Legge - 27/07/1978 - n. 392 art. 28 - Rinnovazione del contratto.Rinnovazione del contratto. Per le locazioni di immobili nei quali siano esercitate le attività indicate nei commi primo e secondo dell'articolo 27, il contratto si rinnova tacitamente di sei anni in sei anni, e per quelle di immobili adibiti ad attività alberghiere o all'esercizio di attività teatrali, di nove anni in nove anni; tale rinnovazione non ha luogo se sopravviene disdetta da comunicarsi all'altra parte, a mezzo di lettera raccomandata, rispettivamente almeno 12 o 18 mesi prima della scadenza (1). Alla prima scadenza contrattuale, rispettivamente di sei o di nove anni, il locatore può esercitare la facoltà di diniego della rinnovazione soltanto per i motivi di cui all'articolo 29 con le modalità e i termini ivi previsti. (1) Comma modificato dall'articolo 7, comma 1, della legge 8 febbraio 2007, n. 9. Vedi, anche, il comma 2 dello stesso articolo. InquadramentoSi è visto nel commento all'art. 27 l. n. 392/1978 che le locazioni non abitative hanno di regola durata non inferiore al sessennio, ovvero al novennio in caso di locazione alberghiera o equiparata. Il sistema assiste poi la durata minima con la sanzione di nullità ex art. 79 della stessa l. n. 392/1978, nullità parziale che si combina con il meccanismo dell'inserzione automatica di clausole, sicché la nullità della singola clausola non può mai travolgere l'intero contratto, con la precisazione tale estensione resta esclusa anche nel caso in cui il locatore non sarebbe addivenuto alla conclusione del contratto a condizioni diverse rispetto a quelle in concreto pattuite (Bozzi, Confortini, Del Grosso, Zimatore, 1036). Stabilisce, quindi, la norma ora in commento che il contratto di locazione non abitativa si rinnova tacitamente di sei anni in sei anni, o di nove anni in nove anni per le locazioni alberghiere, ma la rinnovazione non ha luogo se sopravviene disdetta da comunicarsi all'altra parte, a mezzo di lettera raccomandata, rispettivamente almeno 12 o 18 mesi prima della scadenza. Alla prima scadenza contrattuale, rispettivamente di sei e di nove anni, inoltre, il locatore può esercitare (solo) la facoltà di diniego della rinnovazione soltanto per i motivi di cui all'art. 29 con le modalità e i termini ivi previsti. La durata e il rinnovo delle locazioni non abitativeLa legge istituisce, dunque, per le locazioni non abitative un congegno analogo a quello delle locazioni abitative, alla cui trattazione si rinvia: una volta stipulato il contratto, esso si protrae indefinitamente nel tempo, salvo che uno dei contraenti manifesti la volontà di porre fine al rapporto attraverso l'intimazione della disdetta; disdetta che, però, a differenza di quanto era previsto per le locazioni abitative nell'originaria disciplina della legge del 1978 (oggi la materia è regolata dalla l. n. 431/1998), può essere liberamente intimata, alla prima scadenza contrattuale di sei anni o nove anni, a seconda dei casi, soltanto dal conduttore, mentre il locatore può esercitare il diniego di rinnovazione, istituto radicato nel vecchio recesso per necessità operante all'epoca del regime vincolistico di proroga e blocco – in presenza delle condizioni, e con le formalità, di cui si dirà nel commento all'art. 29. Si è sottolineato, in dottrina, che, per effetto del meccanismo citato, la durata del rapporto scaturisce, per via di integrazione legale, dall'originario contratto e ne presuppone la perdurante efficacia: in altri termini il rapporto nasce già vincolato nella durata e l'art. 28, al comma 2, stabilisce, non diversamente che al comma 1, la sostituzione o integrazione di una durata legale a quella contrattuale (Scannicchio, 266). In tale prospettiva, come è stato osservato, è da ritenere che la legge distingua fra durata del rapporto e durata del vincolo: la durata del rapporto è di sei anni, che diventano altri sei se il rapporto si rinnova e così via; la durata del vincolo, invece, è per il conduttore di sei anni, ma per il locatore, almeno tendenzialmente, di dodici, o di diciotto in caso di locazioni alberghiere (Gabrielli, Padovini, 483). Secondo questa linea, il contratto di locazione non abitativa di durata sei più sei o nove più nove non è un contratto di locazione ultranovennale, contratto che ricadrebbe altrimenti sotto la disciplina dell'art. 1350, n. 8, c.c., e richiederebbe perciò la forma scritta ad substantiam, con quanto ne segue in tema di registrazione, atteggiandosi altresì quale atto di straordinaria amministrazione. Secondo altra opinione, nelle locazioni ad uso non abitativo, dovrebbe parlarsi di rinnovo in senso tecnico unicamente per le scadenze successive alla prima, mentre il c.d. diniego di rinnovo consentito al locatore solo in casi tassativi, costituirebbe una sorta di recesso contrapposto, per ragioni di equità, a quello consentito al conduttore per gravi motivi, ex art. 27, ultimo comma, l. n. 392/1978 (Bucci, Malpica, Redivo, 383). Tale affermazione si rifà all'opinione di uno dei primi commentatori della legge del 1978, il quale ha evidenziato l'analogia sussistente tra la previsione di cui al comma 2 dell'art. 28, che consente il diniego di rinnovo alla prima scadenza solo per alcune ragioni, e quella di cui all'ultimo comma dell'art. 27, che consente al conduttore il recesso in presenza di gravi motivi. Il diniego di rinnovo si atteggerebbe, quindi, a forma speciale di recesso: il che implicherebbe che il contratto avrebbe durata di dodici (o diciotto) anni, sicché saremmo in presenza di un contratto ultranovennale (Minunno, 257). La giurisprudenza, peraltro, è oramai ferma nel ritenere che la durata legale dei contratti di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso dall'abitazione sia di sei (o nove) anni; e invero, il contratto può bensì rinnovarsi per un altro periodo di identica durata, secondo quanto dispone l'art. 29 della legge, ma ciò costituisce un effetto solo eventuale, dipendente dalla circostanza che, alla prima scadenza del contratto, il conduttore intenda fruire di detta facoltà ed il locatore non si avvalga del potere di escluderla o non versi nelle condizioni di poterlo esercitare (Cass. III, n. 1633/1998). Dal rilievo che precede discende che le predette locazioni non sono soggette al vincolo della forma scritta ad substantiam: è infatti affermazione costante della corte di legittimità quella per cui la forma scritta ad substantiam è prevista dall'art. 1350, n. 8) c.c. soltanto per quei contratti che originariamente prevedono una locazione di durata superiore ai nove anni e non anche nelle ipotesi previste per le locazioni non abitative dagli artt. 28 e 29 della legge sull'equo canone per le quali il rinnovo alla prima scadenza contrattuale è pur sempre eventuale (Cass. III, n. 6130/1993; Cass. III, n. 4258/1997). Dalla mera eventualità della prosecuzione del rapporto discende altresì che, in caso di rinnovazione tacita conseguente al mancato esercizio, da parte di un’associazione non riconosciuta conduttrice, del potere di disdetta immotivata alla prima scadenza, delle obbligazioni relative al periodo successivo alla rinnovazione non può essere chiamato a rispondere, ai sensi dell'art. 38 c.c., il soggetto che tale contratto stipulò in nome e per conto dell'associazione medesima, ma che non rivesta più alcun ruolo gestionale nella stessa, avendo egli perso qualsivoglia potere di controllo del successivo corso dei rapporti dell'associazione con i terzi e potendo, conseguentemente, predicarsi la relativa responsabilità unicamente nei confronti di coloro che, in quel momento, rappresentino l'ente o comunque agiscano per esso e siano, quindi, nella condizione di poter consentire ovvero evitare il tacito rinnovo (Cass. III, n. 32762/2023). Con particolare riferimento alle locazioni alberghiere, la magistratura di vertice (Cass. III, n. 11771/1993) ha escluso la natura ultranovennale di tali rapporti: da detto rilievo ha tratto la conseguenza che, in caso di immobile in comunione, per la conclusione del contratto non sia necessario il consenso di tutti i condomini, ai sensi dell'art. 1108, comma 3, c.c. Esclusa la natura ultranovennale dei contratti di locazione ad uso non abitativo conclusi per una durata pari a quella legale, andrà, ovviamente, pure negato che gli stessi siano soggetti a trascrizione. Disdetta e durata del contratto rinnovatoCon il termine disdetta vengono indicati, nella legge e nella pratica, atti con contenuto e struttura analoghi, ma con funzione diversa. Disdetta è anzitutto l'atto con il quale una delle parti di un rapporto a durata indeterminata, comunicando all'altra la sua volontà di far cessare la locazione, rende operante il termine previsto dalla legge alla scadenza immediatamente successiva; ma disdetta, o «licenza», secondo la terminologia della legge (art. 1597, comma 3, c.c.), è anche l'atto con il quale una delle parti di una locazione a durata convenzionale comunica all'altra che il rapporto si estinguerà senz'altro alla data prefissata (Mirabelli, 548). Nell'uno e nell'altro caso la disdetta presenta i connotati di un atto negoziale unilaterale e recettizio. Diversa è, invece, la funzione che la disdetta stessa è idonea ad assolvere: tale funzione è infatti condizionata dalla durata, legale o convenzionale, del rapporto in cui l'atto si inscrive. Nella locazione a tempo indeterminato, infatti, la disdetta è idonea a determinare la cessazione del rapporto, che diversamente si protrarrebbe oltre la scadenza legalmente individuata; nella locazione a tempo determinato, per contro, mentre l'estinzione della vicenda contrattuale trova il proprio unico fondamento nello spirare del termine convenzionalmente pattuito, la comunicazione della disdetta osta al prodursi della tacita rinnovazione indotta dall'inerzia delle parti (art. 1597, comma 1, prima ipotesi, c.c.). Risulta così senz'altro corretta la definizione della giurisprudenza, secondo cui la disdetta costituisce un atto negoziale, unilaterale e recettizio, concretantesi in una manifestazione di volontà diretta ad impedire la prosecuzione o la rinnovazione tacita del rapporto locativo (Cass. III, n. 9916/1994). Con formula analoga a quella impiegata dall'art. 3 l. n. 392/1978, l'art. 28 stabilisce che, in mancanza di disdetta, il contratto si rinnova di sei anni in sei anni (o di nove anni in nove anni nel caso di locazioni alberghiere). È indubbiamente fatta salva la facoltà delle parti di pattuire che la rinnovazione abbia luogo per un periodo maggiore. Qualora le parti abbiano convenuto una durata superiore al sessennio (o al novennio), è opinione comune che il contratto si rinnovi per sei, o per nove, anni (Minunno, 259; Trifone, 599; Lazzaro, Preden, 186; Gabrielli, Padovini, 540). Nello stesso senso è la costante giurisprudenza (Cass. III, n. 14367/2016; Cass. III, n. 2316/2007). Rinuncia alla disdetta e al diniegoNello stipulare il contratto, o anche nel corso dell'esecuzione del medesimo, può accadere che il locatore rinunci al diritto di intimare la disdetta motivata alla prima scadenza, o diniego di rinnovazione che dir si voglia, diniego che impedirebbe il primo rinnovo del contratto. Tralasciando le questioni concernenti l'interpretazione delle mutevoli clausole contrattuali di volta in volta adottate dalle parti – si è negato, ad esempio, che la clausola di rinnovo «automatico» potesse essere intesa come rinuncia del locatore diniego di rinnovazione alla prima scadenza: Trib. Ravenna 3 febbraio 1998 – occorre dire che simile rinuncia è in linea di principio senz'altro valida (Cass. III, n. 20906/2004). In tale particolare eventualità, tornando a quanto poc'anzi si diceva in ordine alla durata ultranovennale delle locazioni non abitative, la Suprema Corte ha affermato che il contratto così strutturato configurerebbe un atto eccedente l'ordinaria amministrazione, al pari del negozio con cui sia programmata una locazione ultranovennale (Cass. III, n. 10779/1999; Cass. III, 3757/1985, secondo cui in tale ipotesi l'atto sarebbe soggetto a revocatoria fallimentare). Nel caso considerato, infatti, il locatore verrebbe ad assumere un impegno tale da comportare ab initio il suo assoggettamento al vincolo per un arco temporale eccedente il novennio. Al pari della rinuncia del locatore ad intimare il diniego di rinnovo alla prima scadenza del contratto, è lecita la pattuizione che limiti la facoltà di disdetta del locatore alle successive scadenze, replicando l'applicabilità anche a tali scadenze del congegno della disdetta motivata. Ha affermato in proposito la Suprema Corte che la clausola contrattuale che prevede la rinnovazione di sei anni in sei anni del rapporto di locazione relativa ad immobile non abitativo, salvo disdetta per i motivi di cui all'art. 29 l. n. 392/1978, va ritenuta valida in quanto disposizione più favorevole al conduttore e non costitutiva di una durata perpetua del contratto, potendo in ogni momento verificarsi una situazione di necessità del locatore o intervenire il recesso del conduttore (Cass. III, n. 672/2005). La dottrina ha, viceversa, evidenziato la nullità di una ipotetica clausola di rinuncia al rinnovo da parte del conduttore. Difatti, una rinunzia alla rinnovazione legale si porrebbe sullo stesso piano di quella ad una durata di sei anni prevista quale tempo minimo del rapporto nelle successive rinnovazioni (Scannicchio, 272). Nello stesso senso, è stato osservato in giurisprudenza come dal combinato disposto degli artt. 27 e 28 emerga che i contratti di locazione ad uso non abitativo hanno in via normale una durata di dodici anni, salva l'ipotesi del diniego della rinnovazione alla prima scadenza da parte del locatore nei casi previsti dall'art. 29. Da ciò deriva che qualsiasi pattuizione che preveda la cessazione anticipata del rapporto, rispetto a detta naturale durata, fissata dalla legge, si risolve in una clausola diretta a limitare la durata del contratto, che se contestuale alla sua stipulazione, comporta l'applicabilità della sanzione di nullità stabilita dall'art. 79 l. n. 392/1978: una siffatta rinunzia si risolve dunque nella predeterminazione di una durata del contratto inferiore a quella prevista come normale dalla legge (Cass. III, n. 10270/1995). Altra è la soluzione nel caso di rinuncia al diritto di rinnovazione effettuata nel corso del rapporto. Infatti, la sanzione di nullità prevista dall'art. 79 citato si riferisce alle pattuizioni che preventivamente tendono a limitare i diritti attribuiti al conduttore dalle disposizioni inderogabili della legge sull'equo canone e non esclude, quindi, la facoltà del conduttore di rinunziare a questi diritti dopo che essi siano sorti; conseguentemente, è valida la rinunzia del conduttore di immobile destinato per uso non abitativo al diritto di rinnovazione, alla prima scadenza, previsto dall'art. 28 della legge sull'equo canone, ove sia stata compiuta dal conduttore successivamente alla stipulazione del contratto (Cass. III, n. 4709/1991). Nella stessa prospettiva è stata giudicata valida l'adesione, da parte del conduttore, alla disdetta nulla (per intempestività o assenza di motivazione) intimata dal locatore per la prima scadenza del rapporto contrattuale: difatti, se non incorre nel divieto di cui all'art. 79 la rinuncia unilaterale successiva del conduttore di immobile non abitativo al diritto di rinnovazione del contratto alla prima scadenza, non c'è ragione di negare che allo stesso risultato si possa pervenire col mezzo dell'adesione, da parte del conduttore, alla richiesta di anticipato rilascio del locatore (Cass. III, n. 8262/1996). Si è poi da ultimo ripetuto che, per i rapporti di locazione a uso diverso dall'abitazione i diritti vantati dal conduttore, una volta sorti, sono disponibili dalle parti e possono essere oggetto di rinuncia, non ostandovi il disposto di cui all'art. 79 l. n. 392/1978, volto a impedire che i diritti vantati dal conduttore siano oggetto di un'elusione di tipo preventivo e pertanto la rinuncia del conduttore al rinnovo del contratto alla prima scadenza dopo il primo sessennio viene a salvare la nullità della pattuizione iniziale (Cass. III, 5127/2020). In una più ampia prospettiva, merita qui rammentare che la Suprema Corte riconosce la liceità degli accordi transattivi conclusi dal conduttore già nel possesso del bene, e che sono finalizzati a incidere su situazioni patrimoniali già sorte e disponibili (Cass. III, n. 12154/1992; Cass. III, n. 10684/1994; Cass. III, n. 683/1996; Cass. III, n. 5353/1997; Cass. III, n. 3984/1999): tali accordi si sottraggono, infatti, alla disciplina che regola le locazioni (Cass. III, n. 3270/1991; Cass. III, n. 5711/1991; Cass. III, n. 11806/1995). Già in prossimità dell'entrata in vigore della legge del 1978, del resto, la dottrina aveva ritenuto di escludere che il conduttore, una volta operato il rilascio, in via transattiva, a seguito del diniego di rinnovazione del locatore, potesse chiedere il ripristino per la mancata realizzazione del proposito (Scannicchio, 274). Il diniego di rinnovazione nelle locazioni aventi durata di dodici o diciotto anniIl meccanismo del diniego di rinnovo alla prima scadenza trova senz'altro applicazione anche nel caso di durata pattizia superiore a quella minima imposta dalla legge. Difatti, nei contratti di locazione ad uso non abitativo, la pattuizione di una durata iniziale superiore a quella minima di legge non esclude l'applicabilità della disciplina del rinnovo alla prima scadenza per una durata non inferiore a sei anni prevista dall'art. 28, con la conseguenza che è affetta da nullità, ai sensi del successivo art. 79, la clausola diretta a limitare la durata della rinnovazione sino al raggiungimento di un termine complessivo di dodici anni (Cass. III, n. 15718/2006). Sorge tuttavia il quesito se il diniego di rinnovazione debba comunque operare anche nel caso in cui le parti abbiano convenuto fin dall'inizio una durata del rapporto pari a due sessenni (o a due novenni, nel caso di locazione alberghiera). Secondo una prima opinione, siccome il legislatore concede al locatore la possibilità di esercitare la facoltà di diniego della rinnovazione tacita per i motivi previsti dall'art. 29 non genericamente alla prima scadenza contrattuale ma «alla prima scadenza contrattuale rispettivamente di sei o nove anni», non appare sostenibile la tesi secondo cui il conduttore ha in ogni caso diritto alla rinnovazione del contratto alla prima scadenza, indipendentemente dalla durata del rapporto iniziale (Pret. Bolzano, Sez. dist. Merano, 3 aprile 1997). Tale soluzione, si è aggiunto, non lede il diritto (inderogabile) del conduttore alla durata legale garantita del contratto, atteso che il risultato negoziale dell'accordo descritto appare perfettamente allineato con gli esiti «minimi» perseguiti dal legislatore mediante il combinato disposto degli artt. 27, 28, 29 (Pret. Verona 25 settembre 1998). Anche in dottrina si è patrocinata la medesima conclusione. È stato osservato che ordinariamente il diniego di rinnovo è realizzabile solo dopo i primi sei anni (o nove), ragion per cui, nell'ipotesi in cui sia stata concordata direttamente una durata iniziale di dodici anni (con correlativa rinuncia alla facoltà di cui si discorre), si prospetta conseguenziale ritenere che, alla prima scadenza convenzionalmente stabilita, è sufficiente l'intimazione di una mera disdetta, anche immotivata, da parte del locatore, purché tempestiva, al fine di determinare la cessazione del contratto (Carrato, 136). Quanto poi alla rinuncia, da parte del locatore, al diritto di intimare il diniego di rinnovo alla scadenza del primo sessennio, essa sarebbe legittima, la disposizione contrattuale che la prevede risultando più favorevole al conduttore rispetto alla previsione legislativa (Carrato, 136). Diverso il responso della Suprema Corte, secondo la quale, in tema di locazione di immobili per uso non abitativo, la previsione di un termine di durata del contratto superiore a quello minimo di legge non esclude l'applicabilità della disciplina del rinnovo alla prima scadenza di cui al successivo art. 28, ancorché la durata del contratto inizialmente pattuita sia uguale o superiore a quella di dodici o diciotto anni risultante dalla somma della durata minima legale iniziale e da quella minima di rinnovo, rispettivamente disposta per le attività indicate nei primi due commi dell'art. 27 e nel terzo comma del medesimo articolo (Cass. III, n. 22129/2004; Cass. III, n. 1596/2005; Cass. III, n. 15718/2006; Cass. III, n. 1189/2007). La durata delle locazioni di immobili destinati a «particolari attività»Con riguardo alle locazioni disciplinate dall'art. 42 l. n. 392/1978, detta norma stabilisce che a tali contratti si applicano le disposizioni degli artt. 32 e 41, nonché le disposizioni processuali di cui al titolo I, capo III, ed il preavviso per il rilascio di cui all'art. 28. Secondo parte della dottrina, sarebbe dubbia l'applicabilità alle locazioni in discorso del meccanismo del rinnovo tacito disciplinato dall'art. 28, ed anzi la regolamentazione della materia sarebbe da rinvenire, oltre che nella disciplina pattizia, negli artt. 1596 e 1597, comma 1, c.c. (Cuffaro, 488). Altri hanno obbiettato che il rinvio del comma 2 dell'art. 42 al preavviso di rilascio di cui all'art. 28 non avrebbe alcun senso se il richiamo non fosse diretto a rendere operativa proprio la rinnovazione prevista dal comma 1 di quest'ultimo articolo (Trifone, 638). In giurisprudenza, seguendo quest'ultimo indirizzo, si è detto che anche i contratti di locazione di immobili destinati a «particolari attività» sono soggetti, in virtù dell'espresso rinvio contenuto nell'ultimo comma dell'art. 42, al regime della tacita rinnovazione alla prima scadenza in mancanza di disdetta (Cass. III, n. 7246/1994; Cass. III, n. 14808/2004). Se la questione della soggezione delle menzionate locazioni al congegno del rinnovo in difetto di disdetta non suscita dubbi nella giurisprudenza, non altrettanto è stato per la diversa questione dell'applicabilità, in occasione della prima scadenza contrattuale, della disciplina del diniego di rinnovazione. Secondo un primo indirizzo, il richiamo al «preavviso per il rilascio di cui all'art. 28» determinerebbe l'assoggettamento dei contratti di locazione di cui all'art. 42 all'intera disciplina dettata, in via generale, dalla legge quanto alla durata e al rinnovo (Cosentino, Vitucci, 421). Tale soluzione, già seguita da una parte della giurisprudenza di merito (Pret. Roma 8 novembre 1984; Pret. Gallarate 28 aprile 1987; Trib. Milano 7 settembre 1987; Pret. Mantova 19 agosto 1996) è stata recepita anche dalla Suprema Corte, la quale ha osservato che la volontà del legislatore di sottrarre le locazioni in parola all'obbligo della disdetta motivata alla prima scadenza avrebbe richiesto un richiamo, nell'art. 42, al solo comma 1 dell'art. 28 (Cass. III, n. 11756/1991; Cass. III, n. 12167/1991). Altra parte della dottrina – senz'altro predominante – ha viceversa sostenuto che il richiamo contenuto nell'art. 42 andrebbe inteso restrittivamente: sicché il locatore, alla prima scadenza contrattuale, ben potrebbe intimare disdetta pura e semplice, senza far valere il proposito di impiegare l'immobile per una delle destinazioni individuate dall'art. 29 (Trifone, 638; Bucci, Malpica, Redivo, 376; Lazzaro, Preden, 192; Gabrielli, Padovini, 483). A sostegno di detta soluzione si è osservato che il legislatore, nel dettare la norma dell'art. 42 ha mostrato di voler predisporre una tutela «minima» verso quei rapporti di locazione relativi ad immobili destinati allo svolgimento di attività che, sia per i soggetti che le pongono in essere, sia per le finalità in vista delle quali sono svolte, rivestono particolare rilievo sociale; non senza sottolineare, tuttavia, che la tutela apprestata dalla disposizione sia meramente formale, in quanto dal corpus della disciplina protezionistica risultano espunte, riguardo alle locazioni di immobili destinati a particolari attività, proprio quelle norme (artt. 28, 34, 38, 39 e 40) che maggiormente hanno di mira l'interesse specifico del conduttore allo svolgimento continuato dell'attività nei medesimi locali (Cuffaro, 494). E si è ancora posto l'accento sul rilievo che il legislatore abbia considerato i contratti di cui si discorre, proprio in relazione alla durata, in maniera differenziata rispetto a quelli di cui all'art. 27: la l. n. 94/1982 ha così avvertito la necessità di una norma espressa (ultimo comma dell'art. 15-bis) per estendere la proroga stabilita per gli altri contratti (ex art. 67); la l. n. 61/1989 ha escluso gli stessi dal beneficio della sospensione, con norma (art. 7) che il giudice delle leggi ha reputato costituzionalmente legittima (Lazzaro, Preden, 192). Anche la Suprema Corte, ponendosi in consapevole contrasto con le due già richiamate decisioni del 1991, è pervenuta al medesimo risultato interpretativo: è stato osservato che il comma 2 dell'art. 42 contiene uno specifico richiamo al preavviso per il rilascio disciplinato dall'art. 28, la qual cosa impedisce di ritenere che per eventi di fondamentale importanza, quali sono durata e rinnovazione di una serie di locazioni comprendenti un'amplissima gamma di attività, anche di rilievo, il legislatore abbia inteso rinviare all'art. 28 con un semplice richiamo al preavviso di rilascio, disciplinato dal comma 1 della norma, tralasciando di menzionare la ben diversa ipotesi del diniego della rinnovazione alla prima scadenza contrattuale (Cass. III, n. 12947/1995). La questione è stata, quindi, rimessa per la composizione del contrasto alle Sezioni Unite, che hanno optato per la soluzione estensiva (Cass. S.U., n. 6227/1997). Si tratta di una soluzione tutt'altro che persuasiva e che, difatti, la dottrina ha sottoposto a severe critiche (Gabrielli, Padovini, 487). Peraltro, non sembra costruttivo analizzare in dettaglio, dal momento che la soluzione patrocinata dalle Sezioni Unite si è in seguito definitivamente stabilizzata (Cass. III, n. 4374/1998; Cass. III, n. 9049/1998; Cass. III, n. 12607/1998; Cass. III, n. 2567/2007). Il rinnovo tacito e la tesi del diniego a singhiozzoÈ sorto il problema se, una volta rinnovatosi il contratto per difetto di disdetta, dunque in occasione del secondo rinnovo, il locatore, alla ulteriore scadenza successiva, e cioè in vista dello spirare del terzo sessennio o novennio, possa intimare disdetta pura e semplice oppure debba nuovamente ricorrere al diniego di rinnovazione. È stato ritenuto che alla successiva scadenza il locatore possa far venir meno il vincolo con la semplice comunicazione di una disdetta non motivata. Una diversa soluzione, basata sul dato dell'indefettibile tacita conclusione di un nuovo contratto di locazione, è da reputare inappagante, in quanto potrebbe risultare ben lontana da quanto le parti abbiano concretamente voluto nella singola circostanza (Di Marzio, Falabella, 2100). La durata della locazione stipulata dall'usufruttuarioPoiché la durata legale delle locazioni per uso non abitativo è superiore a quella contemplata dall'art. 999 c.c., si è posta la questione dei limiti di operatività di detta norma, secondo cui le locazioni concluse dall'usufruttuario, in corso al tempo della cessazione dell'usufrutto, e risultanti da atto pubblico o da scrittura privata con data certa, continuano per la durata stabilita, ma non oltre il quinquennio dalla cessazione dell'usufrutto. Il problema, a ben vedere, si pone anche nel caso di estinzione del diritto di superficie e di quello di enfiteusi (artt. 954, comma 2, c.c. e 976 c.c.), posto che anche in queste ipotesi è prevista un'opponibilità limitata del diritto del conduttore al terzo proprietario. Con riferimento a tutte tali ipotesi, si è ritenuto, in dottrina, che il termine previsto dalle singole norme deve essere sostituito da quello maggiore delle locazioni immobiliari privilegiate dalla legge sull'equo canone (Trifone, 530). Nel periodo vincolistico, la Suprema Corte aveva in tal senso affermato che la disciplina legale in tema di proroga modificasse il regime di cui all'art. 999 c.c. (Cass. III, n. 2418/1984; Cass. III, n. 1577/1981; Cass. III, n. 2283/1965; Cass. III, n. 3094/1963; Cass. III, n. 1550/1962). Con riguardo alla l. n. 392/1978, la giurisprudenza ha seguito il medesimo percorso, affermando l'applicabilità della disciplina speciale (App. Napoli 19 luglio 1994). Nondimeno si è sostenuto che il proprietario sia tenuto non già a rispettare il contratto per dodici (o diciotto) anni, ma che lo stesso, alla scadenza del primo sessennio o novennio, possa avvalersi del diniego motivato di rinnovo per porre fine alla locazione (Trib. Milano 13 luglio 1992; Trib. Sanremo 28 dicembre 1989; Pret. Milano 31 ottobre 1985). La tesi secondo cui, in caso di cessazione dell'usufrutto, la locazione sarebbe opponibile al proprietario per una durata pari a quella minima prevista in tema di locazioni ad uso non abitativo è stato però criticato da chi ha evidenziato come durata della locazione e limiti di opponibilità di questa debbano essere tenuti ben distinti. Si è così rilevato che l'opponibilità della locazione conclusa dall'usufruttuario al nudo proprietario deriva dalla regola, di natura eccezionale, dell'art. 999 c.c., la quale nulla ha a che fare con le norme sulla durata delle locazioni. Pertanto, l'usufruttuario che abbia dato in locazione e poi, per scadenza del termine dell'usufrutto, non sia in condizione di adempiere, è responsabile nei confronti del conduttore per tutta la durata minima imposta dalla legge, sempreché il fatto estintivo gli sia imputabile, ma non potranno di certo imporsi le durate minime del contratto di locazione a soggetti che non hanno partecipato alla stipulazione di esso (Gabrielli, Padovini, 205). Successivamente anche la Suprema Corte è giunta a ritenere che la disciplina di cui all'art. 999 c.c. prevalga su quella in tema di durata delle locazioni urbane. Ai contratti di locazione urbani conclusi dall'usufruttuario si applica cioè l'art. 999 c.c., in quanto norma speciale e quindi prevalente rispetto alla disciplina generale in materia di locazioni urbane, e quindi le locazioni concluse dall'usufruttuario, in corso al tempo della cessazione dell'usufrutto, continuano per la durata stabilita, ma non oltre il quinquennio dalla cessazione dell'usufrutto, purché tali locazioni risultino da atto pubblico o da scrittura privata di data certa anteriore (Cass. III, n. 9345/2008). BibliografiaBarrasso, Di Marzio, Falabella, La locazione. Percorsi giurisprudenziali, Milano, 2008; Benedetti, La locazione tra codice civile e leggi speciali, in AA.VV., Contratti non soggetti all'equo canone, Milano, 1981; Bernardi, Coen, Del Grosso, Art. 4. Recesso del conduttore, in Bianca, Irti, Lipari, Proto Pisani, Tarzia (a cura di), Equo canone. Disciplina delle locazioni di immobili urbani, Padova, 1980; Bompani, Equo canone. 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