Codice di Procedura Civile art. 658 - Intimazione di sfratto per morosità.Intimazione di sfratto per morosità. [I]. Il locatore può intimare al conduttore, all'affittuario di azienda, all'affittuario coltivatore diretto, al mezzadro o al colono lo sfratto con le modalità stabilite nell'articolo precedente anche in caso di mancato pagamento del canone di affitto alle scadenze [1587 n. 2 c.c.], e chiedere nello stesso atto l'ingiunzione di pagamento per i canoni scaduti1. [II]. Se il canone consiste in derrate, il locatore deve dichiarare a norma dell'articolo 639 la somma che è disposto ad accettare in sostituzione [664, 666, 669].
[1] Comma così sostituito dall'art. 6 l. 30 luglio 1984, n. 399 e successivamente modificato dall'art. 3, comma 8, lett. f) d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, che dopo le parole «al conduttore» ha inserito le seguenti: «, all'affittuario di azienda, all'affittuario coltivatore diretto, al mezzadro o al colono»; ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023. InquadramentoNel procedimento per convalida di sfratto sono ammissibili non soltanto le pronunce costitutive di risoluzione, ma altresì le azioni di mero accertamento, quali quelle relative all'avvenuta risoluzione della locazione per effetto della clausola risolutiva espressa, di cui il locatore dichiari di avvalersi (Trib . Roma 5 gennaio 2022). L'art. 658, comma 1, c.p.c. prevede che il locatore può intimare al conduttore lo sfratto con le modalità stabilite nell'art. 657 c.p.c. anche in caso di mancato pagamento del canone di affitto alle scadenze, e chiedere nello stesso atto l'ingiunzione di pagamento per i canoni scaduti. L'art. 658, comma 2, c.p.c. dispone che ove il canone consiste in derrate, il locatore deve dichiarare a norma dell'art. 639 c.p.c. la somma che è disposto ad accettare in sostituzione. Nel procedimento speciale di intimazione di sfratto per morosità, regolato dall'art. 658 c.p.c., ove l'intimato non compaia all'udienza, o comparendo non si opponga, il giudice convalida lo sfratto e dispone con ordinanza l'apposizione in calce alla citazione della formula esecutiva (in relazione ai possibili scenari che possono verificarsi in concomitanza con la prima udienza nel procedimento di sfratto per morosità si rinvia al commento dell'art. 55 della l. n. 392/1978). Il contrasto giurisprudenziale insorto sull'applicabilità del procedimento di sfratto per morosità al rapporto generato dal contratto d'affitto d'azienda, alla luce del testo attuale dell'art. 658 c.p.c. rimasto immutato a seguito della c.d. Riforma Cartabia, a fronte della modifica apportata dalla citata riforma all'art. 657 c.p.c. ha reso improcrastinabile un nuovo intervento del legislatore questa volta in chiave correttiva. Infatti, alcuni giudici di merito (ex multis, Trib. Foggia 16 ottobre 2023), sostenuti da parte della dottrina, hanno escluso l'applicabilità dell'art. 658 c.p.c. – e per alcuni Tribunali anche del comma 2 dell'art. 657 c.p.c. – ai rapporti di affitto di azienda e di affitto di ramo di azienda, atteso che, se è testualmente previsto che possa intimarsi licenza prima della scadenza del contratto di affitto di azienda o di ramo di azienda ex art. 657, comma 1, c.p.c., non è stato ritenuto possibile estendere a tali rapporti il comma 2, in assenza di un esplicito testuale riferimento normativo – sfratto per già cessato contratto di affitto di azienda – per difetto testuale genetico risalente alla legge delega. Ed ancora, si è ritenuto, che maggiori difficoltà presenta lo strumento acceleratorio del rito sommario per convalida in presenza di morosità dell'affittuario dell'azienda, che abbia omesso di corrispondere i canoni a scadenza, in quanto l'art. 658 c.p.c., intitolato " intimazione di sfratto per morosità", non è stato innovato dalla riforma, per cui testualmente dovrebbe applicarsi al solo rapporto di locazione, con la conseguente esclusione della applicazione della norma all'affitto di azienda, mentre per il comodato l'esclusione è insita nella natura gratuita del rapporto. Altra parte della dottrina e della giurisprudenza (Cfr. ex plurimis Trib. Nola 13 novembre 2023; Trib. Verona 11 luglio 2023) ha contestato, però, la precedente linea interpretativa, sostenendo che ponendo a confronto i due articoli che disciplinano il procedimento di sfratto l'art. 657 c.p.c. e l'art. 658 c.p.c., emerge come nell'art. 657 c.p.c., relativo alla finita locazione – nella sua versione ante modifica – si faccia menzione, oltre che del conduttore, anche dell'affittuario coltivatore diretto, del mezzadro e del colono, soggetti tutti, questi ultimi, che non vengono citati nel successivo art. 658 c.p.c., relativo alla morosità, in cui si richiama il solo conduttore, facendo tuttavia riferimento alle modalità stabilite nell'articolo precedente. Questo ha portato la giurisprudenza ad interpretare il sostantivo “conduttore” in senso ampio ed a considerare utilizzabile pacificamente lo sfratto per morosità anche per affittuario coltivatore diretto, mezzadro e colono. È dunque lecito concludere che il legislatore delegato abbia ritenuto corretto adottare la stessa tecnica normativa utilizzata nel testo vigente ante modifica, in cui l'elencazione delle fattispecie contrattuali assoggettabili alla procedura di sfratto è contenuta nell'art. 657 c.p.c. e che il successivo art. 658 c.p. c. si limita a richiamare le modalità stabilite nell'articolo precedente, utilizzando in senso estensivo i due sostantivi “locatore” e “conduttore”. Diversamente opinando, del resto, cioè volendo attribuire ai due nomi testé citati una interpretazione restrittiva, verrebbe ad essere privo di senso il comma 2 dell'art. 658 c.p.c., che fa riferimento ad ipotesi in cui il canone consiste in derrate, fattispecie quest'ultima non certo applicabile al rapporto locativo ma tipica dell'affitto di fondi rustici, della mezzadria e della colonia parziaria. Poiché la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi, presentando uno spiccato carattere dì serìalità in tutti gli Uffici di merito che si occupano della materia locatizia, Trib. Napoli 20 dicembre 2023, sospendendo il giudizio su analoga questione ha disposto il rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 363 bis c.p.c. alla Corte di Cassazione per la risoluzione della questione di diritto se la procedura sommaria per convalida di sfratto per morosità di cui all'art. 658 c.p.c. sia o meno applicabile al contratto di affitto di azienda ovvero al contratto di affitto di ramo di azienda. A riguardo, è opportuno ricordare che nella Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo recante l'attuazione alla legge 26 novembre 2021, n. 206 recante la delega al governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata, in attuazione del principio contenuto nel comma 5, lett. R) all'art. 3, comma 46, lett. a) si era prevista l'estensione della applicabilità del procedimento di convalida, di licenza per scadenza del contratto e di sfratto per morosità, anche ai contratti di comodato di beni immobili e di affitto di azienda, in tale ottica, modificando l'art. 657 c.p.c. Il Consiglio dei ministri, in data 15 febbraio 2024 su proposta del Ministro della giustizia, ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo che introduce disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, recante attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata. Tra le altre cose, la bozza del nuovo testo normativo apporta modifiche al Codice di procedura civile con l'obiettivo di risolvere alcune difficoltà applicative ed apportare le correzioni o integrazioni necessarie per garantire la piena efficacia della recente riforma Cartabia. Il provvedimento si inserisce nel quadro degli impegni assunti con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), ed è indirizzato alla semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile. In particolare, è previsto all'art. 658, comma 1, c.p.c. dopo le parole «al conduttore» l'inserimento «, all'affittuario di azienda, all'affittuario coltivatore diretto, al mezzadro o al colono». L'ordinanza di convalida dello sfratto per morosità ha efficacia di cosa giudicata sostanziale con preclusione di ogni questione in merito alla risoluzione del contratto ed al possesso di fatto della cosa locata, ma non preclude, tuttavia, nell'autonomia dei rispettivi e correlativi diritti, né al locatore di instaurare separato giudizio per il pagamento dei canoni, né al conduttore di chiedere in giudizio l'accertamento dell'obbligo del pagamento, e di eccepire e contrastare, nell'indagine sui rapporti di dare e di avere in relazione ai canoni, la misura di questi (Cass. III, n. 17049/2017). Tale provvedimento ha natura estrinseca ed intrinseca di ordinanza contro la quale è ammissibile solo l'opposizione tardiva prevista dall'art. 668 c.p.c., con l'esclusione per l'intimato di ogni altro mezzo di impugnazione (in argomento, v. subart. 55 l. n. 392/1978). In dottrina, si ritiene che trattasi di un'azione costitutiva di risoluzione del contratto per inadempimento, associata ad un'azione di condanna del conduttore al rilascio dell'immobile locato (Garbagnati, 295; Preden, 435). Il procedimento si conclude con la convalida dello sfratto per morosità intimato dal locatore o con l'ordinanza ex art. 667 c.p.c. in caso di opposizione dell'intimato che dà luogo alla trasformazione in un processo di cognizione, destinato a svolgersi nelle forme di cui all'art. 447-bis c.p.c., con la conseguenza che, non essendo previsti specifici contenuti degli atti introduttivi del giudizio, il thema decidendum risulta cristallizzato solo in virtù della combinazione degli atti della fase sommaria e delle memorie integrative di cui all'art. 426 c.p.c., potendo, pertanto, l'originario intimante, in occasione di tale incombente, non solo emendare le sue domande, ma anche modificarle, soprattutto se in evidente dipendenza dalle difese svolte dalla controparte (Cass. VI, n. 4771/2019; Cass. III, n. 12247/2013; Cass. III, n. 8336/2004). Per effetto del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164 pubblicato in Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 264 dell’11 novembre 2024, ed entrato in vigore il 26 novembre 2024, al termine dell’ordinaria vacatio legis, il comma 1 dell’art. 658 c.p.c. è stato modificato, con applicazione del procedimento sommario di sfratto per morosità anche alle figure dell'affittuario di azienda, dell'affittuario coltivatore diretto, del mezzadro e del colono. In particolare, come previsto dal d. lgs. n. 164/2024 attuativo del Correttivo alla riforma Cartabia, l'estensione dell'ambito di applicazione dell'art. 658 c.p.c. al contratto di affitto di ramo d'azienda si giustifica “se” ed in quanto in tale tipologia negoziale sia compreso anche almeno un immobile (Trib. Bari 20 marzo 2025; Cass. III, n.29253/2024), trattandosi di dato comune ad ogni altra ipotesi considerata e, segnatamente, anche di quelle inserite in sede di modifica della norma anzidetta, come del resto risulta evidente dall'espresso riferimento al “comodatario di beni immobili”. Morosità del conduttore, clausola risolutiva espressa e gravità dell'inadempimentoL'omesso pagamento dei canoni alla scadenza convenuta, costituisce la violazione di una obbligazione primaria ed essenziale scaturente dal contratto di locazione, sicché il reiterato e persistente ritardo colpevole del conduttore, può giustificare la risoluzione ove venga ad incidere in modo rilevante sull'equilibrio negoziale, e l'eventuale tolleranza del locatore non può comportare per sé stessa una modificazione della disciplina contrattuale, non potendosi presumere una completa acquiescenza alla violazione di un obbligo contrattuale posto in essere dall'altro contraente, né un consenso alla modificazione suddetta da un comportamento equivoco, quale quello di non avere preteso in passato l'osservanza dell'obbligo stesso. Infatti il pagamento del canone di locazione costituisce la principale e fondamentale obbligazione del conduttore, al quale, non è consentito astenersi dal versare il corrispettivo o di determinare unilateralmente il canone nel caso in cui si verifichi una riduzione od una diminuzione del godimento del bene immobile, anche nell’eventualità in cui si assuma che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore, e ciò perché la sospensione totale o parziale dell'adempimento di detta obbligazione, ai sensi dell’art. 1460 c.c. è legittima soltanto quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte. Qualora il conduttore abbia continuato a godere dell'immobile locato, pur in presenza di vizi (quali potrebbero eventualmente essere quelli che rendano necessari lavori straordinari), non può sospendersi il pagamento dei canoni, perché tale comportamento non sarebbe proporzionale all'inadempimento del locatore (Trib. Benevento 15 settembre 2020).
L'art. 5 della l. n. 392/1978 – la l. n. 431/1998, ha lasciato in vigore detta norma – prevede che il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione del contratto di locazione, ai sensi dell'art. 1455 c.c. (La predeterminazione legale della gravità dell'inadempimento ai fini della risoluzione del contratto, trova applicazione esclusivamente per le locazioni ad uso di abitazione v. Cass. III, n. 12321/2005). Nelle locazioni di immobili urbani, l'art. 5 della l. n. 392/1978 non è direttamente applicabile, quanto alla predeterminazione della gravità dell'inadempimento del conduttore ai fini della risoluzione del contratto, alle locazioni ad uso non abitativo, ma al tempo stesso, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il criterio legale dettato da tale disposizione normativa può però essere tenuto in considerazione come parametro di orientamento per valutare in concreto, a norma dell'art. 1455 c.c., se l'inadempimento del conduttore sia stato o non di scarsa importanza (Cass. III, n. 1428/2017; Cass. III, n. 1234/2000). La valutazione dell'importanza o gravità dell'inadempimento all'obbligo di puntuale pagamento del canone, in relazione all'interesse del locatore insoddisfatto, ai fini della risoluzione, per il tipo contrattuale della locazione ad uso di abitazione è predeterminata legalmente (Cass. III, n. 10239/2000, in cui si precisa che la predeterminazione legale dell'inadempimento non è estensibile al tipo contrattuale della locazione per uso diverso dall'abitazione, rispetto al quale resta dunque operante il criterio della non scarsa importanza dell'inadempimento stabilito dall'art. 1455 c.c.) mediante previsione di un parametro ancorato ex artt. 5 e 55 della l. n. 392/1978 a due elementi: uno di ordine quantitativo, afferente al mancato pagamento di una sola rata del canone (Cass. III, n. 5956/1987) o degli oneri accessori d'importo superiore a due mensilità del canone, l'altro di ordine temporale, relativo al ritardo consentito e tollerato dal locatore (Cass. III, n.3558/1988). Ciò comporta che la clausola risolutiva espressa deve adeguarsi alla quantificazione legale del minimo di morosità rilevante, per cui, essa rimane sospesa – ancorché il locatore abbia dichiarato di volersene avvalere – fino alla prima udienza del procedimento di sfratto per morosità od alla scadenza del termine di grazia eventualmente concesso dal giudice, restando definitivamente inefficace ove il conduttore, in tale udienza, sani la morosità interamente, ovvero, parzialmente, ma la residua morosità sia inferiore al parametro fissato dall'art. 5 della l. n. 392/1978 di importo, cioè, non superiore a due mensilità del canone di locazione convenuto (Cass. III, n. 5031/1991). In tema di risoluzione contrattuale va, inoltre, rilevato che il giudizio sulla risolubilità per inadempimento di un contratto di locazione, ai sensi dell’art. 1455 c.c. non involge soltanto l'elemento oggettivo della mancata prestazione nel quadro dell'economia generale del negozio, ma anche gli aspetti soggettivi, costituiti principalmente dal comportamento della parte inadempiente, dall'importanza assunta per il locatore della mancata corresponsione dei canoni e dall'entità del turbamento causato all'equilibrio del rapporto sinallagmatico (Trib. Nola 24 settembre 2020). La sanatoria della morosità per effetto dell'intervento del terzoL'art. 1180, comma 1, c.c., prevede che l'obbligazione può essere adempiuta da un terzo, anche contro la volontà del creditore, se quest'ultimo non ha interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione. Applicando la trascritta disposizione normativa al contratto di locazione, la sanatoria della morosità del conduttore è dunque consentita anche al terzo, in virtù della regola generale dettata dall'art. 1180, comma 1, c.c., sempre che costui intenda adempiere nella veste di terzo, e non quando assuma di essere l'effettivo titolare del rapporto di locazione nei confronti del locatore (Cass. III, n. 741/2002). Il locatore può invece rifiutare il pagamento del canone locatizio da parte di soggetto diverso dal conduttore quando tale adempimento può ingenerare confusione sulla titolarità dello stesso rapporto locatizio (Cass. III, n. 21578/2004). Ai sensi dell'art. 1180, comma 2, c.c., il rifiuto del creditore dell'adempimento da parte del terzo in presenza di opposizione del debitore – la quale deve essere, a sua volta, dettata da situazioni giuridiche legittimamente tutelabili e deve ispirarsi all'osservanza del principio generale di cui all'art. 1175 c.c. – non può essere contrario a buona fede, dovendo essere sempre improntato al principio di correttezza, da ciò derivando che il giudice è abilitato a sindacare detta contrarietà ogni qualvolta il terzo alleghi e deduca in giudizio l'esercizio abusivo del rifiuto da parte del creditore, anche in relazione alla legittimità o meno delle ragioni dedotte dallo stesso debitore a fondamento della manifestata opposizione, che abbia così impedito al terzo – legittimato ed interessato a soddisfare il credito per i rapporti intercorrenti con il debitore, di cui il creditore sia stato reso edotto – di pagare in sostituzione del debitore, estinguendo l'obbligazione, in funzione della legittima tutela di propri eventuali diritti assunti come vantati nei confronti del medesimo debitore (Cass. II, n. 2207/2013). La sospensione dei termini durante il periodo feriale non si applica allo sfratto per morositàNel procedimento di convalida di sfratto per morosità, la sospensione dei termini durante il periodo feriale resta esclusa, in forza della deroga contenuta nell'art. 3 della l. n. 742/1969 in relazione all'art. 92 del r.d. n. 12/1941 solo per la fase sommaria, la quale si conclude, nel caso di opposizione dell'intimato, con la pronuncia od il diniego dell'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c., e che presenta per sua natura carattere di urgenza, mentre trova applicazione, ai sensi del principio generale stabilito dall'art. 1 della l. n. 742/1969 per la successiva fase a rito ordinario salvo che l'urgenza sia dichiarata con apposito provvedimento (Cass. VI, n. 23193/2015; Cass. III, n. 1423/2011; Cass. III, n. 12979/2010; Cass. III, n. 14304/2005; Cass. III, n. 677/2000). La valutazione dei presupposti per l'attivazione della procedura di sfratto per morositàCon l'art. 5 della l. n. 392/1978, il legislatore ha effettuato una valutazione dell'importanza dell'inadempimento nel pagamento del canone locatizio e dei suoi accessori condominiali, ai fini della risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1453 c.c., escludendo il potere discrezionale al riguardo del giudice come previsto dall'art. 1455 c.c., con la conseguenza che soltanto ove il ritardo nel pagamento del canone si protragga per un periodo inferiore alla scadenza prevista – ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori non superi quello di due mensilità del canone – pur essendovi inadempimento quest'ultimo è di scarsa importanza per una valutazione operata a monte dallo stesso legislatore, e non comporta la risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1455 c.c. all'uopo richiamato dal citato art. 5 della l. n. 392/1978. Al riguardo, va, altresì, rilevato che l'art. 5 della l. n. 392/1978, proprio con il richiamo all'art. 55 della l. n. 392/1978, consente che, pur se il ritardo nel pagamento del canone si è protratto oltre il ventesimo giorno dalla scadenza, il conduttore possa sanare la morosità in sede giudiziale, a termini dell'art. 55 citato, versando alla prima udienza, o nel termine assegnatogli dal giudice, l'importo dei canoni scaduti, maggiorato dagli interessi legali e delle spese processuali liquidate dal giudice, con l'eccezione che tale facoltà del conduttore è esclusa soltanto qualora vi sia stata già una sanatoria giudiziale per tre volte nel corso di un quadriennio, o quattro volte nelle ipotesi indicate nell'art. 55, comma 4, l. n. 392/1978. In buona sostanza, per effetto dell'art. 5 e 55 della l. n. 392/1978 – al cui commento si rinvia – sono stati apportati al procedimento per convalida di sfratto per morosità alcune parziali modifiche, stabilendo le modalità ed i termini nei quali è consentito al conduttore di sanare la morosità con l'effetto di impedire, alla prima udienza, la convalida dello sfratto. Il recesso dal contratto di locazioneL'opinione maggioritaria formatasi nella giurisprudenza, che tutela il conduttore come parte debole prevede che, nel caso in cui il conduttore receda per gravi motivi prima della scadenza del contratto, egli sia tenuto a fare fronte agli obblighi che derivano dalla sua unilaterale decisione ovvero al pagamento del canone per i mesi di preavviso anche se rilascia il bene anticipatamente, ovvero, che il conduttore sia tenuto al risarcimento del danno che il locatore provi di avere subito per l'anticipata restituzione dell'immobile. Nel caso inverso, invece, di recesso del locatore, la parte da tutelare è il conduttore il quale può beneficiare del preavviso per reperire un'alternativa per proseguire l'esercizio dell'impresa, ma anche in tale ipotesi, qualora il locatore abbia comunicato di non volere rinnovare il contratto alla prima scadenza, la giurisprudenza di legittimità è orientata nel senso di non riconoscere al conduttore la facoltà di decidere unilateralmente la cessazione anticipata del rapporto, sottraendosi, senza il consenso del locatore, alle proprie obbligazioni. In tale eventualità, il suo interesse a non perdere le occasioni che gli fossero date in epoca anteriore alla scadenza non potrà essere perseguito addossandone il costo al locatore, ma potrà essere soddisfatto, in base alle valutazioni di convenienza dello stesso conduttore, con la perdita costituita dall'immanenza delle obbligazioni del medesimo conduttore di pagare il canone fino alla scadenza, ovvero fino alla data anteriore alla quale il locatore accetti la restituzione, alla quale maturerà peraltro il suo diritto alla corresponsione dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, con il relativo onere a carico del locatore. Pertanto, la diversa scelta unilaterale del conduttore di non versare più il canone di locazione integra inadempimento e la perdita del diritto alla corresponsione dell'indennità di avviamento, essendosi il contratto risolto, in dipendenza di una condotta a lui addebitabile, prima di quella data (Cass. III, n. 21917/2017; Cass. III, n. 17681/2011; Cass. III, n. 19478/2005). La dichiarazione del locatore sulla persistenza della morositàIl presupposto speciale per l'emissione dell'ordinanza di convalida dello sfratto intimato per il mancato pagamento dei canoni, ai sensi dell'art. 663 c.p.c., non è l'obiettiva persistenza della morosità, ma la semplice attestazione in giudizio da parte del locatore o del suo difensore che la morosità persiste, per cui la convalida è illegittima solo se emessa in assenza di tale attestazione, restando irrilevante la circostanza che essa sia in ipotesi non veritiera (Cass. VI, n. 17582/2015), perché emessa in difetto del presupposto della mora, presupposto quest'ultimo incontrollabile nella sede sommaria in assenza dell'intimato, il quale potrebbe soltanto contestare l'affermazione del locatore e dimostrare che la morosità non sussiste (Cass. III, n. 11380/2006, in una fattispecie in cui è stato inammissibile l'appello proposto contro un'ordinanza di convalida pronunciata a seguito della mancata sanatoria della morosità nel termine di grazia assegnato dal giudice; Cass. III, n. 962/1987, in cui si ribadiva il principio dell'inoppugnabilità in cassazione dell'ordinanza di convalida sia nel caso in cui tale provvedimento abbia, oltre alla forma, la natura intrinseca dell'ordinanza sia quando, malgrado la forma di cui venga irritualmente rivestito, abbia contenuto sostanziale di sentenza, verificandosi quest'ultima ipotesi se il provvedimento si pone fuori dello schema procedimentale come, ad esempio, quando venga convalidato lo sfratto senza l'indispensabile attestazione, da parte del locatore, che la morosità persiste). Soltanto in mancanza dell'attestazione che la morosità persiste, l'ordinanza di convalida dello sfratto – pur essendo in linea di principio impugnabile solo con l'opposizione tardiva ex art. 668 c.p.c. – è soggetta al normale rimedio dell'appello, poiché in tale ipotesi, la si ritiene emessa in difetto di uno dei presupposti di legge, essendo quindi equiparabile ad una sentenza, anche ai fini dell'impugnazione (Cass. III, n. 11380/2006; Cass. III, n. 10146/2001). La concessione del termine per sanare la morositàAi sensi dell'art. 55, comma 1, della l. n. 392/1978 – al cui commento si rinvia – la morosità del conduttore nel pagamento dei canoni o degli oneri di cui all'art. 5 l. n. 392/1978 può essere sanata in sede giudiziale per non più di tre volte nel corso di un quadriennio se il conduttore alla prima udienza, versa l'importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice. Con riguardo allo sfratto per morosità, è stata ritenuta fondata la domanda di condanna alle spese di giudizio a carico del conduttore se quest'ultimo ha versato le somme per cui è causa successivamente alla notifica dell'atto di intimazione (Trib. Roma 31 gennaio 2011). In dottrina, si è acutamente osservato che “poiché la sanatoria di cui all'art. 55 citato ha l'effetto retroattivo di cancellare la morosità fatta valere dal locatore, se il conduttore sana la morosità nel termine di grazia concessogli in sede giudiziale, l'inadempimento vien meno sin dal momento della proposizione della domanda e, pertanto, non può giustificare la risoluzione del contratto” (Celeste, 4). L'udienza di verifica o controllo, serve a definire la sola fase del sub-procedimento ex art. 55 della l. n. 392/1978 e ciò comporta che il mancato pagamento nel termine assegnato dal giudice della somma non controversa, accertato all'udienza di verifica sulla scorta dell'attestazione del locatore intimante, determina la conclusione del procedimento con l'emanazione dell'ordinanza di convalida dell'intimato sfratto per morosità. Pertanto, il conduttore, per contrastare l'istanza del locatore stesso ed impedire la emissione a suo carico del provvedimento definitivo di rilascio dell'immobile ex art. 663, comma 1, c.p.c., conseguente alla suddetta attestazione dell'intimante di mancata od incompleta sanatoria della morosità nel termine assegnato, potrà fondare la sua opposizione unicamente su eccezioni relative al completo adempimento da parte sua dell'obbligazione nella forma qualificata derivata dal provvedimento di assegnazione del termine (Cass. III, n. 13538/2000). L'ammontare del canone locativo è lasciato alla libera determinazione delle parti, che possono ben prevedere l'obbligazione di pagamento per oneri accessori, specialmente quando questi sono strettamente connessi all'uso del bene, per cui, ai fini della praticabilità del procedimento di convalida di sfratto per morosità, il canone è inteso come corrispettivo comunque dovuto dal conduttore, comprensivo anche di eventuali oneri accessori (Cass. III, n. 22369/2004). In caso di sanatoria non completa, legittimamente viene emessa, una volta scaduto il termine di grazia, ordinanza di convalida di sfratto ex art. 663 c.p.c., dovendosi ritenere che la morosità persiste, senza che l'inadempimento residuo sia suscettibile di una nuova verifica sotto il profilo della gravità. A norma dell'art. 55 della l. n. 392/1978 il comportamento del conduttore sanante la morosità deve quindi consistere nell'estinzione di tutto quanto dovuto per canoni, oneri accessori, interessi e spese fino alla scadenza del termine di grazia, senza che l'inadempimento residuo sia suscettibile di una nuova verifica sotto il profilo della gravità, perché altrimenti sarebbe singolare ritenere che si possa sanare la morosità nel pagamento dei canoni passati e, dunque, estinguere il diritto alla risoluzione del contratto di locazione, persistendo una situazione di morosità durante lo svolgimento del termine di grazia (Cass. III, n. 13407/2001). La Corte costituzionale ha rigettato le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 55 della l. n. 392/1978, sollevate d'ufficio dal Tribunale di Modena in riferimento agli artt. 2, 3, comma 2, e 111 della Costituzione, nella parte in cui esclude la possibilità per il giudice, una volta scaduto il termine concesso per la sanatoria, di negare la convalida dello sfratto ove residui il mancato pagamento delle sole spese processuali, ed in ogni altra ipotesi nella quale la caducazione del rapporto contrattuale, tenendo conto dell'entità del debito residuo, ed avendo riguardo alle reciproche posizioni delle parti, determini un sacrificio sproporzionato dell'interesse abitativo del conduttore (Corte cost. 24 aprile 2020, n.79). Al riguardo, la Consulta ha osservato che il meccanismo processuale configurato per le locazioni ad uso abitativo dall'art. 55 della l. n. 392/1978, consentendo al conduttore in difficoltà di accedere alla speciale sanatoria in sede giudiziale entro il termine di grazia concesso dal giudice alla prima udienza, è di per sé frutto di un bilanciamento discrezionale degli interessi da parte del legislatore, allo scopo di accordare una particolare tutela al conduttore ove venga in rilievo il diritto all'abitazione, definito come “bene di primaria importanza” (Corte cost. n. 44/2020), atteso che il conduttore, in mancanza di questo speciale istituto, sarebbe irrimediabilmente esposto vuoi alla convalida dell'intimazione di sfratto nel procedimento monitorio, vuoi alla risoluzione contrattuale nel rito ordinario. È allora legittimo che il legislatore, in presenza di una finalità meritevole di tutela, preveda una disciplina speciale in bonam partem per il conduttore, senza che possa considerarsi irragionevole la mancata estensione di tale regime, già di carattere eccezionale, ad ipotesi ulteriori, specie in una materia come quella processuale dove la discrezionalità legislativa è particolarmente ampia ed è sindacabile solo sotto il profilo dell'arbitrarietà ovvero dell'irragionevolezza manifesta, tanto più che è lo stesso conduttore a non opporsi alla convalida ed a scegliere liberamente di richiedere la concessione del termine di grazia per sanare la morosità, e, per evitare, intanto, di perdere subito la disponibilità dell'immobile locato, essendo preclusa a seguito della relativa istanza la pronuncia dell'ordinanza provvisoria di rilascio di cui all'art. 665 c.p.c. A ciò aggiungasi che rientra nella discrezionalità del legislatore modellare gli istituti processuali, soprattutto quando hanno carattere speciale ed eccezionale, come appunto è la sanatoria in sede giudiziale prevista dalla disposizione censurata, atteso che tale discrezionalità è esercitata non irragionevolmente anche con riferimento all'ipotesi in cui residui solo il mancato pagamento delle spese processuali (Corte cost. 24 aprile 2020, n.79). Il legislatore ha incluso le spese processuali nell'importo complessivo perché operi, in favore del conduttore, la speciale sanatoria in sede giudiziale dell'art. 55, comma 5, l. n. 392/1978 nel contesto di un bilanciamento complessivo delle posizioni delle parti ed in considerazione del “sacrificio” richiesto al locatore che non ottiene, alla prima udienza, la convalida dell'intimazione di sfratto, pur persistendo in quel momento la morosità e mancando l'opposizione dell'intimato. In estrema sintesi, appartiene dunque alla discrezionalità del legislatore operare un diverso bilanciamento, maggiormente favorevole al conduttore moroso, così come da ultimo è stato previsto per i contratti agrari, in caso di affitto di fondi rustici, dall'art. 11, comma 8, d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, laddove prescrive che il pagamento dell'importo complessivo nel termine di grazia sana la morosità a tutti gli effetti senza necessità del previo pagamento delle spese processuali, che il giudice regola successivamente con sentenza (Corte cost. 24 aprile 2020, n.79). La sanatoria della morosità non opera per i contratti di locazione ad uso diverso da abitazione La disciplina di cui all'art. 55 della l. n. 392/1978 – al cui commento si rinvia – relativa alla concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti e per la sanatoria del relativo inadempimento, non opera per i contratti aventi ad oggetto gli immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo. Infatti il legislatore, nel dettare la disciplina della sanatoria in questione, non si è limitato a prevedere in genere che il conduttore convenuto per la risoluzione del contratto possa evitare tale effetto pagando, nell'ultimo termine consentitogli, tutto quanto da lui dovuto per canoni ed oneri ed accessori, ma ha limitato la portata della sua previsione al solo ambito delle ipotesi di inadempimento da morosità descritte e prese in considerazione dall'art. 5 della stessa l. n. 392/1978, di tal che è la stessa disposizione di cui all'art. 55 citato – la quale risulta inclusa tra quelle di natura processuale che, di per sé, non sono idonee a dilatare l'ambito di applicazione di una norma di natura sostanziale – a delineare la limitazione del suo ambito di applicazione alle sole locazioni abitative. Non a caso in dottrina si è evidenziato che il significato dell'istituto è quello di conservare il diritto all'abitazione del conduttore, tenendo indenne la controparte da ogni pregiudizio conseguente al ritardato pagamento (celeste, 4, il quale, precisa altresì che “si tratta, d'altronde, di una tendenza al salvataggio di taluni rapporti di durata che investono profili di rilievo economico-sociale, che sarà ripresa dall'art. 5 della l. n. 203/1982 in tema di contratti agrari, in forza del quale il concedente, prima di ricorrere al giudice, deve contestare all'altra parte, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, l'inadempimento ed illustrare le proprie motivate richieste, per cui “non si dà luogo” alla risoluzione del contratto ove l'affittuario sani le inadempienze entro tre mesi”). In tale senso, depone l'orientamento di legittimità laddove ha affermato il principio che la disciplina di cui all'art. 55 della l. n. 392/1978 relativa alla concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti e per la sanatoria del relativo inadempimento non opera in tema di contratti aventi ad oggetto immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo (Cass. S.U., n. 272/1999), ed in relazione alle locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria (Cass. III, n. 12743/2001). Sanatoria della morosità e giudizio a cognizione piena La speciale sanatoria della morosità del conduttore prevista dall'art. 55 della l. n. 392/1978 – al cui commento si rinvia – inizialmente non si riteneva ammissibile quando la risoluzione per inadempimento del conduttore era stata chiesta in un ordinario giudizio di cognizione, trovando in tale caso applicazione l'art. 1453, comma 3, c.c., il quale non consente al conduttore di adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda (Cass. III, n. 7253/1996). A seguito dell'intervento della Consulta (Corte cost., n.3/1999), alla quale era stata rimessa la questione di legittimità costituzionale dell'art. 55 della l. n. 392/1978 – al cui commento si rinvia anche per quanto attiene specificamente all'impatto della suddetta pronuncia della Consulta – nella parte in cui non consentiva la sanatoria giudiziale della morosità nel giudizio ordinario di risoluzione, dichiarata infondata, dopo avere rilevato che il testuale riferimento di tale disposizione alla sede giudiziale ed alla prima udienza non era sufficiente a circoscriverne l'ambito applicativo al procedimento per convalida di sfratto, e, ritenendo pertanto possibile un'interpretazione idonea ad escludere il prospettato contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., la giurisprudenza di legittimità – re melius perpensa – ha mutato orientamento, riconoscendo l'applicabilità della sanatoria di cui si discorre anche in caso di proposizione della domanda di risoluzione del contratto di locazione in via ordinaria, con la conseguenza che la stessa deve ritenersi ammissibile anche nell'ipotesi in cui la domanda sia proposta direttamente dinanzi agli arbitri (Cass. I, n. 21836/2014). La natura sostanziale e perentoria del termine per sanare la morosità Il termine per sanare la morosità, previsto dall'art. 55 della l. n. 392/1978 – al cui commento si rinvia anche per i relativi approfondimenti – ha natura sostanziale, poichè elide l'effetto proprio dell'inadempimento esistente (Cass. III, n. 23751/2008, in cui si è altresì precisato che una cosa è il rispetto del termine di grazia, altra cosa è l'effetto estintivo dell'obbligazione che si verifica successivamente, ad avvenuto pagamento al creditore), ed è da qualificarsi perentorio, e, quindi, non prorogabile (Cass. III, n. 4352/2009; Cass. III, n. 23751/2008). La soluzione del problema circa la natura perentoria o meno del termine che il giudice, nelle controversie instaurate per il rilascio dell'immobile locato a causa della morosità del conduttore nel pagamento del canone e degli accessori, può assegnare al conduttore per sanare la morosità, a norma dell'art. 55, comma 2, della l. n. 392/1978 risale ad una risalente giurisprudenza (Cass. III, n. 4598/1986), in cui si era precisato che sebbene la qualificazione di un termine come perentorio deve risultare espressamente dalla legge ex art. 152 c.p.c., l'espressa qualificazione in tale senso, può risultare dal carattere del termine ed in particolare, dagli effetti che l'inutile decorso di esso produce, secondo l'espressa sanzione normativa, essendo di non equivoca rilevazione che il termine de quo ha natura perentoria essendo in tale senso afferente non soltanto la considerazione del suo carattere, e cioè dell'articolarsi come limite ad una risoluzione del contratto che il legislatore ricollega di diritto ed automaticamente – escludendo ogni valutazione discrezionale del giudice ex art. 1455 c.c. – all'inadempimento del conduttore. Ciò in quanto, costituendo questo tipo di sanatoria un'eccezione al principio generale stabilito dall'art. 1453 c.c., secondo cui dalla data della domanda di risoluzione l'inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione, se entro il concesso termine di grazia, il conduttore non ha provveduto a sanare la mora, al giudice non è concessa la possibilità di valutare la gravita o meno dell'inadempimento, a norma dell'art. 1455 c.c. così come avviene quando si tratti di termine essenziale ai sensi dell'art. 1457 c.c. Pertanto, il fatto che il locatore accetti il pagamento dei canoni già scaduti non integra quindi una volontà incompatibile con la richiesta di risoluzione del contratto di locazione, né ha senso, in tale prospettiva, valutare il comportamento tenuto dalle parti nel periodo successivo al pagamento eseguito oltre il concesso termine di grazia (Cass. III, n. 4352/2009). L'onere di allegazione delle comprovate condizioni di difficoltà grava sul conduttore L'art. 55, comma 2, della l. n. 392/1978 – al cui commento si rinvia – dispone che ove il pagamento non avvenga in udienza, il giudice, dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, può assegnare un termine non superiore a giorni novanta. L'uso del termine “comprovate” dimostra che le condizioni di difficoltà devono in primo luogo essere dedotte e poi provate, e l'onere relativo non può essere posto, secondo i principi generali, se non a carico del conduttore, posto che al più potrebbe concedersi che ove il locatore, di fronte alla deduzione dell'esistenza di una situazione di difficoltà, nulla eccepisca, detta situazione possa ritenersi non contestata, ma in ogni caso sarebbe comunque necessaria la prospettazione di una difficoltà, che non può essere generica, ma deve essere specificatamente indicata, non potendosi ritenere, senza svuotare di contenuto la lettera della norma, che la prospettazione della difficoltà sia implicita nella stessa richiesta del termine (Cass. III, n. 6778/1992). Infatti, si è ritenuto che la concessione del termine di grazia integra non un obbligo ma una facoltà discrezionale di cui il giudice può avvalersi quando non sia stato effettuato il pagamento alla prima udienza di comparizione delle parti, a fronte di comprovate difficoltà del conduttore (Cass. III, n. 1830/1992; Cass. III, n. 5113/1989, in cui si è precisato che ove il giudice non ritenga di concedere il richiesto termine, convalida lo sfratto, tenuto conto che la sollecitazione di tale facoltà discrezionale non integra un'opposizione preclusiva della convalida). In tale senso, si è quindi affermato che in base all'art. 55 della l. n. 392/1978 – al cui commento si rinvia – il giudice, su istanza di parte può – non deve – assegnare alla parte convenuta un termine non superiore a 90 giorni al fine di sanare la morosità, ed essendo l'istituto in esame funzionale a sanare la morosità, la parte non può essere ammessa a tale beneficio quando non vi sia prospettiva che essa possa o intenda pagare l'intera morosità maturata, le mensilità del canone maturande e le spese processuali neppure nel termine massimo concedibile pari a 90 giorni (Trib. Cagliari 8 marzo 2018, in cui si osserva, che in tale ipotesi, la concessione del termine di grazia si tradurrebbe nell'esposizione della parte locatrice all'elevatissimo rischio di non recuperare né il credito maturato né quello che maturerebbe per le mensilità di canone nel periodo di cui si protrarrebbe la disponibilità dell'immobile locato in capo alla conduttrice; in senso conforme, Trib. Belluno 8 aprile 2016, in cui si è affermato che la speciale sanatoria della morosità del conduttore prevista dall'art. 55 della l. n. 392/1978 è subordinata al pagamento integrale, oltre che dei canoni scaduti, degli interessi e delle spese, in quanto il comportamento sanante del conduttore è predeterminato dal legislatore, e, consiste nel pagamento di quanto dovuto sino alla data della prima udienza o della verifica in caso di concessione del richiesto termine di grazia). La speciale sanatoria della morosità del conduttore prevista dall'art. 55 della l. n. 392/1978, è subordinata al pagamento integrale oltre dei canoni scaduti, degli interessi legali e delle spese processuali liquidate dal giudice, per cui in caso di pagamento incompleto la morosità persiste (Cass. III, n. 18224/2013). L'art. 55, comma 3, della l. n. 392/1978 prevede che in tale caso, il giudice rinvia l'udienza a non oltre dieci giorni dalla scadenza del termine assegnato. In base all'art. 55, comma 4, della l. n. 392/1978 – al cui commento si rinvia – la morosità può essere sanata, per non più di quattro volte complessivamente nel corso di un quadriennio, ed il termine di cui all'art. 55, comma 2, della l. n. 392/1978 è di centoventi giorni, se l'inadempienza, protrattasi per non oltre due mesi, è conseguente alle precarie condizioni economiche del conduttore, insorte dopo la stipulazione del contratto e dipendenti da disoccupazione, malattie o gravi, comprovate condizioni di difficoltà. L'art. 55, comma 5, della l. n. 392/1978 – al cui commento si rinvia – stabilisce che il pagamento, eseguito nel rispetto dei termini anzidetti, esclude la risoluzione del contratto di locazione. Le comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, la cui esistenza autorizza la concessione del termine di grazia, ai sensi dell'art. 55 della l. n. 392/1978, sono naturalmente soltanto le difficoltà di ordine economico, determinanti l'impossibilità di sanare la morosità nel termine ordinario, ossia, a norma del 1 comma dello stesso articolo, nella prima udienza. Pertanto, posto che per ottenere legittimamente la concessione del termine, le difficoltà economiche devono essere nello stesso tempo specificamente dedotte e comprovate dal conduttore, appare evidente che ove tali difficoltà economiche non siano dedotte o, se dedotte, non siano comprovate, dandone atto nel verbale di causa – con la precisazione che la parte la quale lamenti che in udienza è stata omessa, in violazione dell'art. 126 c.p.c., la verbalizzazione di una qualsiasi dichiarazione, allegazione o istanza, non può pretendere di ricavare aliunde la prova di tali dichiarazioni, allegazioni od istanze, dovendosi assumere l'onere di proporre querela di falso, atteso che il verbale di udienza, in quanto atto pubblico, fa piena prova delle dichiarazioni che il pubblico ufficiale attesta essere state rese in sua presenza – e ciò nonostante il termine di grazia sia stato ugualmente concesso dal giudice, l'illegittimità del provvedimento può essere sempre invocata dal locatore, per farne discendere l'inefficacia della sanatoria eseguita in forza di esso (Cass. III, n. 1264/2003). La richiesta di purgazione della morosità proposta in via subordinata Nella giurisprudenza di merito, è emerso un orientamento volto a ritenere che non esiste incompatibilità sul piano logico tra opposizione alla convalida di sfratto per morosità e richiesta di concessione del termine di grazia ai sensi dell'art. 55 della l. n. 392/1978 – al cui commento si rinvia – stante l'eterogeneità, ontologica e funzionale, delle due figure, con la conseguenza che esse possono essere formulate contestualmente, anche in via subordinata. L'opposizione, tuttavia, continua a produrre l'effetto di impedire la pronuncia dell'ordinanza di convalida, anche qualora la morosità non sia stata sanata entro il termine concesso, salva la possibilità che la fase sommaria del procedimento si concluda con l'emissione o la negazione dell'ordinanza provvisoria di rilascio, ove di questa l'intimante abbia fatto rituale richiesta, e determina il passaggio del procedimento alla fase a cognizione ordinaria (Trib. Patti 24 luglio 2008; contra, Trib. Modena 20 gennaio 2009, laddove afferma che in tema di sfratto per morosità, sussiste incompatibilità logica tra opposizione alla convalida e richiesta di sanatoria ex art. 55 della l. n. 392/1978 – c.d. termine di grazia – che a differenza della prima, presuppone la non contestazione della domanda del locatore). In tale senso, si è espresso anche un noto orientamento emerso nella giurisprudenza di legittimità (in dottrina, per approfondimenti, v. Celeste, 23). il giudice può accordare il termine per purgare la morosità anche quando la relativa richiesta sia proposta in via subordinata dal conduttore, senza necessità di valutare la fondatezza delle altre richieste, presupponendo tale valutazione il passaggio ad un'ulteriore fase processuale, ed ove accerti il mancato pagamento nel rispetto del termine, deve emettere l'ordinanza di convalida, la quale, deve ritenersi condizionata al mancato pagamento nel termine fissato dal giudice (Cass. III, n. 11380/2006), atteso che per effetto del mancato pagamento il procedimento retrocede alla fase precedente all'instaurazione del sub-procedimento di sanatoria, sicché il provvedimento da emettere è quello di convalida che avrebbe dovuto essere emesso se il predetto sub-procedimento non si fosse instaurato (Cass. III, n. 19772/2003). In tema di locazione di immobili urbani, qualora il conduttore cui sia stato intimato lo sfratto per morosità nel pagamento del canone, pur opponendosi alla convalida per l'eccepita inesistenza della morosità affermata dal locatore, provveda a corrispondere i canoni dovuti e chieda termine per il pagamento delle spese processuali, previa liquidazione delle stesse da parte del giudice, dimostra con tale comportamento una volontà incompatibile con l'opposizione alla convalida, per cui ove egli non adempia al pagamento delle spese nel termine fissato dal giudice, questi, ai sensi dell'art. 663 c.p.c., deve pronunciare ordinanza di convalida di sfratto, senza possibilità di rinvio della causa per un'ulteriore trattazione del merito (Cass. III, n. 11704/2002). Qualora, convenuto in un giudizio per la convalida di sfratto per morosità, il conduttore contesti il fondamento dell'intimazione e proponga a sua volta domanda riconvenzionale, pur chiedendo ed ottenendo termine di grazia ed adempiendo nei termini al pagamento del chiesto da parte del locatore, l'opposizione cosi proposta, determina la conclusione del procedimento sommario e l'instaurazione di un autonomo processo a cognizione ordinaria, nel quale il giudice dovrà esaminare e considerare tutte le contrapposte domande, eccezioni e contestazioni, rispettando il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Pertanto deve considerarsi abnorme e con natura di sentenza il provvedimento reso in forma di ordinanza di estinzione, che dovrà essere ritenuto invalido ed inefficace ai fini della prosecuzione del giudizio (Cass. III, n. 25393/2009). In dottrina, è dibattuta la quaestio relativa alla compatibilità tra la richiesta di concessione del termine di grazia per sanare la morosità ed opposizione alla convalida dello sfratto, in quanto nessuna norma dispone che la richiesta formulata dal conduttore ex art. 55 della l. n. 392/1978 – al cui commento si rinvia, anche per quanto attiene alla problematica di cui si discorre – comporti la rinuncia a proporre contestualmente opposizione alla richiesta di convalida di sfratto proposta dal locatore, ovvero, una preclusione a proporla successivamente all'udienza di verifica, provocando l'emissione dell'ordinanza ex art. 667 c.p.c. (Frasca 2001, 432), Contra, la tesi di chi invece ritiene inammissibile la concessione del termine di grazia in presenza di contestazione dell'intimato sia parziale oppure totale (Masoni 2007, 471). L'ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti ed a scadereNel procedimento di sfratto per morosità azionato ex art. 658 c.p.c., il locatore può chiedere contestualmente allo stesso giudice delle locazioni adito, l'emissione del decreto ingiuntivo di pagamento dei canoni scaduti ed a scadere. La norma di riferimento è l'art. 664 c.p.c. (al cui commento si rinvia). Quanto alla domanda di condanna in futuro di parte convenuta al pagamento dei canoni a scadere fino all'effettivo rilascio dell'immobile, esistono due orientamenti giurisprudenziali di merito. In base al principio generale sancito dall'art. 100 c.p.c., che prevede che l'azione giudiziale deve essere sorretta da un interesse ad agire attuale e concreto, una prima tesi ritiene che tale principio impedisce di accogliere la suddetta domanda, perché basata su una circostanza che non si era ancora verificata al momento della proposizione della domanda. In base a questo orientamento, è vero che l'art. 664 c.p.c., in caso di convalida dell'intimazione di sfratto, consente l'emissione di un'ingiunzione di pagamento avente ad oggetto non solo i canoni scaduti, ma anche quelli a scadere, ma tale ipotesi, in quanto norma eccezionale rispetto al generale divieto di condanna per il pagamento di crediti futuri, non può essere applicata per analogia quando il procedimento sommario originariamente instaurato da parte attrice viene ad essere convertito in un procedimento a cognizione piena (Trib. Torino 27 febbraio 2019). Secondo altro orientamento, l'ulteriore domanda di condanna del resistente al pagamento dei canoni da scadere sino alla riconsegna della res, comunque dovuti dal conduttore a seguito della risoluzione del contratto, è meritevole di accoglimento, in quanto trova il suo fondamento nella particolare disposizione dell'art. 664, comma 1, c.p.c., secondo cui, in caso di convalida definitiva dello sfratto intimato per la morosità del conduttore, è ammissibile l'emissione dell'ingiunzione al pagamento non solo dei canoni scaduti alla data di notificazione dell'intimazione ma, ove l'intimante ne abbia fatto contestuale richiesta, anche di quelli da scadere fino all'esecuzione dello sfratto, quale ipotesi specifica di condanna c.d. in futuro, di carattere tipico e di natura eccezionale, con la quale l'ordinamento tutela l'interesse del creditore all'ottenimento di un provvedimento nei confronti del debitore prima ancora che si verifichi l'inadempimento (Trib. Salerno 4 gennaio 2018). Quest'ultimo orientamento è conforme alla giurisprudenza di legittimità (Cass. III, n. 11603/2005) formatasi su tale questione. La richiesta separata di ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti ed a scadere La facoltà accordata dall'art. 664 c.p.c. al locatore di agire contestualmente al ricorso di sfratto per morosità per richiedere i canoni locatizi rimasti impagati, non esclude che il medesimo locatore possa decidere di agire con separato ricorso per decreto ingiuntivo una volta convalidato l'intimato sfratto per morosità. Infatti, non può escludersi la possibilità per la parte intimante lo sfratto per morosità di agire in separata sede per il riconoscimento del proprio credito, posto che con l'art. 658 c.p.c. – che attribuisce al locatore la facoltà di cumulare nel medesimo atto di intimazione le due distinte domande – il legislatore non ha inteso derogare alle regole generali ed escludere la possibilità di agire ai sensi dell'art. 633 c.p.c. (Trib. Padova 14 marzo 2013). Ciò in quanto l'ordinanza di convalida dello sfratto per morosità assume l'efficacia di cosa giudicata sostanziale con preclusione di ogni questione in merito alla risoluzione del contratto ed al possesso di fatto della cosa locata, ma non preclude, tuttavia, nell'autonomia dei rispettivi e correlativi diritti, nè al locatore di instaurare separato giudizio per il pagamento dei canoni, nè al conduttore di chiedere in giudizio l'accertamento dell'obbligo del pagamento e di eccepire e contrastare, nell'indagine sui rapporti di dare e di avere in relazione ai canoni, la relativa misura. Qualora il procedimento di sfratto per morosità risulti già definito con l'ordinanza di convalida e la liquidazione delle spese processuali, in questo caso non può essere accolta la richiesta di emissione di decreto ingiuntivo, ferma restando la possibilità per la parte istante di proporre autonoma domanda di condanna, anche in via monitoria con ricorso ex art. 633 c.p.c. (Trib. Bologna 1° novembre 2023). La formazione del giudicato L'ordinanza di convalida di sfratto è un provvedimento giurisdizionale irrevocabile che ha valore di cosa giudicata sostanziale per la risoluzione del contratto di locazione e per la condanna al rilascio (tra le altre v. Cass. III, n. 19695/2008; Cass. III, n. 2280/2005), ovvero sulla qualità di parte dell'intimante, atteso che la qualità di locatore, data la natura personale del rapporto di locazione, non presuppone necessariamente anche quella del proprietario, essendo sufficiente la disponibilità materiale della res (Cass. III, n. 10270/1994). La convalida per finita locazione, una volta definitiva perché preclusa anche l'opposizione tardiva, acquista dunque l'efficacia di cosa giudicata sostanziale non solo sull'esistenza della locazione, ma pure sulla qualità di locatore dell'intimante e di conduttore dell'intimato, sull'intervento di una causa di cessazione o risoluzione del rapporto, come pure sulla qualificazione di esso, se la scadenza del medesimo, richiesta ed accordata dal giudice, è strettamente correlata alla tipologia del contratto. Tale assunto è coerente con i principi in tema di giudicato implicito e della sua estensione soltanto alle questioni dedotte o deducibili come antecedenti logici necessari indefettibili per la decisione, tra i quali non rientra l'entità del canone, di per sé sola ed in sé considerata, né la legittimità dei presupposti per il suo calcolo, attesa la limitatezza della cognizione indotta dalla mancata comparizione o dalla mancata contestazione del locatario e la sufficienza, ai fini della convalida, dell'an della mora e non anche del quantum. Pertanto, un giudicato anche sull'entità del canone può conseguirsi soltanto in caso di contestuale ingiunzione di pagamento per i canoni a contratto in corso divenuta definitiva (Cass. III, n. 12994/2013; Cass. III, n. 8565/2012; Cass. III, n. 16319/2007). Ciò premesso, occorre considerare le conseguenze della mancata opposizione sul decreto ingiuntivo emesso per i canoni locatizi scaduti ed a scadere. Ll giudicato sul decreto ingiuntivo non opposto recante l'intimazione al pagamento dei canoni locatizi arretrati fa stato fra le stesse parti circa l'esistenza e validità del rapporto corrente inter partes e, dunque, sulla misura dello stesso canone preteso, nonché fa stato circa l'inesistenza di tutti i fatti impeditivi od estintivi, anche non dedotti, ma deducibili nel giudizio di opposizione, quali quelli atti a prospettare l'insussistenza totale o parziale del credito azionato in sede monitoria dal locatore a titolo di canoni insoluti, per effetto di controcrediti del conduttore per somme indebitamente corrisposte in ragione di maggiorazioni contra legem del canone di locazione (Cass. III, n. 16319/2007; Cass. III, n. 5801/1998). Il decreto ingiuntivo non opposto acquista, al pari di un'ordinaria sentenza di condanna, autorità ed efficacia di cosa giudicata sostanziale, in relazione al diritto in essa consacrato, ed il giudicato si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, non esclusa la soluzione di tutti i punti che, indipendentemente da un'esplicita deduzione delle parti, siano stati la premessa logica e necessaria della pronuncia. In particolare, la cognizione del giudice chiamato a provvedere sulla domanda di ingiunzione di un pagamento non si esaurisce nel controllo meramente formale del titolo astrattamente idoneo ad ottenere il provvedimento richiesto, ma si concreta nell'esame, sia pure sommario ed inaudita altera parte, del rapporto obbligatorio dedotto, tanto in relazione all'esistenza dei fatti costitutivi, quanto all'inesistenza di fatti impeditivi modificativi o estintivi. Pertanto, se il debitore non si avvale del rimedio della opposizione con cui può chiedere anche la sospensione dell'esecuzione provvisoria del provvedimento, la pronuncia che ha accertato l'esistenza e la validità della pretesa vantata, fa stato tra le parti e l'autorità del giudicato copre tutte le relative questioni, dedotte o deducibili, precludendo che esse possano essere riesaminate in un successivo giudizio, avente ad oggetto una domanda relativa allo stesso rapporto sostanziale. I suesposti principi trovano applicazione anche nel caso – che qui particolarmente interessa – in cui il locatore chieda, nello stesso atto di intimazione di sfratto per morosità, l'ingiunzione di pagamento per i canoni scaduti ed a scadere. Infatti, l'art. 664 c.p.c., disponendo che il giudice adito pronuncia separato decreto di ingiunzione, immediatamente esecutivo, ma contro il quale può essere proposta opposizione a norma del capo precedente, rende evidente che il procedimento relativo al decreto ingiuntivo viene ad essere separato da quello sulla convalida, per seguire il suo corso secondo le norme sue proprie, cosicché in difetto di opposizione il decreto stesso passa in giudicato con effetti preclusivi uguali a quelli di qualsiasi provvedimento di condanna irrevocabile (Cass. III, n. 7815/1991). Casistica La pronuncia della convalida di sfratto è illegittima se la parte locatrice non ha precisato l’oggetto della morosità, in tale ipotesi, restando preclusa l’esistenza della cosa giudicata sulla cessazione della locazione per morosità in forza del regime che pacificamente ha, sotto il profilo dell’efficacia di giudicato, l’ordinanza di convalida di sfratto (Cass. III, n. 20402/2024). Infatti, soltanto quando nel giudizio di convalida di sfratto per morosità sia stato proposto ricorso per l'ingiunzione di pagamento di canoni scaduti, il provvedimento destinato a concluderlo può assumere l'efficacia di cosa giudicata, non soltanto circa l'esistenza e validità del rapporto corrente inter partes e sulla misura del canone preteso, ma anche circa l'inesistenza di tutti i fatti impeditivi od estintivi, anche non dedotti, ma deducibili nel giudizio d'opposizione, come nel caso di insussistenza, totale o parziale, del credito azionato in sede monitoria dal locatore, per effetto di controcrediti del conduttore per somme indebitamente corrisposte a titolo di maggiorazioni contra legem del canone. Nel procedimento per convalida di sfratto, l'opposizione dell'intimato dà luogo alla trasformazione in un processo di cognizione, destinato a svolgersi nelle forme di cui all'art. 447-bis c.p.c., con la conseguenza che, non essendo previsti specifici contenuti degli atti introduttivi del giudizio, il thema decidendum risulta cristallizzato solo in virtù della combinazione degli atti della fase sommaria e delle memorie integrative di cui all'art. 426 c.p.c., potendo, pertanto, l'originario intimante, in occasione di tale incombente, non solo emendare le sue domande, ma anche modificarle, soprattutto se in evidente dipendenza dalle difese svolte dalla controparte (Cass. VI, n. 4771/2019; Cass. III, n. 12247/2013). In particolare, si è recentemente ribadito il principio che nel procedimento per convalida di sfratto, l'opposizione dell'intimato determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l'instaurazione di un nuovo ed autonomo procedimento con rito ordinario, nel quale le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa per il locatore la possibilità di porre a fondamento della domanda una causa petendi diversa da quella originariamente formulata, e per il conduttore la possibilità di dedurre nuove eccezioni e di spiegare domanda riconvenzionale (Cass. III, n. 17955/2021). Nel caso di morosità del conduttore per più canoni mensili della locazione, spetta al locatore stabilire a quali dei canoni, scaduti e non corrisposti, debbano essere imputate le somme ricevute dal conduttore, indipendentemente dalle contrarie indicazioni di quest'ultimo (Cass. III, n. 4559/1983). L'obbligazione di pagamento dei canoni di locazione costituisce un debito di valuta, sicché, ai sensi dell'art. 1224 c.c., la rivalutazione è dovuta solo per la parte eccedente il danno da ritardo coperto dagli interessi (Cass. III, n. 19222/2015). Il pagamento in corso di causa dei canoni di locazione scaduti, non esclude la valutazione da parte del giudice del merito della gravità dell'inadempimento del conduttore dedotto con l'intimazione di sfratto, specie quando l'inadempimento sia stato preceduto da altri prolungati, reiterati e ravvicinati ritardi nel pagamento del canone medesimo (Cass. III, n. 8550/1999). In tema di locazione di immobili urbani, il conduttore che, convenuto in un giudizio di sfratto per morosità, abbia richiesto la concessione del c.d. termine di grazia, manifesta implicitamente, per ciò solo, una volontà incompatibile con quella di opporsi alla convalida, sicché al mancato adempimento nel termine fissato dal giudice consegue ipso facto l'emissione dell'ordinanza di convalida ex art. 663 c.p.c., senza che possano assumere rilievo, in quanto irrituali e tardive, eventuali eccezioni o contestazioni circa la sussistenza e/o l'entità del credito vantato dal locatore, sollevate dopo la predetta richiesta di termine per sanare la morosità (Cass. III, n. 5540/2012; Cass. III, n. 24764/2008). La dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa può essere fatta direttamente con l'intimazione di sfratto, ovvero, con l'atto che introduce il giudizio exartt. 657 e 658 c.p.c. oltre che essere dichiarata, come di regola, in via stragiudiziale (Trib. Torino 15 gennaio 2019). Nelle locazioni di immobili ad uso diverso dall'abitazione, l'offerta od il pagamento del canone, se effettuati dopo l'intimazione di sfratto, non consentono, da una parte, attesa l'insussistenza della persistente morosità di cui all'art. 663, comma 3, c.p.c., l'emissione, ai sensi dell'art. 665 c.p.c., del provvedimento interinale di rilascio con riserva delle eccezioni, ma non comportano, dall'altra, nel giudizio susseguente a cognizione piena, l'inoperatività della clausola risolutiva espressa, in quanto, ai sensi dell'art. 1453, comma 3, c.c., dalla data della domanda avanzata ex art. 657 c.p.c., con l'intimazione di sfratto, introduttiva della causa di risoluzione del contratto, il conduttore non può più adempiere (Cass. III, n. 28502/2018). Nelle locazioni ad uso diverso dall'abitazione, il pagamento del canone effettuato dopo l'intimazione di sfratto per morosità non consente l'emissione, ai sensi dell'art. 665 c.p.c., del provvedimento interinale di rilascio dell'immobile con riserva delle eccezioni del convenuto, per l'insussistenza della persistente morosità, di cui all'art. 663, comma 3, c.p.c., ma nel giudizio susseguente a cognizione piena, non comporta l'inoperatività della clausola risolutiva espressa, posto che, ai sensi dell'art. 1453, comma 3, c.c., dalla data della domanda avanzata con l'intimazione di sfratto per morosità, il conduttore non può più adempiere (Cass. III, n. 13248/2010). Quando viene proposta l'ordinaria domanda ai sensi dell'art. 1453 c.c., con l'intimazione di sfratto per morosità, non è possibile mutarla in domanda di accertamento dell'avvenuta risoluzione ope legis ex art. 1456 c.c., trattandosi di domande tra loro radicalmente diverse sia per quanto concerne il petitum – perché con la domanda di risoluzione ai sensi dell'art. 1453 c.c., si chiede una sentenza costitutiva, mentre con quella di cui all'art. 1456 c.c., si postula una sentenza dichiarativa – sia per quanto concerne la causa petendi, perché nell'ordinaria domanda di risoluzione, ai sensi dell'art. 1453 c.c., il fatto costitutivo è l'inadempimento grave e colpevole mentre, nell'altra, esso è dato dalla violazione ex se della clausola risolutiva espressa (Cass. III, n. 11864/2015). La clausola risolutiva espressa inserita in un contratto di locazione non presenta carattere vessatorio perché riproduce il disposto dell'art. 5 della l. n. 392/1978, non ricorrendo il presupposto per l'applicazione della disciplina di cui all'art. 1341 c.c., rappresentato dall'unilaterale predisposizione, in quanto detta clausola non rientra fra quelle che stabiliscono limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, con aggravamento della condizione di uno dei contraenti, perché la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto spetta in base all'art. 1453 c.c., per cui la clausola risolutiva non fa che rafforzare tale facoltà, accelerando la risoluzione del rapporto (Cass. III, n. 369/2000). Nel procedimento per convalida di sfratto, ove il locatore intimante non compaia all'udienza indicata nell'atto di citazione ed il conduttore intimato, comparso a tale udienza, chieda la condanna del locatore alle spese, è impugnabile con l'appello e non con il ricorso straordinario per cassazione il provvedimento col quale il giudice, ai sensi dell'art. 662 c.p.c., dichiarata l'estinzione del procedimento di convalida, pone le spese di giudizio a carico dell'intimante, trattandosi di provvedimento decisorio di merito in relazione al quale manca – a differenza di quanto previsto dall'art. 306, comma 4, c.p.c., – un'espressa previsione di non impugnabilità (Cass. III, n. 15933/2012). E' nullo il patto col quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato, e, tale nullità, vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall'avvenuta registrazione, ragione per cui l'esistenza di un controcredito del conduttore convenuto in giudizio ex art. 658 c.p.c., maggiore rispetto a quello del locatore, rappresentato dai canoni non versati, vale di per sè ad escludere la sussistenza della morosità. Infatti in caso di omessa registrazione del contratto contenente la previsione di un canone non simulato, ci si trova di fronte ad una nullità testuale ex art. 1, comma 346 della l. n. 311/2004, sanabile con effetti ex tunc a seguito del tardivo adempimento all'obbligo di registrazione, mentre nel caso di simulazione relativa del canone di locazione, e di registrazione del contratto contenente la previsione di un canone inferiore per finalità di elusione fiscale, si è in presenza, quanto al c.d. accordo integrativo, di una nullità virtuale insanabile, ma non idonea a travolgere l'intero rapporto - compreso, quindi, il contratto reso ostensibile dalle parti a seguito della sua registrazione (Cass. III, n. 22126/2020). Il locatore che, una volta intervenuta la convalida di sfratto per morosità nei confronti del conduttore, si sostituisca all'ufficiale giudiziario cambiando la serratura dell'immobile di sua proprietà, liberandolo dai beni mobili di proprietà del conduttore, integra una condotta idonea a configurare il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (Trib. Vicenza 17 maggio 2021). L'art. 91 comma 1 d.l. “Cura Italia”, nel prevedere una esclusione della responsabilità del debitore, incide sull'obbligo del debitore inadempiente di risarcire il danno causato dal proprio tardivo o mancato adempimento, ma senza liberare il debitore dai propri obblighi contrattuali, né tantomeno rendere possibile l'estinzione dell'obbligazione, tenendo presente che in ogni caso, va sempre provato e dimostrato il nesso causale fra il rispetto delle misure e l'eventuale inadempimento, in quanto l'obbligato per slegarsi dalla responsabilità, non può limitarsi ad allegare che l'inadempimento è ascrivibile alle misure anti-contagio, dovendo, per converso, in linea con la previsione dell'art. 1218 c.c. offrire la prova circostanziata del collegamento eziologico fra l'inadempimento e la causa impossibilitante rappresentata dal rispetto delle prescrizioni di contenimento dell'epidemia (Trib. Roma 5 gennaio 2022). Il conduttore non può imputare al locatore la responsabilità derivante dall'impossibilità di esercitare l'attività economica desiderata, anche nel caso in cui tale impossibilità sia dipesa dal mancato ottenimento di una autorizzazione amministrativa connessa alle caratteristiche del bene locato, ragione per cui in assenza di una diversa volontà dei contraenti, l'obbligo di corrispondere i canoni di locazioni non è subordinato all'effettivo svolgimento dell'attività imprenditoriale. Infatti, qualora il conduttore scelga di non utilizzare l'immobile o qualora non possa destinare il bene all'esercizio dell'attività economica voluta, il locatore ha comunque diritto al pagamento dei canoni di locazione. perché il rischio d'impresa rimane in capo al conduttore e non si trasferisce al locatore (Trib. Cremona, 15 marzo 2022). L'adempimento dell'obbligazione di rilasciare l'immobile alla scadenza contrattuale impone al conduttore esclusivamente di liberarsi della disponibilità della cosa precedentemente locata, in modo che la stessa ritorni in capo al locatore. Conseguentemente, in assenza di una specifica clausola negoziale, il conduttore non deve stipulare alcun accordo con il locatore né deve predisporre con lo stesso un verbale di riconsegna, il quale, rappresenta tutt'al più la prova dell'adempimento dell'obbligazione restitutoria che può essere offerta anche con differenti modalità (Trib. Cremona, 15 marzo 2022). Il contratto di locazione va quindi risolto per fatto e colpa del conduttore che sia stato citato in giudizio per il mancato pagamento dei canoni dovuti ed abbia asserito, senza fornirne prova di avere provveduto al pagamento di quanto statuito nello stesso contratto di locazione, con il conseguente obbligo anche al pagamento dei canoni non versati (Trib. Nola, 25 gennaio 2022). La grave situazione epidemiologica nonché i provvedimenti limitativi della libertà d’iniziativa economica emanati per effetto della pandemia da coronavirus non configurano un caso di impossibilità sopravvenuta dell'obbligazione di pagamento del canone di locazione da parte del conduttore trattandosi di un’obbligazione che non può diventare obiettivamente impossibile attesa la natura di bene fungibile del denaro, a cui si aggiunge l’ulteriore considerazione che il medesimo conduttore ha pur sempre a disposizione il bene locatogli. In tale ottica, quanto disposto dall’art. 1463 c.c. nel caso della locazione non risulta applicabile all'ipotesi del factum principis, che vieta le attività socialmente pericolose, in quanto ciò non comporta che l'immobile locato diventi inidoneo all'uso, ma unicamente che è l'attività che in esso vi si svolge ad essere impedita e ciò ricade nella sfera di rischio del conduttore che svolga un’attività imprenditoriale (Trib. Roma, 23 maggio 2022, in iusexplorer.it). 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