Il reato di danneggiamento con riguardo ai beni esposti alla pubblica fede

Cristina Ingrao
22 Aprile 2020

La questione oggetto della decisione in esame attiene ai presupposti in presenza dei quali è configurabile il reato di danneggiamento, oggetto di un intervento di depenalizzazione da parte del d.lgs. n. 7 del 2016.
Massima

È esclusa la rilevanza penale di episodi di danneggiamento aventi ad oggetto parti di una autovettura quando la condotta sia compiuta alla presenza del proprietario che, a bordo del mezzo, ne eserciti la custodia diretta. Diverso è il caso in cui, pur avvenendo il fatto alla presenza accidentale della persona offesa, si ravvisi una situazione di impossibilità per la stessa di esercitare una vigilanza continua e diretta sul bene, in tal caso, l'esposizione alla pubblica fede va affermata.

Ai fini della configurazione del reato di cui all'art. 635 c.p., sotto il profilo oggettivo, occorre, in ogni caso, che il valore o l'utilizzabilità della res oggetto del reato vengano diminuiti in modo apprezzabile, rendendo necessario un intervento ripristinatorio della sua essenza e funzionalità, a prescindere dalla reversibilità o dal carattere temporaneo del danno.

Il caso

Il caso in esame trae origine da una querela sporta, il 26 gennaio 2019, dalla persona offesa P.E., in ordine al danneggiamento della propria autovettura da parte dell'imputato G.A.

La persona offesa, in sede di escussione testimoniale, riferiva di conoscere l'imputato, che era stato dipendente della sua impresa di volantinaggio fino a quando, circa un anno prima rispetto ai fatti oggetto del processo, lo stesso subiva un infortunio alla mano e un lungo periodo di degenza ospedaliera; a quel punto il rapporto di lavoro cessava e lei, anche in considerazione del fatto di non essere in grado di regolarizzarne la posizione contributiva, non dava seguito alle successive richieste di assunzione dallo stesso avanzate, pur continuando a servirsi sporadicamente della sua collaborazione in magazzino.

Quanto allo specifico episodio di danneggiamento oggetto di contestazione, la P. dichiarava che il 26 gennaio 2019, nel primo pomeriggio, incontrava l'imputato nei pressi di una casa di riposo, a Racalmuto, ove si recava per assistere la madre ricoverata. L'uomo, vedendola scendere dalla propria autovettura, si dirigeva verso di lei e cominciava ad insultarla e a minacciarla; a quel punto la donna si rifugiava all'interno della casa di riposo.

Attraverso il portone in vetro, la persona offesa vedeva l'imputato che, dapprima entrava nel cortile di pertinenza della struttura continuando a insultarla e a minacciarla e, successivamente, si dirigeva verso la sua autovettura, parcheggiata sulla strada nelle immediate vicinanze, e iniziava a sputare sul mezzo e a sferrare calci contro la carrozzeria. In un caso, peraltro, il G., nello sferrare un colpo contro il mezzo, perdeva l'equilibrio e cadeva per terra.

Nell'impossibilità di fuoriuscire dalla struttura a causa del persistente atteggiamento aggressivo del G., la donna chiedeva l'intervento dei carabinieri, i quali, una volta giunti sul posto, allontanavano l'imputato.

Uscita dalla casa di riposo, la persona offesa constatava un lieve danneggiamento della propria autovettura. Il paraurti, infatti, si era leggermente spostato per via della rottura di un gancetto, che non richiedeva, però, nessun costo di riparazione.

Il teste M.G., all'epoca dei fatti Maresciallo in servizio presso la Stazione Carabinieri di Racalmuto, riferiva in ordine all'attività investigativa espletata e raccontava che, il suddetto 26 gennaio, su richiesta di intervento della P., lui e un collega si portavano nei pressi della casa di riposo per anziani loro indicata dalla donna, la quale segnalava un episodio di minacce in corso. Ivi giunti, constatavano la presenza dell'imputato e della persona offesa. Nella specie, il primo stazionava sulla strada dal lato opposto all'ingresso della struttura e versava in uno stato di visibile alterazione psico-fisica dovuta all'assunzione di sostanze alcoliche; mentre, la seconda, ancora all'interno delle pertinenze della clinica, alla loro vista usciva per raccontare quanto stava accadendo.

A quel punto il G. cercava di avvicinarsi alla donna, aggredendola verbalmente, nonché sputava sul suo mezzo, lanciando invettive, e sferrava diversi calci contro la carrozzeria dello stesso, riuscendo in un caso a colpire il paraurti, mentre gli altri colpi non andavano a buon fine per via della perdita dell'equilibrio da parte dello stesso.

Nel corso della deposizione il Maresciallo, infine, riferiva di non aver compiuto alcun accertamento sulle condizioni del veicolo della P. in seguito a tale episodio, in quanto, dato lo stato in cui versava l'imputato, dopo averlo riportato alla calma, chiamava i soccorsi e lo accompagnava con il collega in ospedale, ove, peraltro, lo stesso aveva una reazione aggressiva sia nei loro confronti, che di quelli del personale sanitario.

Dal referto di pronto soccorso, infine, risultava che l'imputato in quel momento era sotto effetto di sostanze alcoliche.

La questione

La questione oggetto della decisione in esame attiene ai presupposti in presenza dei quali è configurabile il reato di danneggiamento, oggetto di un intervento di depenalizzazione da parte del d.lgs.n. 7 del 2016. In particolare, a seguito di tale intervento legislativo, ci si chiede: quando è punibile il danneggiamento? Come opera la norma sul danneggiamento in presenza della aggravante della esposizione dei beni alla pubblica fede?

Il Tribunale monocratico di Agrigento, al fine di decidere la questione sottoposta alla sua attenzione, compie preliminarmente alcune considerazioni di diritto in tema di danneggiamento e beni esposti alla pubblica fede.

In primo luogo, la sentenza rileva che la disposizione incriminatrice in esame, anche dopo l'intervento di depenalizzazione apportato dal d.lgs. n. 7 del 2016, continua a punire la distruzione, la dispersione e il deterioramento delle cose esposte per necessità, destinazione o consuetudine a pubblica fede.

La ratio della maggiore tutela accordata a tali cose va individuata nella minorata possibilità di difesa connessa alla particolare situazione in cui le stesse versano, trattandosi di beni posti al di fuori dalla sfera di diretta vigilanza del proprietario e, come tali, pienamente affidati all'altrui senso di onestà e di rispetto.

Il d.lgs. del 2016 citato ha, invero, voluto limitare la punibilità delle condotte di aggressione al patrimonio altrui, escludendo dall'alveo di operatività della disposizione incriminatrice in esame quelle azioni di danneggiamento che avvengano nei confronti di beni nella diretta custodia e nel possesso del loro proprietario, posto che in tali casi si presume che il titolare della res, esercitando una vigilanza continua sulla stessa, sia in grado, usando gli accorgimenti e la diligenza del caso, di impedire l'evento dannoso.

Orbene, proprio facendo leva sulla ratio della riforma legislativa, la Suprema Corte ha di recente escluso la rilevanza penale di episodi di danneggiamento aventi ad oggetto parti di un'autovettura allorquando la condotta sia compiuta in presenza del proprietario che, a bordo del mezzo, ne eserciti la custodia diretta; in tal caso deve, invero, escludersi l'esposizione alla pubblica fede della res con la conseguenza che, in mancanza di altri elementi che consentano di ricondurre comunque la condotta nell'alveo dell'art. 635 c.p., come per esempio la minaccia o violenza alla persona, deve escludersi la rilevanza penale del fatto (Cass. pen., Sez. II, sent. n. 5251 del 2019).

Diverso è il caso in cui, pur avvenendo il fatto alla presenza accidentale della persona offesa, si ravvisi una situazione di impossibilità per la stessa di esercitare una vigilanza continua e diretta sul bene. Sul punto, la giurisprudenza ha affermato che la presenza del titolare del bene nel momento in cui viene posta in essere la condotta di sottrazione o di aggressione dello stesso può divenire elemento che impedisce di ravvisare l'esposizione alla pubblica fede, e, per l'effetto, la rilevanza penale del fatto, nella misura in cui tale circostanza sia rivelatrice della possibilità di esercitare in concreto in modo costante la vigilanza sul bene, possibilità, peraltro, che l'agente deve rappresentarsi; ove, invece, l'agente abbia fatto affidamento sull'ordinaria impossibilità per il titolare del bene di sorvegliare la cosa propria, indipendentemente dall'accidentale presenza della persona offesa al momento dell'azione aggressiva, l'esposizione alla pubblica fede va affermata(Cass. pen., Sez. II, sent. n. 42023 del 2019). In altri termini, laddove l'autovettura sia parcheggiata sulla pubblica via, la possibilità per la persona offesa di osservare l'azione di danneggiamento non può di per sé costituire elemento tale da escludere la condizione di esposizione della vettura alla pubblica fede.

Una volta chiarito ciò, il Tribunale interessato afferma che perché si configuri il reato di danneggiamento, sotto il profilo oggettivo, occorre che il valore o l'utilizzabilità della res vengano diminuiti in modo apprezzabile, rendendo necessario un intervento ripristinatorio della sua essenza e funzionalità, a prescindere dalla reversibilità o dal carattere temporaneo del danno. In proposito, occorre sottolineare che, conformemente al principio di offensività, che deve guidare il decidente nella sua attività ermeneutica, non deve attribuirsi rilevanza a quei fatti che, pur riconducibili entro la cornice dei possibili significati letterali della disposizione incriminatrice, siano in concreto inoffensivi del bene giuridico normativamente protetto. Deve, pertanto, escludersi la sussistenza del reato quando il danno è talmente esiguo da risultare irrilevante. Circostanza, questa, che, come più volte chiarito dalla stessa giurisprudenza di legittimità, si verifica quando il danno sia tale da non comportare una modificazione strutturale o funzionale della res (Cass. pen., Sez. II, sent. n. 25882 del 2008), quindi, quando non si tratti di un danno di una certa consistenza ed evidenza.

Le soluzioni giuridiche

Ciò premesso, in relazione al caso di specie, il Tribunale di Agrigento assolve l'imputato perché il fatto non sussiste.

In primo luogo, secondo il giudice monocratico, va rilevato che l'impianto accusatorio si fonda sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, le quali possono anche da sole essere poste a fondamento della verità processuale, sempre che, all'esito di un'indagine rigorosa e penetrante, le stesse possano considerarsi attendibili sia sotto il profilo intrinseco della costanza, della linearità e della coerenza logica, sia sotto quello estrinseco della comparazione delle stesse con qualsiasi dato di riscontro che possa confermarne, anche indirettamente, il contenuto, concorrendo a corroborarne, per l'appunto, l'attendibilità, posto che si tratta di affermazioni provenienti da un soggetto portatore di un interesse antagonista rispetto a quello dell'imputato. In altre parole, le dichiarazioni rese da persone offese e danneggiate dal reato devono essere sottoposte ad un vaglio più approfondito e critico rispetto a quello al quale sono sottoposte le dichiarazioni rese dal c.d. teste comune.

Orbene, facendo applicazione di tali principi nel caso di specie, va rilevato che non sono emerse ragioni per dubitare della credibilità soggettiva della persona offesa.

A ben vedere, infatti, pur essendo emersa la sussistenza di possibili ragioni di acredine dovute ai pregressi rapporti professionali, la stessa rendeva una narrazione dei fatti scevra di contenuti e particolari volti ad enfatizzare l'accaduto, rendendo anzi delle dichiarazioni tese a minimizzarne la portata. Sotto il profilo della credibilità soggettiva, inoltre, non può sottacersi che la stessa non si è costituita parte civile nel procedimento avviato a seguito della sua querela.

In secondo luogo, tali dichiarazioni appaiono intrinsecamente ed estrinsecamente attendibili in quanto non solo la descrizione dei fatti appare lineare, coerente e sufficientemente dettagliata anche sotto il profilo temporale, ma trova plurimi elementi di riscontro esterni, essendo la sua versione dei fatti corroborata sia dalle dichiarazioni rese dal teste Maresciallo M., sia dalle risultanze del referto medico attestante lo stato di alterazione psico-fisica dovuta all'assunzione di sostanze alcoliche e il contegno aggressivo del G. nel pomeriggio del 26 gennaio 2019.

Alla luce della ricostruzione dei fatti effettuata, è provato che, nel primo pomeriggio del 26 gennaio 2019, l'imputato, peraltro in un più ampio contesto di minacce e insulti alla persona offesa, sferrava dei calci all'autovettura della P., in un caso riuscendo anche a colpirne il paraurti e, così facendo, provocando un piccolo disallineamento dello stesso a causa della rottura di un “gancetto”.

In proposito, secondo il Tribunale, non appare verosimile la versione dei fatti rassegnata dall'imputato, il quale, pur non negando l'esistenza dell'incontro con la P., riferiva di non aver mai sferrato calci contro la vettura della donna, essendosi egli limitato in quel contesto ad avanzare nei suoi confronti delle pretese retributive per pregressi rapporti professionali. Tale versione dei fatti appare, invero, smentita dalle molteplici prove di segno contrario, essendo la descrizione fornita dalla P. riscontrata dal racconto del Maresciallo M.

È pure provato, alla luce della ricostruzione dei fatti, che in quel frangente la vettura si trovasse parcheggiata sulla pubblica via e, dunque, che l'azione di danneggiamento sia stata perpetrata nei confronti di una res esposta a pubblica fede.

In applicazione dei principi giurisprudenziali già esposti, invero, la circostanza che la P. fosse in posizione tale da osservare l'azione di danneggiamento perpetrata ai danni della propria autovettura non esclude la sussistenza dell'aggravante ex art. 625 n. 7 c.p., in quanto il mezzo, trovandosi lei all'interno della casa di riposo, non si trovava sotto la sua sfera di controllo diretto e continuo.

Peraltro, anche a voler escludere la ricorrenza dell'aggravante dell'esposizione alla pubblica fede, il fatto sarebbe astrattamente riconducibile nell'alveo di operatività dell'art. 635, co. 1, c.p.p., in quanto, nel corso dell'istruttoria dibattimentale, emergeva che l'azione era stata perpetrata in un più ampio contesto di minacce alla persona.

In proposito si osserva che, per costante orientamento giurisprudenziale, ai fini della configurabilità di siffatta ipotesi delittuosa, non è necessario che la violenza o minaccia sia usata per commettere il danneggiamento, o per vincere l'altrui resistenza, ma è sufficiente che la condotta violenta o minacciosa sia contestuale al fatto produttivo del danneggiamento, nel senso che quest'ultimo deve essere compiuto quando è ancora in atto la condotta violenta o minacciosa tenuta dall'agente (Cass. pen., sez. VI, sent. n. 16563 del 2016).

Ciò premesso, tuttavia, secondo il Tribunale di Agrigento, alla luce di quanto emerso in sede dibattimentale, il principio di offensività, già richiamato, impone di assolvere l'imputato, in quanto l'azione di danneggiamento dallo stesso perpetrata non ha cagionato una modificazione strutturale e funzionale della res, avendo egli causato un danno connotato da esiguità tale da renderlo penalmente irrilevante, così come si evince dalle dichiarazioni della persona offesa, la quale parlava di uno spostamento minimale del paraurti, per la cui riparazione, peraltro, non sopportava costi.

Al di là dell'irrisorio aspetto economico della riparazione, deve, pertanto, secondo il giudice, escludersi che i calci sferrati dal G. abbiano provocato una modifica strutturale o funzionale del paraurti, tale cioè da incidere, anche parzialmente o temporaneamente, sulla funzionalità dello stesso.

Osservazioni

Nella sentenza in esame, il Tribunale di Agrigento, dopo aver ricostruito i fatti, le norme e i principi di diritto che entrano in gioco con riguardo al caso di specie, ha correttamente conclusione nel senso dell'assoluzione dell'imputato per il fatto che gli viene contestato.

In particolare, la decisione muove dal principio di offensività, che regola la materia penale e che si rivolge, oltre che al legislatore nella formulazione delle norme penali, anche al giudice, come criterio interpretativo-applicativo, e che impone a quest'ultimo, nell'ambito della sua attività ermeneutica, di escludere la rilevanza penale per quei fatti che, pur riconducibili entro la cornice dei possibili significati letterali della disposizione incriminatrice, siano in concreto inoffensivi del bene giuridico normativamente protetto.

In relazione al caso in esame, ciò conduce all'assoluzione dell'imputato, in quanto la sua azione di danneggiamento, rivolta alla autovettura della persona offesa, pur in astratto configurandosi come una ipotesi aggravata del reato di cui all'art. 635 c.p., non ha nei fatti cagionato una modificazione strutturale e funzionale della res, avendo egli causato un danno connotato da una esiguità tale da renderlo penalmente irrilevante, così come si evince dalle stesse dichiarazioni della persona offesa, la quale parlava di uno spostamento minimale del paraurti, per la cui riparazione non affrontava alcun costo.

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