La massima durata della moratoria nel concordato preventivo in continuità
06 Aprile 2020
L'art. 86 del Codice della crisi, da un lato, ammette una moratoria fino a 2 anni dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione; dall'altro, ne limita l'applicazione al solo concordato con continuità aziendale, ma ammettendo i creditori prelazionari al voto. A tal fine fissa anche un rigido criterio di calcolo per quantificare il diritto di voto in base al sacrificio che si presume debbano sopportare i creditori prelazionari per effetto della dilazione coattiva. Come si era evidenziato in sede di primo commento della norma (Lamanna, Il nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Il civilista, Giuffrè, Milano, 2019, vol. III, 15), considerato che la durata è stata prevista “fino” a 2 anni, non sembrava esservi spazio per chiedere una moratoria eccedente il suddetto termine, del resto sinanche troppo lungo. L'avvertenza traeva causa dalla circostanza che, sebbene anche l'art. 186-bis L.F., costituente l'immediato precedente dell'art. 86 del Codice, abbia previsto una moratoria, ma quella più breve limitata ad un anno, esprimendosi – per limitarla a tale arco temporale - allo stesso modo in cui lo ha fatto il Codice (“fino a due anni”), ossia utilizzando l'espressione “sino ad un anno”; tuttavia la S. Corte, qualche anno fa (Cass. 9 maggio 2014, n. 10112), con una sentenza molto criticata ed avversata (cfr. Lamanna, La pretesa indistinta ammissibilità nel concordato preventivo del pagamento dilazionato dei crediti muniti di prelazione, in www.ilFallimentarista.it), è giunta inopinatamente non soltanto a sdoganare la possibilità di applicare la moratoria anche al concordato liquidatorio, ma anche per un periodo finanche superiore a quello imposto dai tempi tecnici della liquidazione e quindi ben oltre l'arco di un anno, ma sostanzialmente sine die.
In sostanza, il pur chiarissimo tenore letterale dell'art. 186-bis laddove limitava la possibilità di moratoria solo ad un anno e solo in caso di concordato preventivo con continuità aziendale, è stato del tutto inutile dinanzi all'insostenibile ed incongrua interpretazione comunque imposta de auctoritate dalla S. Corte. Da qui il timore che nuovi focolai di immotivabile arbitrarietà interpretativa potessero riproporre dubbi sul significato dell'espressione limitativa “fino a due anni”. Ebbene, sensibilizzato da tale timore, il Governo ha voluto chiarire con l'art. 13 dello Schema di primo Correttivo, modificando l'art. 86 del Codice, “al fine di prevenire possibili incertezze interpretative” – come chiosa la Relazione – “che la moratoria per il pagamento dei crediti assistiti da cause di prelazione, legittima esclusivamente nel concordato in continuità, non può mai eccedere i due anni dall'omologazione”. |