Legge - 27/07/1978 - n. 392 art. 35 - Limiti.

Mauro Di Marzio

Limiti.

Le disposizioni di cui all'articolo precedente non si applicano in caso di cessazione di rapporti di locazione relativi ad immobili utilizzati per lo svolgimento di attività che non comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori nonché destinati all'esercizio di attività professionali, ad attività di carattere transitorio, ed agli immobili complementari o interni a stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici.

Inquadramento

Come si è già avuto modo di osservare nel commento all'art. 27 l. n. 392/1978, la disciplina delle locazioni non abitative reca una complessa e pregnante tutela dell'avviamento commerciale, ossia, semplificando, della capacità dell'impresa di produrre utili, tutela apprestata attraverso: i) la prelazione da parte del conduttore in caso di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato, ovvero (ipotesi di rilievo assai minore e di scarsa applicazione pratica) di nuovo locazione (artt. 38, 38 e 40 l. n. 392/1978); ii) l'indennità per la perdita dell'avviamento medesimo (art. 34 l. n. 392/1978).

Da un lato, il legislatore favorisce il conduttore il quale eserciti nell'immobile locato le attività enumerate dall'art. 27, preferendolo nel caso che tale immobile sia alienato ovvero sia nuovamente concesso in locazione, sì da tutelare l'interesse della collettività al mantenimento delle aziende e consentire la prosecuzione dell'attività di volta in volta esercitata; dall'altro lato prevede il pagamento, da parte del locatore, di una somma di denaro nel caso che il rapporto si sciolga per effetto della scadenza del termine finale e, conseguentemente, l'avviamento – per così dire – inscritto nell'immobile vada perduto.

Ed invero, ai fini del riconoscimento del diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale rileva l'abituale esercizio, nei locali condotti in locazione, di un'attività in forma di impresa con stabile organizzazione aziendale gestita secondo criteri di economicità, non essendo invece necessario l'ulteriore requisito dello scopo di lucro dell'attività (Cass. III, n. 23344/2019, che ha riconosciuto la spettanza dell'indennità di avviamento ad un'associazione esercitante, con stabile organizzazione aziendale, attività di insegnamento ed istruzione offerta al pubblico).

La norma ora in commento, in particolare, rinviando all'art. 34 della l. n. 392/1978, in tema di indennità per la perdita dell'avviamento, stabilisce, nella sua prima parte, che le disposizioni di cui alla citata norma, dettate in tema di indennità per la perdita dell'avviamento, non si applicano in caso di cessazione di rapporti di locazione relativi ad immobili:

2) utilizzati per lo svolgimento di attività che non comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori;

b) destinati all'esercizio di attività professionali;

c) destinati ad attività di carattere transitorio;

d) complementari o interni a stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici.

Dubbi sono stati prospettati, in giurisprudenza, quanto alla spettanza dell'indennità nel caso che l'attività sia svolta da impresa monopolistica. Mentre la Corte costituzionale ha giudicato manifestamente infondata la questione circa la previsione del diritto del conduttore all'indennità di avviamento commerciale anche per gli immobili destinati all'esercizio di attività svolta dal conduttore in regime di monopolio o concessione (Corte cost., n. 481/1989), alcuni giudici di merito hanno talora optato per una interpretazione restrittiva della disciplina, escludendone l'applicazione alla imprese operanti in un mercato non concorrenziale (Pret. Salerno 10 febbraio 1995; Pret. Salerno 17 gennaio 1995; Pret. Parma 25 novembre 1981). La Corte di legittimità non ha affrontato direttamente il problema, ma ha comunque avuto modo di affermare che il diritto all'indennità spetta anche laddove il locatario sia titolare di un'impresa di particolare rinomanza (Cass. III, n. 11245/1990).

I contatti diretti con il pubblico

Le locazioni di immobili destinati allo svolgimento di attività che non comportano rapporti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, sulle quali occorre anzitutto soffermarsi, non godono dunque della tutela costituita dall'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale. Parimenti esse non godono della prelazione in caso di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato e del conseguente diritto di riscatto (artt. 38 e 39 l. n. 392/1978) né della prelazione in caso di nuova locazione (art. 40 l. n. 392/1978): e ciò ai sensi dell'art. 41 della stessa legge.

Tutti i presidii posti a tutela dell'avviamento commerciale, in definitiva, non trovano applicazione nel caso che l'attività esercitata nell'immobile non comporti rapporti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori: la ragione ispiratrice della previsione sembra evidente, dal momento che, se l'immobile non è aperto al pubblico, l'attitudine produttiva dell'azienda in esso costituita non è destinata a soffrire o, quantomeno, non è destinata a soffrire grandemente.

L'esistenza dei detti contatti costituisce dunque un punto cardine della disciplina: la tutela di un avviamento oggettivo, non legato alle particolari capacità dell'imprenditore, quanto, piuttosto, all'ubicazione dell'immobile, è subordinata al dato della normale frequentazione dei locali commerciali da parte della clientela; tale frequentazione lascia supporre, infatti, che l'immobile locato abbia, sul territorio, una capacità di attrarre gli utenti dei servizi e i consumatori dei beni offerti e giustifica, pertanto, l'attribuzione di un compenso per la chiusura o il semplice spostamento dell'esercizio commerciale.

Prendendo in esame l'espressione impiegata dal legislatore, la dottrina ha precisato che «contatti diretti» sono quelli che si esplicano nei confronti della massa originariamente indifferenziata dei destinatari del prodotto o del servizio (Cosentino, Vitucci, 459; Bucci, Malpica, Redivo, 495; Lazzaro, Preden, 739; Gabrielli, Padovini, 775); il «pubblico degli utenti e dei consumatori» è, d'altra parte, composto da coloro che si procurano il bene o la prestazione d'opera quali fruitori finali, senza farne oggetto di scambio (Buoncristiano, 394; Bucci, Malpica, Redivo, 495); in altri termini, è necessario che il cliente costituisca l'ultimo anello della catena distributiva (Gabrielli, Padovini, 774).

Si è dunque efficacemente chiarito che, se il legislatore non avesse inteso distinguere fra l'utente o consumatore mediato e quello finale, avrebbe omesso del tutto l'espressione «pubblico» perché superflua, mentre è chiaro che la stessa identifica la massa dei fruitori finali del prodotto (Buoncristiano, 394). Occorre tuttavia osservare, con particolare riguardo alla figura dell'utente, che il servizio potrebbe essere oggetto sia di una fruizione finale, per il soddisfacimento di un'esigenza strettamente personale o familiare, sia di un impiego strumentale all'esercizio di una diversa attività economica o professionale (Lazzaro, Preden, 739).

Nello stesso senso si è pronunciata la giurisprudenza, la quale ha osservato che «contatto diretto col pubblico dei consumatori» deve intendersi come svolgimento di una attività che contempli la frequentazione dei locali da parte della generalità dei destinatari finali del prodotto (Cass. III, n. 20960/2006). La giurisprudenza sul punto può dirsi ferma (Cass. III, n. 14610/2005; Cass. III, n. 10598/2000; Cass. III, n. 1435/1999), anche laddove viene precisato che il contatto con i fruitori finali dell'offerta debba avvenire senza intermediazione (Cass. III, n. 20829/2006; Cass. III, n. 11865/1998; Cass. III, n. 1632/1998). È egualmente ribadito che l'accesso nell'immobile deve riguardare la generalità originariamente indifferenziata degli utenti e dei consumatori finali (Cass. III, n. 20829/2006; Cass. III, n. 4433/1996; Cass. III, n. 5471/1994): e cioè tutti coloro che siano potenzialmente interessati alla prestazione offerta.

Peculiarità dell'attività e contenuta estensione della clientela

Secondo la Suprema Corte, la specializzazione dell'impresa e la particolare connotazione della clientela, oltre che le modalità dei rapporti commerciali fra l'impresa ed i suoi clienti, possano concorrere ad escludere che l'immobile locato assolva al necessario ruolo ambientale di contatti diretti con il pubblico dei fruitori, mentre l'assenza di pericolo di sviamento della clientela per il caso di cambiamento di sede può rivestire solo valore indiziario secondario della mancanza del suddetto requisito ambientale (Cass. III, n. 7229/1987). È stata così cassata la pronuncia del giudice del merito che aveva escluso la sussistenza del requisito sopraindicato con riguardo ad un'impresa che, vendendo veicoli industriali, si rivolgeva esclusivamente ad una limitata clientela di piccoli e medi trasportatori per le esigenze dei loro traffici (Cass. III, n. 1304/1989). Nella stessa prospettiva è stato affermato che tra le attività le quali comportano contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori vanno considerate non solo le attività rivolte ad una generalità indiscriminata di persone, bensì anche a quelle cui è interessata una cerchia limitata di soggetti individuabili attraverso il comune riferimento a situazioni specifiche (Cass. III, n. 22/1988, che ha escluso che l'esercizio da parte del conduttore di attività pubblicitaria mediante affissioni impedisca di per sé di riconoscergli il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale). In tal senso rientrano nel pubblico degli utenti e dei consumatori anche coloro che acquistino il bene per realizzare altri beni a loro volta oggetto di commercio ovvero per utilizzarlo in una loro attività artigianale o industriale diretta a fornire ad altri dei servizi e di escluderne, invece, quanti comperino il bene al solo fine di rivenderlo come tale (Cass. III, n. 4644/1995).

La dottrina concorda, osservando che la disciplina in tema di indennità si estende alle ipotesi di fornitura di beni che, attraverso la loro trasformazione e lavorazione, rientrano nel ciclo produttivo di altri beni (Buoncristiano, 394).

In definitiva, se, attraverso la commercializzazione di beni strumentali all'altrui attività economica si instaura un contatto con una clientela, per quanto limitata, siamo nel campo di applicazione della disciplina dettata in tema di indennità di avviamento (Cass. III, n. 11865/1998). Difatti, è lo stesso art. 35 a prevedere accanto ai consumatori gli «utenti», cioè coloro che utilizzano il bene acquistato; utilizzazione che può avere carattere strettamente personale ovvero servire per soddisfare bisogni della propria attività (come nel caso di acquisto di materiale cartaceo consistente in fatture, bolle, carta intestata, ecc.) o per motivi promozionali o pubblicitari ad essa collegati (come nel caso di acquisto di manifesti, calendari pubblicitari, ecc.).

Altre parte della dottrina ha tuttavia evidenziato come il principio non risulti essere del tutto pacifico, o comunque conseguentemente applicato (Lazzaro, Preden, 763).

Infatti, la Suprema Corte ha negato il diritto all'indennità all'odontotecnico sulla base del rilievo per cui tale soggetto può avere contatti solo coi sanitari abilitati all'esercizio dell'odontoiatria e non col pubblico degli utenti finali (Cass. III, n. 8847/1995).

La giurisprudenza di merito era in passato orientata ad escludere la sussistenza del diritto all'indennità nei casi in cui il destinatario dell'offerta fosse un operatore economico. Nel campo dei servizi, si è così escluso che l'indennità di avviamento commerciale spetti in caso di locazione di immobile nel quale svolga la propria attività uno spedizioniere, qualora nei locali accedano corrieri e corrispondenti principalmente ai fini dell'esercizio della propria attività professionale (Trib. Milano 16 gennaio 1997), ovvero nell'ipotesi di esercizio di agenzia pubblicitaria la cui clientela sia costituita in massima parte da operatori economici (Trib. Milano 15 maggio 1986), o, ancora, nel caso di gestione di uno studio fotografico, che svolga prevalentemente la propria attività in favore di agenzie pubblicitarie che si rivolgono al titolare dello studio per utilizzare i servizi fotografici da questo realizzati (Trib. Milano 9 maggio 1985). Altro giudice di merito ha riconosciuto il diritto all'indennità a chi svolga attività di noleggio di pellicole cinematografiche in favore dei titolari di sale cinematografiche, ritenendo che il pubblico degli utenti e consumatori, nel caso di attività di prestazione di servizi, può non essere costituito dagli utenti finali del servizio (Pret. Firenze 19 gennaio 1989). Alle medesime conclusioni è pervenuta altra pronuncia, con riferimento all'attività di riparazione di compressori d'aria per ditte artigiane o industriali i cui titolari si recavano nel laboratorio per l'esecuzione degli interventi e poi per riprodurli riparati (Pret. Brescia 4 febbraio 1993). Ancora, si è affermata l'inesistenza dei contatti diretti con il pubblico contemplati dall'art. 35 della l. n. 392/1978 in capo a chi commercializzi prodotti chimici per l'industria (Pret. Salerno 29 maggio 1989), a chi operi la vendita, oltre che la posa in opera e la manutenzione, di impianti di posta pneumatica (Pret. Roma 7 aprile 1989), a chi commercializzi macchine utensili per produzioni meccaniche (Pret. Milano 10 marzo 1990), alla concessionaria di veicoli industriali, con clientela costituita da piccoli e medi trasportatori che utilizzino i mezzi per la loro attività lavorativa (Trib. Milano 25 marzo 1985) e alla società che operi la vendita degli ascensori a imprese edili (Trib. Milano 16 gennaio 1989).

Dall'esistenza di una limitata cerchia di clienti, va tenuto distinto il dato della frequentazione saltuaria dell'immobile da parte dei soggetti interessati ai beni e ai servizi offerti. La Suprema Corte ha così negato il diritto all'indennità ad una impresa di spedizioni sul rilievo che nell'immobile locato si erano avuti non contatti diretti con la generalità degli utenti, bensì sporadici accessi da parte di determinati clienti (Cass. III, n. 3551/1990).

Commercio all'ingrosso

Non sussiste contatto diretto con gli utenti e consumatori nel caso in cui nell'immobile locato si svolga attività di commercio all'ingrosso.

Poiché, infatti, la legge richiede una relazione diretta con gli utenti e i consumatori finali, senza l'interposizione di altri operatori economici che concorrano nella circolazione del medesimo prodotto, il grossista (e cioè colui che acquista in bene per rivenderlo ad altri soggetti che ne esercitano professionalmente il commercio) è chiaramente escluso dall'ambito di applicazione della disciplina in commento (Cass. III, n. 4433/1996; Cass. III, n. 1796/1991; Cass. III, n. 4664/1989).

Nel caso in cui l'immobile sia destinato al contestuale svolgimento della vendita al dettaglio e all'ingrosso va poi risolto alla stregua del criterio della prevalenza. Pertanto, poiché nelle ipotesi in cui l'immobile locato sia adibito ad usi diversi la disciplina applicabile è quella relativa all'uso prevalente, l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale compete al conduttore dell'immobile soltanto quando l'attività di vendita al minuto, con modalità che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori sia esclusiva o prevalente rispetto ad altre attività esercitate nello stesso locale (Cass. III, n. 1700/1997; Cass. III, n. 1232/1997, che, in fattispecie di attività di vendita all'ingrosso di apparecchiature farmaceutico-sanitarie, ha cassato la sentenza del giudice del merito che, dando rilievo allo svolgimento nei locali anche di una attività di vendita al dettaglio di tali apparecchiature, senza porsi il problema del carattere prevalente o no di quest'ultima, aveva accolto la domanda di indennità di avviamento.

Locale strumentale all'esercizio dell'attività a contatto con il pubblico

Ha in passato ritenuto la Suprema Corte che l'indennità non potesse essere negata per il solo fatto che le vendite fossero concluse in locali vicini a quello oggetto del rapporto, qualora risultasse accertato che l'immobile locato era obiettivamente inserito nell'organizzazione aziendale e rispondeva alle esigenze tipiche dell'impresa, essendo funzionale alla produttività aziendale e influendo sul volume degli affari (Cass. III, n. 5471/1994; Cass. III, n. 3862/1992; Cass. III, n. 810/1987).

L'orientamento della giurisprudenza si è, però, nel corso del tempo modificato, sicché il dato costituito dalla accessorietà del locale rispetto ad altro immobile aziendale, in cui abbiano luogo contatti diretti col pubblico è oggi considerato privo di decisiva rilevanza. Afferma la Suprema Corte, infatti, che l'immobile utilizzato a locale di esposizione, in tanto può determinare l'esistenza del diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento, in quanto il conduttore istante provi che possa essere considerato come luogo aperto alla frequentazione diretta della generalità dei consumatori e, dunque, da sé solo in grado di esercitare un richiamo su tale generalità, così divenendo un collettore di clientela ed un fattore locale di avviamento, senza che possa darsi rilievo al modo dell'organizzazione dell'attività del conduttore e alla circostanza che questi abbia creato un vincolo di accessorietà funzionale tra l'immobile adibito a deposito ed esposizione e l'immobile destinato alla vendita (Cass. III, n. 13083/2008; Cass. III, n. 14610/2005; nel medesimo senso Cass. III, n. 6397/2004; Cass. III, n. 1435/1999; terzo in corsivo).

Diviene, dunque, decisiva la circostanza del libero accesso del pubblico nei locali per ivi contrattare col conduttore. Il diritto all'indennità per l'avviamento commerciale non spetta perciò nel caso di cessazione della locazione di immobile utilizzato per lo svolgimento di attività che non comporti il contatto diretto con il pubblico degli utenti o dei consumatori, sicché la tutela privilegiata della locazione imprenditoriale o di lavoro autonomo, sotto tale profilo, trova ingresso solo quando l'immobile locato costituisce il luogo in cui il pubblico medesimo liberamente accede per concludere rapporti negoziali con il conduttore. L'esigenza che i contatti diretti si instaurino nell'immobile locato, del resto, esprime la ratio essenziale dell'istituto, che riconduce la causa genetica dell'avviamento alla funzione che in concreto svolge l'immobile quale fattore di clientela (Cass. III, n. 20829/2006).

Con specifico riguardo alla fattispecie del locale adibito ad esposizione e a deposito di merce, la Suprema Corte ha ribadito che, per la sussistenza del diritto all'indennità, è necessario che l'immobile locato sia idoneo di per sé a favorire l'accrescimento ed il mantenimento della clientela, sì da determinare in concreto quell'avviamento commerciale, alla cui tutela è volta la norma di cui all'art. 35 della l. n. 392/1978: e non può dirsi che un locale, adibito esclusivamente a deposito e ad esibizione di mobili, sia idoneo da solo, senza la sussistenza di ulteriori elementi, quale l'ausilio di intermediari, alla frequentazione diretta e della generalità dei destinatari finali dell'offerta dei beni e servizi (Cass. III, n. 14610/2005; Cass. III, n. 505/2001). È dunque escluso che l'indennità spetti ove il pubblico possa fare ingresso nel locale adibito ad esposizione solo se accompagnato (Cass. III, n. 20960/2006; sul tema v. pure Cass. III, n. 10598/2000; Cass. III, n. 9869/1997; Cass. III, n. 10460/1993).

Secondo altre pronunce (risalenti però al più remoto degli indirizzi giurisprudenziali di cui si è in precedenza dato conto), l'indennità spetterebbe anche nel caso di merce esposta in un locale visibile dall'esterno, cui gli interessati all'non abbiano ingresso. È questo il caso del locale privo di pubblico accesso, con prodotti esibiti in vetrina. Si è osservato che una mostra con vetrina senza possibilità di accesso, che guarda la pubblica via, certamente non permette ai consumatori di entrare nell'ambiente ma non impedisce neanche di esaminare la merce esposta, valutare i suoi pregi e difetti, compiere scelte, considerare l'opportunità di fare acquisti: il che non differisce molto dal fatto che il consumatore possa entrare, perché è il rapporto visivo che rende possibili i comportamenti ora detti. Se poi sul fronte della mostra viene apposto un cartello che indica il vicino negozio, occorre riconoscere che la vetrina, oltre a non impedire quel contatto personale con il venditore che costituisce la vera ragione dell'indennità, contribuisce al successo delle vendite. Anche in ipotesi del genere quindi una mostra-vetrina costituisce strumento essenziale e diretto per l'attività di vendita al pari di ogni altro locale aperto al pubblico e può dare perfino il vantaggio di permettere un esame prolungato e ripetuto della merce, circostanze non sempre possibili in locali in cui il pubblico affluisca di continuo (Cass. III, n. 1457/1983). Analoghe osservazioni sono state costantemente formulate con riguardo ai locali adibiti ad uso esclusivo di deposito o magazzino (Cass. III, n. 12250/1997; Cass. III, n. 5676/1997; Cass. III, n. 6269/1997; Cass. III, n. 6198/1995).

L'irrilevanza del collegamento funzionale tra l'immobile locato e l'altro, in cui abbiano effettivamente luogo i contatti diretti col pubblico, porta pure ad escludere che possa considerarsi protetta l'attività posta in essere all'interno di un laboratorio per la preparazione della merce, quantunque vi sia un passaggio che metta in comunicazione i due immobili (Cass. III, n. 6397/2004).

L'onere della prova

Al conduttore che agisca in giudizio per il riconoscimento dell'indennità compete l'onere di provare di aver svolto una delle attività protette, di cui si è in precedenza detto; ma egli deve altresì normalmente dimostrare di aver fatto ciò a contatto diretto col pubblico degli utenti e dei consumatori. Difatti, la norma di cui all'art. 2697 c.c., relativa alla generale disciplina dell'onere della prova in giudizio, trova applicazione, in sede di controversie insorte in tema di corresponsione dell'indennità di avviamento in favore del conduttore, nel senso che su quest'ultimo, nella veste di attore, grava l'onere di provare non solo di avere esercitato, nell'immobile, una delle attività per le quali l'indennità e prevista, ma anche che la medesima comportava contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori (Cass. III, n. 12125/2005; Cass. III, n. 5757/2003; Cass. III, n. 10397/1995).

L'onere della prova circa il contatto diretto col pubblico è però ribaltato quando detto contatto sia naturalmente connaturato alla destinazione contrattuale dell'immobile: e dunque, qualora la utilizzazione dell'immobile per un'attività comportante contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori derivi dalla stessa destinazione contrattuale dell'immobile (nella specie, ristorante e locanda), il conduttore che agisce per la liquidazione dell'indennità non ha l'onere di provare la suddetta circostanza, incombendo viceversa al locatore, che eccepisca una diversa destinazione effettiva dell'immobile, l'onere di provare tale fatto impeditivo della pretesa del conduttore, ai sensi dell'art. 2697, comma 2, c.c. (Cass. III, n. 11405/1992). Nel caso considerato, in altri termini, si verifica un'inversione dell'onere della prova conseguente all'applicazione della presunzione semplice concernente l'esistenza del contatto diretto col pubblico in presenza dello svolgimento di attività alle quali il contatto col pubblico è connaturato. Il requisito del contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori o cioè risultare implicitamente, in virtù del notorio, dalla destinazione dell'immobile ad una attività implicante necessariamente siffatta frequentazione (Cass. III, n. 20829/2006).

In sintesi, in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, il conduttore che, in seguito alla cessazione del rapporto, chieda il pagamento dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale non ha l'onere di provare che l'immobile era utilizzato per il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, se questa circostanza derivi dalla stessa destinazione contrattuale dell'immobile, gravando sul locatore, che eccepisce la diversa destinazione effettiva, l'onere di provare tale fatto impeditivo della suddetta pretesa, ai sensi dell'art. 2697, comma 2, c.c.. Qualora, invece, la destinazione contrattualmente individuata dalle parti non contempli necessariamente il contatto diretto con il pubblico, potendo implicarlo o meno, nel quadro dell'attività della parte conduttrice o anche della stessa destinazione prevista dalle parti, compete al conduttore provare che - com'era lecito nell'economia del regolamento contrattuale - l'immobile sia stato effettivamente adibito ad attività comportante il contatto in questione (Cass. III, n. 29303/2023, con riguardo alla locazione di un appartamento, le cui camere venivano pacificamente utilizzate, in aggiunta a quelle della struttura principale, per ospitare i clienti di un albergo, ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto incombesse al locatore dimostrare una diversa modalità di utilizzo, onde sottrarsi all'obbligo di corrispondere al conduttore l'indennità di cui all'art. 34 della l. n. 392 del 1978).

L'onere probatorio va inoltre a gravare sul locatore qualora sia egli ad agire in giudizio, in vista dell'accertamento negativo della spettanza di tale indennità al conduttore, a nulla rilevando che, trattandosi di prova negativa, l'adempimento di tale onere può rivelarsi, in concreto, particolarmente gravoso assolverlo (Cass. III, n. 9491/2000; Cass. III, n. 7282/1997).

Nella ipotesi di azione di accertamento negativo proposta dal locatore e di correlativo dispiegamento di domanda riconvenzionale da parte del convenuto, ambedue le parti dovranno ritenersi gravate dall'onere di provare le rispettive, contrapposte pretese, con conseguente soccombenza della parte incapace di assolverlo (Cass. III, n. 7282/1997).

In sintesi, può dirsi che la distribuzione dell'onere della prova nelle controversie in tema di indennità di avviamento è così regolata: la norma di cui all'art. 2697 c.c., relativa alla generale disciplina dell'onere della prova in giudizio, trova applicazione, in sede di controversie insorte in tema di corresponsione dell'indennità di avviamento in favore del conduttore, nel senso che a quest'ultimo (che rivesta la qualità di attore) spetta il compito di provare non solo di aver esercitato, nell'immobile, una delle attività per le quali l'indennità è prevista, ma anche che la medesima comportava contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, nessun obbligo di accertamento di ufficio gravando, in tal senso, sul giudice procedente; se, al contrario, la qualità di attore abbia ad esser rivestita dal locatore, onde ottenere l'accertamento negativo della spettanza di tale indennità al conduttore, sarà esclusivo onere del primo provare l'insussistenza dei presupposti del relativo diritto (a nulla rilevando che, trattandosi di prova negativa, l'adempimento di tale onere può rivelarsi, in concreto, particolarmente gravoso), mentre, nella ipotesi di azione di accertamento negativa proposta dal locatore e correlativo dispiegamento di domanda riconvenzionale da parte del convenuto, ambedue le parti dovranno ritenersi gravate dall'onere di provare esaustivamente le rispettive, contrapposte pretese, con conseguente soccombenza della parte incapace di assolverlo (Cass. III, n. 7282/1997).

È opportuno evidenziare, da ultimo, che la prova dei contatti diretti col pubblico non implica la necessità di dare riscontro dell'esistenza di insegne o di altri mezzi di richiamo per la clientela (Cass. III, n. 5510/2008).

Mutamento d'uso e simulazione

Può accadere che l'immobile sia in concreto destinato all'esercizio di un'attività esercitata a contatto diretto col pubblico, ma che ciò abbia luogo in difformità dalla previsione contrattuale: siffatta eventualità può ricorrere sia nell'ipotesi in cui le parti abbiano effettivamente pattuito la locazione dell'immobile per i fini dell'esercizio di un'attività che non comporti rapporti con il pubblico, si immagini un'attività di vendita all'ingrosso, ed il conduttore abbia poi adibito la cosa locata ad un'attività svolta a contatto con gli utenti ed i consumatori, sia nell'ipotesi in cui le parti abbiano simulatamente concluso il contratto per l'esercizio di un'attività non a contatto col pubblico.

Nella prima ipotesi, trova applicazione l'art. 80 della l. n. 392/1978 che prevede l'applicazione del regime giuridico corrispondente all'uso effettivo nel caso in cui il locatore, entro tre mesi dalla acquisita conoscenza del mutamento di destinazione, non agisca per la risoluzione del contratto (Cass. III, n. 17494/2007). Per contro non è accordabile la tutela prevista dall'art. 34 della l. n. 392/1978 al conduttore che abbia unilateralmente operato un mutamento d'uso dell'immobile, tale da rendere applicabile un regime giuridico diverso, senza che il locatore ne abbia avuto conoscenza, in quanto ciò esporrebbe quest'ultimo a subire una situazione che egli non ha in alcun modo contribuito a creare, neppure con la sua inerzia consapevole (Cass. III, n. 10723/2000).

Quanto all'onere probatorio, ove sia contrattualmente stabilita una destinazione dell'immobile locato ad attività che non comportino il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, al conduttore che invochi il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale non è sufficiente dimostrare che nonostante il tenore delle clausole contrattuali nell'immobile è stata svolta un'attività comportante detto contatto, essendo anche necessario che egli provi che sia decorso il termine di tre mesi dalla data in cui il locatore ha avuto conoscenza dell'uso pattuito (Cass. III, n. 9789/1998). In altri termini, per il riconoscimento del diritto all'indennità, il conduttore non può ottenere l'applicazione del regime giuridico corrispondente all'uso effettivo dell'immobile se non sono decorsi tre mesi da quando il locatore ha avuto conoscenza del mutamento da attività di vendita all'ingrosso in quella a diretto contatto con il pubblico dei consumatori finali del prodotto (Cass. III, n. 9881/1996).

La pattuizione di una destinazione dell'immobile locato ad attività che non comporti il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori può essere superata anche con l'accertamento della simulazione circa la detta destinazione: sicché, in definitiva, l'assenza di corrispondenza tra la realtà effettiva ed il contenuto del contratto può assumere rilevanza non solo nell'ipotesi in cui il conduttore richieda l'applicazione del regime giuridico corrispondente all'uso effettivo dell'immobile provando la sussistenza dei presupposti previsti dall'art. 80 della l. n. 392/1978, ma, a maggior ragione, nel caso in cui lo stesso conduttore faccia valere la simulazione relativa, prospettando essere fittizia la volontà delle parti di stabilire la destinazione dell'immobile locato ad attività che non comportino il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori e dissimulata la volontà contraria (Cass. III, n. 21995/2007; Cass. III, n. 20331/2006; Cass. III, n. 15080/2000). In quest'ultimo caso, l'onere di dimostrare l'accordo simulatorio grava sul conduttore, il quale, peraltro, può avvalersi della prova per testimoni e di quella per presunzioni, essendo l'attività istruttoria finalizzata a far valere l'illiceità ex art. 79 della l. n. 392/1978 della clausola volta ad escludere il diritto all'indennità pur in presenza di una destinazione, in realtà voluta, con volontà dissimulata da entrambe le parti, che invece ne comporta l'esistenza (Cass. III, n. 15080/2000).

Immobili complementari o interni

Attraverso il rinvio dell'art. 35 della l. n. 392/1978 al precedente art. 34, nonché per mezzo dell'ulteriore rinvio contenuto nell'art. 41 della l. n. 392/1978, la disciplina a tutela del avviamento commerciale – prelazione in caso di alienazione a titolo oneroso dell'immobile locato e di nuova locazione; indennità per la perdita dell'avviamento – è altresì esclusa con riguardo agli immobili complementari o interni a stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici.

Quanto alla distinzione tra immobili complementari ed immobili interni, è stato detto che immobile interno e quello inserito in un complesso più ampio, del quale costituisce parte integrante (Lazzaro, Preden, 83) mentre immobile complementare è quello di per sé autonomo, ma legato ad un immobile principale attraverso un vincolo di stabile destinazione, ai sensi dell'art. 817 c.c.

La ratio dell'esclusione risiede nel carattere – come è stato detto – «parassitario» (Corte cost., n. 264/1992) dell'avviamento di cui le aziende costituite in simili immobili godono: si pensi alle edicole, bar o ristoranti collocati in una stazione ferroviaria, come tali destinati a godere di un afflusso di clientela per lo più dovuto alla collocazione dell'immobile, più che alla qualità dell'imprenditore. Come è stato detto in dottrina, nelle ipotesi considerate dalla norma, l'esclusione del diritto all'indennità si giustifica con la considerazione che la clientela non è (almeno in prevalenza) un prodotto dell'attività dell'imprenditore, ma è connaturale alla particolare collocazione dell'immobile in un complesso più ampio che già fruisce di per sè di una certa frequentazione che garantisce un flusso stabile di domanda, senza alcun contributo da parte del conduttore (Bucci, Malpica, Redivo, 500).

La citata pronuncia del giudice delle leggi (Corte cost., n. 264/1992) non prende posizione sul quesito se l'elencazione contenuta nell'art. 35 in esame (stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici) sia da considerare tassativa oppure meramente esemplificativa. Come si è osservato da una parte della dottrina, nulla induce a credere che l'elencazione sia tassativa, nel qual caso essa sarebbe palesemente irragionevole, trattando diversamente situazioni del tutto omogenee, sol che si consideri che indennità di avviamento e prelazione spetterebbero al conduttore di un bar collocato in una stazione di autolinee e non in una stazione ferroviaria, oppure in un campeggio e non in un villaggio turistico (Lazzaro, Preden, 82). Altra parte della dottrina ha parimenti riconosciuto che l'elencazione contenuta nella disposizione sia suscettibile di estensione analogica: sicché, ad esempio, l'indennità non spetterebbe nei casi di locazione di immobili destinati a ristorante o bar all'interno di un circolo privato (Bucci, Malpica, Redivo, 500). Sicché, merita adesione l'opinione dottrinale che intende la menzionata elencazione quale meramente esemplificativa.

In giurisprudenza, nella medesima prospettiva, la previsione dell'esclusione è stata applicata in caso di locazione di uno spazio scoperto, adibito a stazionamento di un camion per la vendita di panini e bevande, situato su un'area di parcheggio per i clienti di un esercizio commerciale, e ciò sulla considerazione che il conduttore poteva sfruttare la clientela altrui, motivata per l'appunto sull'assunto che l'art. 35 contenga un'elencazione meramente esemplificativa (Cass. III, n. 810/1997).

È, però, importante rammentare, in senso opposto, anche per le sue cospicue ricadute pratiche, il recente principio secondo cui l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale deve essere riconosciuta, laddove ricorrano le condizioni di cui all'art. 34 della l. n. 392/1978, anche in relazione alla locazione di immobili interni o complementari a centri commerciali, non essendo applicabile in via analogica l'art. 35, ma dovendo piuttosto verificarsi la idoneità degli stessi a produrre un avviamento proprio, tenendo altresì conto che la funzione attrattiva della clientela esercitata dai centri commerciali non rende possibile distinguere, in genere, tra avviamento proprio del centro e quello di ciascuna attività in esso svolta, in ragione della reciproca sinergia esercitata dalle singole attività (Cass. III, n. 18748/2016).

Si è posta, altresì, la questione se il conduttore possa dimostrare che l'immobile condotto in locazione, pur oggettivamente rientrante nel novero di quelli complementari o interni, goda in concreto di una clientela propria, diversa da quella dell'immobile contenente. In dottrina si è osservato che il limite posto dalla norma potrebbe operare solo nel caso in cui gli immobili complementari o interni non abbiano alcuna possibilità di autonoma utilizzazione: diversamente la disposizione si esporrebbe a censure di incostituzionalità (Buoncristiano, 396).

Anche la giurisprudenza di merito ha talora valorizzato il conseguimento, da parte del conduttore, di un avviamento indipendente da quello riferibile all'immobile in cui l'immobile locato è ricompreso: l'esclusione di cui all'art. 35 – è stato detto – non ricorre qualora l'immobile locato ad uso commerciale (nella specie, adibito ad esercizio di parrucchiere), pur facendo corpo con un albergo ed avendo accesso direttamente da questo, abbia anche autonomo accesso dalla pubblica via, sicché possa essere frequentato da una clientela propria, diversa da quella dell'albergo; e ciò indipendentemente dal carattere eventualmente prevalente di tale clientela rispetto a quella costituita dai frequentatori dell'esercizio alberghiero (Pret. Milano 25 marzo 1988).

Si è, però, posto in evidenza come la soluzione non meriti condivisione. Bisogna infatti considerare la logica che presidia la disciplina in tema di indennità: basandosi sull'id quod plerumque accidit, il legislatore ha enucleato una serie di situazioni tipizzate, che sono frutto dell'astrazione dalle specifiche contingenze che, di volta in volta, potrebbero indurre ad escludere o ad ammettere l'esistenza di un avviamento in concreto. In detta prospettiva, così come si ritiene, ad esempio, che l'indennità spetti anche nelle ipotesi in cui il conduttore non risenta un danno effettivo dalla cessazione della propria attività commerciale in un determinato immobile, è parimenti necessario riconoscere che, ove il locale risulti essere complementare o interno a una stazione ferroviaria, a un porto, a un aeroporto, a una stazione di servizio, a un albergo o a un villaggio turistico, non possa provarsi che esso sia munito di un avviamento proprio. Sembra, cioè, che la legge abbia inteso far discendere dalle varie situazioni da essa prese in esame delle vere e proprie presunzioni iuris et de iure, così semplificando il quadro delle conseguenze derivanti dal loro venire ad esistenza (Di Marzio, Falabella, 2429).

Perché operi l'esclusione occorre che il conduttore dell'immobile interno o complementare sia soggetto diverso dal gestore del complesso in cui tale immobile è inserito: un albergatore che prenda in locazione un locale contiguo all'albergo e lo adibisca a bar oppure al ristorante del medesimo avrà senz'altro diritto all'indennità di avviamento e alla prelazione.

Attività professionali

L'art. 35 in commento stabilisce che l'indennità di avviamento non compete nel caso di esercizio un'attività professionale.

Con tale espressione la legge ha inteso riferirsi a quelle attività riconducibili alla prestazione d'opera intellettuale (art. 2230 c.c.), per le quali è normalmente richiesta l'iscrizione in appositi albi o elenchi (art. 2229 c.c.) e che si caratterizzano per il carattere essenzialmente personale del servizio offerto. Stante il carattere fiduciario del rapporto che lega il cliente al professionista, il legislatore ha ritenuto di escludere l'esistenza di un avviamento oggettivo da tutelare. La soluzione, ancora una volta, risponde all'id quod plerumque accidit: infatti, di regola, il trasferimento dello studio del professionista da un immobile a un altro non ha alcuna incidenza sulla conservazione dei suoi rapporti con la clientela.

In proposito, la Suprema Corte ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata a tale riguardo, osservando come nel caso di locali utilizzati per lo svolgimento di attività professionale non è rilevabile l'inerenza diretta all'ubicazione dell'immobile dell'avviamento creato dal conduttore, trattandosi di attività in cui prevale l'intuitus personae, con la conseguenza che – non essendovi omogeneità di situazioni tra operatori economici ed esercenti attività professionali – deve escludersi la violazione dell'art. 3 Cost.; mentre, per altro verso, l'art. 35 Cost. non esclude che il legislatore abbia il potere di attuare una distinta protezione delle svariate forme di applicazione del lavoro (Cass. III, n. 1405/1986).

Quanto al caso della prestazione d'opera intellettuale svolta in forma di impresa, la Suprema Corte ha fatto impiego del criterio della prevalenza, riconoscendo il diritto all'indennità nelle ipotesi in cui l'opera professionale sia preminente rispetto all'attività organizzativa di natura strettamente imprenditoriale (Cass. III, n. 4505/2001). La qualificazione dell'attività come non meramente professionale, ma commerciale, esige dunque il riscontro di un'organizzazione d'impresa che non si esaurisca in sostrato strumentale delle prestazioni personali e, correlativamente, il riscontro di un'esorbitanza di tali prestazioni dall'opera intellettuale in senso stretto, per trasmodare in coordinamento dei fattori produttivi indirizzato all'offerta di un servizio autonomamente rilevante (Cass. III, n. 12623/1999; Cass. III, n. 8291/1992).

Attività transitorie e locazioni stagionali

Ulteriore esclusione contenuta nell'art. 35 della l. n. 392/1978 è quella che riguarda le attività transitorie. La previsione ha una sua precisa ragion d'essere, dal momento che ad iniziative imprenditoriali temporanee e provvisorie (quali quelle promosse attraverso l'allestimento di stands in particolari occasioni e in circoscritti periodi) non è possibile collegare, almeno di regola, un avviamento oggettivo.

Discusso è se il limite imposto dalla norma debba estendersi alle attività svolte negli immobili oggetto di locazione stagionale, a norma dell'art. 27, comma 6, della l. n. 392/1978.

Secondo un primo indirizzo, l'insussistenza del diritto all'indennità troverebbe fondamento in più ragioni: l'impossibilità, nell'arco di una stagione, di conseguire un avviamento, specie se riferito all'immobile; la sostanziale incongruità della misura del compenso (pari a diciotto o ventuno mensilità, nell'ipotesi di cui al comma uno numerico dell'art. 34) a fronte di un godimento dell'immobile che si protrae per pochi mesi; la generale inapplicabilità della disciplina delle locazioni non abitative alle locazioni stagionali, le quali, in forza dell'art. 33, dovrebbero soggiacere alla sola regolamentazione della l. n. 392/1978 in tema di aggiornamenti del canone (Buoncristiano, 385; Gabrielli, Padovini, 842).

Si è replicato che l'indennità prescinde dall'effettiva esistenza di un avviamento; che, comunque, un avviamento soggettivo non sarebbe da escludere in relazione a una locazione stagionale, dove, anzi, sono necessarie particolari capacità organizzative in capo al conduttore, in considerazione delle mutevoli esigenze della clientela; che la sproporzione dell'indennità rispetto al effettivo godimento è esclusa da un'interpretazione della norma che commisuri il compenso alla dodicesima parte del canone stagionale dovuto nell'ultimo anno (Trifone, 621; Cosentino, Vitucci, 460).

La Suprema Corte ha optato per la soluzione restrittiva della non spettanza dell'indennità. Secondo il giudice di legittimità, il tenore letterale della norma consente di ritenere che il legislatore abbia inteso escludere le locazioni stagionali: infatti, il richiamo alle locazioni di immobili relativi alle attività di cui ai nn. 1) e 2) lascia intendere che non si sia in esso voluto ricomprendere anche le locazioni stagionali disciplinate, quale specifico tipo contrattuale, dal comma 6 dell'art. 27. Queste ultime infatti si caratterizzano per la stagionalità, che non individua una specifica attività, ma rileva per la modalità di svolgimento dell'attività stessa, che avviene in periodi determinati e ricorrenti anno per anno. Non è poi per nulla significativa la mancanza di una esplicita esclusione negli artt. 34 e 35 delle locazioni stagionali del diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento. Non lo è perché la locazione stagionale consiste in uno specifico tipo contrattuale, che il silenzio del legislatore non autorizza a ricomprendere, neppure ai fini indicati, nelle locazioni degli immobili relativi alle attività di cui ai nn. 1) e 2) dell'art. 27. Prescindendo dal profilo letterale della somma ed avuto riguardo alle intenzioni del legislatore risulta evidente l'esclusione delle locazioni stagionali dall'indennità per la perdita dell'avviamento. Non è compatibile infatti con la durata stagionale della locazione, sia pure protratta per di sei anni, la misura dell'indennità, fissata dal legislatore in diciotto mensilità dell'ultimo canone corrisposto (Cass. III n. 12076/2002).

La necessità di «adattare» il calcolo dell'indennità alla peculiarità della locazione stagionale è tuttavia stata avvertita dalla Suprema Corte in altra pronuncia, resa in un del tutto particolare frangente in cui era passata in giudicato (divenendo perciò irretrattabile) l'affermazione giudiziale circa la positiva spettanza del diritto (Cass. III, n. 6402/2004).

Le «particolari attività»

Una parte della dottrina ha escluso che l'indennità per la perdita dell'avviamento spetti per le locazioni concernenti immobili destinati a particolari attività di cui all'art. 42 l. n. 392/1978, e ciò indipendentemente da ogni valutazione in concreto circa la natura, imprenditoriale o non imprenditoriale, dell'attività svolta.

Secondo quest'indirizzo, il richiamo che l'art. 42, comma 2, fa dell'art. 41, comma 2, ha un significato solo se viene inteso nel senso dell'esclusione, in ogni caso, delle disposizioni degli artt. 38, 39 e 40, relative ai diritti di prelazione di acquisto e di riscatto e di prelazione in caso di nuova locazione, in riferimento ai contratti di cui all'art. 42. Già questa constatazione induce forti dubbi sulla possibilità di sostenere la spettanza del diritto all'indennità, che rappresenta solo un aspetto della tutela dell'avviamento (Cosentino, Vitucci, 461).

In una prospettiva più possibilista, si è affermato che, ad escludere il diritto ai compensi per la perdita dell'avviamento, non è sufficiente la mera riconducibilità oggettiva dell'attività esercitata dell'immobile ad una di quelle richiamate dall'art. 42, bensì è necessario che non assuma carattere prevalente la predisposizione di un servizio verso un compenso corrisposto dall'utente del servizio stesso e, quindi, l'aspetto economico commerciale in senso lato (Buoncristiano, 389).

La giurisprudenza aderisce alla soluzione secondo cui si fuoriesce dall'ambito oggettivo di operatività dell'art. 42 circa la realizzazione di attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche quando queste sono svolte con scopo speculativo o di lucro nella forma di vera e propria impresa commerciale; nel qual caso prevale la diversa qualificazione della locazione cd. imprenditoriale ex art. 27 stessa legge (Cass. III, n. 16690/2002; Cass. III, n. 19309/2005; Cass. III, n. 4690/2003).

Poiché l'art. 42 l. n. 392/1978 concerne anche le locazioni in cui sono conduttori lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali, occorre interrogarsi se anche l'attività di tali enti riceva la tutela di cui all'art. 34. La corte di legittimità ha affrontato la questione avendo riguardo al diritto di prelazione: ma le argomentazioni svolte, incentrate sul carattere non imprenditoriale dell'attività della P.A., sono sicuramente spendibili con riguardo al diverso diritto avente ad oggetto l'indennità di avviamento (Cass. III, n. 1661/1990).

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