Al Qaeda: messa a disposizione e partecipazione. La strumentalità delle cellule “figlie” in favore della “casa madre”

Marzia Minutillo Turtur
08 Aprile 2020

Al Qaeda, quale organizzazione terroristica, ha mutato la sua struttura tradizionale e si è evoluta in un movimento di resistenza jihadista globale...
Massima

Al Qaeda, quale organizzazione terroristica, ha mutato la sua struttura tradizionale e si è evoluta in un movimento di resistenza jihadista globale, che si caratterizza più per il “metodo”, che per la “struttura”, attesa la sua funzione principale di guida ideologica e operativa per l'attuazione del “jihad”, che si esplica attraverso attività di propaganda e di radicalizzazione, alla quale si affianca un'attività di natura informativa e didattica per la concreta preparazione di attentati. (Conseguentemente, Al Qaeda si pone come “casa madre” nei confronti delle singole cellule “figlie” aderenti al suo programma, nonostante il rapporto tra le stesse sia del tutto “smaterializzato).

Il caso

La Corte di assise d'appello, in sede di rinvio (a seguito di annullamento della Corte di cassazione), confermava la condanna dell'imputato per il delitto di cui all'art. 270-bis c.p. per essersi associato insieme a numerosi altri soggetti, costituendo una cellula estremista finalizzata al Jihad, cellula gerarchicamente organizzata - con scopo di supporto della associazione terroristica Al Qaeda - al fine di compiere atti di violenza con finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico internazionale, anche mediante l'apertura di un sito web di matrice jihadista (“Ashaq Al Hur”, riconosciuto con l'acronimo “I7ur”), attivo nella propaganda, nell'arruolamento e addestramento. In particolare all'imputato veniva riconosciuto il ruolo di vertice nella cellula, essendo stata riscontrata la sua attività di organizzazione, finanziamento, oltre alla sua attività di membro attivo, quale coordinatore e moderatore di forum esterno al fine di reclutare nuovi adepti.

Impugnando per cassazione la sentenza di appello in sede di rinvio, l'imputato denunziava violazione di legge con riferimento: - al ritenuto ruolo apicale, asseritamente svolto in seno all'associazione, che poteva al massimo essere ritenuto di mera partecipazione in relazione ad attività di supporto logistico ad altro soggetto e di sovvenzionamento; - in relazione alla configurabilità di un'associazione rilevante ex art. 270-bis c.p., pur in assenza di un programma finalizzato al compimento di atti terroristici, avendo il gruppo una mera funzione strumentale e mediata; - all'impossibilità di considerare l'apertura e l'amministrazione di un sito web quale condotta partecipativa rispetto all'associazione ex art. 270-bis c.p.; - infine quanto alla mancanza di un programma criminoso e di un'idonea struttura rispetto al programma.

La Seconda sezione ha annullato parzialmente senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio, escludendo l'aggravante della transnazionalità (già esclusa dal primo giudice di appello e non oggetto di impugnazione), rideterminando dunque la pena, mentre per il resto ha dichiarato inammissibile il ricorso ritenendolo manifestamente infondato.

La questione

La questione involge il tema della definizione della condotta di partecipazione alla associazione prevista e disciplinata dall'art. 270-bis c.p. È noto come la questione sia stata costantemente affrontata dalla Corte di cassazione, l'attenzione sulle problematiche conseguenti non è scemata nel tempo ma, anzi, ha trovato elementi di continua riflessione nelle diverse decisioni intervenute sul tema nel corso degli anni. L'interpretazione progressiva della Corte di cassazione, in ordine al reato di cui all'art. 270-bis c.p., si è articolata considerando le svariate modalità con le quali la condotta si può materializzare in concreto, integrando tale delitto pacificamente ritenuto di pericolo presunto (Cass. pen., Sez. II, n. 24994/2006, Bouhrama, che ha precisato che proprio in considerazione della natura di reato di pericolo presunto non è necessario che abbia inizio la materiale esecuzione del programma criminale).

Si è quindi precisato che:

  • il delitto è integrato in presenza di una struttura organizzativa con un grado di effettività tale da rendere possibile l'attuazione del programma criminoso, pur non essendo necessaria la specifica predisposizione di un programma di azioni terroristiche (Cass. pen., Sez. V, n.2651/2015, Nasr Osama, Cass. pen., Sez. I, n. 1072/2016, Bouyahia Maher, Cass. pen., Sez. V, n.12252/2012, Bortolato), sicché ciò che caratterizza tale forma di associazione non è la finalità perseguita, nonostante la dizione letterale della previsione normativa, ma le modalità e la natura terroristica della violenza che si intende esercitare o si prefigura (Cass. pen., Sez. V, n. 46340/2013, Stefani);
  • il delitto è integrato in presenza di una struttura organizzata di carattere assolutamente rudimentale e da un'adesione ideologica ai valori dell'islamismo radicale connotata dalla oggettiva serietà dei propositi criminali terroristici, rappresentando tale contesto e la diffusività della ideologia, con la sua minaccia esplicita di sopprimere tutto ciò che si discosti dai suoi affermati principi, uno degli elementi caratterizzanti e tipici del reato ex art. 270-bis c.p. (Cass. pen., Sez. VI, n. 25863/2009, Scherillo, Cass. pen., Sez. I, n. 22673/2008, Di Nucci);
  • la necessità di considerare questo fenomeno criminale in modo autonomo ed indipendente in relazione al suo manifestarsi, superando gli ordinari paradigmi interpretativi utilizzati nella valutazione di condotte rientranti nel c.d. “terrorismo storico”, che ha caratterizzato e connotato la vita sociale nel nostro paese in epoca relativamente recente, o ancora basati sui caratteri della associazione a delinquere “classica”, semplice o mafiosa che sia (Cass. pen., Sez. V, n. 31389/2008, Bouyahia), con la conseguenza che appare necessario prendere atto del carattere estremamente flessibile di tali forme associative, spesso a struttura cellulare, in grado di modularsi a seconda delle esigenze del caso concreto, operando in modo globalizzato e transnazionale, con contatti sporadici e a carattere progressivo tra i componenti dell'associazione, in considerazione della ricorrenza accertata di reclutamenti nell'ambito di struttura ampiamente consolidata a livello internazionale;
  • l'oggettiva dinamicità di tale struttura associativa, caratterizzata da una fitta rete di collegamento, anche transnazionale, flessibile, variabile e discontinua anche nei contatti tra i suoi componenti, anche nel caso in cui realizzi una sola delle condotte di supporto funzionale all'attività terroristica di organizzazioni riconosciute ed operanti come tali (proselitismo, diffusione di documenti di propaganda, assistenza agli associati, finanziamento, predisposizione o acquisizione di armi);
  • la necessità di avere ben presente che l'anticipazione della soglia di punibilità non può mai sottrarsi a una valutazione di offensività in concreto (Cass. pen., Sez. V, n. 48001/2016, Hosni).

Alcuni orientamenti interpretativi, inoltre, hanno chiarito come non possa bastare ad integrare il reato una mera adesione psicologica a una ideologia seppur violenta, poiché occorre comunque una reale potenzialità offensiva, che trova il proprio riscontro nella presenza di una struttura criminale che si prefigga oggettivamente la realizzazione di atti di violenza qualificati dalla finalità terroristica. Tuttavia, occorre considerare un passaggio fondamentale (nella sentenza Bekaj in particolare), che chiarisce che, seppure non possa rilevare la mera adesione psicologica a determinati valori, non può in alcun modo essere trascurato come l'integralismo islamico e l'adesione ai relativi valori rappresenti un elemento estremamente significativo e non sottovalutabile nella complessiva valutazione del giudice.

Questo perché, appunto, l'adesione a tali valori, l'esclusività dei valori di riferimento, l'identificazione dei soggetti credenti negli stessi in antagonismo con coloro che sono ritenuti infedeli, può rappresentare un “collante fondamentale”, che aggiunto al vincolo associativo e agli elementi di riscontro esterni e materiali, che non possono mai mancare, è estremamente significativo nel concreto atteggiarsi della condotta integrante il reato di cui all'art. 270-bis c.p.

“Collante fondamentale” rappresentato dalla adesione ad una ideologia religiosa estremista ed esclusiva, elemento questo da integrare con il riscontro di una serie di elementi materiali e di condotta minimi volti a concretizzare il reato contestato, sempre tenendo conto delle caratteristiche tipiche di tali associazioni (spontaneismo, flessibilità, rudimentalità) ed anche delle modalità, anomale ed innovative, con le quali vengono perseguiti e spesso attuati attentati stragisti.

Nell'interpretazione delle evidenze probatorie e degli indizi cautelari non si può dunque prescindere dalle caratterizzazioni di questo tipo di associazione, che non deve essere qualificata e interpretata secondo canoni ordinari e consolidati, proprio perché l'associazione utilizza e sfrutta cellule o gruppi minimali di combattimento, spesso in assenza di diretto contatto con soggetti che siano riconosciuti come componenti di base della associazione terroristica. In questo complessivo e articolato panorama è intervenuta anche una pronuncia della Seconda Sezione n. 38208/2018 particolarmente interessante per l'insieme di elementi analizzati, che, sui motivi dei ricorrenti, ha puntualizzato il concetto e la nozione giuridica di partecipazione all'associazione con finalità di terrorismo. Il caso analizzato dalla Seconda Sezione presenta ulteriori profili di riflessione, poiché il dato principale di analisi è rappresentato dalla rilevanza del contributo fornito anche da soggetti singolarmente considerati (i c.d. lupi solitari), a prescindere da un loro sia pur minimo inquadramento in cellule.

La Corte, nel rigettare i ricorsi, non ha condiviso la critica relativa all'assenza, nel caso in esame, del dato strutturale e organizzativo dell'associazione ed ha evidenziato come, al contrario, la motivazione della Corte d'assise di appello ha segnalato l'insieme dei dati sintomatici espressivi della qualità e della natura del contributo assicurato dagli imputati al programma criminale terroristico (dell'ISIS), proprio tenendo conto delle peculiarità che caratterizzano l'apparato associativo in esame. Si è, infatti, affermato che:

  • il fenomeno associativo, nella sua declinazione quanto alle associazioni con finalità terroristiche, assume rilevanza quando manifesti caratteri tali da rendere non ipotetico, né meramente eventuale il pericolo che la norma intende contrastare, ciò secondo alcuni indici tipicamente sintomatici individuati dalla giurisprudenza (esistenza di un apparato organizzativo, mezzi e persone allo scopo, possibilità di attuare il programma di esecuzione di atti di violenza con finalità indicate dall'art. 270-sexies c.p.);
  • la necessaria determinatezza della fattispecie, garantita dal requisito minimo dell'organizzazione che deve così presentarsi come soggetto in grado di compiere effettivamente gli atti di violenza per finalità di terrorismo;
  • la tipicità del fatto, tuttavia connotato dalla evidente volontà del legislatore di realizzare un'anticipazione di tutela rispetto alla commissione dei singoli atti di violenza che formano l'oggetto dell'accordo tra gli associati, sicché emerge la ratio della disciplina apprestata dal legislatore, che ha sostanzialmente ritenuto che le esigenze di tutela della collettività possano essere pregiudicate sin dalla mera costituzione dell'associazione a prescindere dalla predisposizione di un programma di azioni terroristiche;
  • la necessaria correlazione della fattispecie con il principio della personalità della responsabilità penale, il che comporta una puntuale determinazione e interpretazione della nozione di partecipazione del singolo alla associazione, inquadrate nell'ambito dei reati a forma libera, per cui assumono rilievo in ragione del coefficiente di idoneità causale della condotta e dunque del contributo alla realizzazione della finalità dell'associazione.

Si osserva come nella multiforme categoria in questione non sia possibile delineare una struttura tipica, fissa e ricorrente in modo obiettivo, di associazione, mentre in realtà è l'interprete a dover ricondurre il fenomeno storico in una determinata categoria giuridica, riscontrandone gli elementi tipizzanti.

Appare, quindi, necessario, per la Corte, muovere dal contenuto e dalle peculiarità dell'accordo su cui è fondata l'esistenza dell'associazione per individuare in modo specifico le modalità (ove esistenti) di adesione all'associazione, le regole che disciplinano i rapporti tra gli associati, i mezzi e gli strumenti, anche finanziari, impiegati per il raggiungimento degli scopi propri della stessa. Ed è proprio partendo da questa riflessione viene quindi condivisa la caratterizzazione da parte del giudice di secondo grado dell'auto proclamato stato islamico nella sua vocazione stragista e terroristica. Dunque, come associazione con finalità di terrorismo che trova la propria fonte costitutiva proprio nel carattere religioso, con accentuata connotazione ideologica, di tipo radicale ed estremizzante, da cui deriva una sorta di “imposizione esterna” dell'atto costitutivo dell'associazione. Imposizione che, di fatto, risulta necessitata dalla concezione religiosa, caratterizzata da tratti palesi di fanatismo, che non tollera dissenso o indipendenza rispetto all'unico credo religioso, imponendo la soppressione fisica di tutti coloro che non aderiscono all'ideologia religiosa riconosciuta come unica valida. Questa associazione si caratterizza nell'ambito di un programma essenziale e generico, pienamente riconoscibile all'esterno, per la volontà di raggiungere con condotte violente un chiaro e semplice obiettivo, ovvero l'eliminazione di persone cose o segni che si ispirano a culture e religioni diverse dall'islamismo radicale. A tal fine sono dunque richieste condotte violente, che risultano sollecitate e giustificate dal valore ideale del “martirio” (Jihad) al quale sono chiamati tutti gli associati. E in tale contesto si è chiarito come il profilo dell'adesione al programma dell'associazione e l'acquisizione della qualità di associato non richiede il ricorso a rituali o ad attività specificamente individuate, essendo allo scopo necessaria e sufficiente la condivisione del messaggio politico e religioso.

Ciò posto, ai fini della verifica del requisito normativo, dovrà essere accertato se la trasposizione in concreto di tale adesione si colga attraverso fatti sintomatici, di vera e propria partecipazione, dotati di carattere non equivoco, efficienti allo scopo di attuare il programma criminale dell'associazione, evidentemente sintomatici anche dell'esposizione a pericolo degli interessi dello Stato e del contributo dato dal singolo associato.

Questa associazione si differenzia poi dai canoni classici di interpretazione per alcune specifiche caratteristiche del sodalizio, con riflessi immediati quanto alle modalità esecutive per la realizzazione degli obiettivi dell'associazione, e questo perché non ricorre la tipologia dell'associazione strutturata in senso “verticale”, ma invece una organizzazione di tipo “orizzontale”, a rete, capace di adattamenti proprio in considerazione del suo carattere elastico, anche in campo transnazionale e globalizzato, nonché per i particolari mezzi di comunicazione e trasferimento sul territorio, tanto evoluti da rendere spesso difficile una reale attività di prevenzione. La Seconda sezione in questo caso sottolinea:

  • il collegamento tra la chiamata generalizzata al Jihad e le forme di “partecipazione” dei singoli all'associazione, che è ovviamente cosa diversa dalle forme e struttura dell'associazione;
  • il conseguente significato univoco anche delle iniziative dei singoli, una volta che si sia manifestata l'adesione al Jihad, quando pongano in essere iniziative autonome che rientrino nel piano terroristico dell'associazione, pronta poi a rivendicarne l'esito. Il dato dell'adesione all'associazione, in funzione della generalizzata chiamata al martirio, che l'Isis offre in modo capillare e con mezzi di comunicazione ampi e svariati, rappresenta dunque un momento di “pura condivisione e accettazione delle regole fondanti dell'associazione”, e tale elemento dipende proprio dalle forme e dalla struttura associativa dell'ISIS, caratterizzata dal suo ambito globale e globalizzato, che consente di stabilire connessioni tra coloro che aderiscono superando distanze geografiche ed ostacoli fisici e che, proprio per questo, non «impone altre formalità per la partecipazione al sodalizio se non la decisione del singolo di rispondere a quella chiamata manifestando la propria adesione alla ideologia del Califfato».

Tale adesione rappresenta il punto di partenza per giungere a provare, insieme ad altri elementi materiali, la prova del ruolo di partecipe all'associazione; ne è tuttavia presupposto indispensabile, poiché dal momento dell'adesione si colgono tutte le premesse che sono alla base delle determinazioni, programmi e predisposizioni di attività per compiere violenza in attuazione del programma criminoso. Dunque, la risposta alla chiamata al Jihad non costituisce da sola la prova della condotta di partecipazione, ma rappresenta il momento in cui si instaura il legame tra il singolo e la associazione. In relazione a tale adesione devono essere lette e interpretate le successive condotte che il singolo pone in essere in attuazione del patrimonio ideologico culturale e di condivisione di tecniche terroristiche, che costituisce uno degli elementi caratterizzanti dell'ISIS e delle recenti forme di associazione ex art. 270-bis a fini di terrorismo internazionale. In tal senso, tenuto conto della portata diffusiva su vasta scala delle direttive ideologiche dell'ISIS, sia mediante indicazioni operative per la realizzazione di atti violenti che mediante la globalizzazione e transnazionalità del messaggio trasmesso, si è ritenuto che anche le condotte dei singoli poste in essere in attuazione di tali direttive siano indicative della partecipazione e inserimento nella associazione.

Inoltre, il dato dell'inserimento nella stessa deve essere considerato del tutto peculiare, e infatti si atteggia in modo assolutamente diverso dalle categorie tradizionali della partecipazione alle associazioni conosciute. Non è quindi di certo necessario e indispensabile, secondo questa opzione ermeneutica, un contatto diretto tra i vertici (promotori dirigenti e organizzatori) dell'associazione e i singoli aderenti, né si può ipotizzare che per ciascun associato siano preventivabili ruoli e incarichi.

Ne consegue che l'effettivo inserimento del singolo nella attività e finalità della associazione potrà essere desunto logicamente dalle condotte poste in essere dallo stesso, da cui risulti senza incertezza l'adesione al programma dell'associazione (in questo stesso senso Cass. pen., Sez. V, n. 31389/2008, Bouyahia).

Quindi può essere sufficiente una struttura organizzativa che presenti un grado di effettività tale da rendere almeno possibile l'attuazione del programma criminoso e che si manifesti nella sua pericolosità, ma tale struttura, proprio per l'emersione di nuovi fenomeni globalizzati non deve essere letta secondo schemi organizzativi collaudati, proprio perché anche nuovi e diversi modelli di aggregazione possono integrare il minimum indispensabile a integrare il reato (strutture cellulari, a rete, flessibilità interna, possibilità di operare in contesti territoriali del tutto diversi). Così che «l'organizzazione terroristica transnazionale va pensata, più che come una struttura statica, come una rete, in grado di mettere in relazione persone assimilate da un comune progetto criminale, che funge da catalizzatore dell'affectio societatis e costituisce lo scopo sociale del sodalizio» (Cass. pen., 32081/2019).

Vengono, dunque, pienamente riscontrate da elementi materiali le attività indicative di tale affectio: ricerca di informazioni per realizzare attentati e reperire armi, diffusione di minacce dirette verso la popolazione italiana, immagini, comunicati e condivisione della chiamata al martirio, attività di reclutamento al fine di combattere in Siria, con conseguente significativa diffusione e conoscenza dei programmi dell'associazione criminale in questione. La Seconda sezione analizza anche nelle sue conclusioni anche la sentenza della Cass. pen., Sez. VI, n. 14503/2017, in diverse occasioni richiamata dalle difese degli imputati per contestare il requisito effettivo dell'adesione all'associazione con finalità di terrorismo.

Tale decisione, richiamando le diverse forme di partecipazione (già analizzate approfonditamente dalle decisioni precedenti: partenze per combattere gli infedeli, vocazione al martirio, indottrinamento e proselitismo) richiede, in apparente eccentricità con l'orientamento costante della giurisprudenza di legittimità su questo tema, che l'azione del singolo si innesti nella struttura organizzata, cioè che esita un “contatto operativo, un legame, anche flebile, ma concreto tra il singolo e l'organizzazione”, che in tal modo abbia consapevolezza, anche indiretta, dell'adesione da parte del soggetto agente.

Si osserva che questa affermazione non può essere intesa correttamente se non considerando il caso concreto sottoposto all'esame della Corte, nell'ambito del quale il giudice, al quale è stata rinviata la decisione sulla misura cautelare impugnata, aveva omesso di considerare la rilevanza di alcuni elementi oggettivi, chiaramente sintomatici di un coinvolgimento nell'associazione (in particolare una serie di contatti tra l'indagato e esponenti di punta tunisini della associazione al momento del suo rientro in patria e l'aver lo stesso inneggiato al successo dell'attentato di Sousse posto in essere in data 26 giugno 2015 in Tunisia).

La conclusione seguita dalla Sez. V non esclude in alcun modo, secondo la Sez. II, la validità dell'impostazione secondo la quale già la vocazione al martirio indica una condivisione degli obiettivi dell'associazione (che si devono poi concretizzare, come detto, in atti materiali di partecipazione), ma semplicemente propone in modo diverso (forse a causa del condizionamento derivante dall'utilizzo di diversi schemi interpretativi del modulo associativo), la necessaria correlazione tra l'adesione alla associazione nella sua vasta diffusività e la prova dell'effettiva partecipazione nel realizzarne gli obiettivi (ad esempio richiamando lo schema associativo ex art. 416-bis c.p. e in tal senso inserendo elementi di caratterizzazione del tutto distinti rispetto all'associazione di tipo terroristico, che richiede nell'interpretazione costante della precedente giurisprudenza di legittimità l'utilizzo di strumenti di valutazione del tutto autonomi proprio per la particolarità del fenomeno in questione).

E d'altra parte, si sostiene che la ricorrenza di quel legame flessibile, ma concreto e consapevole, appare certamente desumibile dalla vocazione al martirio e dalla piena condivisione dei messaggi ideologici e religiosi della associazione, apparendo eccentrico rispetto a tale ormai consolidata costruzione la richiesta necessità di avere conoscenza della messa a disposizione, al fine di poter contare su un determinato soggetto, anche indirettamente (a meno di non voler intendere il concetto di conoscenza indiretta della messa a disposizione come un caso di conoscenza a posteriori).

In tal senso si è rilevato come una diversa, e più formalistica, lettura di questa decisione rappresenterebbe un serio ostacolo alla ratio dichiarata del legislatore nella previsione del reato in questione. Determinerebbe, infatti, l'oggettiva impossibilità di considerare come significative tutte le condotte poste in essere, anche individualmente, da soggetti collocati in zone del mondo occidentale del tutto distinte e senza alcun punto di contatto con la zona asseritamente di riferimento per la struttura principale dell'associazione con finalità di terrorismo (dato questo a sua volta difficilmente riscontrabile e di complicata prova, considerato che l'associazione in questione si caratterizza per clandestinità e diffusività capillare in diversi continenti, per cui non appare chiaro, a parte il caso concreto, verso quale ambito e in che condizioni il requisito richiesto si potrebbe ritenere soddisfatto). Nello stesso senso da segnalare Sez. 6 n.40348/2018.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza n. 7808/2020, oggi in commento, presenta elementi molto rilevanti nel tentativo di giungere a un inquadramento sistematico integrato dell'interpretazione della Corte di cassazione, quanto alla condotta di partecipazione all'associazione ex art. 270-bis c.p., ciò considerando in modo progressivo diversi punti, ovvero:

  • le attuali caratteristiche strutturali di questo tipo di associazioni (nel caso di specie Al Qaeda);
  • gli elementi identificativi della c.d. “messa a disposizione”, proprio avendo riguardo alle caratteristiche tipiche ed in continua evoluzione di queste organizzazioni, centrate principalmente su contatti telematici;
  • i conseguenti rapporti tra cellule “figlie” e casa “madre”, con connotazione del relativo rapporto nel senso di una “smaterializzazione” dello stesso;
  • il riscontro relativo alle forme di partecipazione e adesione informatizzata, le nuove tecniche di contatto e la creazione di effettive strutture telematiche collegate tra loro anche gerarchicamente;
  • il metodo di valutazione della prova, per questo genere di reati, con particolare attenzione all'incidenza e rilevanza da una parte della prova logica, nel giungere ad una valutazione complessiva di diversi elementi acquisiti, e dall'altra all' art. 270 – sexies c.p., considerato il ruolo descrittivo e indicativo della previsione in questione al fine di delimitare e individuare le diverse condotte rilevanti al fine di ritenere provata la partecipazione all'associazione.

Quanto all'associazione terroristica Al Qaeda la Corte ha in particolare affermato che questa quale organizzazione terroristica, ha mutato la sua struttura tradizionale e si è evoluta in un movimento di resistenza jihadista globale, che si caratterizza più per il “metodo”, che per la “struttura”, attesa la sua funzione principale di guida ideologica e operativa per l'attuazione del jihad, che si esplica attraverso attività di propaganda e di radicalizzazione, alla quale si affianca un'attività di natura informativa e didattica per la concreta preparazione di attentati. Si è, conseguentemente, affermato che Al Qaeda si pone come “casa madre” nei confronti delle singole cellule “figlie” aderenti al suo programma, nonostante il rapporto tra le stesse sia del tutto “smaterializzato. Questa affermazione della Corte si presenta particolarmente significativa e cerca di ricondurre a sistema, sintetizzandone gli elementi principali, quegli approdi ermeneutici che hanno da diversi punti di vista descritto le condotte di partecipazione e hanno sottolineato, come sopra evidenziato, la natura flessibile, a rete, orizzontale e cellulare di tale organizzazione, la transnazionalità, la loro estrema variabilità, seppure in presenza di una costante possibilità di contatti telematici.

Nell'analizzare la condotta contestata all'imputato - gestore e mediatore di un forum esterno volto al proselitismo e alla diffusione di elementi di conoscenza utili al fine di porre in essere condotte terroristiche (e dunque a realizzare i fini della associazione), nonché deputato all'inserimento di materiali propagandistici originali provenienti dal Al Qaeda e dalla stessa inviati per il tramite dei c.d. canali indipendenti, in posizione di superiorità gerarchica nei confronti dell'imputato – la Corte ha affermato una serie di principi sul tema della partecipazione e circa i criteri di prova che devono guidare il giudice di merito nella sua valutazione.

In particolare, si è chiarito che l'organizzazione Al Qaeda si caratterizza per un “proselitismo di tipo informatizzato”, su base planetaria, ad adesione aperta, anche se non indiscriminata, per la diffusione del suo messaggio politico e religioso attraverso cellule “figlie”, che, aderendo al programma, svolgono un “ruolo del tutto strumentale” per la realizzazione del fine criminoso.

Ne consegue che le cellule “figlie” consentono, concretamente, la più efficace forma di proselitismo - fornendo supporti didattici operativi quanto all'individuazione di obiettivi sensibili, utilizzazione di bombe o esplosivi, suggerimenti per rendere credibile il rischio di attentati - allo scopo di realizzare le finalità criminose dell'organizzazione. Si sottolinea, ed evidenzia in modo esplicito, il ruolo servente e strumentale delle cellule “figlie” rispetto alla casa madre, ponendo particolare attenzione sul mezzo che le caratterizza, ovvero la possibilità di un proselitismo di tipo informatizzato su base planetaria. Tale tipo di proselitismo è sintomatico dell'efficacia e portata incisiva dell'attività delle singole cellule “figlie” che, per il tramite di specifico materiale fornito dalla casa madre, mediante un progressivo inserimento dell'aderente in contesti e meccanismi di controllo e fidelizzazione, rende esponenziale le potenzialità dell'associazione e la possibilità di rendere effettiva la realizzazione di condotte che ne concretizzino i fini.

Chiarendo, inoltre, il concetto di “messa a disposizione” nell'ambito delle associazioni con finalità di terrorismo, il collegio realizza un evidente sforzo interpretativo volto a precisare e connotare precipuamente, al fine del reale rispetto del principio di offensività, i comportamenti significativi di chi decide di aderire e poi partecipare attivamente alla associazione.

Questo approdo interpretativo ha una sua particolare rilevanza in relazione ai principi affermati dalla Sez. VI che nella sentenza 14503/2017 ha richiamato, come sopra evidenziato, la necessità di un contatto diretto, sia pur flebile, con la casa madre per poter ritenere la effettiva partecipazione all'associazione ex art. 270-bis c.p. anche in osservanza dei criteri di cui alla Sez. Unite Mannino. Questo passaggio interpretativo ha destato alcune perplessità in considerazione della diversità oggettive tra le condotte caratterizzanti i due fenomeni associativi. Nel tentativo di ricondurre, dunque, la condotta in un alveo più tipicamente riferibile alle associazioni con finalità di terrorismo internazionale, senza tuttavia discostarsi dal principio più volte affermato dalla Sez. VI(anche con la decisione n. 40438/2019) il collegio ha affermato che la “messa a disposizione”, intesa come assenso preventivo ed incondizionato a prestare la propria attività nell'interesse dell'associazione, presenta caratteristiche del tutto peculiari da riferire, da una parte, all'adesione all'appello volto ad attuare la dottrina propugnata da Al Qaeda, usufruendo degli strumenti operativi e didattici forniti dall'organizzazione, dall'altra, all'attuazione di questo programma anche solo per via telematica, mediante collegamenti internet, partecipazioni a forum, con successivi momenti di indottrinamento e adesione di ulteriori adepti per attuare i fini della associazione stessa.

Ricorre, dunque, un'effettiva messa a disposizione da una parte aderendo all'appello della dottrina propugnata da Al Qaeda, volta alla realizzazione del Jihad (proprio mediante gli strumenti didattici e operativi che sono fatti circolare, con garanzia di autenticità, dalla casa madre), dall'altra si resta a disposizione non solo essendo disponibili direttamente ad atti di tipo terroristico, ma anche ponendo in essere la costellazione di condotte che caratterizza questa modalità, nuova, evoluta, e costantemente in contatto a livello transnazionale, di condotta illecita.

Il passaggio argomentativo vale dunque a introdurre e specificare il tema di come effettivamente si possa articolare il necessario contatto tra aderente e casa madre, al fine di valutare la partecipazione. E tale valutazione non può prescindere dai connotati specifici del nuovo mondo, delle innovative tecnologie, che caratterizzano questi contesti, sicché si può ritenere effettivamente possibile l'attuazione del programma dell'organizzazione anche solo per via telematica, proprio perché le condotte poste in essere determinano una sostanziale e costante influenza al fine di preparare i singoli alla attuazione degli obiettivi della stessa associazione.

Proprio in considerazione di queste premesse, il Collegio ha osservato, conformemente agli orientamenti costanti della Corte che la mera adesione ideologica alla dottrina integralista islamica non è elemento sufficiente a integrare la prova del ruolo di partecipe alla stessa, non potendosi prescindere dalla necessità di raccordare il contributo individuale del singolo con l'entità associativa, occorrendo, tuttavia, al fine di riscontrare un'effettiva partecipazione, una meditata analisi delle concrete caratteristiche dell'associazione e dei comportamenti dei singoli, onde coglierne la specifica portata incriminante. Dunque, nel valutare la portata della singola condotta, sempre ritenuta l'insufficienza della mera adesione ideologica nel rispetto di diritti fondamentali tutelati dall'art. 21 della Cost., la Corte ha chiarito che occorre raggiungere necessariamente una visione di insieme, un inserimento di contesto del contributo individuale rispetto alle caratteristiche della associazione.

In questo senso, analizzando il caso concreto, la Corte ha condiviso la ricostruzione effettuata dal giudice di assise di appello, in sede di rinvio, ritenendo fondata la configurazione di partecipazione nella condotta dell'imputato che (insieme ad altri soggetti, anche con ruoli diversi), mediante un collegamento “strutturale e biunivoco” con la casa madre Al Qaeda - collegamento realizzato attraverso soggetti accreditati e in posizione di superiorità gerarchica, incaricati della distribuzione del materiale propagandistico, mediante i c.d. “canali indipendenti” Al – Fajr e GIMF, garanti dell'autenticità del materiale stesso, ulteriormente diffuso mediante diversi forum di discussione interna, quali al – Fidaa, As – Ansar e al – Shumuk - gestiva un forum esterno, denominato “I7ur” con rigida selezione e controllo per la partecipazione di nuovi adepti ed inserimento di post dal contenuto di inequivoco sostegno all'organizzazione terroristica provenienti dai c.d. “canali indipendenti”, al fine di realizzare il programma di diffusione della stessa all'esterno.

La sentenza ritiene che il giudice abbia correttamente e complessivamente risposto alle censure che avevano determinato l'annullamento con rinvio e, nel richiamare gli elementi oggetto di valutazione, evidenzia la ricorrenza di una vera e propria struttura verticistica e organizzata, con compiti e competenze specifiche, nella gestione del più potenziale mezzo di proselitismo, ovvero la diffusione informatizzata del messaggio, delle istruzioni, dei mezzi e possibilità con le quali realizzare gli obiettivi della stessa.

In tal senso è stata ricostruita, e ritenuta adeguatamente e correttamente riscontrata, la presenza di un collegamento “strutturale e biunivoco” tra la casa madre e la cellula costituita dall'imputato e altri soggetti nella gestione di un potente strumento di proselitismo rappresentato da un forum esterno.

È stata riscontrata la presenza di una serie di elementi significativi, ovvero i diversi livelli dell'organizzazione, la particolare incidenza della sua struttura interna, caratterizzata da passaggi di materiale e competenze specifiche e in particolare:

  • in primo luogo la gestione da parte della casa “madre” del materiale originale a finalità di proselitismo, apologetiche e di propaganda, nonché del materiale didattico e di istruzione per la commissione di delitti collegati al programma dell'organizzazione; produzione, gestione e trasmissione di materiale che viene riferito a strutture organizzate e articolate denominate “canali indipendenti” (sempre informatizzati), con la precipua funzione di produrre materiali di propaganda al fine di proselitismo e acquisizione di nuovi adepti, materiali che sono, con sistema specifico, garantiti quanto alla loro autenticità di provenienza e origine;
  • la successiva strutturazione e realizzazione di forum interni, ristretti e non accessibili dall'esterno (sostanzialmente ad accesso riservato e quasi sommersi), per la diffusione del materiale predetto e la formazione di adepti con funzione sostanzialmente dirigenziale e organizzativa della associazione, mediante una rigida selezione e verifica di affidabilità degli stessi;
  • la creazione, allo scopo di consolidare i rapporti e la formazione del personale poi destinato a diversi ruoli, anche esterni, di forum interni per la diffusione del materiale originale e autentico nel modo più pervasivo possibile;
  • la successiva creazione di forum esterni gestiti da soggetti, come l'imputato, in posizione di vertice, con ruolo di controllo e gestione per raggiungere il maggior numero possibile di proseliti, verificarne attività e affidabilità, fornire con l'inserimento di materiali propagandistici autentici indicazioni e strumenti per la realizzazione di attentati.

Tale descrizione, e l'approccio ermeneutico proposto dalla Cass. pen., Sez. II, descrive in modo puntuale e aderente la realtà del collegamento, diretto, seppur flebile richiesto dalla sent. n. 14503/2019 tra colui che partecipa effettivamente e la casa “madre”; tale collegamento non può essere considerato esclusivamente come collegamento fisico, ma anzi deve essere compreso in relazione al nuovo “metodo” della associazione, centrata sulla attività a carattere telematico, alla quale consegue quella che viene definita l'oggettiva “smaterializzazione” del contributo.

La Corte precisa come la “smaterializzazione” del contributo, le sue diverse caratteristiche, comunque indicative della partecipazione del singolo ai fini dell'associazione, debba essere correttamente inteso.

Richiama, in tal senso, quanto già affermato dalla Cass. pen., Sez. II, n. 22163/2019 sul tema della smaterializzazione del contributo del partecipe, in caso di associazione ex art. 270-bis c.p., ed afferma come non si possa ritenere che la condotta che si caratterizzi per propaganda, apologia, e proselitismo sconti un deficit di materialità che possa far ritenere la stessa come “destrutturata” ed “inidonea a varcare la soglia della punibilità”, atteso che dette attività ideologiche non si risolvono in una semplice manifestazione di opinioni che i partecipanti si scambiano per misurare i termini del reciproco consenso o dissenso, ma devono invece essere ritenute manifestazioni inequivoche da parte di aggregazioni virtuali che, sulla base della manipolazione comunicativa, hanno creato emulazione , indirizzato il consenso, incitato alla violenza, rafforzandone – tramite capillare divulgazione, il proposito criminoso propagandato.

Il collegio condivide l'affermazione della Cass. pen., Sez. II, n. 22163/2019, secondo la quale la smaterializzazione, intesa quale mero deficit di ricaduta nel mondo fisico degli effetti della condotta e non quale illecito esaurito dalla sola volizione, costituisce il portato di modalità di estrinsecazione dei fatti delittuosi che non postulano necessariamente una fenomenologia che incida la realtà fisica, ma la veicolano attraverso pervasivi strumenti di manipolazione comunicativa. In tal senso si afferma come si tratti di fenomeni non estranei al diritto penale, che hanno indotto il legislatore ad intervenire in numerose occasioni , come ad esempio in tema di pornografia virtuale, adescamento di minori via internet, frode informatica , a fronte di condotte che trovano nel mezzo telematico lo “strumento elettivo” di esecuzione, con correlativa configurazione di condotte illecite la cui manifestazione è di per sé smaterializzata, ma pur tuttavia con specifica e incontestabile offensività in ragione della lesione arrecata ai beni giuridici protetti.

Condivisa l'interpretazione che pur a fronte di una smaterializzazione della condotta, ne riscontra comunque un'effettiva offensività, la Cass. pen., Sez. II, sottolinea come lo stesso sistema penale in generale non ignori condotte partecipative che prescindono da un apporto materiale all'illecito, e in tal senso richiama il concorso di persone nel reato, ravvisabile anche in presenza di un contributo agevolatore che abbia reso più facile la consumazione del reato, che può atteggiarsi come mera partecipazione morale, di rafforzamento dell'altrui proposito criminoso già esistente o di sostegno psicologico alla altrui attività.

Quanto al caso concreto, la decisione considera una serie di condotte che non si esauriscono nella mera esaltazione ideologica dell'organizzazione terroristica (e nell'invito ad aderirvi), ma che invece proiettano l'azione della struttura periferica in un progetto più ampio, finalizzato alla realizzazione dell'atto terroristico finale, in una prospettiva di supporto al sodalizio “madre”, sul presupposto della condivisione degli obiettivi indicati.

Ricorre in questi casi una vera e propria adesione, che travalica il sostegno “morale” all'ideologia jihadista per “sfociare nella consapevole volontà di condividerne operativamente , a qualsiasi costo, gli obiettivi”. In tal senso la valutazione non può che far leva, secondo il collegio, sul dolo specifico proprio della fattispecie ex art. 270-bis c.p., da valorizzare al fine della più efficace tipizzazione delle condotte, tenendo conto del rapporto strumentale di mezzo a fine che qualifica il rapporto tra i singoli atti partecipativi e lo scopo tipico.

In questa prospettiva è stata ritenuta decisiva la valenza costituiva del ricorso ai social media, e alla funzionalità delle condotte apologetiche, informative e propagandistiche in relazione alla incentivazione, in modo potenzialmente illimitato, di adesioni al progetto criminoso, dell'agevolazione, del reclutamento e dell'auto - radicalizzazione, nonché del finanziamento della stessa casa madre.

Infine, occorre richiamare l'indicazione che il collegio fornisce in tema di valutazione della prova, conferendo particolare rilievo al tema della prova logica. Si è in tal senso richiamata la centralità della prova logica, mediante esame delle singole condotte (ciascuna della quali può non essere dimostrativa del vincolo associativo), nonché previa valutazione della consistenza di ciascun elemento acquisito, si da giungere ad una considerazione complessiva e sinergica in ordine alla riconducibilità delle stesse all'alveo della partecipazione.

In tale ambito, l'art. 270-sexies c.p. dà rilievo, mediante il riferimento al “contesto” di realizzazione delle stesse, alle condotte concretamente sanzionabili, con un richiamo che agisce in funzione di ampliamento della disposizione incriminatrice e di perimetrazione della stessa, al fine di riscontrare l'effettiva messa in pericolo del bene protetto, sicché il contributo individuale deve essere valutato nella concreta interazione di tutte le forze finalizzate all'evento. Dunque, la Corte ha precisato che, conseguentemente, ricorre il pericolo del “grave danno” anche quando questo non dipenda solo dall'azione individuale considerata, ma sia piuttosto il frutto dell'innesto della stessa in una più ampia serie causale, non necessariamente controllata dall'agente, fermo restando che questi deve rappresentarsi e volere tale interazione.

Osservazioni

Sono di particolare rilevanza alcuni aspetti sottesi al ragionamento della Cass. pen., Sez. II, nella decisione in esame:

  • la necessità di considerare il mutamento di prospettiva che ha caratterizzato questo tipo di fenomeno criminale, rispetto al quale occorre essere pronti ad una valutazione che deve imprescindibilmente tenere conto del suo divenire riconoscibile non tanto per la struttura, ma bensì per il “metodo”;
  • le caratteristiche conseguenti della “messa a disposizione”, che non può essere intesa in senso del tutto omologo alle tradizionali interpretazioni in tema di associazioni a delinquere di tipo mafioso, proprio attesa la particolarità del metodo, la diffusività dello stesso, le nuove metodologie utilizzate, che non escludono tuttavia la possibilità di riscontrare una organizzazione interna, con funzioni e ruoli, correlate anche all'elevata informatizzazione e partecipazione telematica dei soggetti adepti, in vista della realizzazione di condotte di apologia, proselitismo, istruzione indottrinamento, nonché al fine della commissione di atti criminali in attuazione delle finalità della associazione;
  • l'oggettiva smaterializzazione del contributo fornito dal partecipe, elemento questo che tuttavia non impedisce di connotare la condotta posta in essere in senso altamente offensivo rispetto al bene protetto;
  • la conferma del principio per cui non può considerarsi partecipazione la mera adesione ideologica, pur dovendosi tuttavia considerare l'insieme delle condotte poste in essere, gli effetti complessivamente conseguenti dalle stesse, il contesto in cui le stesse maturano anche ai sensi dell'art. 270-sexies c.p.

Guida all'approfondimento

Viganò, Terrorismo di matrice islamico – fondamentalista e art. 270-bis c.p. nella recente esperienza giurisprudenziale, in Cass. Pen. 2007, p.3953; De Marinis Considerazioni minime intorno al tentativo di arruolamento, tra legislazione prassi giurisprudenziale, in Diritto penale contemporaneo, 2017; Masarone, Politica criminale e diritto penale nel contrasto al terrorismo internazionale. Tra normativa interna, europea ed internazionale, Napoli , 2013; Fasani, Il decreto antiterrorismo – Le nuove fattispecie antiterrorismo: una prima lettura, in Dir. Pen. Proc. 2015, n. 8, 947; Marino, Lo statuto del terrorista: tra simbolo e anticipazione, in Diritto penale contemporaneo, 1/2017.

In giurisprudenza:

Vedi

Cass. pen., Sez.

Unite, 12 luglio 2005, n.

33748

Cass. pen., Sez. VI,

23 febbraio 2018,

n.

40348

Cass. pen., Sez. VI,

19 dicembre 2017,

n.

14503

Cass. pen., Sez. II

,

21 febbraio 2017,

n.

25452

Cass. pen., Sez. V,

19 luglio 2016,

n.

6061

Cass. pen., Sez. V,

14 luglio 2016,

n.

48001

Cass. pen., Sez. V,

8 ottobre 2015,

n.

2651

Cass. pen., Sez. VI,

12 luglio 2012,

n.

46308

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