Codice di Procedura Civile art. 659 - Rapporto di locazione d'opera.

Vito Amendolagine

Rapporto di locazione d'opera.

[I]. Se il godimento di un immobile è il corrispettivo anche parziale di una prestazione d'opera [2094, 2222 c.c.], l'intimazione di licenza o di sfratto con la contestuale citazione per la convalida, a norma degli articoli precedenti, può essere fatta quando il contratto viene a cessare per qualsiasi causa [2118 ss., 2227 ss. c.c.].

Inquadramento

L'art. 659 c.p.c. prevede che se il godimento di un immobile è il corrispettivo anche parziale di una prestazione d'opera, l'intimazione di licenza o di sfratto con la contestuale citazione per la convalida, a norma degli articoli precedenti può essere fatta quando il contratto viene a cessare per qualsiasi causa.

L'art. 659 c.p.c. consente di chiedere il rilascio di un'immobile precedentemente concesso in godimento in forza di un contratto atipico e non di un contratto tipico di locazione (Masoni 2007, 242).

In dottrina, si parla di contratto atipico o misto perché nella fattispecie negoziale enunciata dall'art. 659 c.p.c. si fondono due cause differenti, quella locatizia per effetto della concessione in godimento dell'immobile e quella di lavoro autonomo o subordinato, consistente nella locazione d'opera (bianca, 450).

Si è, altresì, osservato che la norma in esame disciplina l'ipotesi in cui il godimento dell'immobile anziché derivare da un contratto di locazione, integra un elemento accessorio e secondario di un contratto d'opera o di lavoro subordinato, di cui costituisce il corrispettivo, anche parziale, della prestazione d'opera (Di Marzio, 50; Garbagnati, 294; Lazzaro, Preden, Varrone, 60; Trifone, 180; Trisorio Liuzzi 2005, 612).

Quando il contratto con il quale il datore di lavoro concede al lavoratore il godimento di un immobile perché vi abiti, è stipulato separatamente dal contratto di lavoro, occorre che sia accertato un collegamento tra i due contratti.

In tale ottica, la concessione in godimento dell'immobile deve necessariamente trovare la sua fonte nel distinto contratto di locazione, la cui autonomia rispetto al rapporto di lavoro eventualmente già esistente al momento della stipulazione di detto contratto deve apparire evidente alla luce delle specifiche ed analitiche previsioni negoziali.

Ciò al fine di stabilire se da siffatte previsioni, risulti o meno che le originarie parti di detto contratto di locazione abbiano inteso stabilire, nel contempo, un collegamento funzionale tra lo stesso ed il rapporto di lavoro, dovendosi accertare se la concessione in godimento dell'immobile sia o meno destinata a costituire, sia pure parzialmente, il corrispettivo del rapporto di lavoro, e, quindi, se diretta o meno ad agevolarne lo svolgimento.

In dottrina, al riguardo esistono due correnti di pensiero, una formata da autori i quali affermano che il godimento dell'immobile costituisce un presupposto necessario ed imprescindibile per l'esecuzione della prestazione lavorativa (Del Prato, 307; Trifone, 180) e coloro che invece non lo ritengono necessario (Bucci, Crescenzi, 48; Di Marzio, 52; Frasca, 51).

Questioni di costituzionalità

Circa la prospettata incostituzionalità dell'art. 659 c.p.c., che in contrasto con il principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge assoggetterebbe il lavoratore allo sfratto dell'alloggio di lavoro senza riconoscergli i diritti del locatario, la Consulta (Corte cost., n. 238/1975), ha ritenuto non fondata la questione di legittimità concernente lo stesso art. 659 c.p.c., e, di riflesso, l'art. 665 c.p.c., sollevata in riferimento all'art. 3 Cost., e, sotto il profilo dell'irrazionale disparità di trattamento, rilevando che l'art. 659 c.p.c., se, da un lato, può ricevere applicazione soltanto quando il rapporto di lavoro non sia più controverso, dall'altro lato, si riferisce esclusivamente a quelle situazioni in cui il godimento dell'immobile trova la sua fonte non già in un distinto contratto di locazione ma in un contratto di lavoro, laddove invece la disciplina delle locazioni presuppone l'esistenza di un tipico contratto di locazione.

In particolare, secondo il giudice delle leggi, considerato, innanzi tutto, che l'art. 659 c.p.c., secondo l'opinione comunemente seguita, può ricevere applicazione solo quando la cessazione del rapporto di prestazione d'opera non e più controversa, non v'è allora ragione di dolersi neppure della mancata distinzione tra le varie ipotesi di scioglimento del rapporto, e segnatamente tra quella di scadenza del termine prefissato e quella di licenziamento illegittimo, dal momento che in entrambi i casi il rilascio dell'immobile, osservandosi la speciale procedura di cui all'art. 659 c.p.c., può essere ordinato solo quando relativamente allo scioglimento non sussista più contestazione (Corte cost., n. 238/1975).

In occasione di un procedimento di convalida di sfratto per finita locazione di un immobile di servizio, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 25 Cost., ulteriore questione di legittimità costituzionale dell'art. 659 c.p.c. nella parte in cui non prevede espressamente che le cause di lavoro introdotte con intimazione di sfratto per il rilascio dell'immobile di servizio debbano essere trattate sin dall'inizio, e, decise, anche nella fase monitoria, dal giudice del lavoro, quale giudice naturale, la corte dichiara la manifesta infondatezza della questione, rilevando che costituisce principio giurisprudenziale ormai consolidato quello secondo cui sono estranee al concetto di competenza le questioni inerenti alla sfera di ripartizione dei compiti e delle attribuzioni fra sezioni o fra magistrati dello stesso ufficio giudiziario, e, che quindi, la distinzione tra giudice ordinario e giudice del lavoro nell'ambito dello stesso ufficio giudiziario può assumere rilievo soltanto ai fini del rito applicabile alla controversia.

Le questioni di rito non influiscono sulla competenza del giudice adito

Al riguardo vanno chiarite le interconnessioni in questioni di “rito” e di “competenza” per materia del giudice del lavoro.

Va, innanzitutto, osservato che il rilievo e, quindi, l'eccezione dell'incompetenza per materia soggiace alle barriere temporali dell'art. 38, comma 1, c.p.c. e 426 c.p.c. la cui questione di competenza è però ravvisabile tra uffici giudiziari diversi – si pensi alla distinzione di un tempo passato tra Pretore e Tribunale – mentre negli altri casi la distinzione tra giudice ordinario e giudice del lavoro, nell'ambito dello stesso ufficio giudiziario, non involge questioni di competenza, ma di mera diversità del rito, in quanto tale, risolubile ai sensi degli artt. 426, 427 e 439 c.p.c., perché, salvo il caso che la trattazione della causa con il rito ordinario anziché con quello del lavoro, o viceversa, abbia inciso sulla determinazione della competenza in senso proprio, o sul contraddittorio o sui diritti della difesa, non spiega per sé effetti invalidanti, atteso che la distinzione di rito non è essenziale né per la costituzione del giudice né per la validità del giudizio in genere e quindi non può concretare alcuna ragione di nullità (Cass. lav., n. 4508/1999; Cass. lav., n. 4233/1995; Cass. S.U., n. 1238/1994; Cass. lav., n. 11418/1993).

Con la soppressione dell'ufficio del Pretore e l'istituzione del giudice unico di primo grado, ex lege n. 51/1998, la natura di controversia del lavoro della causa incide unicamente sul rito applicabile e non più sulla competenza per materia (Cass. lav., n. 2263/2001; Cass. I, n. 1399/2001; Cass. I, n. 3780/2000; Cass., S.U., n. 1045/2000; Cass. lav., n. 13449/1999).

Nel procedimento per convalida di sfratto, soltanto la fase a cognizione sommaria è sottoposta al rito ordinario, mentre quella a cognizione piena, che si instaura con l'opposizione alla convalida, è regolata, ai sensi dell'art. 447-bis c.p.c. dal rito speciale del lavoro, nelle cui forme il giudizio prosegue dopo la eventuale pronuncia delle ordinanze di rilascio o di pagamento delle somme non contestate, ragione per cui la distinzione tra giudice ordinario e giudice del lavoro appartenenti al medesimo ufficio giudiziario, già di per sé ininfluente ai fini della competenza, assume nella fattispecie un rilievo ancora più marginale.

La Consulta (Corte cost., n. 181/2001) ha rigettato per manifesta infondatezza la questione di legittimità costituzionale dell'art. 659 c.p.c., sollevata nella parte in cui non prevede espressamente che le cause di lavoro introdotte con l'intimazione di sfratto per il rilascio dell'immobile di servizio debbano essere trattate sin dall'inizio e decise, anche nella fase monitoria, dal giudice del lavoro, quale giudice naturale, essendo evidente l'erroneo presupposto individuato dal giudice rimettente, fondato sulla distinzione tra giudice ordinario e giudice del lavoro nell'ambito dello stesso ufficio giudiziario, che invece, può assumere rilievo soltanto ai fini del rito applicabile alla controversia.

In buona sostanza, anche per il giudice delle leggi, non essendo configurabile una questione di competenza fra i giudici addetti alle diverse sezioni nelle quali si articola un medesimo ufficio giudiziario, non può sussistere una lesione del principio del giudice naturale precostituito per legge, né per le stesse ragioni può affermarsi una disparità di trattamento fra le parti convenute dinanzi ai diversi giudici, in quanto tale assunto sembra addirittura postulare l'incapacità del giudice adito di risolvere controversie aventi un oggetto in parte diverso da quello ordinariamente trattato (Corte cost., n. 181/2001).

Ambito di applicazione

L'art. 659 c.p.c. non si riferisce alle sole ipotesi di custodia, portierato e guardiania, ma a tutte quelle fattispecie negoziali di concessione in godimento di un immobile funzionalmente collegata con un rapporto di prestazione d'opera in modo da costituirne, anche parzialmente, il corrispettivo (Cass. III, n. 3680/1984).

In tale senso, si è espressa anche la più recente giurisprudenza di merito, laddove ha affermato che l'art. 659 c.p.c. non si riferisce alle sole ipotesi di custodia, portierato e guardiania, ma a tutte quelle di concessione in godimento di un immobile funzionalmente collegata con un rapporto di prestazione d'opera in modo da costituirne, anche solo parzialmente, il corrispettivo (Trib. Lecco 6 febbraio 2013).

In parte della dottrina, si sono evidenziate le circostanze fondate sulle fattispecie negoziali più disparate, che spaziano dalla concessione del godimento dell'immobile in funzione surrogatoria del salario spettante al prestatore d'opera, ipotesi quest'ultima rientrante nell'ambito dei c.d. fringe benefits (Bucci, Crescenzi, 49; Di Marzio, 53), ovvero nella concessione dell'alloggio al lavoratore subordinato in considerazione della reperibilità richiesta, fino a comprendere la concessione in godimento di un'immobile ad un libero professionista quale corrispettivo parziale o totale per i servigi professionali prestati (Ricci 1981, 1218; Ricci 2002,1992).

Un'autorevole dottrina, su tale questione ritiene, in un'ottica evidentemente restrittiva, che l'art. 659 c.p.c. sia applicabile soltanto se il godimento dell'immobile è strumentalmente indispensabile per adempiere la prestazione lavorativa, sicché la concessione del suo godimento viene ad integrare un elemento di rilevanza accessoria e non primaria nell'economia del contratto (Trisorio Liuzzi 2005, 615).

Conseguentemente, la norma di cui si discorre non potrebbe operare nell'ipotesi in cui la principale causa economico-sociale del negozio sia l'attribuzione in uso dell'immobile, il cui corrispettivo sia una prestazione d'opera o di lavoro, come del resto accade nel caso del professionista al quale venga concesso di usufruire di un immobile dietro pagamento del compenso costituito dalla sua assistenza in taluni affari, assumendo in tale ipotesi una chiara rilevanza la causa locatizia, accidentalmente regolata con una particolare contropartita a carico dello stesso conduttore (Frasca, 48).

L'esistenza o meno del rapporto di corrispettività tra le cause sottostanti alle differenti tipologie negoziali interessate nella singola fattispecie scrutinata dal giudice – locazione immobiliare e prestazione d'opera – è fondamentale per escluderne l'autonomia, con le conseguenti ripercussioni sulla disciplina giuridica applicabile.

In tale senso, sembra essersi orientata la dottrina, laddove afferma che l'art. 659 c.p.c. trova applicazione quando le prestazioni dedotte nel contratto di godimento dell'immobile e nel rapporto di prestazione d'opera si pongano in rapporto di corrispettività, e, dunque, quasi in una sorta di dipendenza funzionale, mentre quando le rispettive cause siano autonome l'una dall'altra, per l'irrilevanza della connessione tra i suddetti rapporti negoziali, il procedimento di convalida diventa inammissibile in quanto sussiste la loro piena autonomia negoziale e normativa (Masoni 2007, 243).

In tale ordine d'idee, sembrerebbe essersi orientata anche la stessa giurisprudenza di legittimità, essendosi affermato il principio di diritto in base al quale, ove risulti accertata l'autonomia del contratto di locazione rispetto al rapporto di lavoro corrente tra locatore e conduttore, e, quindi, l'irrilevanza della connessione tra i rapporti, il contratto di locazione conserva la propria autonomia proseguendo anche nel caso in cui cessi il rapporto di lavoro, dovendo ritenersi in tale ipotesi la nullità della condizione risolutiva contestualmente alla intervenuta cessazione del rapporto di lavoro (Cass. III, n. 5978/1981).

La qualità di dipendente rivestita dalla parte locatrice e l'autorizzazione a trattenere mensilmente sulle retribuzioni l'importo dei canoni locatizi, sono circostanze, che ove anche risultanti dal distinto contratto di locazione, appaiono di per sè ininfluenti, al fine di individuare un collegamento tra i due contratti sulla scorta della generica indicazione dell'essere il conduttore dipendente del locatore, laddove non sia accompagnata anche dalla specifica indicazione del rapporto di lavoro, ovvero in forza della eventualità che quest'ultimo era stato autorizzato a trattenere l'importo del canone dalla retribuzione mensile, essendo quest'ultima idonea ad integrare una mera modalità di riscossione dei canoni locatizi, ed in quanto tale, destinata evidentemente a rimanere del tutto estranea – sotto il profilo strutturale e funzionale – rispetto alla specifica causa contrahendi (Cass. III, n. 6800/2003).

Casistica

In caso di negozio di accertamento di un contratto di locazione, per eliminare la res dubia in relazione a crediti da esso nascenti, la clausola ad esso apposta, che subordini la loro esigibilità alla condizione sospensiva, negativa, che un nuovo contratto - in cui il locatore conceda la res locata ad un diverso conduttore - non giunga a buon fine, configura una clausola meramente potestativa, come tale nulla ex art. 1355 c.c. (Cass. III, n. 31319/2021).

Nella locazione collegata ad un rapporto di lavoro ormai cessato, il conduttore di un appartamento ammobiliato, il quale, dopo avere liberato l'immobile concessogli in locazione, indebitamente asporta e trattiene per sé parte dell'arredamento, nella fattispecie costituito da un letto e due lampade, costituenti parte del mobilio presente all'interno dell'immobile oggetto della locazione, può essere chiamato a rispondere del reato di appropriazione indebita atteso che, la relazione di prestazione d'opera si riferisce al rapporto da cui è derivato in capo all'agente il possesso della cosa locata (Trib . Cassino 23 aprile 2021).

In relazione alla fattispecie riconducibile all'art. 659 c.p.c. non potrebbe neppure invocarsi l'applicazione dell'art. 1597 c.c. in tema di rinnovazione tacita della locazione, trattandosi di norma che è applicabile ai soli rapporti di locazione ed in quanto tale, essendo incompatibile con il carattere accessorio del godimento di un immobile, che sia il corrispettivo, anche parziale, di una prestazione d'opera rispetto al rapporto di lavoro da cui scaturisce la relativa obbligazione (Cass. lav., n. 1674/1986).

In buona sostanza, ai fini della sussunzione nell'ambito della fattispecie disciplinata dall'art. 659 c.p.c. il godimento di un immobile abitativo, in corrispettivo anche parziale di una prestazione lavorativa, come nel caso dell'alloggio di servizio assegnato al portiere di uno stabile – per effetto di una concessione funzionalmente collegata con il rapporto di prestazione d'opera in modo da costituirne, anche parzialmente, il corrispettivo – deve venire meno con la cessazione del rapporto di lavoro (Cass., sez. lav., n. 8477/1996).

Non a caso nel rapporto di lavoro di portierato le esigenze abitative del lavoratore sono inscindibilmente connesse con l'attualità della sua prestazione, ovvero, subordinate al regolare ed effettivo svolgimento del rapporto che, come concettualmente non è in alcun modo assimilabile a quello di locazione, così, nel diritto positivo, resta del tutto estraneo alla disciplina generale e speciale delle locazioni di immobili urbani.

Pertanto, ricorrendo tale ipotesi, la ritenzione dell'alloggio, in difetto della configurabilità di una rinnovazione del contratto ed a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, non ha fonte alcuna di legittimazione, potendo sussistere soltanto, in forza del contratto collettivo di riferimento, il diritto alla stipulazione di un contratto di locazione od alla percezione di una indennità una tantum.

In definitiva, il godimento dell'alloggio, una volta cessato il rapporto di lavoro, non corrisponderebbe ad alcuna controprestazione dell'ex dipendente, e, sarebbe quindi privo di causa, salva l'ipotesi in cui il diritto alla stipulazione di un contratto di locazione od al pagamento di una indennità sia espressamente previsto da una clausola negoziale inserita ad hoc nel contratto.

La ratio sottesa alla sussunzione nell'ambito delle controversie di lavoro previste dall'art. 409 c.p.c., di quelle relative al rilascio dell'alloggio concesso per l'espletamento delle mansioni di portiere o di addetto alla pulizia dello stabile, è che la concessione in godimento dell'immobile in ragione del rapporto di lavoro è una prestazione accessoria del rapporto stesso (Cass., sez. lav., n. 18649/2012; Cass. III, n. 4301/1987, in una fattispecie concernente una controversia promossa dal condominio di un edificio nei confronti del proprio portiere, per conseguire il rilascio dell'alloggio concessogli per l'espletamento delle relative mansioni, quale effetto dell'accertamento dell'intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro) funzionalmente collegata con la prestazione lavorativa, costituendone un parziale corrispettivo.

In una controversia in cui accolta l'impugnativa del licenziamento del portiere di uno stabile, non è stata invece accolta la domanda della sua reimmissione nel possesso dell'alloggio posto a piano terra del condominio nonostante la fruizione dell'immobile originariamente concessa per ragioni di servizio ed a titolo gratuito dal medesimo condominio al momento dell'assunzione del portiere, costituisse parte integrante della retribuzione, in quanto, risultava evidente che, una volta cessato il rapporto lavorativo, necessario presupposto della concessione in uso dell'immobile, quale prestazione accessoria a titolo di parziale corrispettivo della prestazione, quest'ultima aveva perso automaticamente la sua obbligatorietà (Trib. Firenze 31 gennaio 2015).

Le specifiche modalità di rilascio previste dall'art. 56 della l. n. 392/1978, sostituito dall'art. 7-bis d.l. n. 240/2004, conv. in l. n. 269/2004, pur avendo un'applicazione ampia con riferimento a tutte le controversie le quali possono avere quale esito lo scioglimento del contratto di locazione – sia a seguito dell'azione ordinaria di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., sia a conclusione della procedura di sfratto per morosità, sia per convalida di licenza per finita locazione – non sono applicabili ai contratti atipici o misti nei quali il godimento dell'immobile costituisce il corrispettivo, anche parziale, di una prestazione d'opera (Pret. Salerno 21 novembre 1996; Pret. Roma 28 settembre 1978).

Aggiungasi che ove si ravvisi nell'intervenuto licenziamento del prestatore d'opera il venire meno della causa giustificatrice della detenzione immobiliare, l'estraneità della genesi ad un rapporto di locazione inevitabilmente comporta anche l'inapplicabilità delle disposizioni dell'art. 1597 c.c. in tema di rinnovazione tacita (App. Napoli 19 aprile 2005; Cass., sez. lav., n. 1674/1986).

In caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, per effetto del venire meno della prestazione lavorativa cui era correlata la concessione in locazione del prefato cespite, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, rappresentato dall'impossibilità di concedere il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o di venderlo ad un prezzo più conveniente di quello di mercato (Cass. III, n. 8778/2024).

La locazione d'opera riguarda le ipotesi in cui il godimento dell'immobile riveste nell'economia del contratto una rilevanza accessoria e secondaria (Corte cost., n. 238/1975).

In dottrina si è quindi affermata la tesi che il godimento dell'immobile essendo accessorio rispetto allo svolgimento del rapporto d'opera non richiede la disdetta, poiché l'obbligo di restituzione dell'immobile è una diretta conseguenza della cessazione del rapporto principale di lavoro (Lazzaro, Preden, Varrone, 66).

Il collegamento tra il contratto di locazione ed il contratto di lavoro subordinato

Ai fini dell'ammissibilità del procedimento per convalida di licenza o di sfratto, ex art. 659 c.p.c., nell'ipotesi di godimento di un'immobile concesso in parziale corrispettivo riguardante un rapporto di prestazione d'opera, non è necessario che risulti dalla scrittura privata, con cui vengono regolati gli obblighi relativi al godimento dell'immobile, i termini e le condizioni, altresì, del rapporto di prestazione d'opera, essendo sufficiente anche solo il richiamo a tale rapporto, autonomamente regolato, per dedurne l'intento negoziale delle parti ed il collegamento tra i due distinti rapporti (Cass. III, n. 330/1973).

Quando il contratto con il quale il datore di lavoro concede al lavoratore il godimento di un immobile perché vi abiti, è stipulato separatamente dal contratto di lavoro, occorre che sia accertato un collegamento tra i due contratti (Cass. III, n. 6800/2003).

L'utilizzazione dell'alloggio costituisce una prestazione accessoria del rapporto di portierato, ed in quanto tale, non integra un autonomo rapporto di locazione, ragione per cui tale patto accessorio segue le sorti del contratto cui esso accede, essendo a questo funzionalmente collegato, con l'evidente obbligo di rilascio al momento della cessazione del rapporto di lavoro (Trib. Milano 6 dicembre 2016).

La concessione in uso dell'alloggio per l'espletamento delle mansioni di portierato o di pulizia dello stabile costituisce una prestazione accessoria del rapporto, la quale perde automaticamente la sua obbligatorietà e non è più dovuta con la cessazione del rapporto di lavoro che ne è il necessario presupposto (Cass. III, n. 6435/1981).

L'assenza di contestazione sulla cessazione del contratto di lavoro nella procedura di sfratto

La dottrina si è occupata dell'interferenza tra l'estinzione del rapporto di lavoro e la procedura di convalida di licenza o sfratto ex art. 659 c.p.c. muovendo dal requisito che presuppone la convalida costituito dalla cessazione del rapporto di lavoro (Giudiceandrea, 794), tenuto conto della stessa dizione letterale dell'art. 659 c.p.c. (Garbagnati, 295), le cui argomentazioni sono state recepite dalla Consulta, laddove si è affermata l'applicabilità dell'art. 659 c.p.c. solo quando la cessazione del rapporto d'opera non è più controversa (Corte cost., n. 238/1975).

Pertanto, l'estinzione del rapporto di lavoro si pone quale condizione di ammissibilità della procedura speciale.

Il testo dell'art. 659 c.p.c. sembra indicare che il giudice del procedimento di convalida possa giudicare anche della causa di cessazione del contratto, ma in realtà questo deve essere escluso categoricamente poichè l'unico soggetto competente a decidere della cessazione del contratto d'opera è il giudice competente secondo le norme ordinarie, ragione per cui la convalida non può essere pronunciata nel caso in cui il rapporto di lavoro non sia già cessato (Masoni 2007, 244).

In tale senso anche altro autore, nel ritenere che la contestazione del rapporto non preclude affatto l'azione esperibile ex art. 659 c.p.c. influendo unicamente sull'individuazione del giudice naturale deputato a conoscere la controversia (Porreca, 64).

La ratio dell'art. 659 c.p.c. è infatti di permettere al datore di lavoro, quando il contratto venga a cessare per qualsiasi causa, di potersi avvalere del procedimento speciale anziché ordinario, e, quindi, di intimare licenza – nell'ipotesi di scadenza futura del rapporto – o sfratto se il rapporto è già cessato – al prestatore d'opera, contestualmente, evocandolo in giudizio per la convalida.

L'interesse primario del datore di lavoro a destinare l'alloggio di lavoro allo scopo che gli è naturale, nel caso di cessazione del rapporto prevale dunque sulle pur apprezzabili esigenze abitative del lavoratore, giustificando pienamente il rigore della norma, mitigato, peraltro, da taluni temperamenti introdotti dalla contrattazione collettiva.

In considerazione del presupposto riferito all'intervenuta cessazione del rapporto lavorativo per l'attivazione della procedura di sfratto ex art. 659 c.p.c., si è affermato che allorquando il godimento di un immobile sia stato concesso, in considerazione di un rapporto di lavoro e questo venga a cessare, la domanda di rilascio non deve essere necessariamente preceduta dalla disdetta, essendo l'obbligo della restituzione dell'immobile conseguenziale alla cessazione del rapporto di lavoro (Cass. III, n. 330/1973).

Ciò giustifica anche in punto di competenza, che la procedura di convalida dello sfratto ex art. 659 c.p.c. è limitata alle sole ipotesi in cui il rapporto di dipendenza che lega il lavoratore al datore di lavoro sia definitivamente cessato e non sussista più alcuna controversia sulla relativa quaestio, essendo l'unica controversia ancora pendente tra le parti quella relativa alla restituzione dell'immobile in precedenza concesso in godimento (Pret. Salerno 21 novembre 1996; in senso conforme, v. Pret. S. Giovanni Valdarno 1 dicembre 1979, in cui si è affermato che in caso di concessione di un alloggio in godimento da parte del datore di lavoro, una volta cessato il rapporto di lavoro, sorgendo l'obbligo di restituzione dell'immobile il medesimo datore di lavoro può fare ricorso alla procedura di sfratto ex art. 659 c.p.c.; contra, Cass., sez. lav., n. 4780/1985 che ha ritenuto sussistere la competenza del giudice del lavoro, in relazione alla domanda di rilascio dei locali adibiti ad abitazione del portiere a seguito della cessazione del rapporto di lavoro; conforme, Cass., sez. lav., n. 4241/1981).

In argomento v. anche App. Napoli 19 aprile 2005, in cui si è affermato che nonostante la registrazione di talune incertezze giurisprudenziali, deve ritenersi che al modulo procedimentale delineato dall'art. 659 c.p.c. – norma epigrafata rapporto di locazione d'opera – possa farsi ricorso soltanto nel caso in cui in ordine allo scioglimento del rapporto d'opera non sussista più contestazione, soggiungendo altresì che ripudiando un'interpretazione che voglia privilegiare la littera legis anteponendola alla sua stessa ratio, deve riconoscersi che l'art. 659 c.p.c. trova applicazione non solo quando il godimento costituisca il corrispettivo, anche parziale, di un contratto d'opera – locatio operis – ma anche nel caso di lavoro subordinato – locatio operarum – categoria alla quale va ricondotto il rapporto di portierato.

I giudici di merito napoletani affermano altresì che l'assenza di qualsivoglia contestazione sull'avvenuto scioglimento del contratto d'opera o di lavoro subordinato nel cui corrispettivo va annoverato il godimento, da parte del prestatore, del cespite immobiliare, deve essere intesa in modo rigoroso, sicché essa non ricorre non solo nelle ipotesi in cui il convenuto abbia espressamente negato la cessazione del rapporto, ma quando la stessa prospettazione attorea involga un accertamento sull'effettivo venire meno del rapporto, il cui effetto è sostanziato dall'invocato rilascio dell'immobile (App. Napoli 19 aprile 2005).

Questioni controverse

Azionata dal locatore la procedura speciale per conseguire il rilascio dell'immobile, il conduttore può comparire ed opporsi alla convalida, con la conseguente apertura della fase di merito previo mutamento del rito ex art. 667 c.p.c.

In ordine alle questioni oggetto di opposizione, occorre distinguere se quest'ultime vertano sul diritto al rilascio dell'immobile o se invece attengano al rapporto di lavoro.

In dottrina, si ritiene che ricorrendo quest'ultima ipotesi, l'intera controversia appartenga al giudice competente territorialmente (Tarzia, 336) a deciderla in funzione di giudice del lavoro (Bucci, Crescenzi, 52; Carrato 2005, 563; Arieta 2005, 276, il quale precisa che la procedura di convalida si ritiene ammissibile solo nelle ipotesi in cui il rapporto di dipendenza che lega il lavoratore al datore di lavoro sia definitivamente cessato o vada a cessare e non sussista più alcuna controversia sul punto, essendo l'unica questione ancora pendente tra le parti quella relativa alla restituzione dell'immobile concesso in godimento), applicando il disposto dell'art. 428, comma 2, c.p.c.

Laddove invece le questioni sollevate in sede di opposizione alla convalida attengano al rilascio dell'immobile, sarà lo stesso giudice della convalida, a seguito del mutamento di rito disposto ex art. 667 c.p.c. e previa decisione sull'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. con riserva delle eccezioni della parte convenuta, a decidere la controversia nel merito (Bucci, Crescenzi, 53; Di Marzio, 57; Tarzia, 336; parzialmente difforme l'opinione di Frasca, 107, che anche in tale ipotesi, sembra ritenere ugualmente competente a decidere la controversia il giudice del lavoro).

Lo stesso nomen juris indicato nel contratto dai contraenti non è necessariamente dirimente, come nel caso in cui una società conceda in godimento, verso corrispettivo, un alloggio agli eredi di un lavoratore dipendente già deceduto, di altra società collegata, che deve ritenersi un ordinario contratto di locazione di immobile per uso di abitazione soggetto alla relativa disciplina vigente in materia, ancorché risulti altresì indicato che la sua stipulazione è diretta al più comodo adempimento delle mansioni affidate al predetto lavoratore (Pret. Milano 30 marzo 1990).

La controversia individuale di lavoro è ravvisabile tutte le volte in cui si discuta dell'esistenza, del modo di essere e degli effetti di un rapporto di lavoro, ovvero comunque di interessi sorti in dipendenza di un siffatto rapporto, che viene a costituirne, corrispondentemente, la base ineliminabile e caratterizzante.

Il che può ravvisarsi, eccezionalmente, anche quando le parti in lite non coincidono coi soggetti del rapporto di lavoro, purché esso sia dedotto come titolo della pretesa, cioè come suo presupposto giuridico necessari, e non come mera occasione o circostanza esterna.

A maggiore ragione, si deve ritenere realizzata tale condizione di competenza nel caso in cui vi è coincidenza tra le originarie parti in causa ed i soggetti del rapporto di lavoro, ed in cui il petitum e la causa petendi trovano matrice in tale rapporto, lungi del configurarsi in modo autonomo e disgiunto rispetto ad esso, ed attengono alla sua continuazione, laddove quest'ultima divenga oggetto di contestazione tra le stesse parti.

In tale ottica, si è quindi affermato il principio che la domanda con cui l'amministratore del condominio, a seguito del licenziamento del portiere, chieda il rilascio dell'alloggio al predetto concesso in parziale corrispettivo del servizio prestato appartiene alla competenza del giudice del lavoro senza che possa comportare esclusione l'eccezione, sollevata dall'ex dipendente, dell'instaurazione di un rapporto di comodato successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro, attenendo tale eccezione al merito della domanda (Cass., sez. lav., n. 6544/1988; Cass. III, n. 4301/1987).

In ordine a tale questione, si registra una risalente quanto isolata decisione di merito secondo cui la restituzione dell'immobile il cui godimento è stato convenuto quale corrispettivo della prestazione d'opera, può essere richiesta con la procedura per convalida di sfratto anche prima della definizione dell'eventuale controversia riguardante la cessazione del rapporto di lavoro, poichè in tale ipotesi, qualora l'intimato compaia e si opponga alla convalida, il giudizio deve proseguire davanti al giudice del lavoro (Pret. Verona 25 febbraio 1986).

In ordine all'applicabilità della procedura ex art. 659 c.p.c. a seconda che la si ritenga o meno esperibile a condizione che non sussista più alcuna controversia sulla causa di cessazione del rapporto lavorativo ma soltanto sul rilascio dell'immobile, derivano alcune importanti conseguenze, prima fra tutte quella volta ad ottenere la libera disponibilità del cespite precedentemente concesso in godimento al prestatore d'opera.

Infatti, se la ratio dell'art. 659 c.p.c. è quella di privilegiare l'interesse del datore di lavoro a conseguire al termine del rapporto di lavoro – c.d. principale rispetto a quello accessorio di godimento dell'immobile – la libera disponibilità del cespite, ove si ritenga non utilizzabile la procedura di convalida ex art. 659 c.p.c. anche prima dell'eventuale definizione della controversia di lavoro (Trib. Roma 18 aprile 2018, in una controversia in cui si è affermato che il godimento dell'alloggio concesso al portiere dello stabile costituisce parte integrante del corrispettivo per l'espletamento delle relative mansioni, sicché deve qualificarsi alla stregua di una controprestazione strumentalmente e funzionalmente collegata al rapporto di portierato che, seppur accessoria, segue le sorti del contratto di lavoro cui accede, da accertarsi nelle forme di cui all'art. 409 c.p.c.; App. Napoli 19 aprile 2005; Pret. Salerno 21 novembre 1996; Pret. Cecina 14 aprile 1962; Pret. Catania 12 giugno 1950; contra, Pret. Verona 25 febbraio 1986), appare arduo ipotizzare che il medesimo prestatore d'opera non sollevi contestazioni di varia natura, magari anche solo pretestuose, al fine di bloccare il diritto del datore-locatore a conseguire la restituzione dell'immobile a suo tempo concessogli in godimento, in attesa della definizione del contenzioso riguardante il rapporto c.d. principale dinanzi al giudice del lavoro.

La suddetta quaestio è ovviamente diversa da quella inerente l'opposizione dell'intimato nel procedimento azionato ex art. 659 c.p.c. nel cui ambito, in dottrina si ritiene possibile l'emissione dell'ordinanza ex art. 665 c.p.c. (Belfiore, 619; Lazzaro, Preden, Varrone, 107; Trifone, 185), in quanto, trattasi di fattispecie che potrebbe determinare l'inammissibilità dello stesso procedimento speciale per mancanza del suo presupposto, costituito dalla cessazione definitiva del rapporto di prestazione d'opera connesso a quello di godimento dell'immobile.

In dottrina, si è evidenziato che ove sorga, per effetto della costituzione del convenuto, dinanzi al giudice della convalida una contestazione riguardante l'avvenuta cessazione del rapporto di lavoro, il medesimo giudice non potrebbe pronunciare l'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. perché tale provvedimento implica pur sempre una valutazione da prendere allo stato degli atti, di dubbia ammissibilità, nel momento in cui il merito della controversia dovrà essere esaminato dinanzi al giudice del lavoro (Bucci, Crescenzi, 53; Di Marzio, 56; Frasca, 352; Lazzaro, Preden, Varrone, 61; contra, Ricci 2002, 1993, il quale invece rileva che i poteri del giudice della convalida sono pieni e non potrebbero quindi essere usati con una limitazione di siffatto genere).

L'art. 659 c.p.c. ha dunque posto molteplici questioni interpretative, relative da un lato, all'esatta individuazione della nozione di cessazione del rapporto di lavoro, e, dall'altro, alla necessaria definizione dello stesso ai fini dell'applicazione del procedimento di convalida.

Infatti, soltanto laddove non esista tale rapporto di interdipendenza funzionale, stante l'autonomia delle cause sottostanti ai rispettivi negozi, nulla quaestio sulla possibilità che il locatore possa azionare tutti i rimedi previsti ex lege in materia locatizia, così come, del resto, potrebbe fare anche lo stesso conduttore, avvalendosi dei rimedi posti dal legislatore a tutela della parte c.d. debole del rapporto locatizio.

In dottrina, si è posto il problema innanzi accennato, suggerendo – al fine di evitare tattiche ostruzionistiche poste in essere ad hoc da parte dell'intimato, sollevando contestazioni infondate inerenti il rapporto di lavoro al solo fine di ottenere la relativa translatio del processo dinanzi al giudice giuslavoristico – che la cognizione di tali problematiche rimanga incardinata dinanzi al giudice deputato alla convalida ex art. 659 c.p.c. (masoni 2004, 256).

Bibliografia

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