Codice di Procedura Civile art. 425 - Richiesta di informazioni e osservazioni alle associazioni sindacali 1 2 .

Vito Amendolagine

Richiesta di informazioni e osservazioni alle associazioni sindacali 12.

[I]. Su istanza di parte, l'associazione sindacale indicata dalla stessa ha facoltà di rendere in giudizio, tramite un suo rappresentante, informazioni e osservazioni orali o scritte [446].

[II]. Tali informazioni e osservazioni possono essere rese anche nel luogo di lavoro ove sia stato disposto l'accesso ai sensi del terzo comma dell'articolo 421.

[III]. A tal fine, il giudice può disporre ai sensi del sesto comma dell'articolo 420.

[IV]. Il giudice può richiedere alle associazioni sindacali il testo dei contratti e accordi collettivi di lavoro, anche aziendali, da applicare nella causa.

 

[1] Articolo sostituito dall'art. 1, comma 1, l. 11 agosto 1973, n. 533.

Inquadramento

L'art. 425, comma 1, c.p.c. dispone che su istanza di parte, l'associazione sindacale indicata dalla stessa ha facoltà di rendere in giudizio, tramite un suo rappresentante, informazioni e osservazioni orali o scritte, attività quest'ultima già prevista dall'art. 421, comma 2, c.p.c. rispetto a quest'ultima norma, differenziandosi per il soggetto richiedente: il giudice nell'ipotesi contemplata dall'art. 421, comma 2, c.p.c., la singola parte, nel caso previsto dall'art. 425, comma 1, c.p.c. come rilevato dall'attenta dottrina (Luiso 1992, 207).

Una facoltà analoga a quella prevista dall'art. 425, comma 1, c.p.c. è posta dall'art. 446, comma 1, c.p.c. laddove consente agli istituti di patronato ed assistenza sociale legalmente riconosciuti, la facoltà – su istanza dell'assistito – in ogni grado del giudizio, di rendere informazioni ed osservazioni orali o scritte nella forma di cui all'art. 425 c.p.c.

Conseguentemente, ogni questione riguardante forma, contenuto ed efficacia delle dichiarazioni ed ai profili subiettivi ed oggetti dell'istituto in esame, vale quanto già detto sub art. 421 c.p.c.

Infatti, l'art. 425, comma 2, c.p.c. dispone che tali informazioni ed osservazioni possono essere rese anche nel luogo di lavoro ove sia stato disposto l'accesso ai sensi dell'art. 421, comma 3, c.p.c., e, che a tale fine, a mente dell'art. 425, comma 3, c.p.c., il giudice può disporre ai sensi dell'art. 420, comma 6, c.p.c., come già enunciato nell'analoga previsione contenuta nell'art. 421, comma 2, c.p.c..

Infine, ai sensi dell'art. 425, comma 4, c.p.c. il giudice può richiedere alle associazioni sindacali il testo dei contratti ed accordi collettivi di lavoro, anche aziendali, da applicare nella causa.

Le informazioni e osservazioni che, ai sensi dell'art. 425 c.p.c., possono essere fornite in giudizio dall'associazione sindacale indicata dalla parte, sono inidonee, anche in considerazione del loro carattere unilaterale, ad identificare la comune intenzione delle parti stipulanti il contratto collettivo, rilevante ai sensi dell'art. 1362 c.c. (Cass., sez. lav., n. 6204/2010).

In particolare, le suddette informazioni possono costituire fonte di prova sull'oggetto della controversia sindacale che sta alla base del contratto, ma non sono elementi valutabili per stabilire la comune intenzione delle parti quando vengono fornite da uno solo dei contraenti, né le stesse hanno rilevanza alcuna in sede di valutazione della conformità, o meno, delle clausole contrattuali a principi di diritto (Cass., sez. lav., n. 9578/2002).

Come ha rilevato l'attenta dottrina, non si tratta di un mezzo di prova, come del resto può evincersi palesemente dal richiamo dell'art. 425, comma 1, c.p.c. alle “osservazioni”, ma di uno strumento di cui il giudice può avvalersi per acquisire elementi chiarificatori utili alla decisione della singola controversia (Masoni, 143; Montesano, Arieta 2002, 234).

In tale ottica, la richiesta di informazioni contemplata dall'art. 425, comma 1, c.p.c. per le controversie di lavoro, comporta che l'analoga richiesta avanzata nel rito locatizio alle associazioni di categoria, ai sensi dell'art. 447-bis, comma 3, c.p.c. ha la funzione di fornire un'interpretazione autentica di talune clausole presenti nel contratto collettivo di locazione implicato nella controversia deputata all'attenzione del giudice (Frasca, 306).

In tale contesto, assume dunque significato e valore anche il richiamo dell'art. 425, comma 4, c.p.c. da parte dell'art. 447-bis, comma 1, c.p.c. che richiama l'intero art. 425 c.p.c., e, quindi anche l'ultimo comma di quest'ultima disposizione, laddove è previsto che il giudice possa domandare direttamente alle associazioni di categoria il testo dei contratti collettivi applicabile nella causa (Masoni, 145).

L'ammissibilità dell'istanza.

L'istanza di parte è l'imprescindibile punto di partenza previsto dall'art. 425, comma 1, c.p.c. per dare corso alla richiesta di informazioni ed osservazioni alle associazioni sindacali.

Nel senso che l'istanza della parte (Luiso 1989, 492) – ovvero l'indicazione dell'associazione sindacale fatta dalla stessa parte – costituisce il presupposto della richiesta ex art. 425, comma 1, c.p.c. (Picardi, 2235).

La dottrina, inoltre, ha acutamente osservato che nonostante l'evidente diversità dei soggetti titolari dell'iniziativa costituita dalla richiesta di informazioni ed osservazioni alle associazioni sindacali, è però evidente come anche laddove detto potere spetti al giudice, ai sensi dell'art. 421, comma 2, c.p.c. è comunque necessaria l'indicazione dell'associazione sindacale – ovvero l'associazione di “categoria”, nel caso di controversia locatizia, ai sensi dell'art. 447-bis, comma 3, c.p.c. – ad opera della parte interessata, al fine di provvedere in merito a quanto sopra (Luiso 1992, 493).

La facoltà del giudice di richiedere, ai sensi dell'art. 421 c.p.c., informazioni alle associazioni sindacali, presuppone che le medesime siano state indicate dalle parti (Cass., sez. lav., n. 276/1990).

Lo stesso accade nell'ipotesi analoga contemplata dall'art. 446 c.p.c.

Il potere del giudice di richiedere informazioni ed osservazioni orali o scritte alle associazioni sindacali, ai sensi dell'art. 421, comma 2, c.p.c., nonché ex art. 425, comma 4, c.p.c. di richiedere alle stesse associazioni il testo dei contratti ed accordi collettivi di lavoro, anche aziendali, da applicare nella causa, è ammesso quanto alle informazioni ed osservazioni, solo nei riguardi delle associazioni sindacali “indicate dalle parti”, e, quanto alla richiesta del testo dei contratti ed accordi collettivi, soltanto in riferimento ad allegazioni e specifiche e motivate deduzioni offerte dalle parti stesse ai sensi degli artt. 414, n. 4) e 5) c.p.c. e 416, comma 3, c.p.c., che abbiano invocato l'applicabilità alla controversia di alcune delle relative clausole (Cass., sez. lav., n. 485/1987).

Affinché il giudice possa valutare la rilevanza o meno dell'oggetto delle medesime e, conseguentemente, disporre motivatamente l'accoglimento o il rigetto dell'istanza proposta ai sensi dell'art. 425, comma 1, c.p.c., è necessario che la parte, nel proporre detta istanza per l'acquisizione di informazioni ed osservazioni, orali o scritte, del rappresentante dell'associazione sindacale, indichi specificamente i quesiti cui tali informazioni ed osservazioni debbono riferirsi, atteso che in mancanza il giudice potrà rigettarla, trattandosi dell'esercizio di un potere discrezionale.

Nel senso sopra evidenziato, depone l'orientamento formatosi nella giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. lav., n. 1654/1987; Cass., sez. lav., n. 51/1985), la quale ha però precisato le modalità di esercizio di tale facoltà da parte del giudice, il quale, pur non essendo obbligato – ai sensi dell'art. 425 c.p.c. – a richiedere alle associazioni sindacali informazioni su circostanze e situazioni di fatto rilevanti ai fini del giudizio, ha tuttavia l'onere, ove la parte formuli istanza in tal senso, di motivare le ragioni del mancato esercizio del suo potere discrezionale e del rigetto dell'istanza (Cass., sez. lav., n. 5554/1982).

La prevalente dottrina concorda con la posizione assunta dalla giurisprudenza, ritenendo che il giudice abbia il potere discrezionale di accogliere o rigettare l'istanza proposta i sensi dell'art.425, comma 1, c.p.c., valutandone l'importanza ai fini della decisione (Fazzalari 1974, 6; Montesano, Vaccarella, 216; Tarzia, Dittrich, 188).

L'interpello delle associazioni sindacali

La disciplina che fa riferimento agli artt. 421 e 425 c.p.c., esige che la richiesta di acquisizione delle informazioni od osservazioni sia rivolta alle associazioni sindacali, e che quest'ultime, siano in ogni caso indicate dalle parti, e rispondano, se chiamate all'udienza di discussione della causa, a mezzo di loro rappresentanti, ragione per cui fuori dallo schema processuale disegnato dal legislatore, non possono essere assunte informazioni da associazioni diverse da quelle indicate dalle parti in causa, e, tanto meno possono essere verbalizzate notizie offerte da persone estranee alle associazioni stesse e non espressamente indicate come legittimate a renderle.

In tale senso, depone l'orientamento giurisprudenziale di legittimità (Cass., sez. lav., n. 2173/1989; Cass., sez. lav., n. 871/1988).

La facoltà di richiedere osservazioni scritte od orali alle organizzazioni sindacali stipulanti deve essere esercitata nel primo grado di giudizio (Cass., sez. lav., n. 10711/2010).

Le informazioni sindacali di cui all'art. 425, comma 2, c.p.c., pur non essendo dalla legge considerate dei mezzi di prova, e, non sussistendo l'obbligo delle associazioni sindacali di evadere la richiesta proposta ai sensi dell'art. 425 c.p.c., costituiscono uno strumento che può consentire al giudice di percepire particolari aspetti ed acquisire le informazioni per una migliore valutazione degli aspetti salienti della controversia.

Il giudice può infatti trarre dalle informazioni acquisite ex art. 425, comma 1, c.p.c. delle presunzioni semplici su cui basare il proprio convincimento (Cass., sez. lav., n. 2314/1980), in quanto, alle dichiarazioni rese dai rappresentanti del sindacato a norma dell'art. 421, comma 2, o 425, comma 1, c.p.c., salva l'ipotesi che siano suffragate da elementi aventi un'intrinseca valenza probatoria, hanno la funzione di fornire chiarimenti ed elementi di valutazione riguardo agli elementi di prova già disponibili, ed in questa loro funzione appartengono in senso lato al materiale istruttorio valutabile dal giudice (Cass., sez. lav., n. 11464/2004).

Una parte della dottrina ritiene che l'associazione sindacale indicata dalla parte interessata sia libera di rispondere o meno all'interpello (Montesano, Vaccarella, 217; Tarzia, Dittrich, 189) mentre secondo altra dottrina (Fazzalari 1974, 597; Vocino, Verde, 91) l'associazione avrebbe facoltà di rispondere se la richiesta è formulata dalla parte ai sensi dell'art. 425, comma 1, c.p.c. mentre costituirebbe un obbligo giuridico se invece proviene dal giudice ex art. 421, comma 2, c.p.c.

Ad analoga conclusione, circa la non obbligatorietà della risposta da parte dell'associazione sindacale alla facoltà d'interpello esercitata ex art. 425, comma 1, c.p.c. si perviene in forza di quanto statuito dalla giurisprudenza nell'ipotesi disciplinata dall'art. 446 c.p.c., riguardante la facoltà d'interpello degli istituti di patronato ed assistenza.

La possibilità degli istituti di patronato e di assistenza legalmente riconosciuti di rendere nelle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie, informazioni orali o scritte nella forma di cui all'art. 425 c.p.c. è rimessa ai sensi dell'art. 446 c.p.c., esclusivamente alla diligenza della parte interessata, nonché alla discrezionalità degli istituti predetti all'uopo sollecitati dalla stessa parte, essendo in proposito il potere-dovere del giudice limitato alla mera ricezione di tali informazioni ed osservazioni nell'udienza di discussione, od eventualmente, in altra udienza, fissata allo stesso fine, ai sensi degli artt. 446, 425, comma 3 e 420, comma 6, c.p.c. (Cass., sez. lav., n. 2387/1983; Cass., sez. lav., n. 1282/1984, in cui si precisa che trattasi di una facoltà, libera ed autonoma, quella degli istituti di patronato ed assistenza di rendere le informazioni ed osservazioni richieste dalla parte).

L'esercizio della richiesta dei contratti collettivi ed aziendali da applicare nella causa

L'art. 425, comma 4, c.p.c. prevede il potere del giudice di richiedere alle associazioni sindacali il testo dei contratti ed accordi collettivi di lavoro, anche aziendali, da applicare nella causa, ma ciò non può che avvenire in riferimento quanto meno ad allegazioni ed a chiare e specifiche prese di posizione assunte dalle parti stesse nei rispettivi scritti difensivi exartt. 414, n. 4) e 5), e 416, comma 3, c.p.c., le quali, abbiano dedotto l'applicabilità alla controversia di alcune delle relative clausole, come si evince dal dato testuale dell'art. 425, comma 4, c.p.c., laddove si riferisce al testo di contratti ed accordi collettivi di lavoro, anche aziendali, “da applicare alla causa”.

Al riguardo è stato anche di recente ribadito il principio di diritto secondo cui i contratti collettivi non aventi efficacia erga omnes costituiscono atti aventi natura negoziale e privatistica, applicabili esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti iscritti alle associazioni stipulanti o che, in mancanza di tale condizione, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi o li abbiano implicitamente recepiti, attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione, senza contestazione alcuna, delle relative clausole al singolo rapporto. Ne consegue che, ove una delle parti faccia riferimento, per la decisione della causa, ad una clausola di un determinato contratto collettivo di lavoro, il giudice del merito ha il compito di valutare in concreto il comportamento posto in essere dal datore di lavoro e dal lavoratore, allo scopo di accertare, pur in difetto dell'iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti, se dagli atti siano desumibili elementi tali da indurre a ritenere ugualmente sussistente la vincolatività della contrattazione collettiva invocata. Pertanto, anche secondo la più recente giurisprudenza, il giudice è chiamato d'ufficio a valutare la rilevanza del contratto o accordo collettivo rispetto al caso di specie e, in caso di giudizio positivo, ha un dovere di disporne l'acquisizione, indipendentemente dalle produzioni delle parti, quando il CCNL di riferimento sia ben individuato dagli atti del giudizio. Ciò comporta che sempre secondo un'attento esame della giurisprudenza più recente la mancata produzione del contratto collettivo, del quale si chieda l'applicazione, può comportare il rigetto della domanda nel merito per mancato assolvimento dell'onere probatorio sul punto considerato, solo allorché si contesti l'esistenza stessa ed il contenuto del contratto, mentre, nell'ipotesi in cui vi sia contestazione soltanto in ordine all'applicabilità di tale contratto, sussiste per il giudice il potere-dovere, ai sensi dell'art. 421 c.p.c., di acquisire d'ufficio il contratto collettivo di cui la parte, pur eventualmente non indicando gli estremi, abbia tuttavia fornito idonei elementi di identificazione (Trib . Lanusei 6 luglio 2021; App. Roma 5 luglio 2021; Trib. Roma 4 giugno 2020; Cass. lav., n. 3143/2019; Cass. VI, n. 6610/2017; Cass. lav., n. 24336/2013; Cass. lav., n. 8839/2002). 

Secondo la dottrina, l'esercizio del potere ufficioso del giudice sembra richiedere la preventiva indicazione applicazione su istanza anche di una sola parte in causa, dell'applicazione del contratto od accordo collettivo (Luiso 1992, 211; Montesano, Vaccarella, 218; Tarzia, Dittrich, 192).

In buona sostanza, l'esercizio della facoltà prevista dall'art. 425, comma 4, c.p.c. da parte del giudice dovrebbe quantomeno presupporre il riferimento all'esistenza di allegazioni e deduzioni specifiche svolte dalle parti in causa.

In conformità ai principi stabiliti dall'art. 2697 c.c., in ordine ai contratti collettivi aventi natura privatistica, incombe alla parte che ne invoca la relativa applicazione l'onere di dimostrare l'esistenza e l'applicabilità, e, dunque, di produrli in giudizio, in quanto l'art. 425, comma 4, c.p.c. prevede soltanto una facoltà discrezionale, esercitabile in alcuni casi, che lascia sostanzialmente inalterato il principio dispositivo delle parti (Cass., sez. lav., n. 1276/1981).

Pertanto, il giudice può richiedere alle associazioni sindacali il testo dei contratti ed accordi collettivi di lavoro, anche aziendali, da applicare nella causa, ma tale potere non può che essere esercitato in base alle allegazioni e deduzioni delle stesse parti, restando la relativa eventualità pur sempre nell'ambito di applicazione del principio dispositivo, e, dunque, permanendo l'onere delle parti che vogliano fare valere l'applicazione di un determinato contratto collettivo di provarne l'esistenza e di produrlo in giudizio, trattandosi, dunque, di una discrezionalità limitata alla rilevanza del contratto od accordo collettivo ai fini della decisione, in quanto, solo il giudizio positivo di rilevanza dà luogo ad un dovere di acquisizione (Cass., sez. lav., n. 19507/2014).

Tuttavia, dal contemperamento del principio dispositivo – che obbedisce alla regola formale di giudizio fondata sull'onere della prova – con quello della ricerca della verità materiale, mediante l'esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice, discende che, quando non siano controversi l'esistenza ed il contenuto di un contratto collettivo, il giudice ha il potere-dovere di provvedere d'ufficio all'acquisizione ed alla valutazione degli atti ed alla loro interpretazione, senza che a ciò sia di ostacolo il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti, tanto più ove non già dichiarate espressamente dal giudice (Cass., sez. lav., n. 9724/1994; Cass., sez. lav., n. 8503/1992; Cass., sez. lav., n. 10628/1991; Cass., sez. lav., n. 533/1988).

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