Codice di Procedura Civile art. 436 - Costituzione dell'appellato e appello incidentale 1 .Costituzione dell'appellato e appello incidentale1. [I]. L'appellato deve costituirsi almeno dieci giorni prima dell'udienza. [II]. La costituzione dell'appellato si effettua mediante deposito [in cancelleria del fascicolo] e di una memoria difensiva, nella quale deve essere contenuta dettagliata esposizione di tutte le sue difese2. [III]. Se propone appello incidentale [333, 334 1], l'appellato deve esporre nella stessa memoria i motivi specifici su cui fonda l'impugnazione. L'appello incidentale deve essere proposto, a pena di decadenza, nella memoria di costituzione, da notificarsi, a cura dell'appellato, alla controparte almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata a norma dell'articolo precedente. [IV]. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dell'articolo 416. [1] Articolo sostituito dall'art. 1, comma 1, l. 11 agosto 1973, n. 533. [2] Comma così modificato dall'art. 3, comma 5, lett. i) d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, che ha soppresso le parole tra parentesi quadre . Ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023. InquadramentoLa proposizione dell'appello incidentale alla pari di quanto previsto per l'appello principale, nelle controversie soggette al rito del lavoro, si perfeziona, ai sensi dell'art. 436 c.p.c., con il deposito – nel rispetto dei termini previsti ex lege – del ricorso nella cancelleria del giudice competente per il giudizio di gravame. In particolare, la sanzione della decadenza dall'appello incidentale deve intendersi comminata dall'art. 436, comma 3, c.p.c., nella sola ipotesi di mancato deposito in cancelleria della memoria difensiva dell'appellato, contenente l'appello incidentale, e non anche nel caso di omissione dell'adempimento, parimenti previsto dalla legge, della notificazione della memoria difensiva nello stesso termine indicato dall'anzidetta norma. Principio confermato anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. lav., n.21889/2020, in cui si è affermato il principio di diritto secondo cui il mancato rispetto del termine di cui all'art. 436 comma 3 c.p.c. da parte dell'appellante incidentale determina, anche nell'ipotesi di una prolungata inerzia di quest'ultimo sostanziatasi nella richiesta di avvio alla notifica del gravame incidentale dopo l'avvenuta scadenza del termine di legge, un vizio della vocatio in ius, che non produce l'inesistenza od omissione della stessa, con la possibilità per il giudice del gravame di autorizzarne la rinnovazione o di concedere un differimento dell'udienza a fronte rispettivamente della richiesta dell'appellante incidentale di procedere alla rinotifica dell'atto di impugnazione o dell'istanza, da parte dell'appellante principale, di differimento dell'udienza di discussione. Pertanto, in caso di notificazione tardiva della memoria difensiva contenente l'appello incidentale, così come in caso di notificazione invalida della stessa memoria, il tribunale deve concedere all'appellante incidentale che formuli un'apposita richiesta, un nuovo termine perentorio, per procedere ad una nuova notificazione, sempre che la controparte presente all'udienza non vi rinunci, accettando il contraddittorio o limitandosi a chiedere un congruo rinvio dell'udienza di discussione. La notificazione dell'appello incidentale all'appellante principale, deve essere eseguita presso il difensore nominato da quest'ultimo nel ricorso in appello poiché l'art. 170 c.p.c., disponendo che, dopo la costituzione in giudizio tutte le notificazioni si fanno al difensore costituito, individua in quest'ultimo il destinatario delle notificazioni degli atti endoprocessuali in base alla relazione che si determina tra il difensore medesimo e la parte da lui rappresentata (in argomento, Cass., sez.lav., n. 6822/2003; Cass., sez.lav., n. 6194/1995). Infatti, nel rito del lavoro, qualora l'atto di appello sia stato notificato alla parte personalmente e non presso il difensore costituito, si verifica una nullità della notificazione dell'atto di impugnazione, la quale, in difetto di costituzione del destinatario dell'atto, resta sanata dalla rinnovazione della notificazione stessa nel termine perentorio che il giudice, anche nel detto rito, stabilisce exartt. 291 e 421 c.p.c. (Cass., sez.lav., n. 18178/2018). L'art. 436 c.p.c. non impone espressamente che l'appellato, appellante in via incidentale, debba prima depositare in cancelleria la memoria difensiva e notificare successivamente la copia della stessa memoria contenente l'attestazione dell'avvenuto deposito, ma solo che essa debba essere notificata all'appellante principale almeno dieci giorni prima dell'udienza di discussione dinanzi al collegio, ritenendosi tuttavia più appropriato che la notificazione della copia dell'atto segua il deposito, consentendo così all'appellante principale di controllare la data del deposito e di constatarne la sua tempestività. In dottrina, si è osservato (Carrato, 545) che la memoria difensiva ritualmente e tempestivamente depositata deve essere notificata a cura dell'appellato incidentale alla controparte ai sensi dell'art. 436, comma 3, c.p.c. a differenza di quanto accade nel giudizio di primo grado ex art. 418 c.p.c. con riferimento alla domanda riconvenzionale alla cui notifica provvede la cancelleria dell'ufficio giudiziario adìto. L'art. 436, comma 4, c.p.c. stabilisce che si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dell'art. 416 c.p.c. Nelle controversie in materia di locazione in cui nel corso del primo grado sia stato disposto il mutamento del rito da ordinario a speciale, qualora l'appello venga erroneamente proposto con atto di citazione, non trova applicazione l'art. 436 c.p.c. che prevede la notifica della memoria di costituzione contenente l'appello incidentale, dovendo l'appellato adeguarsi alle forme del rito ordinario scelto dall'appellante (Cass. III, n.6658/2020). Infatti se il procedimento era stato introdotto con il rito ordinario dall'appellante, e questa scelta ha obbligato il convenuto a costituirsi con comparsa, in tale caso, non trova applicazione l'art. 436 c.p.c. che è dettato per l'ipotesi, tipica, in cui invece l'appello è introdotto con ricorso, ed ha un senso proprio in riferimento a tale ipotesi, in quanto presuppone una memoria di costituzione conseguente al detto ricorso, e l'instaurazione del rito previsto per le controversie di lavoro. La norma non trova invece applicazione nel caso in cui, erroneamente, l'appello è introdotto con atto di citazione, poichè tale atto introduttivo obbliga la parte convenuta a seguire il rito imposto dall'appellante. Il decreto integrativo e correttivo della Riforma Cartabia approvato nella bozza del Consiglio dei Ministri in data 15 febbraio 2024 ha espunto dalla norma i riferimenti a depositi da effettuare in cancelleria, dovendo essi essere eseguiti telematicamente. La costituzione dell'appellatoL'art. 436, comma 2, c.p.c. enuncia che la costituzione dell'appellato si effettua mediante deposito in cancelleria del fascicolo e di una memoria difensiva, nella quale deve essere contenuta dettagliata esposizione di tutte le sue difese, in quanto, il principio di non contestazione è applicabile anche in sede di appello (Cass., sez. lav., n. 8335/2010). Pertanto, la costituzione dell'appellato si perfeziona, al pari di quella dell'appellante, con il solo deposito del fascicolo contenente la memoria difensiva ex art. 436 c.p.c. Ai sensi dell'art. 346 c.p.c., l'appellato che voglia evitare la presunzione di rinuncia deve reiterare le domande e le eccezioni rigettate o rimaste assorbite nella decisione favorevole di primo grado, e la riproposizione può avvenire in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà di ottenerne l'eventuale esame in appello. Tuttavia, anche se libera da forme, la riproposizione deve essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice (Cass., sez. lav., n. 23925/2010; Cass. II, n. 10796/2009; Cass., sez. lav., n. 12644/2004). Il suddetto principio è applicabile anche alle controversie soggette al rito del lavoro, per le quali l'art. 436 c.p.c., prevede per l'appellato l'obbligo di costituirsi mediante deposito di memoria contenente l'esposizione dettagliata di tutte le sue difese. Ne consegue allora che il mero richiamo generico contenuto in tale memoria alle conclusioni assunte in primo grado non può essere ritenuto sufficiente a manifestare la volontà di sottoporre al giudice dell'appello una domanda o eccezione non accolta dal primo giudice, al fine di evitare che essa si intenda rinunciata. Natura e computo del termine per il deposito della memoria difensiva dell'appellatoL'art. 436, comma 1, c.p.c. richiamato dall'art. 447-bis c.p.c. per quanto riguarda il rito locatizio, dispone che l'appellato deve costituirsi almeno dieci giorni prima dell'udienza di discussione. Il termine per la costituzione dell'appellato sancito dall'art. 436, comma 1, c.p.c. si calcola secondo la regola concernente i termini a ritrosoex art. 152 c.p.c. il termine di dieci giorni di cui all'art. 436, comma 1, c.p.c. è considerato non perentorio dalla giurisprudenza (Cass. III, n. 350/1989; Cass., sez. lav., n. 5372/1988), a differenza di quello, di uguale scadenza, indicato nell'art. 436, comma 3, c.p.c. riguardante la notificazione dell'appello incidentale, inoltre, non è un termine “libero” ma va computato a ritroso, con esclusione del giorno dell'udienza e computo del momento terminale costituito dal decimo giornoex art. 155 c.p.c. (Cass., sez. lav., n. 6225/2005; Cass., sez. lav., n. 26/1995, che ancora più esplicitamente ha affermato che ai fini della verifica della tempestività della costituzione del convenuto, che nelle controversie soggette al rito del lavoro deve avvenire, ai sensi dell'art. 416, comma 1, c.p.c. – ed ex art. 436 c.p.c. in appello – almeno dieci giorni prima dell'udienza, è da considerare come dies a quo il giorno dell'udienza, che perciò dev'essere escluso dal computo secondo il principio generale stabilito dall'art. 155, comma 1, c.p.c. – dies a quo non computatur, dies ad quem computatur in termino – e come dies ad quem il decimo giorno anteriore all'udienza stessa, che invece dev'essere computato, non essendo espressamente previsto dalla norma che si tratti di termine “libero”). Nondimeno, allorché il decimo giorno ex art. 436, comma 1, c.p.c., così computato come dies ad quem, coincida con un giorno festivo, non può trovare applicazione la regola posta dall'art. 155 c.p.c., secondo cui, se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza del termine è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo, perché tale disposizione, riguarda i termini a decorrenza successiva che non trova quindi applicazione nei casi in cui i termini processuali debbono essere computati a ritroso, ossia risalendo indietro nel tempo rispetto ad un determinato atto o fatto ovvero rispetto ad una determinata attività come nel caso di cui all'art. 436 c.p.c., rispetto all'udienza fissata per la discussione dell'appello (Cass., sez. lav., n. 7331/2002; Cass. III, n. 3494/1983). In tali casi, la fissazione del termine è diretta ad assicurare alla parte che subisce l'iniziativa processuale un adeguato e inderogabile margine temporale per approntare le proprie difese, sicché lo spostamento in avanti della scadenza, producendone l'abbreviazione, verrebbe a pregiudicare l'esigenza di un'adeguata garanzia difensiva. Nelle controversie assoggettate al rito del lavoro, al fine di verificare il rispetto dei termini fissati per l'appellato in virtù dell'art. 436 c.p.c. con riferimento alla "udienza di discussione", non si deve avere riguardo a quella originariamente stabilita dal provvedimento del giudice, ma a quella fissata – ove, eventualmente, sopravvenga – in dipendenza del rinvio d'ufficio della stessa, che concreta una modifica del precedente provvedimento di fissazione, e che venga effettivamente tenuta in sostituzione della prima (Cass., sez. lav., n. 13692/2024). La dottrina concorda sulla natura non libera del termine per la costituzione dell'appellato di cui all'art. 436, comma 1, c.p.c. (Celeste, Asprella, 306). Nelle controversie disciplinate dal rito locatizio, il termine per il deposito e per la notificazione dell'appello incidentale deve essere calcolato tenendo conto della sospensione feriale dei termini processuali (Cass. III, n. 13210/2010). Le Sezioni Unite hanno affermato (Cass. S.U., n. 14288/2007) che, nelle controversie assoggettate al rito del lavoro, al fine di verificare il rispetto dei termini fissati – per il convenuto in primo grado ai sensi dell'art. 416 c.p.c. e per l'appellato in virtù dell'art. 436 c.p.c. – con riferimento all'udienza di discussione, non si deve avere riguardo a quella originariamente stabilita dal provvedimento del giudice, ma a quella fissata – ove, eventualmente, sopravvenga – in dipendenza del rinvio d'ufficio della stessa, che concreta una modifica del precedente provvedimento di fissazione, e che venga effettivamente tenuta in sostituzione della prima (Cass., sez. lav., n. 8684/2015; App. Lecce 8 febbraio 2016). Il codice di rito non stabilisce un termine entro cui l'appellato deve depositare la documentazione necessaria a comprovare l'avvenuta notificazione della memoria difensiva, al fine di permettere la verifica della corretta instaurazione del contraddittorio sulla sua impugnazione. Le Sezioni Unite hanno al riguardo sostenuto (Cass. S.U., n. 7533/1986), che ciò potrà avvenire al più tardi all'udienza di discussione, in cui l'appellante incidentale ha l'onere di dimostrare di avere notificato alla controparte l'impugnazione, salva la necessità di un ulteriore termine per la sua rinnovazione nell'ipotesi in cui la notificazione sia affetta da vizi che consentano l'applicazione dell'art. 291 c.p.c. La mancata notificazione, intesa come totale omissione dell'adempimento, e l'impossibilità per il giudice di riscontrarne l'esistenza finiscono dunque per assumere l'identico rilievo preclusivo dell'ulteriore corso del procedimento, egualmente configurandosi come un non compiuto assolvimento degli oneri d'impulso gravanti sulla parte (Cass., sez. lav., n. 11227/1992). La memoria difensiva notificata prima del suo stesso deposito non può ritenersi nulla, non essendo tale sanzione espressamente comminata ex art. 156, comma 1, c.p.c., e, restando egualmente salvo lo scopo, proprio della notificazione, di dare notizia dell'impugnazione proposta in via incidentale, sicché su di essa viene ad instaurarsi il contraddittorio quando siano intervenute nei termini di legge l'editio actionis – mediante la notificazione delle memoria contenente l'impugnazione incidentale – ed il deposito presso l'ufficio giudicante, ragione per cui sarebbe del tutto inutile la concessione di un termine all'appellante incidentale per rinnovare la notificazione della propria impugnazione, come invece si verifica in caso di vizio della notificazione dell'atto di appello, effettuata a seguito del suo rituale deposito (Cass., sez. lav., n. 13902/2003, in cui si rileva che ai fini della tempestività della proposizione dell'appello incidentale, è necessario che sia il deposito della memoria sia la sua notifica siano eseguiti entro il termine di almeno dieci giorni prima dell'udienza di discussione, non rilevando che il deposito segua o preceda la notifica, e, che la memoria depositata non contenga la relata della notifica, purché la prova della tempestività della medesima sia fornita prima della discussione; Cass., sez. lav., n. 963/2002). L'appello incidentaleL'art. 436, comma 3, c.p.c. prevede che se propone appello incidentale, l'appellato deve esporre nella stessa memoria i motivi specifici su cui fonda l'impugnazione. A tale fine, per memoria di costituzione si deve intendere quella depositata all'atto della costituzione e non già una successiva memoria presentata ad integrazione della prima, ancorché nel rispetto del predetto termine di notificazione e di deposito, atteso che la mancata proposizione del gravame nella prima memoria ha determinato irrimediabilmente la decadenza della parte dall'impugnazione incidentale (Cass., sez. lav., n. 3691/2004). A norma dell'art. 436 c.p.c., l'appello incidentale va proposto nel rispetto dei termini prescritti dall'art. 436, comma 3, c.p.c., al momento del deposito della memoria di costituzione che a sua volta deve rispettare il termine previsto dall'art. 436, comma 1, c.p.c. L'appello incidentale deve essere proposto, a pena di decadenza, nella memoria di costituzione, da notificarsi, a cura dell'appellato, alla controparte almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata a norma dell'art. 435 c.p.c. La proposizione dell'appello incidentale nel rito del lavoro e locatizio, richiede sia il rispetto del termine di costituzione dell'appellatoex art. 436, comma 1, c.p.c., sia il rispetto del termine enunciato dall'art. 436, comma 3, c.p.c. per la notifica della stessa memoria difensiva di costituzione che lo contiene alla controparte, sebbene la giurisprudenza fa discendere la sanzione della decadenza dalla sua proponibilità all'omesso rispetto del solo termine per il deposito e non anche a quello per la notifica alla controparte. Da ultimo v. Cass. III, n. 9704/2020, laddove ha ribadito il principio che nei giudizi soggetti al rito del lavoro, l'appello incidentale è inammissibile nella sola ipotesi di mancato deposito in cancelleria della memoria difensiva dell'appellato entro il termine di dieci giorni prima dell'udienza di discussione, fermo restando che il principio di ultrattività del rito comporta che la valutazione sulla tempestività dell'impugnazione deve essere effettuata secondo le forme processuali in concreto adottate dal giudice di prime cure. La sanzione della decadenza dall'appello incidentale deve intendersi comminata dall'art. 436, comma 3, c.p.c. nella sola ipotesi di mancato deposito in cancelleria della memoria difensiva dell'appellato, contenente l'appello stesso, entro il termine fissato dalla legge, almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata per la discussione, e non anche nel caso di omissione della notificazione della memoria che lo contiene (Cass., sez. lav., n. 6129/2006; Cass. III, n. 16236/2005; Cass., sez. lav., n. 14952/2004; Cass., sez. lav., n. 9910/2003; Cass., sez. lav., n. 14091/2000). Ciò premesso, si è evidenziata in dottrina la necessità di riproporre tempestivamente tutte le doglianze non accolte dal giudice di primo grado. L'appellato ha l'onere di riproporre nel giudizio di gravame tutte le eccezioni e domande non accolte dalla pronuncia emessa dal giudice di prime cure comprese le istanze probatorie già formulate e non accolte (Tarzia, Dittrich, 335; Luiso, 282; Montesano, Vaccarella, 321). Nel rito del lavoro, l'appellante principale non ha un diritto soggettivo a replicare con difese scritte all'appello incidentale dell'avversario, essendo tale possibilità prevista, in suo favore, solo in via indiretta, a norma del combinato disposto dell'art. 437 c.p.c. e dell'art. 429, comma 2, c.p.c., come effetto dell'esercizio da parte del giudice del potere discrezionale – che può manifestarsi anche in forma implicita – di consentire alle parti, quando lo ritenga necessario, il deposito di note difensive. La disparità tra i mezzi di difesa attribuiti all'appellato in via incidentale – che può ordinariamente contare solo sulle difese orali da svolgersi all'udienza di discussione – ed i mezzi di difesa attribuiti all'appellato principale – che, ai sensi dell'art. 436 c.p.c. ha, invece, sempre facoltà di presentare una memoria difensiva all'atto della costituzione – non determina, peraltro, una violazione nè del principio costituzionale di eguaglianza, stante la diversità delle rispettive situazioni processuali, nè del diritto di difesa, stante la ragionevolezza dell'intervallo temporale, almeno dieci giorni, che, a norma dell'art. 436, comma 3, c.p.c., è assicurato all'appellante principale per controbattere l'impugnazione incidentale proposta nei suoi confronti (Cass., sez. lav., n. 9232/2018; Cass., sez. lav., n. 4907/2014; Cass., sez. lav., n. 18627/2013). Natura e computo del termine per la proposizione dell'appello incidentaleIl termine di dieci giorni prima dell'udienza di discussione, fissato dall'art. 436, comma 3, c.p.c. per la notificazione della memoria di costituzione dell'appellato, contenente l'appello incidentale, ha carattere perentorio, restando soggetto alla regola generale ex art. 155 c.p.c., dell'esclusione dal relativo computo del solo dies a quo e della proroga, applicabile anche ai termini perentori, del dies ad quem festivo (Cass., sez. lav., n. 1042/1985). La valida proposizione dell'appello incidentale richiede necessariamente che esso sia contenuto nella memoria difensiva depositata, a pena di decadenza, nei dieci giorni precedenti l'udienza di discussione, e che entro tale termine, la memoria contenente l'impugnazione incidentale deve essere notificata all'appellante. In virtù del combinato disposto degli artt. 435 e 436 c.p.c., nel rito locatizio, l'appello incidentale si propone, a pena di decadenza, con la memoria di costituzione nel termine di almeno dieci giorni prima dell'udienza di discussione, locuzione che va riferita all'udienza fissata per la compiuta esplicazione delle attività assertive delle parti e per la definizione del thema decidendum Nel rito locatizio, è ammissibile l'appello incidentale proposto con memoria di costituzione nel termine di dieci giorni prima dell'udienza di discussione della controversia, anche se successivamente al deposito di una distinta memoria difensiva in relazione all'udienza fissata per la delibazione sull'istanza di sospensione della esecutività della sentenza impugnata (Cass. III, n. 15358/2017). La giurisprudenza ritiene che il termine di dieci giorni, fissato dall'art. 436, comma 3, c.p.c., tanto nelle controversie di lavoro quanto in quelle locatizie, ha carattere perentorio, sia per assicurare il diritto di difesa dell'appellante principale sia per l'inequivocabile dato letterale della norma, precisando che benchè si affermi che la fase della notifica sia estranea all'edictio actionis (Cass. III, n. 16236/2005), nondimeno, proprio al fine di armonizzare il sistema con i principi espressi dalle Sezioni unite (Cass. S.U., n. 20604/2008), è necessario che nel predetto termine l'attività notificatoria sia stata quanto meno avviata. Ciò del resto è conforme al tenore testuale della disposizione in esame, in cui l'espressione “almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata a norma dell'articolo precedente” è riferita non solo al deposito dell'atto ma anche alla sua stessa notificazione. L'omesso rispetto dei termini di deposito e notifica dell'appello incidentaleLa Cassazione (Cass., n. 8723/2012), ha affermato il principio che nei giudizi soggetti al rito del lavoro, e, dunque, anche in quelli disciplinati dal rito locatizio, la circostanza che l'appellante principale abbia ricevuto la notifica dell'appello incidentale meno di dieci giorni prima di quello fissato per la discussione, in violazione del termine di cui all'art. 436 c.p.c., non rende inammissibile l'appello incidentale, se la comparsa di risposta sia stata comunque tempestivamente depositata, e la richiesta di notifica all'ufficiale giudiziario sia avvenuta prima dello spirare dell'anzidetto termine. L'orientamento secondo cui la sanzione della decadenza dall'appello incidentale deve intendersi comminata dall'art. 436, comma 3, c.p.c., nella sola ipotesi di mancato deposito in cancelleria della memoria difensiva dell'appellato entro il termine di dieci giorni prima dell'udienza fissata per la discussione e non anche nel caso di omissione della notificazione nello stesso termine della memoria, per modo che, in caso di mancata notifica della memoria contenente l'appello incidentale che risultasse tuttavia tempestivamente depositata, il giudice doveva concedere all'appellante incidentale un nuovo termine perentorio per la notificazione omessa od invalida, sempre che la controparte presente all'udienza non vi avesse rinunciato esplicitamente, accettando il contraddittorio o limitandosi a chiedere un congruo rinvio della discussione deve ritenersi superato dalla giurisprudenza formatasi a seguito dell'arresto compiuto dalle Sezioni unite (Cass. S.U., n. 20604/2008). Tale interpretazione risponde al diritto delle parti alla partecipazione al processo in condizioni di parità, consacrato dall'art. 111, comma 2, Cost., Invero, come l'appellante principale nel rito del lavoro adempie all'onere di tempestività dell'impugnazione con il mero deposito del ricorso in appello, così pure l'appellante incidentale deve provvedere nel termine assegnatogli dall'art. 436 c.p.c. unicamente al deposito della memoria di costituzione contenente l'appello incidentale al fine di evitare di incorrere nell'inammissibilità del gravame. All'omissione della successiva attività di notifica, dell'appello principale così come dell'appello incidentale, è collegata, invece, la diversa sanzione di improcedibilità dell'impugnazione tempestivamente proposta ovvero depositata nella cancelleria del giudice adìto (Cass., sez. lav., n. 24742/2017; Cass., sez. lav., n.8595/2017; Cass. III, n. 16274/2012). Infatti, una volta fissato il principio secondo cui l'appello principale, sebbene tempestivamente proposto, deve considerarsi improcedibile ove non sia avvenuta la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza, non essendo consentito al giudice di assegnare all'appellante un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell'art. 291 c.p.c., evidenti ragioni di parità di trattamento delle parti di fronte agli adempimenti imposti dal codice di rito nell'ottica di una ragionevole durata del processo, militavano per una rimeditazione della soluzione delineatasi nella giurisprudenza per la mancata notifica dell'appello incidentale, quest'ultima costituendo nient'altro che un'applicazione dell'orientamento inaugurato per l'appello principale dalle Sezioni unite (Cass. S.U., n. 6841/1996; Cass. S.U., n. 9331/1996), le quali, nel vigore della formulazione originaria dell'art. 111 Cost., avevano ritenuto che, nei processi assoggettati al rito speciale del lavoro, la proposizione dell'appello si perfeziona con il deposito del ricorso, onde l'omissione della notificazione all'appellato non invalida l'impugnazione, dovendo il giudice assegnare al ricorrente un nuovo termine entro il quale provvedere alla notifica. A tale rimeditazione ha proceduto la giurisprudenza formatasi successivamente (Cass., sez. lav., n. 23571/2008), che ha escluso l'operatività dell'art. 291 c.p.c., nei casi di inesistenza della notificazione dell'appello incidentale, a cui ha dato continuità più recentemente altra pronuncia di legittimità (Cass. III, n. 11854/2015), che – richiamandosi alle Sezioni unite (Cass. S.U., n. 20604/2008) – ha fissato il principio di diritto secondo cui anche l'appello incidentale, sebbene tempestivamente proposto nel termine di legge, va dichiarato improcedibile ove ne sia mancata la notifica, non essendo consentito al giudice – alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio della c.d. ragionevole durata del processo ex art. 111, comma 2, Cost. – di assegnare all'appellante un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell'art. 291 c.p.c. Tale ultimo orientamento è stato ribadito dalla Cassazione anche per il caso che, a seguito della mancata notifica della memoria contenente l'appello incidentale, il giudice non abbia concesso un nuovo termine per la notificazione (Cass., sez. lav., n. 837/2016). Il che porta a concludere per l'assoluta irrilevanza del comportamento tenuto dalla controparte alla quale non sia stato notificato l'appello incidentale, non essendo la procedibilità del ricorso disponibile dalle parti e dovendo l'improcedibilità dell'appello incidentale per mancata notifica rilevarsi dal giudice anche d'ufficio (v. in tal senso, per l'ipotesi di mancata notifica dell'appello principale Cass., sez. lav., n. 8752/2010). La Cassazione ha dunque esaminato e deciso il problema di stabilire se sia sufficiente a salvare il termine per l'impugnazione il mero deposito in cancelleria del ricorso in appello, principale od incidentale, qualora ad esso non segua la richiesta di notifica dell'atto, e ha dato al quesito risposta negativa con la motivazione che i principi in tema di sollecita definizione del processo, di cui all'art. 111 Cost., vietano di giustificare comportamenti inutilmente dilatori, tramite la concessione di termini per il rinnovo di atti che ben avrebbero potuto essere compiuti tempestivamente, precisando però che a diversa conclusione si perviene nell'ipotesi della notificazione invalida o tardiva della memoria di costituzione contenente l'appello incidentale, nella quale ipotesi, è onere del notificante premurarsi di sanare la situazione, chiedendo l'assegnazione di un termine per rinnovare la notificazione, qualora la controparte eccepisca la tardività, giacché, in mancanza della richiesta avanzata al giudice, la tardività della prima notificazione rimane imputabile alla stessa parte, ed essa non può successivamente dolersi della pronuncia di inammissibilità, essendo addebitabile alla sua stessa inerzia. Il superamento dell'eccezione di tardività della notifica dell'appello incidentale, richiede l'assolvimento dell'onere di chi l'abbia proposto, di chiedere al giudice la fissazione di un nuovo termine per rinnovare la suddetta notifica, restando altrimenti inammissibile l'impugnazione incidentale (Cass. III, n. 8723/2012). La mancanza di prova della notificazione dell'appello incidentale, al pari di quanto avviene per l'appello principale, impedendo al giudice di verificare la regolarità dell'instaurazione contraddittorio, che è condicio sine qua non per l'ulteriore sviluppo del procedimento e, quindi, principalmente, per la possibilità stessa di una qualsiasi pronuncia di merito, preclude al giudice il rinvio dell'udienza ai sensi dell'art. 348, comma 2, c.p.c. (Cass., sez. lav., n.8595/2017; Cass. III, n. 16274/2012 che estende l'applicazione di tale principio alle controversie disciplinate dal rito locatizio). [ Nel rito del lavoro, l'appello incidentale, pur tempestivamente proposto, ove non sia stato notificato va dichiarato improcedibile, poiché il giudice, in attuazione del principio della ragionevole durata del processo, non può assegnare all'appellante un termine per provvedere ad una nuova notifica, e la suddetta improcedibilità è rilevabile d'ufficio trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti. Il principio discende dall'art. 436, comma 3, c.p.c., il quale, per effetto dell'espresso richiamo contenuto nell'art. 447 bis, comma 2, c.p.c., si applica anche ai giudizi in tema di locazione (Cass. III, n. 4405/2024). La conversione dell'appello principale in appello incidentaleNel vigente sistema processuale, l'impugnazione proposta per prima determina la costituzione del processo, nel quale debbono confluire le eventuali impugnazioni di altri soccombenti, in modo che sia mantenuta l'unità del procedimento e sia resa possibile la decisione simultanea del giudizio. Pertanto, nel caso di appello, le impugnazioni successive alla prima assumono necessariamente carattere incidentale – ancorché contro parti diverse dal primo impugnante o relativamente a capi della sentenza non investiti dalla prima impugnazione – siano esse impugnazioni incidentali tipiche, ovvero proposte contro l'appellante principale, siano esse, invece, impugnazioni incidentali autonome, dirette a tutelare un interesse del proponente non nascente dall'impugnazione principale, e da fare valere nei confronti di questi, ma per un capo diverso ed autonomo della pronuncia impugnata. Questo principio diritto elaborato con riferimento all'art. 334 c.p.c., e perciò alle impugnazioni civili ordinarie, ha però carattere generale e non può che estendersi anche alle impugnative del processo del lavoro, anche perchè le caratteristiche specifiche di quest'ultimo, ed in particolare il fatto che venga introdotto con il meccanismo del ricorso-decreto anziché con quello dell'atto di citazione, non contrastano in nessun modo con quel principio di diritto, né frappongono ostacoli all'applicazione di esso. In questo caso la conversione opera purché sia rispettato il termine di dieci giorni liberi prima dell'udienza fissata per la comparizione, per la proposizione dell'appello incidentale previsto dall'art. 436, comma 1, c.p.c. (Cass., sez. lav., n. 2026/2012; Cass., sez. lav., n. 19340/2007, in cui si è precisato che a questi fini non vale la successiva rinnovazione di questo termine dilatorio nel caso in cui, per qualsiasi ragione, quella prima udienza non venga tenuta ed il presidente ne fissi un'altra successiva). Qualora però il giudizio proposto dall'appellante si sia estinto, non è ammissibile la conversione in appello incidentale dell'appello proposto successivamente dalla parte in via autonoma, trattandosi di esito il quale postula, che il giudizio principale di appello sia ancora pendente (Cass., sez. lav., n. 13870/2014). Va poi evidenziato che la parte rimasta contumace nel giudizio di primo grado, definito con sentenza ad essa favorevole nel merito, non ha l'onere, ove tale pronuncia sia appellata dalla controparte, di proporre appello incidentale per sollevare la questione – non esaminata dal giudice di primo grado – della nullità della notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, la quale, deve quindi essere esaminata dal giudice d'appello in via preliminare, ancorché proposta dall'appellato nella propria memoria di costituzione, subordinatamente alla mancata conferma nel merito della sentenza impugnata (Cass. I, n. 2811/2018; Cass. S.U., n. 4874/1991). L'appello incidentale tardivoLa giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio che l'impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che l'impugnazione principale metta in discussione l'assetto giuridico derivante dalla sentenza cui la parte non impugnante aveva prestato acquiescenza, sorgendo l'interesse ad impugnare, dall'eventualità che l'accoglimento dell'impugnazione principale modifichi tale assetto giuridico (Cass., sez. lav., n. 5086/2012; Cass., sez. lav., n. 15050/2009; Cass. S.U., n. 24627/2007). Conseguentemente, è ammissibile, sia quando rivesta la forma della contro impugnazione rivolta contro il ricorrente principale, sia quando rivesta le forme dell'impugnazione adesiva diretta contro la parte investita dell'impugnazione principale, anche se fondata sugli stessi motivi fatti valere dal ricorrente principale, atteso che il suddetto interesse sorge dall'impugnazione principale, la quale, se accolta, comporterebbe una modifica dell'assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate. La ratio della previsione dell'impugnazione tardiva consiste nel rimettere in termini a seguito della impugnazione proposta dalla controparte la parte che, pur non essendo stata totalmente vittoriosa, si considera comunque soddisfatta dall'esito del giudizio sì da lasciare di conseguenza decorrere i termini di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c., e che si troverebbe esposta al pericolo del passaggio in giudicato dei capi della sentenza a lei sfavorevoli e dell'accoglimento della impugnazione per quanto riguarda i capi a lei favorevoli sicchè nei casi in cui il ricorso principale non può essere esaminato, venendo meno tale rischio, viene meno anche l'interesse al ricorso incidentale tardivo (Cass. S.U., n. 9741/2008). L'impugnazione incidentale tardiva perde invece efficacia se l'impugnazione principale viene dichiarata inammissibile nei soli casi di inammissibilità dell'impugnazione in senso proprio, per la mancata osservanza del termine per impugnare ovvero degli adempimenti richiesti dalla legge processuale a pena di inammissibilità. Infatti, tutte le fattispecie di inammissibilità, improcedibilità ed improponibilità delle impugnazioni principali che determinano l'inefficacia di quelle incidentali tardive hanno in comune tra loro il dato essenziale consistente in una carenza o vizio formale del procedimento di impugnazione tale da precludere l'esame del merito dell'impugnazione stessa (Cass., sez. lav., n. 14084/2010). 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