Covid-19: emergenza vs diritti

21 Aprile 2020

Nel disastro si vede chiaro. Invero, non avevamo bisogno del Covid-19 per sapere che il nostro sistema istituzionale è inceppato; che il Paese è strutturalmente fragile; che esiste un problema degli anziani non autosufficienti; che il sistema economico è pregiudicato dalla burocrazia; che la macchina amministrativa è corrosa dall'inefficienza.... E così via. Si auspica che la maturata consapevolezza di questa endemica condizione drammaticamente evidenziata dall'emergenza sanitaria, possa costituire la spinta, al momento della “ripresa”, per una azione rinnovatrice.

Nel disastro si vede chiaro. Invero, non avevamo bisogno del Covid-19 per sapere che il nostro sistema istituzionale è inceppato; che il Paese è strutturalmente fragile; che esiste un problema degli anziani non autosufficienti; che il sistema economico è pregiudicato dalla burocrazia; che la macchina amministrativa è corrosa dall'inefficienza....

E così via. Si auspica che la maturata consapevolezza di questa endemica condizione drammaticamente evidenziata dall'emergenza sanitaria, possa costituire la spinta, al momento della “ripresa”, per una azione rinnovatrice.

Ne dubito fortemente. Ognuno riprenderà in larga parte le vecchie abitudini e si affiderà alle storiche contrapposizioni culturali e ideologiche.

Ciò non esclude di sviluppare alcune brevi riflessioni su quanto, relativamente alla giustizia penale, cioè, più specificamente al processo, questo passaggio emergenziale ha evidenziato.

Va sottolineato, in primo luogo, il tema della c.d. informatizzazione del processo. Al riguardo si sono evidenziate e si prospettano due linee fortemente contrapposte.

La materia è stata oggetto, sia sotto il profilo normativo, art. 83 d.l. n. 18 del 2020, sia nella prassi e nei protocolli, di una notevole accelerazione, ancorché non omogenea.

In parallelo, tuttavia, non si è mancato di sottolineare, con maggiore cautela, che le “aperture” dovevano considerarsi emergenziali e transitorie.

Lo scontro, perché di questo si tratterà, si evidenzierà a breve, da un lato suggerendo di codificare quanto realizzato di fatto, dall'altro evidenziando le indubbie criticità che sono emerse sul piano delle garanzie; del diritto di difesa e della tutela della riservatezza, solo per fare cenno ai profili più rilevanti.

È sin troppo evidente che il protrarsi dell'emergenza finirà per radicalizzare le posizioni, con il rischio di orientare, soprattutto parte della magistratura e quella politica ad essa collaterale, verso posizioni massimaliste, nel malinteso nome dell'efficienza.

Appare, invece, utile recuperare da alcune indicazioni della disciplina d'urgenza quelle attività già condivise che rappresentano una positiva evoluzione dell'attività processuale informatizzata, innestandole nelle attuali previsioni codicistiche. Anche nell'attuale fase transitoria ed emergenziale è necessario muovere dalla trama normativa esistente, sviluppandone le potenzialità e non alterandone i “fondamenti”.

Se il tema della celebrazione dei processi subisce una forte accelerazione, ben al di là di quelle situazioni che richiedono una decisione, anche perché a volte condizionate da rigidi tempi processuali, il tema della restrizione della libertà, soprattutto nelle strutture penitenziarie subisce un significativo deficit di tutela. Invero, sempre considerando l'attuale assetto normativo, l'emergenza dell'epidemia dovrebbe aprire significativi spazi di tutela ai soggetti ristretti, in considerazione che la difficoltà del c.d. distanziamento sociale possano essere operative in strutture dove la “socialità” è obbligata.

Invero, anche le carceri – al pari di quanto sarebbe stato necessario per i ricoveri degli anziani non autosufficienti – richiederebbero un attento monitoraggio da parte del Ministro della Salute sulle condizioni suscettibili di accentuare il rischio del contagio non solo tra i ristretti, ma anche in relazione agli operatori penitenziari e al personale amministrativo.

Come anticipato l'attuale normativa è in grado di rispondere anche a questa domanda che costituirebbe la ineludibile premessa per una valutazione suscettibile di costituire l'avvio per delle scelte che sarebbero e dovrebbero essere fatte.

Individuazione delle patologie soggettive, adeguatezza delle strutture, modalità della socialità, controllo epidemiologico costante, misure di distanziamento e di protezione individuale e collettive dovrebbero essere all'attenzione del Ministro non casualmente chiamato della Salute (e non più della Sanità). Del resto, la salute è per Costituzione (art. 32) un diritto fondamentale non solo dell'individuo (geneticamente inteso) ma dell'intera collettività.

Questi elementi nella misura in cui risultano ricollegabili alla disciplina esistente consentirebbero nell'immediato una lettura in chiave di favor rei e di favor libertatis, superando la logica degli automatismi destinati ad esercitarsi alla fine dell'emergenza consegnando chiavi di lettura anche per il futuro.

Inevitabile anche sul punto seppur da altra prospettiva – per così dire rovesciata – la contrapposizione con l'opzione carcerocentrica che punterà al ritorno al passato.

Il discorso è molto significativo per quanto attiene al soggetto sottoposto alla custodia cautelare nella misura inframuraria. Sul punto il legislatore dell'emergenza è rimasto molto più che silente, direi omertoso, avendo ritenuto di privilegiare nei confronti del “presunto innocente”, presunto pericoloso, una disciplina che ha accentuato la durata della custodia, anche sotto il profilo della definizione processuale delle vicende che lo riguardano, salvo ipocritamente imporgli di farsi carico – con una disciplina fortemente lacunosa dei passaggi procedimentali – anche della sua istanza di libertà.

Dimentico di quanto previsto dall'art. 286-bis c.p.p., in tema di divieto della custodia cautelare in carcere, in relazione all'HIV, delle modalità di esecuzione delle misure di cui all'art. 277 c.p.p., della previsione del carcere come extrema ratio, il legislatore non ha saputo (o voluto) dare indicazioni sulle molteplici possibili alternative che le previsioni lette alla luce dell'emergenza consentono.

Anche in questo caso, segnalandosi aperture della magistratura che non precludono possibili chiavi ricostruttive capaci di coniugare le esigenze cautelari all'eccezionalità dei pericula libertatis e alle presunzioni di pericolosità motivate dalla residualità ed eccezionalità della restrizione inframuraria a favore di quella domestica, in linea con una impostazione maggiormente in linea con la logica degli strumenti cautelari in un contesto generale di residualità, propria di un processo giusto ispirato dalla logica della presunzione di innocenza.

La marginalità di questi orientamenti, tuttavia, mancando il probabile sigillo del Supremo Collegio, determinerà a emergenza superata, il ripristino, mai sopito peraltro, della vecchia logica di una restrizione cautelare che resta ispirata alla anticipazione della pena.

C'è un ulteriore elemento di possibile criticità dei diritti che l'emergenza sanitaria sta evidenziando: il controllo della mobilità delle persone, teso a verificare il rispetto della modalità di gestione della loro vita e delle esigenze consentite, attraverso l'uso di tecnologie di controllo avanzate, unite a controlli satellitari, al ricorso ad applicazioni suscettibili di controllare molte nostre variabili esistenziali. Uniti ai controlli delle conversazioni, delle comunicazioni, delle propensioni, delle interrelazioni, questi strumenti delineano un futuro che fino a qualche tempo fa, ancorché verosimilmente, operativo in funzione preventiva, diventa ora strumento di controllo repressivo, perché teso alla sanzionabilità. È difficile credere alla transitorietà di queste attività. Anche in questo caso si articolerà un dibattito che vedrà forti contrapposizioni che momentaneamente l'emergenza copre e sovrasta. È facile ipotizzare che lo scontro aprirà lo scenario della soluzione compromissoria tesa a differenziare le diverse situazioni e l'operatività degli strumenti, ma il vaso di Pandora sarà stato aperto.

L'emergenza costituisce da sempre un pericolo per i diritti. Nel bilanciamento con le esigenze contingenti, queste ultime, ancorché spesso transitorie ed eccezionali, sono destinate non solo a prevalere, ma a lasciare una traccia nell'evoluzione della materia interessata: la deroga alle linee di evoluzione della materia diventa regola e difficilmente sarà riassorbita, mentre l'eccezione in controtendenza avrà vita breve.

Anche per questo è necessario muovere dai dati normativi esistenti sviluppandone la potenzialità ispirata al contenimento ed all'adeguamento della situazione emergenziale. Il sistema deve tenersi, tutto insieme, evitando spinte autoritarie e derive giustizialiste, che peraltro in questo momento, anche per la natura solidaristica sottesa all'emergenza sanitaria, risultano difficilmente giustificabili, mentre le situazioni di favor sono destinate all'oblio.

Del resto, a differenza di varie situazioni emergenziali pregresse (terrorismo vario, criminalità organizzata, esigenze securitarie, ...), l'attuale situazione coinvolge l'intera società, senza alcuna distinzione nelle sue componenti, e ancorché destinata a riverberarsi nel tempo medio-breve (si spera) appare orientata al suo esaurimento.

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