Successione di un ente ad un altro nel processo: la Cassazione torna sulla “ultrattività” del mandato

16 Aprile 2020

La pronuncia in commento ripropone un tema di diritto processuale assai dibattuto, che in sintesi possiamo definire come relativo alla cd. “ultrattività del mandato”, inquadrandolo per vero – dal punto di vista dell'approccio sistematico – nel più ampio fenomeno dell'insensibilità del processo a molti accadimenti della vita reale e ribadisce il concetto di “giusta parte”.
Massima

La sentenza con la quale sia dichiarata l'inammissibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo per difetto di valida procura al difensore dell'opponente deve essere notificata alla parte personalmente, solo in tal guisa potendone derivare l'effetto di decorrenza del termine breve di impugnazione; e ciò in quanto a differenza del difetto di procura del convenuto, il difetto di procura dell'attore impedisce la stessa valida costituzione del rapporto processuale.

Il caso

La questione riguardava una fattispecie di opposizione a decreto ingiuntivo nella quale l'atto di citazione in opposizione era difettoso di procura ad litem al difensore. Tal delega non era rinvenuta in atti a causa dell'omesso deposito del fascicolo di parte, ritirato e non restituito dal difensore dell'opponente. Il profilo di diritto tracciato dalla questione sopra posta risulta logicamente preceduto - e presupposto dall'ulteriore questione di diritto secondo la quale il termine per l'opposizione decorreva dalla notifica della sentenza di primo grado impugnata, correttamente effettuata personalmente alla parte anziché presso il suo apparente difensore, pur in difetto di formale declaratoria di contumacia in primo grado della stessa opponente, a fronte della rilevata sua non rituale costituzione in giudizio per la ragione sopra detta in esordio.

La questione

Con riguardo al primo profilo esaminato, per vero, la Corte di cassazione era qui chiamata a stabilire se la sentenza con la quale sia dichiarata l'inammissibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo per difetto di valida procura al difensore debba o meno essere notificata alla parte personalmente. Se così fosse, ne deriverebbe che solo in tal guisa potrebbe ottenersi l'effetto di decorrenza del termine breve di impugnazione; diversamente sarebbe da ritenersi giuridicamente inesistente, e pertanto inidonea a tale effetto, la notificazione al procuratore rispetto al quale sia stato nei termini suddetti, a torto o a ragione, accertata la carenza del potere rappresentativo (in argomento, Cass. civ., n. 3357/1995).

Era necessario quindi chiedersi: se è vero che il processo di formazione della cosa giudicata, quando dipendente da forme processuali quali la notifica di una sentenza, va integralmente e analiticamente compiuto secondo le forme e i termini previsti dalla legge; esso va anche altrettanto integralmente realizzato quanto agli effetti di tali atti?

È quindi efficace o priva di effetto alcuno in capo al destinatario la notifica di atti a soggetti privi di relazione con il destinatario, come avviene nel caso di cui sopra si è detto?

E quindi, venendo all'esame della fattispecie concreta, per quanto concerne il secondo profilo trattato dalla decisione che si annota, connesso al precedente, la notifica della sentenza di primo grado era da effettuarsi non alla ASL NA 2, ente estinto dal 2009 per effetto di una legge regionale di razionalizzazione degli ambiti territoriali delle Aziende Sanitarie Locali, ma alla ASL NA 2 Nord, ente succeduto al preesistente quale successore a titolo universale?

Le soluzioni giuridiche

Il primo tema affrontato dalla sentenza in esame risulta, come già detto, più agevole da affrontare e risolvere.

Pacifico (per essere stato ammesso dalla stessa ricorrente in questa sede) che il difensore dell'opponente ex art. 645 c.p.c. ASL NA 2 nel corso del giudizio di primo grado ritirava il proprio fascicolo di parte e non lo restituiva entro il termine di cui all'art. 169 comma 2 c.p.c., il Tribunale adito, definendo, nel 2010, il giudizio di primo grado, ha dichiarato inammissibile l'opposizione per radicale nullità dell'atto di citazione, stante la mancanza in atti della procura alle liti al difensore che lo aveva sottoscritto.

La notifica della sentenza di prime cure alla parte risulta pertanto corretta, in quanto in tal pronuncia era comunque stato accertato un difetto di rituale costituzione della parte opponente stante la mancanza di valida procura alle liti e la parte notificante doveva fare affidamento sulla qualificazione operata nella sentenza dal giudice di primo grado. E quindi da tal notifica decorreva il termina per l'impugnazione non risultando a detto fine necessaria, come diversamente sarebbe stato, la notifica al domicilio eletto presso il “difensore” della parte.

Ne deriva la conseguente ritenuta tardività dell'impugnazione, in quanto notificata oltre il termine di legge decorrente dalla rituale notifica della sentenza impugnata: detta tardività precludeva alla Corte d'appello di dare rilievo alla produzione del fascicolo di parte, contenente la procura alle liti conferita al difensore costituito in primo grado, produzione pacificamente effettuata in appello, non operando in questo caso la sanatoria del difetto di rappresentanza processuale della parte in fase di impugnazione, senza che operino le ordinarie preclusioni istruttorie (in termini Cass. civ., Sez. Un., n. 4248/2016).

Sotto questo profilo, la sentenza in esame risulta confermativa dell'orientamento della Suprema Corte già noto sul punto, al quale il Collegio mostra di aderire e di voler dare continuità e stabilità.

La questione è oramai in concreto non più attuale, per vero, stante l'introduzione del processo civile telematico, secondo le regole e i meccanismi del quale il deposito e il ritiro del fascicolo di parte sono superate restando gli atti oggetto di deposito telematico definitivamente acquisiti nel processo in forma digitalizzata.

Il secondo profilo trattato dalla sentenza – e introdotto dalla ASL ricorrente con il quarto motivo di ricorso – si incentra poi sulla circostanza secondo la quale anche a volere ritenere valida la notifica della sentenza di primo grado all'opponente non presso il domicilio eletto, in difetto di valida costituzione in giudizio, presso la sede legale, detta notifica della sentenza di primo grado avrebbe dovuto essere effettuata non alla ASL NA 2 (ente estinto dal 2009 per effetto di una legge regionale diretta alla razionalizzazione degli ambiti territoriali delle Aziende Sanitarie Locali) ma alla ASL NA 2 Nord, ente succeduto a titolo universale al preesistente.

Tal motivo viene accolto della Corte di cassazione, che fornisce alcune rilevanti precisazioni in ordine alla rilevanza nel processo di quella vicenda “anomala” consistente nella successione di un soggetto giuridico ad un altro.

La pronuncia in commento ripropone un tema di diritto processuale assai dibattuto, che in sintesi possiamo definire come relativo alla cd. “ultrattività del mandato”, inquadrandolo per vero – dal punto di vista dell'approccio sistematico - nel più ampio fenomeno dell'insensibilità del processo a molti accadimenti della vita reale.

Com'è noto, il processo è, in qualche modo, un sistema chiuso che si innesta nella vita dei soggetti che vi partecipano; si qualifica come insieme di soggetti, atti e poteri che si relazionano tra di loro nel rispetto di una propria autonomia, che risulta in concreto essenziale alla sua stessa funzione rispetto ai cambiamenti che si succedono al di fuori di essa.

Nel presente caso vengono in rilievo entrambe le situazioni: da un lato la relazione tra soggetto difeso e procuratore titolare del mandato difensivo; dall'altro le vicende relative alla “vita” del soggetto difeso, come articolate per così dire nel suo Foro interno e suscettibili o meno di avere rilevanza esterna lato sensu e rilevanza processuale in specifico.

Sotto questo secondo aspetto, oggetto di queste righe, il tema riguarda il fenomeno di successione universale come quello di successione particolare tra enti, fenomeno prossimo a quello dell'estinzione di società sia per liquidazione, sia per mera cancellazione o per fallimento.

Entrambe le situazioni, semplificando nel concreto, si manifestano quando viene meno la parte legittimata a ricevere l'impugnazione senza che la controparte ne sia direttamente consapevole.

Il problema è complesso sia perché manca una scelta legislativa esplicita sulla legittimazione passiva all'impugnazione in caso di successione nel processo, sia perché non esiste una soluzione logica in grado di soddisfare appieno l'esigenza dell'impugnante e la speculare tutela del o dei successore/i del soggetto estinto, sia perché le varie fattispecie di venir meno della parte presentano caratteristiche che le rendono peculiari.

La pronuncia in commento, opportunamente ed approfonditamente, si confronta nell'articolata motivazione sia con le pronunce Cass. civ., n. 6070/2013, n. 6071/2013 e n. 6072/2013 sia con la successiva Cass. civ., Sez. Un., n. 15295/2014, rinnovando e condividendo con tal ultima statuizione le critiche alle prime decisioni circa la raffigurazione in esse delineata degli effetti dell'estinzione delle società cancellate dal registro delle imprese in termini di successione sui generis da parte dei soci della società estinta.

Come è noto, nella sentenza Cass. civ., n. 6070/2013 – esemplificatrice anche delle contemporanee - era stato giudicato inammissibile il ricorso per cassazione notificato al difensore di s.a.s. in liquidazione cancellata dal registro delle imprese nelle more del giudizio d'appello senza interruzione. Diversamente, con la sentenza Cass. civ., Sez. Un. n. 15295/2014, è stato ritenuto perfettamente regolare il ricorso per cassazione notificato al difensore di persona fisica deceduta prima della pubblicazione della decisione in appello.

Nella sentenza del 2013 il tema predominante era dato dall'essere parte in causa una società cancellata dal registro delle imprese, pur contenendosi in essa una parte di motivazione nella quale veniva accreditato il principio per cui il giudizio di impugnazione deve essere sempre instaurato nei confronti della 'giusta parte', cui soltanto ormai fa capo il soggetto litigioso.

Nella sentenza del 2014, invece, se il punto centrale era anche qui proprio quello in parola, la soluzione adottata è stata del tutto opposta: si è considerata la parte, nel caso invero persona fisica, comunque “stabilizzata” dal punto di vista del suo essere soggetto del processo, nonostante il suo venir meno oltre i limiti del grado in ragione per l'appunto della cd. “ultrattività del mandato”.

A tali fini, la Corte qui mostra di allinearsi alle affermazioni delle Sezioni Unite nel ritenere in sostanza da valida la notificazione della sentenza fatta al procuratore della parte cessata o estinta a norma dell'art. 285 c.p.c.; conseguentemente il procuratore stesso (al quale sia stata originariamente conferita procura ad litem anche per gli ulteriori gradi del processo) risulta legittimato a proporre impugnazione in rappresentanza della parte va considerata, nell'ambito del processo, ancora in vita o capace, per cui è ammissibile l'atto di impugnazione notificato, ai sensi del comma 1 dell'art. 330 c.p.c., presso il procuratore, alla parte cessata o estinta pur se la parte notificante abbia avuto aliunde conoscenza dell'evento.

In tal senso, la Corte ritiene – nella sentenza in commento, richiamando la motivazione delle Sezioni unite alla quale mostra di aderire – che vada «superato il concetto di «giusta parte» per ogni grado del processo (se vi sia stata regolare costituzione in giudizio), in quanto la «giusta parte» va individuata in quella che ha iniziato il processo (sempre e nei limiti di una sua valida costituzione in giudizio), con effetto di stabilizzazione per tutto il processo di merito (restando al di fuori il giudizio in cassazione, per il quale è richiesta procura speciale)».

Nel presente caso, però, continua la Corte «non potevano operare i principi di stabilizzazione e di ultrattività del mandato, in quanto si verteva proprio in un'ipotesi in cui, nella sentenza di primo grado, era stato dichiarato il difetto di valida procura alle liti in capo alla ASL NA 2 e quindi di sua valida costituzione».

La pronuncia quindi risulta qui confermativa, riguardo al principio di diritto applicato, delle Sezioni Unite del 2014 anche se la fattispecie concreta per le ragioni di cui si è detto comporta l'accoglimento del quarto motivo di ricorso e la cassazione sul punto della sentenza impugnata.

Di fronte a questa situazione il giudice di Legittimità si è attribuito il compito di offrire una soluzione capace di stabilizzare il processo, nel senso espresso di evitare «equivoci, arditi distinguo, ricerca di rimedi di salvaguardia e sanatoria, accertamenti incidentali relativi a condotte e stati psicologici», come si scrive in motivazione nella pronuncia della Sezioni unite più recente; e siccome per farlo si è ritenuto necessario “stabilizzare” la parte, si è adottato quale meccanismo concettuale e istituto giuridico atto allo scopo la teoria dell'ultrattività del mandato.

Invero, le soluzioni alla questione risultano comprese tra due poli tra di loro assai lontani: l'affermazione dell'ultrattività del mandato, da un lato; la sanzione dell'inammissibilità dell'impugnazione proposta da o contro soggetto estinto.

Nel mezzo si colloca lo sforzo intellettuale del giudice di mediare tra la tutela della giusta parte, che dopo l'evento interruttivo è considerata un soggetto ormai nuovo e diverso, e il problema della conoscibilità dell'evento, con quello che ne consegue nel caso di sua incolpevole ignoranza in termini di nullità dell'atto diretto alla parte non più esistente o divenuta incapace; vizio peraltro sanabile grazie alla costituzione degli eredi.

Per non dire poi dei profili più concretamente rilevanti quanto all'operatività del meccanismo in parola: basti pensare alla incertezza che avvolge gli obblighi del difensore. Infatti, il codice deontologico dell'avvocatura prevede il dovere di informazione del patrocinatore unicamente nei confronti dell'assistito, non dei suoi eredi. In tal senso il codice approvato dal Consiglio nazionale forense il 31 gennaio 2014 (ed entrato in vigore il 15 dicembre 2014), ma nella stessa direzione vedasi l'art. 40 del codice deontologico previgente, approvato il 17 aprile 1997.

E quanto all'evento interruttivo, lo stesso per operare deve essere dichiarato dal difensore: la “stabilizzazione del processo” nei confronti della parte “venuta meno”, dipendendo dalla “stabilizzazione della parte processuale” ed essendo quest'ultima legata ad una scelta strategica del difensore, è possibile solo nei limiti dei poteri conferitigli con il mandato ad litem.

Anche in tale prospettiva, si inserisce il problema dei limiti alla “ultrattività” del mandato del difensore, problema che non pare risolto – nel caso di estinzione ope legis dell'ente – dalla mera pubblicazione in Gazzetta Ufficiale o altrove dell'atto normativo che ne disciplina la sorte, in quanto atto estraneo al processo e non tale da investire questione rilevabile d'ufficio.

Certamente, dal punto di vista più generale, questa pronuncia interroga nuovamente lo studioso e l'operatore – riproponendone il tema dal punto di vista sistematico - in ordine anche alla bontà della risoluzione della connessa questione delle conseguenze sostanziali e processuali della cancellazione della società dal registro delle imprese in termini successori.

Osservazioni

Il dibattito di cui sopra si è dato conto risulta fiammeggiare di coloriture ulteriori se collocato nel contesto del diritto processuale tributario; in tal frazione del sistema giuridico, in specifico nella parte dedicata alla riscossione dei tributi, l'art. 36 del d.P.R. n. 602/1973, al comma 3, prevede - dopo aver dettata la particolare regola della responsabilità dei soci o associati di soggetti giuridici estinti – siano fatte salve "la maggiori responsabilità stabilite dal codice civile", così da mantenere uno stabile rapporto tra le due normative, quella civilistica generale e quella tributaria per le obbligazioni ove soggetto attivo e creditore è l'Amministrazione Finanziaria.

A ciò si aggiunga l'art. 28 comma 4 del d.lgs. n. 175/2014, che pare disciplinare le conseguenze dell'estinzione delle società cancellate dal registro delle imprese in termini di responsabilità dei soci ed altri soggetti coinvolti nella liquidazione delle società stesse e non in chiave di una successione di rapporti facenti capo alla società estinta, non diversamente, del resto, da quanto previsto dall'art. 2495 c.c. e dagli artt. 2312 e 2324 c.c., mettendo così in risalto, de lege lata, l'antinomia, senza dubbio esistente, tra l'una e l'altra disciplina; difatti il subentrare nella situazione giuridica facente capo al soggetto estinto da parte del successore vanifica ex se ogni prospettiva di definizione degli effetti estintivi della società cancellata sub specie di responsabilità da parte di soggetti che evidentemente non possono considerarsene successori.

In secondo luogo, l'art. 36, comma 3, del d.P.R. n. 602/1973, lasciato inalterato dall'art. 28 del d.lgs. n. 175/14, nel dire che «i soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi d'imposta precedenti alla messa in liquidazione denaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento dovuto dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi», stia per l'appunto a mostrare, in modo certo e inequivocabile, che soci e associati non sono successori della società o dell'ente liquidato ed estinto. Se infatti ne fossero i successori, già subentrerebbero ex se nei rapporti facenti capo agli enti estinti.

E altrettanto importante è considerare come l'art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 già citato nello stabilire che, sia pure «ai soli fini della validità e dell'efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni ed interessi l'estinzione delle società di cui all'art. 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese», giunga in concreto ad affermare che non ha luogo un fenomeno successorio dei soci alla società, perché gli effetti della estinzione nel senso precisato non si producono fino al decorso di cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese. Non solo: gli effetti che si avranno a tale scadenza sono quelli dell'estinzione della società di cui all'art. 2495 c.c., che, come sopra si è detto, sono effetti connotati in termini di responsabilità e non di successione.

Con riguardo quindi alle controversie tributarie, il legislatore afferma che – ove la lite veda discutersi di un credito per tributi – la società cancellata si considera ancora esistente per cinque anni dalla cancellazione, con la conseguenza che la sentenza pronunciata in questo periodo di tempo produce effetto nei confronti della società – che sopravvive ed è considerata in vita a dispetto della sua cancellazione dal registro imprese – e non verso i soci.

Sia pur risultando suggestiva la apparente analogia tra l'ultrattività della difesa e la sopravvivenza della società, pare però sussistere una differenza fondamentale tra il fenomeno processuale della "stabilizzazione" della parte estinta e la posticipazione cinquennale dell'estinzione dell'ente giuridico.

Infatti, il primo interviene appunto solo sul piano della legittimazione processuale, costituendo pur sempre risultato e manifestazione di una “fictio” processuale finalizzata al raggiungimento di fini del processo quali la ricezione di atti sul fronte passivo e il perfezionamento di impugnazioni dal lato attivo.

Invece e diversamente, la nuova disciplina prevede per i rapporti tributari sia la stessa società cancellata a subire gli effetti sostanziali della sentenza emessa dopo la cancellazione, quali ad esempio il subire l'esecuzione forzata per i debiti tributari su beni che ancorché trasferiti ad altri in sede di liquidazione, restano invece di proprietà dell'ente obtorto collo superstite, ma superstite.

È ragionevole attendersi che i sostenitori delle due opposte prospettazioni (e i conseguenti orientamenti giurisprudenziali) continueranno ancora a lungo a dialogare – anzi, forse ad accapigliarsi – tra di loro.

Guida all'approfondimento
  • Andrioli, Disorientamenti giurisprudenziali in tema di interruzione del processo, in Foro It., 1972, I, 965;
  • Chiovenda, Rapporto giuridico processuale e litispendenza, in Riv. Dir. Proc., 1931, I, 16;
  • Consolo e Godio, Le sezioni unite sull'estinzione di società: la tutela creditoria «ritrovata» (o quasi) in Riv. not., 2013, 951;
  • Ghirga, L'ultrattività del mandato nel caso di evento interruttivo verificatosi tra un grado e l'altro del giudizio: 'una storia infinita', in Riv. dir. proc., 2014,1520 ss.;
  • Glendi, Corte costituzionale, sezioni unite della cassazione ed estinzione delle società cancellate dal registro delle imprese, in Dir. e pratica trib., 2013,II, 945;
  • Glendi, E intanto prosegue l'infinita "historia" della complicata estinzione delle società cancellate dal registro delle imprese (sul versante tributaristico, ma non solo), in G.T. - Riv. giur. trib., 2015, 10, 773;
  • Lamedica, I tanti "forse" sugli effetti fiscali della cancellazione delle società dal registro delle imprese, in Corr. trib., 2014,43, 3375;
  • Id., Una "società cancellata" è sempre giuridicamente inesistente?, ivi, 2015, 1, 73;
  • Proto Pisani, Osservazioni in tema di notificazione della sentenza e della impugnazione in caso di morte o di perdita della capacità processuale della parte non comunicata dal procuratore costituito: gravità del perpetuarsi dell'attuale stato di incertezza, ivi, 1978, I, 1691.

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