Quando la riproduzione delle opere letterarie configura una condotta abusiva?

Veronica Clara Talamo
07 Aprile 2020

In tema di utilizzazione economica dell'opera dell'ingegno, la Terza sezione ha affermato che la caduta dell'opera in pubblico dominio...
Massima

In tema di utilizzazione economica dell'opera dell'ingegno, la Terza sezione ha affermato che la caduta dell'opera in pubblico dominio, per il decorso del termine di settanta anni dalla morte dell'autore, costituisce un elemento negativo del fatto-reato previsto dall'

art. 17

1

-

ter

della legge n. 633 del 1941

e pertanto il relativo onere della prova grava sull'imputato che intende avvalersene.

Il caso

Il Tribunale di Monza, con sentenza del 25.11.15, riconosceva la responsabilità penale dell'imputato ai sensi dell'art. 171-ter, lett. b), Legge 22 aprile 1941 n. 633, per aver riprodotto abusivamente numerose opere scientifiche al fine di lucro, delle quali custodiva sia degli esemplari cartacei, che delle riproduzioni in formato pdf segretate sul proprio tower pc e riscontrabili mediante un elenco edito in excel.

In particolare, a seguito di un accesso operato dalla Guardia di Finanza nei locali della copisteria, venivano rinvenute e sequestrate svariate copie di manuali di scienze mediche pubblicati da differenti case editrici, riproducenti integralmente il testo originale e muniti di rilegatura.

La pronuncia, oggetto di impugnazione, veniva confermata dalla Corte di Appello di Milano in data 27.02.2019, avverso la quale l'imputato proponeva ricorso per cassazione deducendo, quale unico motivo di gravame, il vizio di mancanza di motivazione in relazione agli specifici motivi di impugnazione dedotti nell'atto di appello.

La questione

Sotto il profilo processuale la vicenda involgeva il tema della c.d. doppia conforme, che è legittima nella misura in cui il giudice di secondo grado tiene debitamente conto sia delle argomentazioni del giudice delle prime cure, che delle eccezioni della difesa; mentre, dal punto di vista sostanziale e secondo la ricostruzione offerta dalla difesa, aveva ad oggetto l'assenza del marchio SIAE all'interno delle opere delle quali veniva contestata la riproduzione abusiva e il superamento del limite temporale previsto dall'art. 25 legge n. 632/1941 che, se fossero stati valutati debitamente dai giudici di merito, avrebbero portato all'assoluzione dell'imputato.

Ad avviso dei giudici di legittimità il ricorso era manifestamente inammissibile per genericità e aspecificità ed era affetto da manifesta infondatezza in quanto bypassava le motivazioni del Tribunale di Monza, che confutava puntualmente le deduzioni difensive esposte anche nell'atto di appello (e successivamente duplicate nel ricorso), motivando le ragioni del mancato accoglimento del gravame.

Le soluzioni giuridiche

Come emerge, la vicenda prende in esame il tema della tutela penale del diritto di autore.

Ai sensi dell'art. 68-ter legge n. 633/1941 è consentita la riproduzione a uso personale di opere dell'ingegno mediante fotocopiatura (o modalità analoghe) non superiore al 15% del volume, purché sia corrisposto un compenso forfettario in favore dell'avente diritto; a contrario, integra la fattispecie di cui all'art. 171-ter, comma 1, lett b), legge n. 633/1941 la condotta di chi al fine di lucro «abusivamente riproduce, trasmette o diffonde in pubblico, con qualsiasi procedimento, opere o parti di opere letterarie, drammatiche, scientifiche o didattiche, musicali o drammatico-musicali, ovvero multimediali, anche se inserite in opere collettive o composite o banche dati». Quindi, è penalmente rilevante la condotta di chi, per uso non personale e al fine di lucro, detiene su un elaboratore elettronico un'opera di ingegno per realizzare, mediante la tecnica dello scansionamento, molteplici copie cartacee destinate alla vendita.

Nel caso di specie, la condotta dell'imputato appariva astrattamente idonea a integrare la fattispecie in esame visto che questi all'interno del perimetro del proprio esercizio commerciale aperto al pubblico – qual è quello della copisteria – riproduceva testi scientifici tutelati dal diritto di autore in favore di una platea di clienti: la richiesta della clientela, sotto il profilo della domanda-offerta, sottendeva un finalismo economico (non incidendo sull'abusivismo della condotta il fatto che l'espressione “fine di profitto” avesse ceduto il passo alla locuzione “fine di lucro”), atteso che le copie, riprodotte mediante la tecnica di scansionamento (equipollente alla fotocopia, xerocopia o sistema analogo ai sensi dell'art. 68, comma 3, legge n. 633/1941), erano destinate alla vendita.

La tutela apprestata dalla legge sulla protezione del diritto d'autore ha, inoltre, un'estensione temporale stando al tenore letterale dell'art. 25 che, a seguito della novella dell'art. 17, comma 1, legge 6 febbraio 1996 n. 52, recita «i diritti di utilizzazione economica dell'opera durano tutta la vita dell'autore e sino al termine del settantesimo anno solare dopo la sua morte» e, quindi, decorso il suddetto termine l'opera ricadrebbe nel pubblico dominio, non essendo più soggetta al diritto di autore (salvo l'ipotesi di opere collettanee, laddove la durata dei diritti di utilizzazione economica è determinata in base alla vita del coautore che muore per ultimo).

Grazie al decorso del termine di settanta anni, la condotta illecita – consistente nell'abusiva duplicazione mediante fotocopiatura delle opere di ingegno coperte dal diritto di autore – verrebbe privata di rilevanza penale sotto il profilo delle prerogative patrimoniali (e non anche di quelle morali, ancorché imprescrittibili).

Ciò posto, ad avviso della Corte di Cassazione l'onere di rappresentare l'elemento negativo del fatto – ossia che l'opera era ricaduta nel pubblico dominio – gravava sulla parte che intendeva beneficiarne e, cioè, sull'imputato, non essendo prevista alcuna inversione dell'onere probatorio sull'assunto che non è l'assenza delle cause di giustificazione a fondare la responsabilità penale, ma è la loro presenza ad escluderla. A tal proposito e per fini comparativi, i giudici di legittimità prendevano in esame l'ambito applicativo dell'art. 384 c.p., esplicando come fosse appannaggio dell'imputato che intende avvalersi dei casi di non punibilità specificare le ragioni che sottendono il riconoscimento dell'elemento negativo del fatto-reato.

A ben vedere, tuttavia, all'imputato non sarebbe richiesta la prova completa della presenza delle cause di giustificazione, essendo sufficiente che questi insinui nel giudice quel dubbio che lo induca a pronunciare sentenza assolutoria in suo favore.

D'altra parte la pubblica accusa dovrebbe offrire al giudicante un compendio probatorio dal quale emerga l'abusività della riproduzione delle opere di ingegno, la cessione a terzi e la conseguente finalità lucrativa, tutti elementi positivi della fattispecie oggettiva.

In definitiva, l'onere formale, che si adempie introducendo in giudizio gli elementi di prova, e l'onere sostanziale, che si soddisfa persuadendo il giudicante della veridicità degli elementi probatori, convergono verso un unico concetto di onere della prova: la pubblica accusa e la difesa dell'imputato devono provare i fatti che sostengono, altrimenti non potrebbero essere oggetto di valutazione da parte del giudice.

Alla stregua di tali argomentazioni, i giudici di legittimità rilevavano l'inammissibilità originaria dell'unico motivo dedotto dalla difesa, a nulla rilevando il silenzio del giudice in relazione all'oggetto del gravame. Stando al principio secondo cui l'impugnazione è inammissibile per carenza di interesse, il ricorso avverso la pronuncia emessa all'esito del giudizio di appello, che non prende in considerazione un motivo di appello inammissibile per manifesta infondatezza, non sortirebbe alcun esito positivo in sede di giudizio di rinvio in caso di accoglimento della doglianza.

Osservazioni

La pronuncia in esame si snoda lungo diverse tematiche concernenti il diritto d'autore, senza togliere centralità alla previsione di cui all'art. 171-ter legge n. 633/1941, frutto di molteplici interventi di adeguamento alla normativa sovranazionale e principale fattispecie a tutela del diritto d'autore e dei diritti connessi.

Talune disposizioni, tuttavia, meritano di essere approfondite per meglio comprendere i passaggi argomentativi della Corte di Cassazione.

La riproduzione è un diritto esclusivo che «ha per oggetto la moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte dell'opera, in qualunque modo o forma» (art. 13 legge n. 633/1941) ed «è consentita nei limiti del quindici per cento di ciascun volume o fascicolo di periodico, escluse le pagine di pubblicità, la riproduzione per uso personale di opere dell'ingegno effettuata mediante fotocopia, xerocopia o sistema analogo», avendo i responsabili dei punti o dei centri di riproduzione l'obbligo di corrispondere un compenso agli autori ed agli editori delle opere dell'ingegno pubblicate che vengono riprodotte (art. 68, commi 3-4, legge n. 633/1941).

Come emerge dalla lettura del dato normativo, la predetta legge opera un distinguo tra i c.d. diritti esclusivi che spettano agli autori o ai titolari dei diritti connessi e i c.d. diritti al compenso, che sono frutto di un bilanciamento di interessi tra i diritti degli autori e dei produttori delle opere oggetto di tutela e la necessità di garantire la diffusione ai fini della diramazione della cultura (fermo restando che la misura di detto compenso e le modalità per la riscossione e la ripartizione sono determinate secondo i criteri posti all'art. 181-ter legge n. 633/1941 e, salvo diverso accordo tra la SIAE e le associazione delle categorie interessate, tale compenso non può essere inferiore per ciascuna pagina riprodotta al prezzo medio a pagina rilevato annualmente dall'ISTAT per i libri).

Gli autori delle opere o i soggetti titolari dei diritti connessi godono di una piena sfera di signoria sull'opera, in quanto portatori di “diritti esclusivi” frutto dei propri sforzi intellettivi, che li legittima a decidere se disporre dell'opera ed in che termini, se ottenere un utile e in quale misura, se fissare dei limiti temporali e materiali allo sfruttamento da parte dei terzi; quanto ai “diritti al compenso”, invece, i predetti soggetti non possono opporsi alla utilizzazione delle proprie opere da parte dei terzi, né possono stabilire limiti e modalità di utilizzo in quanto trattasi di profili disciplinati dal legislatore, che riconosce loro solo un diritto a percepire un compenso generalmente forfettario in conseguenza dell'utilizzazione delle opere medesime.

Nonostante tali diritti di credito appaiano limitati nel quantum, costituendo un quid pluris rispetto all'ampio ventaglio di diritti esclusivi, il legislatore ha previsto un peculiare regime di tutela disciplinando, con legge 9 gennaio 2008 n. 2, la SIAE – ente pubblico economico con funzioni di intermediazione nell'ambito dell'esercizio dei diritti spettanti sulle opere dell'ingegno (come, ad esempio, concessione di licenze ed autorizzazioni per l'utilizzazione economica delle opere tutelate, percezione dei proventi da ripartire tra gli aventi diritto) – in ragione sia della naturale predisposizione delle opere alla divulgazione, quale conseguenza della loro utilizzazione, che della materiale impossibilità del singolo ad arginare condotte di sfruttamento illecito da parte dei terzi.

Premessi questi brevi cenni sulla disciplina di riferimento, le argomentazioni della Cassazione si uniformano al consolidato orientamento giurisprudenziale in materia poiché, come già esposto, la riproduzione di opere mediante fotocopie è ammessa solo se contenuta entro il limite del 15% di ogni volume, purché sia corrisposto un compenso di natura forfettaria agli aventi diritto e le copie siano destinate ad uso personale; inoltre, dal punto di vista fattuale non poteva accogliersi la ricostruzione difensiva in ordine alle istruzioni impartite alla dipendente circa i limiti alla riproduzione delle opere e alla mera attività di rilegatura su richiesta della clientela, avendo l'imputato posto in essere una funzionante macchina organizzativa per la vendita di libri fotocopiati abusivamente.

Guida all'approfondimento

M. MORRA, I reati in materia di diritto d'autore. Le fattispecie incriminatrici e le altre disposizioni penali, Milano, Giuffrè Editore, 2008.

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