciplina generale dettata dagli artt. 27 ss. della l. n. 392/1978, ogniqualvolta siano esercitate con uno scopo di lucro. Perciò, si ritiene che l'art. 42 si presenti quale norma residuale rispetto all'art. 27 della l. n. 392/1978. In tal senso, costituisce affermazione ricorrente che l'attività scolastica esercitata a fini di lucro integra un'attività commerciale rientrante nella previsione dell'art. 27 della l. n. 392/1978, senza che venga in rilievo l'art. 42 della l. n. 392/1978 che, nel dettare particolari disposizioni per gli immobili urbani adibiti ad attività ricreative, assistenziali, scolastiche, non esclude che la scuola possa avere fine speculativo, né esenta le locazioni concernenti la stessa dall'applicabilità del richiamato art. 27 (Cass. III, n. 4449/1985). L'attività scolastica, cioè, può legittimamente essere esercitata sia per ragioni filantropiche che per scopi di lucro: in quest'ultimo caso ne va riconosciuto il carattere commerciale con conseguente soggezione agli artt. 27 ss. della l. n. 392/1978 (Cass. III, n. 5187/1988; Cass. III, n. 5186/1988; Cass. III, n. 835/1988). Tuttavia, deve essere sottolineato che il solo fine di lucro non è di per se stesso decisivo, giacché, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, affinché l'attività di insegnamento o di istruzione possa considerarsi esercitata in forma di impresa – sì da costituire titolo, tra l'altro, per la percezione della indennità di avviamento – non è sufficiente che sia intesa alla realizzazione di un lucro, ma è, altresì, necessario che costituisca il risultato di una organizzazione aziendale e cioè di un complesso strumentale di fattori materiali e personali, che fungano da supporto indispensabile e non secondario del servizio di istruzione offerto al pubblico (Cass. III, n. 12252/1997; Cass. III, n. 5089/1996; Cass. III, n. 9395/1995; Cass. III, n. 6019/1995; Cass. III, n. 4487/1994; Cass. III, n. 10453/1994; Cass. III, n. 6420/1987). Una decisione, concernente una scuola di danza, così riassume i termini della questione: «Ai sensi del combinato disposto degli artt. 35 e 42 della l. n. 392/1978 per i contratti di locazione di immobili nei quali venga esercitata attività scolastica od attività professionale non spetta, in caso di cessazione del rapporto, l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale. Ma la giurisprudenza di questa Corte ha fin da Cass. III, n. 6420/1987 precisato che anche l'attività scolastica può configurarsi come attività commerciale (con la conseguente spettanza dell'indennità de qua ai sensi degli artt. 27 e 34 della l. n. 392/1978), ove sia accertato, nel caso concreto, che la suddetta attività venga esercitata a fini di lucro e con struttura imprenditoriale, cioè come scambio di determinati insegnamenti contro un corrispettivo tendenzialmente idoneo a ricompensare i fattori produttivi impiegati e ad assicurare un congruo utile [...]. In altre parole, essendo pacifico che l'attività di insegnamento abbia un carattere professionale, deve accertarsi se in concreto venga esercitata per fini di lucro con struttura imprenditoriale. Ora il giudice dell'appello si è fatto implicitamente ma indiscutibilmente carico di questi principi e dato che nell'immobile de quo il ricorrente gestiva una scuola di danza, ha premesso che tale attività, pur sostanziandosi in un insegnamento (che in via presuntiva non dà luogo ad impresa) ben poteva tuttavia essere organizzata a fini di lucro e con struttura imprenditoriale, cosicché l'elemento personale, inscindibilmente legato al concetto di attività professionale, finiva con il perdere la sua normale prevalenza. Ciò premesso, il suddetto giudice ha escluso che tale caratteristica fosse riscontrabile nel caso di specie dal momento che né la presenza di due collaboratrici (per un solo anno ed a compensi piuttosto modesti), né il tenore del depliant pubblicitario (ove si esaltava la qualità artistica del maestro V.), né infine la documentazione fiscale (dimostrativa dell'esistenza di guadagni e siccome proveniente dallo stesso interessato, priva di valore decisivo ai fini della causa) costituivano elementi idonei a contestare la netta prevalenza dell'aspetto personale-professionale. In altre parole, il pregio della scuola di danza gestito dal V. dipendeva dalle particolari qualità del maestro, non dal tipo e dalla ubicazione della struttura scolastica, rilevanti ai fini dell'avviamento commerciale. Rebus sic stantibus, le doglianze del ricorrente si spuntano contro l'accertamento del giudice del gravame, fondato su una motivazione che ha esaminato e valutato tutti gli elementi probatori acquisiti, in modo congruo e logico, rispettando i principi giuridici sopraindicati» (Cass. III, n. 5089/1996). Anche da ultimo, è stato ribadito che la circostanza per cui l'attività di insegnamento ha natura eminentemente intellettuale non vale, di per sé, a contraddire o a negare la possibilità della relativa organizzazione in forma d'impresa, inerendo strettamente, detta natura intellettuale, alla prestazione lavorativa dei docenti, senza tuttavia giungere a connotare l'organizzazione aziendale nel suo complesso. Sicché qualora l'attività di insegnamento o di istruzione si presenti come il risultato di un'organizzazione aziendale, secondario del servizio di istruzione offerto al pubblico, gestito secondo criteri di economicità, deve convenirsi che essa, in quanto non occasionale, va considerata come esercitata in forma di impresa, e dunque avente titolo per la percezione dell'indennità di avviamento (Cass. III, n. 23344/2019). Merita infine ricordare che nelle attività culturali previste dall'art. 42 l. n. 392/1978 va inquadrata l'attività svolta dalla FAO (Trib. Roma 24 gennaio 1981). Partiti e sindacatiScarsissima la giurisprudenza concernente l'ambito di applicazione della disposizione in esame con riguardo ai partiti e sindacati: viceversa numerose sono state le fattispecie nelle quali erano genericamente coinvolti partiti o sindacati: si pensi, per tutte, alla citata Cass., S.U., n. 6227/1997, in tema di applicazione dei contratti regolati dall'art. 42 della l. n. 392/1978 del congegno del diniego di rinnovazione alla prima scadenza, resa nei confronti di un partito politico. Merita in particolare rammentare il quesito, talora avanzato, se possano essere considerati quali sindacati, per i fini dell'applicazione dell'art. 42 della l. n. 392/1978, gli ordini professionali. In un'occasione – analogamente a Pret. Roma 28 febbraio 1983 – si è ritenuto che le attività istituzionali degli ordini professionali: a) non sono riconducibili a quelle disciplinate dall'art. 27, comma 2, della l. n. 392/1978, in quanto non concretano quella attività di lavoro autonomo peculiarmente tutelata in detto articolo, ma consistono solo in un'attività eminentemente burocratica e amministrativa, senza diretta incidenza, nell'ambito dell'immobile oggetto di locazione, sull'esercizio della professione degli iscritti all'ordine, estranei peraltro al rapporto locativo; b) non costituiscono attività ricreative, culturali e assistenziali previste dall'art. 42 della l. n. 392/1978, salvo un provato costante e concreto esercizio di queste ultime nello immobile; c) non qualificano l'immobile locato come sede di sindacati, non concernendo esse attività di rappresentanza di interessi economici e normativi di categoria (Pret. Macerata 28 ottobre 1989). Attività di cultoÈ stato in un primo tempo escluso che ai contratti di locazione di immobili nei quali il conduttore svolga attività di religione e di culto possano applicarsi le disposizioni dell'art. 42 della l. n. 392/1978: ciò in base alla considerazione che la norma non sarebbe suscettibile di applicazione analogica e sul presupposto che l'attività svolta nel luogo di culto – una chiesa cristiana evangelica – non avesse natura né assistenziale né culturale (Pret. Prato 15 ottobre 1981). Viceversa, è stato da altri affermato che il contratto di locazione avente ad oggetto un immobile adibito ad oratorio gode della particolare tutela di cui all'art. 42 della l. n. 392/1978 (Pret. Milano 30 novembre 1982). Riferendosi alle attività ricreative, assistenziali e culturali, la pronuncia – nello stesso senso di App. Milano 6 aprile 1982 – ha osservato: «Con riguardo a tali rapporti, l'indeterminatezza e il valore contingente delle nozioni usate dal legislatore rendono del tutto inappagante il solo richiamo alla natura tassativa dell'elencazione contenuta nell'art. 42, poiché non consentono all'interprete di arrestare la propria indagine alla mera ricognizione del dato testuale, ma gli impongono, comunque, di penetrare il significato (anche storico) delle locuzioni figuranti nell'enumerazione, di individuarne i contenuti e di verificare, infine, se l'attività in concreto esercitata nell'immobile possa esservi ricompresa. In tale prospettiva, la destinazione dell'immobile locato ad attività di culto, pur non essendo espressamente menzionata dall'art. 42, deve ritenersi egualmente ricompresa nella previsione della norma: tale attività, infatti, benché non si identifichi in modo integrale ed esaustivo in alcuna delle attività indicate dall'art. 42, ben può inquadrarsi, ad un tempo, sia tra le attività ricreative sia tra quelle assistenziali sia tra quelle culturali. Attesa l'estrema genericità della lettera della legge, nulla pare, invero, escludere che tra le attività contemplate dall'art. 42 figurino anche quelle attività che esplicano funzione di ricreazione ed assistenza esclusivamente in relazione alla sfera degli interessi spirituali e morali ed è, d'altro canto, innegabile che la religione, comunque si valuti il fenomeno, costituisce una componente essenziale della cultura di un popolo. Se poi ci si pone sul piano della ratio legis, non può non riconoscersi che l'attività di culto riveste sicuramente quel particolare rilievo sociale, che, come si è visto in precedenza, l'art. 42 mira appunto a tutelare. Ad ulteriore conforto della tesi sostenuta, può ancora osservarsi che – dal momento che la legge cosiddetta dell'equo canone, attraverso la previsione dell'art. 59, n. 2), accorda una sia pure minima a tutela dell'attività di culto quando a svolgerla sia il locatore – sarebbe, quanto meno, incoerente che lo svolgimento della medesima attività da parte del conduttore restasse privo di qualsiasi considerazione. Parimenti incongruo sarebbe che l'art. 42 – che, con l'espressa previsione delle locazioni aventi ad oggetto sedi di partiti o di sindacati, assicura una tutela privilegiata alla libertà di associazione a fini politici e alla libertà sindacale contemplate dagli artt. 30 e 49 Cost. – non riservasse analogo trattamento alla libertà religiosa e di culto, egualmente riconosciuta e garantita a livello costituzionale». Pressoché coeva la decisione con cui il Tribunale capitolino ha egualmente ritenuto che: «Nel contratto concluso per uso comunità religiosa, cioè per il raggiungimento dei fini istituzionali e degli scopi collegati propri della comunità stessa, va ravvisata la destinazione per uso non abitativo, e precisamente per l'esercizio di una delle attività di cui all'art. 42 della l. n. 392/1978, non assumendo nella specie rilievo la circostanza che, nell'ambito del contratto, l'immobile sia adibito (anche) ad abitazione dei componenti la comunità religiosa; pertanto, se il contratto è stato concluso prima della entrata in vigore della l. n. 392/1978, è ad esso applicabile la disciplina vincolistica relativa all'uso non abitativo, mentre, a causa della proroga ad essa successiva, il contratto stesso è da ritenersi ulteriormente prorogato secondo il combinato disposto degli artt. 42, 67, lett. b), e 70 di essa, nonché 15-bis della l. n. 94/1982» (Trib. Roma 5 luglio 1982). L'indirizzo è stato in seguito ribadito con riguardo ad un immobile adibito a moschea: «All'immobile adibito all'uso del culto islamico è applicabile la disciplina dell'art. 42 della l. n. 392/1978 prevista per gli immobili adibiti ad attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche. Il contratto ha pertanto la durata di cui al primo comma, dell'art. 27 della stessa legge e il diniego di rinnovazione alla prima scadenza contrattuale è consentito al locatore soltanto per i motivi di cui all'art. 29 della medesima» (Trib. Cremona 8 aprile 2003). Locazioni stipulate dallo Stato o da altri enti pubblici territorialiL'ultima parte del più volte citato art. 42, comma 1, della l. n. 392/1978, sotto la rubrica: «Destinazione degli immobili a particolari attività», stabilisce che i contratti di locazione e sublocazione di immobili urbani stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori hanno la durata di cui all'art. 27, comma 1, della l. n. 392/1978, ossia – secondo l'opinione accolta dalle Sezioni Unite – durata sessennale destinata a rinnovarsi salvo diniego. Prima di passare all'esame delle singole questioni può essere utile ricordare che, in forza del combinato disposto degli artt. 447-bis e 25 c.p.c., per le controversie relative ad una locazione di immobile urbano condotto dall'amministrazione dello Stato, è competente per territorio il giudice del luogo ove ha sede l'ufficio dell'avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova l'immobile locato (Trib. Milano 20 maggio 1996). L'essenziale questione da esaminare, in proposito, attiene al rapporto tra l'art. 42, comma 2, della l. n. 392/1978, da un lato, e, dall'altro, il comma 1, della medesima disposizione e l'art. 27 della l. n. 392/1978. Ben si comprende, infatti, che tanto lo Stato quanto gli altri enti pubblici territoriali possono esercitare attività di rilievo direttamente imprenditoriale e, nel fare ciò, possono servirsi, in tutto o in parte, di immobili presi in locazione: si pensi al capannone condotto in locazione da un Comune e destinato ad autorimessa dei mezzi pubblici utilizzati dalla locale azienda trasporti urbani. È parimenti evidente, poi, che lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali possono svolgere, servendosi di immobili locati, attività ricreative, assistenziali o culturali: basti menzionare le scuole. Sicché sorge il quesito se, dinanzi alla locazione di un immobile destinato a simili attività debba farsi applicazione dell'art. 27 ovvero – ma quest'ultimo quesito è di importanza evidentemente secondaria, data l'identità della disciplina giuridica – dell'art. 42, comma 1, della l. n. 392/1978, piuttosto che del comma 2, della medesima disposizione: val quanto dire che occorre nuovamente interrogarsi sul carattere residuale della disposizione, mirando a «coprire» attività che, altrimenti, rimarrebbero al di fuori del campo di applicazione della legge speciale. Ebbene, già la prima giurisprudenza di merito formatasi successivamente all'entrata in vigore della legge ha affermato che, con l'amplissima disposizione dell'art. 42, comma 1, della l. n. 392/1978 il legislatore «non ha esaurito la tutela dell'intero settore di attività dello Stato e degli enti pubblici territoriali, tanto è che nel secondo comma ha aggiunto anche la qualificazione soggettiva per sancirne l'assoggettabilità alla disciplina; se, pertanto, già con la qualificazione oggettiva dell'attività, non possono escludersi dai soggetti che la esplicano gli enti pubblici territoriali o meno, il comma 2, dell'art. 42 ha carattere di norma residuale in quanto, lungi dal porsi in alternativa al comma primo, l'estende a tutti i contratti, rientrino o meno nella previsione oggettiva, che abbiano Stato ed enti pubblici territoriali quali conduttori» (così Pret. Savona 19 dicembre 1979). Negli stessi giorni, un altro Pretore ligure formulava conclusioni non dissimili: «L'attore [...] osserva che l'avere il legislatore compreso nell'art. 42 i contratti stipulati dallo Stato e altri enti territoriali porterebbe alla conclusione che la fattispecie dell'art. 27 comprenderebbe solo i rapporti nei quali conduttore è un soggetto privato e non anche quelli facenti capo alle pubbliche amministrazioni (quale l'azienda municipalizzata); perché se li considerasse, l'art. 42 sarebbe del tutto inutile in quanto ribadirebbe un concetto già presente nell'art. 27. Ma l'argomento [...] si rivela, a ben guardare, un sofisma. Dire che nell'art. 42 sono compresi solo i contratti dello Stato e di enti pubblici territoriali può certo voler dire che in esso non sono compresi anche i contratti delle aziende municipalizzate, o di altri enti pubblici; ma non si vede come l'essere stati tali ultimi contratti esclusi dall'art. 42 dovrebbe portare a ritenere gli stessi esclusi anche dall'ambito della norma dell'art. 27. Si dice che altrimenti l'art. 42 sarebbe del tutto inutile: niente di più inesatto. Invero, lo Stato e degli enti pubblici territoriali, in genere, non stipulano contratti di locazione di immobili destinandoli ad attività industriale, commerciale, artigianale. Gli immobili condotti dallo Stato e da detti enti sono, in genere, destinati all'attività propria e tipica di Stato ed enti pubblici territoriali, che non è certo, come è noto, attività del genere di quelle indicate dall'art. 27. Da ciò, appunto, la necessità (essenziale) di una previsione espressa, la necessità dell'inclusione dei contratti da detti enti stipulati nel novero di quelli di cui all'art. 42 (senza tale inclusione, si sarebbe presentata con maggior accanimento la disputa, già viva sotto l'impero delle precedenti leggi, circa la sottoposizione al vincolo dei tanti contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni: PP.TT., caserme, scuole ecc.)» (Pret. Sanremo 10 dicembre 1979). Secondo un diverso indirizzo, rientrerebbero nella previsione dell'art. 42 della l. n. 392/1978 tutti i contratti di locazione di immobili urbani stipulati dallo Stato o da enti pubblici territoriali e tutti i contratti di locazione stipulati da soggetti diversi dai suddetti che riguardino immobili che siano adibiti ad una delle attività indicate nella norma, senza distinzione fra fine di lucro o meno e senza alcun riferimento al carattere imprenditoriale o meno delle attività, poiché lo spirito della norma è unicamente quello di facilitare la diffusione e lo svolgimento di attività di rilevante carattere sociale che la Costituzione non riserva esclusivamente allo Stato e ad altri enti pubblici territoriali (Trib. Lucca 29 luglio 1991). Questo il ragionamento seguito dal Tribunale toscano: «L'art. 42 disciplina i contratti di locazione adibiti ad attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche nonché i contratti di locazione stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori. La norma, così formulata, lascia chiaramente intendere che nella sua orbita vengono ad essere attratti, da un lato, quei contratti adibiti ad attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche e, dall'altro, tutti quei contratti che sono stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali evidentemente senza alcun riguardo all'attività cui l'immobile locato venga adibito. In altri termini la norma opera una chiara distinzione prima con riferimento ai soggetti che assumono la qualità di conduttori e, poi, con riferimento al tipo di attività svolta nell'immobile. Così i contratti stipulati dallo Stato o da altro ente pubblico territoriale sono sempre sottoposti alla disciplina dell'art. 42, indipendentemente dall'attività che venga svolta nell'immobile locato, mentre i contratti stipulati da tutti gli altri soggetti e cioè, enti pubblici non territoriali, enti ecclesiastici, associazioni non riconosciute e privati, sono disciplinati dall'art. 42 solo se nell'immobile locato venga svolta un'attività ricreativa, assistenziale, culturale e scolastica. Se è questa la portata della norma sembra al collegio che la distinzione operata dal primo giudice, basata sulla natura imprenditoriale o meno dell'attività e sul fine di lucro o meno che con una delle attività si persegue, non ha alcun supporto concreto. In effetti il legislatore ha inteso attrarre nell'orbita dell'art. 42 determinate attività che si connotano per i fini di rilevante utilità sociale che perseguono e la ragione è evidente. Allo scopo di incrementare tali attività, il cui svolgimento è conforme a specifici precetti costituzionali, quali la libertà di associazione, la promozione di manifestazioni dello spirito e la diffusione della cultura e dell'istruzione che, nell'ottica del costituente, non sono prerogative solo dello Stato, il legislatore si è preoccupato di garantire ai promotori di tali attività la possibilità di reperire facilmente una sede o ambienti nei quali concretizzare ed attuare le finalità che le varie attività indicate perseguono. E non vi è dubbio che, esonerando dall'obbligo di corresponsione dell'indennità di avviamento i locatori di un immobile destinato allo svolgimento di dette attività, ha facilitato il compito ai promotori di esse che, non avendo diritto ad alcuna indennità alla cessazione del rapporto, agevolmente possono reperire nel difficile mercato locatizio del nostro Paese un immobile adeguato. È evidente, allora, che una siffatta lettura della norma non solo rende la distinzione operata dal primo giudice poco coerente con le finalità che l'art. 42 si propone ma crea anche situazioni discriminatorie fra tutte le varie attività ivi contemplate. In effetti mentre è possibile configurare un'attività scolastica organizzata a fini di lucro difficile è immaginare un'attività culturale o assistenziale che abbia lo stesso fine e, se così è, seguendosi la distinzione operata dal Pretore, nell'ambito dello stesso elenco contenuto nell'art. 42, vengono ad attuarsi ulteriori distinzioni che la norma, nello spirito con cui è stata formulata, non ha inteso prevedere. Sostenendosi, invece, come ritiene questo tribunale, che l'art. 42 assorbe tutti quei contratti di locazione di immobili urbani stipulati dallo Stato o da enti pubblici territoriali o tutti quei contratti di locazione stipulati da soggetti diversi dai suddetti ma che riguardino immobili che siano adibiti ad una delle attività nella norma indicate, senza distinzione fra fine di lucro o meno e senza alcun riferimento al carattere imprenditoriale o meno delle strutture, non solo si è più aderenti al testo letterale della norma ma si è, soprattutto, più coerenti con il suo spirito che è, come detto, unicamente quello di facilitare la diffusione e lo svolgimento di attività di rilevante carattere sociale che la Costituzione non riserva esclusivamente allo Stato o ad altri enti pubblici territoriali» (così Trib. Lucca 29 luglio 1991). Seguendo un simile ragionamento occorrerebbe capovolgere l'intera sistematica delle tipologie locatizie non abitative comunemente adottata dall'entrata in vigore della legge dell'equo canone: se il criterio di valutazione dovesse essere identificato nella maggiore o minore facilità, per il conduttore, di reperire un immobile e, dunque, nella maggiore o minore disponibilità del locatore a locare, dovrebbe ritenersi che il legislatore abbia inteso avvantaggiare, ad esempio, coloro i quali svolgono attività professionali rispetto a coloro che esercitano un'impresa, e maggiormente abbia inteso avvantaggiare coloro i quali svolgono attività non riconducibili alla legge speciale, che – senza alcun vincolo di durata e di canone – sono senz'altro i conduttori più «ricercati» da chi intenda locare. Insomma, l'impostazione del discorso appare poco persuasiva, dal momento che la latitudine della tutela predisposta dal legislatore in funzione della tipologia del rapporto va valutata sulla base delle garanzie che lo stesso legislatore appresta a tutela del rapporto medesimo: sicché, come è evidente, una tipologia che ha durata tendenziale di dodici anni, canone suscettibile di limitato aggiornamento, indennità per la perdita dell'avviamento e prelazione è più tutelata di una tipologia che gode della sola durata e del limite all'aggiornamento del canone. Al contrario, se dovesse aderirsi al ragionamento appena esposto, dovrebbe giungersi alla conclusione che il legislatore, con l'art. 42, comma 2, della l. n. 392/1978, ha inteso complessivamente comprimere, non ampliare, l'ambito della tutela: ché lo Stato od altro ente pubblico territoriale il quale conducesse un immobile destinato ad una delle attività a tutela piena di cui all'art. 27 della l. n. 392/1978 si vedrebbe riservare un trattamento deteriore solo in ragione delle proprie qualità soggettive. In definitiva, il legislatore avrebbe trattato lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali peggio degli altri conduttori, pure in caso di esercizio delle medesime attività. Perciò, rettamente interpretando la disposizione in commento, va condiviso l'assunto secondo cui: «La natura residuale delle previsioni dell'art. 42 sembra doversi trarre proprio dal complessivo sistema che ha inteso non limitare la tutela, in relazione a determinate attività ovvero a particolari conduttori, bensì proteggere – anche se in misura meno incisiva – quelle attività e quei conduttori qualora la loro situazione fosse al di fuori di ogni altra, più favorevole previsione» (Lazzaro, Preden, 118). In tal senso, deve senz'altro riconoscersi portata generale al principio formulato dalla Suprema Corte con riguardo agli immobili destinati ad attività scolastiche, attività assoggettate all'art. 42 della l. n. 392/1978 soltanto in quanto non ricompresse nell'art. 27 della l. n. 392/1978 (v. le citate Cass. III, n. 12252/1997; Cass. III, n. 5089/1996; Cass. III, n. 9395/1995; Cass. III, n. 6019/1995; Cass. III, n. 4487/1994; Cass. III, n. 10453/1994) e ribadirsi che occorre avere riguardo alla attività che in concreto viene svolta nell'immobile, non alla natura ed alla qualifica del conduttore (Cass. III, n. 3232/1990). Con riguardo alle ipotesi alle quali si applica l'art. 42, comma 2, della l. n. 392/1978, è stato chiarito che vanno ricondotte all'area di applicazione della norma le locazioni stipulate da un comune in qualità di conduttore al fine di destinare l'immobile a parcheggio dei mezzi in dotazione al corpo dei vigili urbani (Cass. III, n. 15082/2000). Cade sotto la disciplina dell'art. 42 della l. n. 392/1978 la locazione conclusa come conduttore dal Ministero per la protezione civile di un immobile da destinare a scuola per gli alunni di Pozzuoli, rimasti privi di aule in conseguenza di eventi sismici, stipulata per la durata di due anni salvo proroga, in attesa del ritorno della situazione alla normalità (Cass. III, n. 7246/1994). Non possono invece esservi ricomprese le locazioni stipulate dagli enti pubblici territoriali diversi dai comuni, dalle province e dalle regioni, anche se ad essi strutturalmente legati (Cass. III, n. 8880/1991). La norma non si applica, poi, alla soppressa Cassa per il Mezzogiorno e all'agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno, che alla stregua della relativa disciplina legislativa vanno considerati enti pubblici distinti dallo Stato, e non organi di questo (Cass. III, n. 3620/1990). La disciplina in esame – come chiarito da Trib. Taranto 25 gennaio 1988 e Pret. Firenze 6 aprile 1987 – neppure si applica alle Camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura. Le disposizioni di cui agli artt. 27 e 42 della l. n. 392/1978 sono inapplicabili agli enti pubblici non territoriali e non economici, quale l'Ente nazionale cellulosa e carta (Pret. Roma 10 febbraio 1982). Si è già visto che l'art. 42 in commento non si applica all'Inps, in quanto ente pubblico non territoriale (Pret. Reggio Calabria 30 giugno 1979; Pret. Catanzaro 20 ottobre 1978). In mancanza del duplice presupposto soggettivo ed oggettivo previsto dalla norma – natura territoriale dell'ente ovvero svolgimento di un'attività tutelata – va pure esclusa l'applicabilità della medesima alla locazione stipulata dalla Banca d'Italia (Pret. Salerno 2 maggio 1980). BibliografiaBarrasso, Di Marzio, Falabella, La locazione. Percorsi giurisprudenziali, Milano, 2008; Benedetti, La locazione tra codice civile e leggi speciali, in AA.VV., Contratti non soggetti all'equo canone, Milano, 1981; Bernardi, Coen, Del Grosso, Art. 4. Recesso del conduttore, in Bianca, Irti, Lipari, Proto Pisani, Tarzia (a cura di), Equo canone. Disciplina delle locazioni di immobili urbani, Padova, 1980; Bompani, Equo canone. Guida normativa, Firenze, 1978; Bompani, Uso diverso dal pattuito nelle locazioni urbane, in Giust. civ., 1979, II, 225; Bozzi, Confortini, Del Grosso, Zimatore, Locazione di immobili urbani, in Noviss. dig. it., app., Torino, 1983, 1005; Bucci, Malpica, Redivo, Manuale delle locazioni, Padova, 1989; Buoncristiano, Artt. 34 e 35, in Bianca, Irti, Lipari, Proto Pisani, Tarzia (a cura di), Equo canone. Disciplina delle locazioni di immobili urbani, Padova, 1980; Carrato, Questioni problematiche sulla durata delle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione e conseguenze applicative in ordine alle modalità di recesso del locatore, in Arch. loc., 1999, 135; Carrato, Scarpa, Le locazioni nella pratica del contratto e del processo, Milano, 2015; Catelani, Manuale della locazione, Milano, 1997; Coco, Locazione (diritto privato), in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974; Confortini, Problemi generali del contratto attraverso la locazione, Padova, 1988; Cosentino, Vitucci, Le locazioni dopo le riforme del 1978-1985, Torino, 1986; Cuffaro, Art. 42. Destinazione degli immobili a particolari attività, in Bianca, Irti, Lipari, Proto Pisani, Tarzia (a cura di), Equo canone. Disciplina delle locazioni di immobili urbani, Padova, 1980; Cupido, Militerni, Le locazioni alberghiere, Milano, 1983; Desi, I contratti di gestione dei rifugi alpini: affitto di azienda o locazione alberghiera, in Arch. loc., 1992, 19; Di Marzio, Il procedimento per convalida di licenza e sfratto, Milano, 1998; Di Marzio, Le locazioni ad uso diverso dall'abitazione, in Cuffaro (a cura di), La locazione. Disciplina sostanziale e processuale, Bologna, 2009; Di Marzio, Falabella, La locazione, Torino, 2010, 2223; Furgiuele, Destinazione oggettiva e contratto di locazione immobiliare, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1983, 24; Gabrielli, Padovini, La locazione di immobili urbani, Padova, 2001; Galli, La locazione ad uso abitativo, Padova, 1984; Galli, Delle locazioni di fondi urbani, in Comm. cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1996; Giove, Le locazioni non abitative, Rimini, 1986; Guarino, Locazione, Milano, 1965; Iacono, L'art. 42 della legge 27 luglio 1978, n. 392, in Arch. loc., 1989, 433; Izzo, Le locazioni per attività particolari: improprietà della formula e travisamento della volontà legislativa, in Giust. civ., 1999, I, 2414; Lazzara, Il contratto di locazione (profili dogmatici), Milano, 1961; Lazzaro, Preden, Le locazioni per uso non abitativo, Milano, 2010; Miccio, La locazione, Torino 1980; Minunno, Art. 28. Rinnovazione del contratto, in Bianca, Irti, Lipari, Proto Pisani, Tarzia (a cura di), Equo canone. Disciplina delle locazioni di immobili urbani, Padova, 1980; Papanti Pelletier, Art. 36. Sublocazione e cessione del contratto di locazione, in Bianca, Irti, Lipari, Proto Pisani, Tarzia (a cura di), Equo canone. Disciplina delle locazioni di immobili urbani, Padova, 1980; Pozzi, Il recesso del conduttore nella disciplina della legge n. 392 del 1978, in Giur. it., 1982, IV, 173; Provera, La locazione. Disposizioni generali, in Comm. cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1980; Scannicchio, Art. 29. Diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza, in Bianca, Irti, Lipari, Proto Pisani, Tarzia (a cura di), Equo canone. Disciplina delle locazioni di immobili urbani, Padova, 1980; Sforza, Art. 31. Sanzioni, in Bianca, Irti, Lipari, Proto Pisani, Tarzia (a cura di), Equo canone. Disciplina delle locazioni di immobili urbani, Padova, 1980; Tabet, La locazione-conduzione, Milano, 1972; Tamponi, Art. 79, in Bianca, Irti, Lipari, Proto Pisani, Tarzia (a cura di), Equo canone. Disciplina delle locazioni di immobili urbani, Padova, 1980; Terzago, Le locazioni dopo l'equo canone, Milano, 1980; Trifone, La locazione. Disposizioni generali e locazione di fondi urbani, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, IX, Torino, 1984; Visco, Le case in locazione. Trattato teorico-pratico, Milano, 1969. |