La Riscossione tributaria a mezzo ruolo: atti impugnabili, mancata costituzione ed onere probatorio dell'Ente fiscale

23 Aprile 2020

Il termine “ruolo” viene da rotulus, ove gli amministratori dell'antica Roma elencavano tutti i soggetti appartenenti ad una categoria omogenea per essere destinatari di un medesimo trattamento; tali erano, ad esempio, i soldati -“arruolati” nell'esercito- cui competeva il medesimo trattamento economico; dai tempi di Diocleziano, 284-305, fino al X secolo, nell'Impero Romano d'Oriente, erano pagati con una moneta denominata “solidus” -termine successivamente corrottosi in “soldo”- da cui "soldato", "assoldare"...
Premessa

Il termine “ruolo” viene da rotulus, ove gli amministratori dell'antica Roma elencavano tutti i soggetti appartenenti ad una categoria omogenea per essere destinatari di un medesimo trattamento; tali erano, ad esempio, i soldati -“arruolati” nell'esercito- cui competeva il medesimo trattamento economico; dai tempi di Diocleziano, 284-305, fino al X secolo, nell'Impero Romano d'Oriente, erano pagati con una moneta denominata “solidus” -termine successivamente corrottosi in “soldo”- da cui "soldato", "assoldare" etc.. In passato, dall'unità d'Italia sino al 31 dicembre 1989, il servizio di riscossione dei tributi mediante ruolo è stato affidato -con la legge Sella del 1871- alle esattorie comunali e consorziali; poi, dal 1° gennaio 1990 al 30 settembre 2006, è stato affidato, con concessione amministrativa per ambiti provinciali, a società concessionarie. Il perimetro applicativo della riscossione a mezzo ruolo esattoriale è stato definito dall'art. 17, D.Lgs. 26 febbraio 1999 n. 46 che comprende:

  • obbligatoriamente (al comma 1) tutte le entrate (sia di natura tributaria che di natura extra tributaria) dello Stato o di enti pubblici a carattere nazionale, compresi quelli previdenziali, con esclusione di quelli a carattere meramente economico (attività di produzione e fornitura di beni o servizi), nonchè tutte le altre entrate pubbliche per le quali tale forma di riscossione è prevista per legge;
  • facoltativamente (al comma 2) tutte le entrate delle Regioni, delle Province, dei Comuni, degli altri Enti locali che, come strumento alternativo possono giovarsi dell'ingiunzione di pagamento di cui al Regio Decreto 14/4/1910, n. 639, utilizzabile per l'esazione dei tributi locali (ICI, IMU, TARSU, TIA, TASI, TARES, etc.), ex art. 52, c.6, d.lgs. 446/1997: «Il procedimento di coazione comincia con la ingiunzione, la quale consiste nell'ordine, emesso dal competente ufficio dell'ente creditore, di pagare entro trenta giorni, sotto pena degli atti esecutivi, la somma dovuta [...omissis...]».

Dal 1° ottobre 2006 – con Legge n. 248/2005 di conversione del D.L. 203/2005- viene soppresso il sistema di affidamento in concessione del servizio nazionale della riscossione ai concessionari-esattori e la riscossione a mezzo ruolo esattoriale ex d.P.R. 602/1973 viene gestita in via esclusiva da una società per azioni a prevalente capitale pubblico: Riscossione SpA, costituita da Agenzia delle Entrate (51%) e Inps (49%), successivamente denominata Equitalia.

L'art. 1, D.L. 193/2016, conv. con modif. con L. 225/2016, ha poi disposto che a decorrere dal 1° luglio 2017 le societa' per azioni del Gruppo Equitalia -a esclusione della società Equitalia Giustizia SpA, di cui alla lett. b), c.11, che svolge funzioni diverse dalla riscossione- fossero sciolte, cancellate d'ufficio dal registro delle imprese e contestualmente estinte, senza che fosse esperita alcuna procedura di liquidazione (successione in universum jus). Le funzioni di riscossione nazionale (di cui all'art.3, c.1, d.l. 203/2005, conv. con modif. con L. 248/2005), sono state attribuite all'Agenzia delle Entrate di cui all'art. 62, D.Lgs. n. 300/1999, e svolte dall'ente pubblico, strumentale della stessa Agenzia delle Entrate, denominato: «Agenzia delle Entrate-Riscossione», sottoposto all'indirizzo e alla vigilanza del Ministro dell'economia e delle finanze. Tale ente strumentale subentra, a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali (successione nella legitimatio ad causam), delle cessate società per azioni del Gruppo Equitalia, di cui al c.1, ed assume la qualifica di Agente della Riscossione con i poteri e secondo le disposizioni di cui al titolo I, capo II, e al titolo II, del d.P.R. 602/1973 (successione nel munus pubblicum). La qualificazione quale ente strumentale comporta che il nuovo ente, pur perseguendo fini propri ed esclusivi, è strettamente collegato all'Agenzia delle Entrate dai vincoli di soggezione.

Impugnabilità degli atti innanzi al Giudice tributario ed oggetto del giudizio

Qualsiasi atto dell'Ente fiscale* -ancorchè adottato in forma non autoritativa- qualora rechi una pretesa tributaria definita è impugnabile dinanzi al Giudice tributario ex art. 2, d.lgs.546/1992, (cfr. ex multis, Cass., SS.UU., sentenze nn. 16293/2007 e 3773/2014). La concezione sincretistica della giustizia tributaria prevede la tutela di un diritto soggettivo e/o di un interesse legittimo** (plena cognitio ratione materiae) del cittadino-contribuente attraverso il “prisma” dell'atto impositivo/sanzionatorio/esattivo che lo abbia leso, la cui impugnazione è veicolo d'accesso al giudizio cognitorio sul rapporto obbligatorio tributario. Si tratta, quindi, di un “giudizio sull'atto” esteso al “rapporto sotteso”, esperendo un'azione di cognizione tributaria -tripartita in: d'accertamento, costitutiva e di condanna - il cui oggetto va individuato nella pretesa tributaria avanzata con l'atto lesivo, che si impugna principalmente con un'azione di accertamento negativo, invertendo i ruoli di attore in senso formale (Cittadino contribuente-ricorrente) e sostanziale (Ente fiscale-resistente), con conseguente riparto dell'onere probatorio processuale. Anche una sentenza di rigetto nel merito dell'obbligazione tributaria, emessa per l'impugnazione di un atto non contemplato nel catalogo di cui all'art. 19, c.1, D.lgs. n. 546/1992, è idonea a passare in giudicato (vds. Cass. Ss.Uu. sent. 19704 del 02.10.2015).

* In evidenza
Con l'espressione “Enti fiscali” qui s'intendono e si comprendono indistintamente tutte le Agenzie fiscali, gli Agenti della riscossione, gli Enti locali, i Soggetti gestori iscritti nell'albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che esercitano le attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi di Province e Comuni, e qualsiasi altro soggetto dotato di poteri impositivi, sanzionatori ed esattivi relativamente a tributi di ogni genere e specie, comunque denominati, nonché di accertamento catastale, come per tutti previsto dall'articolo 2, commi 1 e 2, D.lgs. 546/1992.

**In evidenza
L'obbligazione tributaria, secondo parte della dottrina, sorge al solo verificarsi del presupposto (c.d. teoria della natura dichiarativa dell'atto impositivo) ed il contribuente è titolare di un diritto soggettivo (diritto alla giusta imposizione); altra dottrina, invece, la ritiene sorta successivamente, al momento della dichiarazione/accertamento (c.d. teoria costitutiva) che ne è elemento costitutivo, ed il contribuente è titolare di un interesse legittimo (titolare di un'azione di annullamento dell'atto impositivo illegittimo come veicolo d'accesso al merito del rapporto d'imposta). Secondo risalente (Cass. sent. 16171 del 23/12/2000) e costante giurisprudenza di legittimità, il processo tributario non è annoverabile tra quelli di mera impugnazione-annullamento, bensì tra quelli di impugnazione-merito perché, dopo ogni “rimozione giuridica” dell'atto impugnato, deve regolamentare il rapporto d'imposta con una pronuncia giurisdizionale nel merito, sostitutiva dell'atto amministrativo nella misura della citata rimozione, volta a quantificare, entro i limiti fissati dai petita formulati dalle parti in causa, la giusta pretesa tributaria. vds. Ss.Uu. 25790/2009 (e cass. civ., n. 26157/2013, 6918/2013 e 13034/2012). Invece, la domanda di annullamento per vizi formali propri dell'atto impugnato resta pregiudiziale e dirimente rispetto alla ulteriore cognizione sul merito del rapporto tributario sotteso se darà luogo ad una pronuncia caducatoria di annullamento di tipo costitutivo-demolitorio. Il giudicato tributario ha una efficacia regolamentare diretta sull'oggetto del processo, che non va confusa con l'obbligo di conformazione al giudicato ex art 4, c.2, Legge 20 marzo 1865 n.2248 all. E, e non esclude -ove praticabile- la rinnovazione dell'atto, purgato dell'accertato vizio di invalidità.

L'iscrizione del credito al ruolo, che manifesta un esercizio compiuto di potestà impositiva, a prescindere dello strumento conoscitivo adottato è ex se idonea a costituire presupposto di un imminente pregiudizio economico nella sfera giuridica del destinatario. Come per l'azione civile ex art. 100 c.p.c., in virtù del rinvio dinamico di cui all'art. 1, c.2, D.lgs. 546/1992, anche il ricorso tributario è subordinato alla sussistenza di una legittimazione ad agire (i.e. legitimatio ad causam), intesa come proiezione processuale della titolarità di un interesse legittimo o diritto soggettivo*; a ciò si accompagna una seconda condizione generale dell'azione processuale: l'interesse ad agire, inteso come tutela processuale di un bene della vita (i.e. interesse protetto) da una lesione diretta ed attuale. Secondo sia la giurisprudenza sia la dottrina, devono coesistere i caratteri: della personalità (la diretta riferibilità dell'utilità da conseguire all'attore/ricorrente); dell'attualità (la lesione dedotta in giudizio deve essere presente e non passata o futura); della concretezza (l'utilità del petitum mediato non deve essere astratta).

[La carenza di attualità della pretesa riscossiva impugnata e, dunque, l'inidoneità dell'atto impugnato (ad esempio, l'estratto del ruolo, l'avviso di presa in carico o la comunicazione di irregolarità a seguito del controllo automatizzato) ad integrare una delle tre condizioni generali dell'azione (relativamente all'attualità dell'interesse ad agire e, quindi, della c.d. “provocatio ad opponendum”), esonera il contribuente da una difesa avanzata perché non viene pregiudicata l'impugnazione di atti successivi (fermo, ipoteca, pignoramento, etc.) a valere anche per gli specifici atti presupposti, ove non notificati. Sotto tale profilo, rileva l'art 19, c.3, d.lgs. 546/1992, secondo cui “la mancata notifica degli atti autonomamente impugnabili adottati precedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo”].

*In evidenza
“Il nostro ordinamento giuridico, nel riconoscere i diritti dei singoli, annovera tra i suoi orientamenti la disponibilità della loro tutela (cfr. l'art. 24 Cost., secondo cui “tutti” possono agire in giudizio per la tutela dei “propri” diritti ed interessi legittimi), per cui impone coerentemente la regola secondo cui si possono far valere soltanto quei diritti che si “affermano” come diritti propri e la cui titolarità passiva si “afferma” in capo a colui contro il quale si propone la domanda. Tale regola è espressa, in termini rovesciati, dall'art. 81 c.p.c., in forza del quale “fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”. La legittimazione ad agire o contraddire, allora, può essere definita come quella condizione dell'azione che consiste nella coincidenza tra chi propone la domanda e colui che nella domanda stessa è “affermato” titolare del diritto (c.d. legitimatio ad causam attiva) e tra colui contro il quale la domanda è proposta e colui che nella domanda stessa è “affermato” soggetto passivo del diritto o, comunque, “violatore” di quel diritto (c.d. legitimatio ad causam passiva)”. (Tribunale, Torino, sez. III civile, sentenza 21/06/2013 n° 4573). In proposito, possono richiamarsi le seguenti pronunce della Cassazione: Cass. Civ., sez. II, 27 giugno 2011, n. 14177; Cass. Civ., sez. II, 10 maggio 2010, n. 11284; Cass. Civ., SS.UU., 24 dicembre 2009, n. 27346; Cass. Civ., sez. II, 3 giugno 2009, n. 12832; Cass. Civ., sez. III, 09 aprile 2009, n. 8699; Cass. Civ., sez. III, 15 settembre 2008, n. 23670; Cass. Civ., sez. I, 16 maggio 2007, n. 11321; Cass. Civ., sez. I, 28 febbraio 2007, n. 4776; Cass. Civ., sez. I, 29 settembre 2006, n. 21192; Cass. Civ., sez. III, 14 giugno 2006, n. 13756; Cass. Civ., sez. III, 06 marzo 2006, n. 4796; Cass. Civ., 5 maggio 2000 n. 5695; Cass. Civ., 29 aprile 1998 n. 4364; Cass. Civ., 24 luglio 1997 n. 6916; Cass. Civ., SS.UU., 23 agosto 1990 n. 8573; Cass. Civ.,13 aprile 1989 n. 1751; Cass. Civ.,17 dicembre 1986 n. 7634; Cass. Civ., 28 ottobre 1970 n. 2206.

L'estratto di ruolo* (mero documento rappresentativo) può essere oggetto di ricorso -in quanto (in toto o in parte) riproduzione del ruolo**(provvedimento amministrativo) che è autonomamente impugnabile (vds. art. 19, c.1, lett. d) ed anche art. 21, c.1, secondo alinea, d.lgs. 546/1992)- nella misura in cui rappresenta una pretesa tributaria foriera di “effetti che comunque il contribuente ha interesse a contrastare” (Cass. SS.UU. sent. 19704 del 02.10.2015). “L'interesse ad agire, quale condizione dell'azione, integra un requisito di fondatezza della domanda soltanto ipotetica, consistente nell'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile altrimenti senza l'intervento del Giudice (Cass., Sez. L, sent. n. 22724 del 4/10/2013). Quindi, secondo la Suprema Corte, sussiste l'interesse ad agire ex art 100 c.p.c., per l'impugnazione dell'estratto di ruolo in quanto veicolo di conoscenza del ruolo, qualora il contribuente-debitore alleghi la mancata legale conoscenza degli atti presupposti: titolo e precetto della pretesa tributaria ivi rappresentata (ciò, ovviamente, vale anche nell'analogo caso per gli avvisi di accertamento esecutivi (ex art. 29 D.L. n. 78/2010, conv. in Legge n. 122/2010, c.d. atti impoesattivi), riconoscendo al contribuente la possibilità di ricorrere contro l'”avviso di presa in carico” della pretesa riscossiva, notificato dall'Agente della Riscossione.), in superamento della teoria del numerus clausus, riferito alla catalogazione degli atti impugnabili indicata nell'art. 19, c.1, d.lgs. 546/1992. (vds. Cass. Ss.Uu. sent. 19.704 del 02.10.2015).

*In evidenza
Il ruolo, di cui all'art. 10, lett. b), d.P.R. 602/1973, è un provvedimento interno (non recettizio, nel senso che si perfezione senza comunicazione/notificazione al debitore) dell'ente impositore, che questi rende esecutivo per l'agente della riscossione vistandolo, contenente una pretesa patrimoniale della quale la cartella esattoriale di pagamento, emessa dall'agente della riscossione, ne è la stampa in unico originale per la notifica al debitore esattoriale. “La cartella è pacificamente assimilabile all'atto di precetto, svolgendo essa la duplice funzione di “veicolo” del ruolo e di preannuncio della futura esecuzione forzata in caso di mancato pagamento del carico esattoriale” (G.di P. di Canicattì, sentenza 131/2012). L'estratto di ruolo, invece, ne è una mera rappresentazione documentale data -su richiesta dell'avente diritto- dall'agente della riscossione ed atta solamente a rendere edotto il contribuente richiedente di tutti i suoi debiti fiscali (e di tutti gli altri eventuali diversi debiti soggetti a riscossione a mezzo ruolo esattoriale). Secondo. Consiglio di Stato, IV, n. 4209 del 2014, l'estratto di ruolo è un "elaborato informatico formato dall' esattore ... sostanzialmente contenente gli ... elementi della cartella ...", inidoneo sia a costituire una c.d. “provocatio ad opponendum”, sia a soddisfare una legittima e motivata richiesta del cittadino-contribuente di copia degli originali della cartella, della sua notificazione e degli atti prodromici. Mentre per “copia” andrebbe intesa la riproduzione integrale del ruolo esattoriale vistato, relativo a ciascun cittadino (come la cartella di pagamento che ne reca tutti i debiti per tributi, contributi previdenziali, sanzioni di cui alla L. 689/1981, etc,), per “estratto” va intesa la riproduzione teleologicamente orientata di alcune parti del ruolo (ad esempio solo i carichi tributari). La circostanza occasionale che motiva un cittadino alla richiesta dell'estratto di ruolo (di norma in forma completa) può anche essere del tutto metatributaria; ad esempio prendere conoscenza dello stato procedimentale di sanzioni amministrative.

** In evidenza

Il "ruolo", com'é noto, ha una sua precisa definizione legislativa, posto che, per il vigente testo dell'art. 10 lett. b) del d.P.R. n. 602/1973, esso è "l'elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall'ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario" e che, per l'art. 11 del medesimo d.p.r., "nei ruoli sono iscritte le imposte, le sanzioni e gli interessi". A norma del successivo articolo 12 l'ufficio competente "forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari operano. In ciascun ruolo sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuenti che hanno il domicilio fiscale in comuni compresi nell'ambito territoriale cui il ruolo si riferisce"; nel ruolo "devono essere comunque indicati il numero del codice fiscale del contribuente, la specie del ruolo, la data in cui il ruolo diviene esecutivo e il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione, anche sintetica, della pretesa; in difetto di tali indicazioni non può farsi luogo all' iscrizione"; "il ruolo è sottoscritto, anche mediante firma elettronica, dal titolare dell' ufficio o da un suo delegato" e "con la sottoscrizione il ruolo diviene esecutivo", cioè costituisce titolo esecutivo. Dai riprodotti dati normativi discende che il "ruolo" è un atto amministrativo impositivo (fiscale, contributivo o di riscossione di altre entrate allorché sia previsto come strumento di riscossione coattiva delle stesse) proprio ed esclusivo dell' "ufficio competente" (cioè dell' ente creditore impositore), quindi "atto" che, siccome espressamente previsto e regolamentato da norme legislative primarie, deve ritenersi tipico sia quanto alla forma che quanto al contenuto sostanziale (cfr. le norme sopra richiamate laddove si precisa che esso deve indicare le "somme dovute" in "riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento" o, "in mancanza" di questo, la "motivazione" del debito).

In quanto titolo esecutivo, il ruolo sottoscritto dal capo dell'ufficio o da un suo delegato, giusta il dettato del primo comma dell'

art. 24 d.p.r. n. 602/1973

, viene consegnato "al concessionario dell'ambito territoriale cui esso si riferisce", esso pertanto non solo è atto proprio ed esclusivo dell' ente impositore (mai del concessionario della riscossione), ma, nella progressione dell'iter amministrativo di imposizione e riscossione, precede ogni attività del concessionario, della quale costituisce presupposto indefettibile. Il concessionario della riscossione, a sua volta, in forza del ruolo ricevuto, redige "in conformità al modello approvato" (oggi dall' Agenzia delle Entrate) "la cartella di pagamento" (che, per il secondo comma del!'

art. 25 d.p.r. n. 602/1973

, "contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata") e provvede (ai sensi del successivo art. 26) alla "notificazione della cartella di pagamento" al debitore. L'

art. 19 del D.lgs. n. 546/1992

elenca espressamente tra gli "atti impugnabili" (quindi da impugnare necessariamente per evitare la cristallizzazione irreversibile di quel determinato momento del complessivo iter di imposizione e/o riscossione), alla lett. d) del primo comma, "il ruolo e la cartella di pagamento", mentre la seconda parte del primo comma dell'art. 21 del medesimo d.lgs. n. 546 dispone espressamente che "la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo". Da tali disposizioni si evince pertanto che: il ruolo è atto che deve essere notificato e la sua notificazione coincide con la notificazione della cartella di pagamento; è atto impugnabile; il termine iniziale per calcolare i "sessanta giorni dalla data di notificazione dell' atto impugnato" (fissati a espressa "pena di inammissibilità" dalla prima parte del medesimo art. 21 per l'impugnazione di qualsiasi "atto impugnabile") coincide con quello della "notificazione della cartella di pagamento"; entro il suddetto termine pertanto il debitore, giusta i principi generali, a seconda del suo interesse, può impugnare entrambi gli atti ("ruolo" e "cartella di pagamento") contemporaneamente ovvero anche solo uno dei due che ritenga viziato, con l'ovvio corollario che la nullità di un atto non comporta quella degli atti precedenti né di quelli successivi che ne sono indipendenti e quindi che la nullità della cartella di pagamento non comporta necessariamente quella del ruolo mentre la nullità del ruolo determina necessariamente la nullità anche della cartella, questa essendo giuridicamente fondata su quel ruolo e, pertanto, "dipendente" dallo stesso. Il "documento" denominato "estratto di ruolo", tale indicato dallo stesso concessionario che lo rilascia, non è invece specificamente previsto da nessuna disposizione di legge vigente. Esso -che viene formato (quindi consegnato) soltanto su richiesta del debitore- costituisce (v.

Consiglio di Stato, IV, n. 4209 del 2014

) semplicemente un "elaborato informatico formato dell'esattore ... sostanzialmente contenente gli ... elementi della cartella ...", quindi anche gli "elementi" del ruolo afferente quella cartella (il

C.d.S.

, peraltro, ha affermato l'inidoneità del suo rilascio ad ottemperare all'obbligo di ostensione all'interessato che ne abbia fatto legittima e motivata richiesta, della copia degli originali della cartella, della sua notificazione e degli atti prodromici).

Da quanto sopra esposto emerge con sufficiente chiarezza la differenza sostanziale tra "ruolo" ed "estratto di ruolo" (termini talvolta impropriamente utilizzati come sinonimi): il "ruolo" (atto impositivo espressamente previsto e regolato dalla legge, anche quanto alla sua impugnabilità ed ai termini perentori di impugnazione) è un "provvedimento" proprio dell'ente impositore (quindi un atto potestativo contenente una pretesa economica dell'ente suddetto); l' "estratto di ruolo", invece, è (e resta sempre) solo un "documento" (un "elaborato informatico ... contenente gli... elementi della cartella", quindi unicamente gli "elementi" di un atto impositivo) formato dal concessionario della riscossione, che non contiene (né, per sua natura, può contenere) nessuna pretesa impositiva, diretta o indiretta.

La inidoneità dell'estratto di ruolo a contenere qualsivoglia (autonoma e/o nuova) pretesa impositiva, diretta o indiretta (essendo, peraltro, l'esattore carente del relativo potere) comporta indiscutibilmente la non impugnabilità dello stesso in quanto tale, innanzitutto per la assoluta mancanza di interesse (

ex art. 100 c.p.c.

) del debitore a richiedere ed ottenere il suo annullamento giurisdizionale, non avendo infatti alcun senso l'eliminazione dal mondo giuridico del solo documento, senza incidere su quanto in esso rappresentato. Peraltro, anche l'eventuale contestazione dell'attività certificativa del concessionario in sé considerata -ad esempio in relazione alla non corrispondenza tra quanto certificato nell'estratto e quanto risultante dal ruolo- avrebbe un senso solo in un ipotetico giudizio risarcitorio per aver confidato nella corrispondenza delle notizie riportate nell'estratto alle iscrizioni risultanti dal ruolo, non in un giudizio impugnatorio conducente esclusivamente ad un "annullamento" della certificazione. (Cass. Ss.Uu. sent. 19704 del 02.10.2015).

A proposito dell'impugnabilità dell'estratto di ruolo, la Cassazione si è espressa favorevolmente con Ordinanza 03 gennaio 2019, n. 54: “alla luce del condivisibile orientamento, espresso da questa Corte, secondo cui il contribuente può impugnare la cartella di pagamento della quale – a causa dell'invalidità della relativa notifica – sia venuto a conoscenza solo attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione; a ciò non osta l'ultima parte del comma 3 dell'art. 19 del D.lgs. n. 546/1992, in quanto una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere che l'impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato – impugnabilità prevista da tale norma – non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque venuto legittimamente a conoscenza e quindi non escluda la possibilità di far valere l'invalidità stessa anche prima, giacché l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo, rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione”. Quoad effectum, quindi e con i limiti già indicati, l'estratto di ruolo (atto non recettizio) è implicito nella previsione normativa di cui agli artt. 19, c.2, lett. d) e 21, c.1, ultimo alinea, D.Lgs. n. 546/1992, secondo il quale la notifica della cartella di pagamento esattoriale (atto recettizio) equivale a notifica del ruolo.

Pertanto, nel momento in cui l'Agente della Riscossione consegna formalmente al contribuente l'estratto documentale del suo ruolo (che è un provvedimento amministrativo perfetto, liberamente accessibile* all'interessato, richiedente motu proprio), questo cittadino-contribuente ne avrà avuta legale scienza, con effetti interruttivi sulla prescrizione del proprio debito e decadenziali iniziali per ogni eventuale sua impugnazione (tempus ad impugnationem); sarà pertanto legittimato ad impugnare, attraverso il “prisma” dell'estratto documentale, il provvedimento di ruolo nei limiti di quanto rappresentato nell'estratto medesimo, atteso che il ruolo costituisce l'unico valido e legittimo titolo per la riscossione dei tributi (ex plurimis, Cass., S.U. n. 16412/07; cfr. anche Cass., sez. 6, Ordinanza n. 2248 del 3/02/2014 e S.U., Sent. n. 19704 del 2/10/2015 e n. 724/2010).

*In evidenza

Cons. di Stato, sent. 316/2013: “L'Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, con sentenza 20 aprile 2006, n. 7, ha qualificato il “diritto di accesso” come una posizione soggettiva, priva di una autonomia, finalizzata ad offrire al titolare poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di una situazione giuridicamente rilevante (si veda anche Cons. Stato, Ad. plen, 18 aprile 2006, n. 6; da ultimo Cons. Stato, IV, 22 maggio 2012, n. 2974)”.

Legge 7 agosto 1990, n. 241:

Art. 22. (Definizioni e principi in materia di accesso). 1. Ai fini del presente capo si intende: a) per "diritto di accesso", il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi; b) per "interessati", tutti i soggetti privati … che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso;

Art. 24 (Esclusione dal diritto di accesso) … b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano.

Il contribuente può accedere all'area riservata sul sito internet dell'Agenzia delle Entrate, oppure recarsi presso gli sportelli dell'Agenzia delle Entrate – Riscossione e chiedere l'estratto di ruolo (compilando il Modello RD1 reperibile sul sito https://www.agenziaentrateriscossione.gov.it/export/.files/it/modulistica/RD1.pdf).

Tuttavia, mentre la cartella di pagamento è un atto recettizio che costituisce precetto per l'esecuzione, l'estratto di ruolo è una mera documentazione di atti del procedimento di riscossione esattoriale, assimilabile a quelli di cui all'art. 76 disp. att. c.p.c. ove si dispone che le parti o i loro difensori, possono esaminare gli atti ed i documenti inseriti nel fascicolo d'ufficio ed in quelli delle altre parti e farsene rilasciare copia dal cancelliere, osservando le disposizioni di legge sul bollo. La richiesta di copie non necessita di una forma particolare e può assumere anche la forma orale (Nota Min. G.G. Aff. Civ. n. 8/1860/11-6 del 14 luglio 1988) annotandone il rilascio con un timbro da apporre sull'originale o con la annotazione della richiesta su un registro in stretto ordine cronologico. Nel caso di rilascio di copie in relazione a procedimenti definiti e archiviati, anche per le copie informi, va applicata la normativa generale sugli archivi e quella specifica sui diritti di copia. N.B. Recentemente, l'Agenzia delle Entrate-Riscossione ha istituito un servizio telematico di “Estratto Conto Online” per i cittadini che vogliano conoscere la propria situazione debitoria tributaria, disponendo delle credenziali fornite dall'Agenzia delle Entrate per utilizzare il "Cassetto fiscale", dall'Inps per utilizzare i servizi online (PIN Dispositivo) o dello SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale). L'accesso consente di verificare le cartelle a partire dall'anno 2000, pagare, controllare le rateizzazioni e le procedure in corso su tutto il territorio nazionale ad esclusione della Regione Sicilia. https://www.agenziaentrateriscossione.gov.it/it/cittadini/EstrattoConto

Tuttavia, "va rigettata l'azione di accertamento negativo del credito avverso l'estratto di ruolo volta a far valere la prescrizione della pretesa allorquando non siano stati posti in essere atti esecutivi" (Cass. sent. 20.618/2016. Cfr Cass. ord. 22.946/2016) e "deve escludersi, perché estranea all'operatività giudiziale e oppositiva della prescrizione come fatto estintivo del credito, che essa possa esser fatta valere in via di azione, a mezzo […] di un'azione di mero accertamento" Pertanto, "è' ammissibile l'impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza [equiparabile alla medesima legale scienza, effetto delle comunicazioni/notificazioni. N.d.R.] attraverso l'estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell'ultima parte del terzo comma dell'art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, posto che una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione". (Cass. Ss.Uu. sent. 19.704/2015). Trattasi, in buona sostanza, di una difesa avanzata dall'esecuzione esattoriale (il procedimento di opposizione all'esecuzione esattoriale è di rito civile ordinario (cfr. Cass. Civ., Sez. Unite, sent. 13 luglio 2000, n. 489) poiché trattasi di domanda d'accertamento negativo della pretesa riscossiva del creditore procedente, contestandone l'an o il quantum dell'esecuzione, per difetto originario o sopravvenuto del titolo esecutivo ovvero della pignorabilità dei beni aggrediti (cfr. Cass. Civ., Sez. III, sent. 6 aprile 2006, n. 8112)), volta a contestare l'omessa notifica degli atti presupposti e, quindi, la mancanza di titolo e/o precetto legittimanti l'iscrizione al ruolo e ciò che ne consegue. Sarà onere dell'Agente della riscossione e/o dell'Ente impositore, provare il diverso ed antecedente momento in cui il ricorrente avrebbe avuto legale scienza del ruolo** e degli atti presupposti o conseguenti (l'avviso di intimazione ad adempiere al pagamento, di cui all'art.50, cc. 2 e 3, d.P.R. 602/1973, è un atto prodromico all'esecuzione forzata, la cui impugnazione appartenente alla giurisdizione tributaria (Cass.Sez.Un.31.3.2008 n.8279); assume funzione interruttiva della prescrizione (precetto) senza incidere sul ruolo (titolo esecutivo) e può essere impugnata solo per vizi propri.) per contestare la tardività della impugnazione e, quindi, l'inammissibilità del ricorso ex art. 21, c.1, primo e secondo alinea, d.lgs. 546/1992.

** In evidenza
La cartella esattoriale di pagamento (avente duplice natura di notifica del ruolo e di intimazione ad adempiere, corrispondente al titolo esecutivo e all'atto di precetto nel rito ordinario), come tutti gli altri atti impugnati, è un atto amministrativo (sostanziale) -oggetto del processo- e non processuale, per cui non sarebbe applicabile l'art. 156 c.p.c.. Tuttavia, secondo recente giurisprudenza di legittimità (Cass. 384/2016 e 5057/2015), la notifica della cartella esattoriale è suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo, atteso il rinvio dinamico di cui all'art. 60, d.P.R. 600/1973, alle norme sulle notificazioni del codice di rito; inoltre, (ex plurimis: Cassazione ordinanza n. 30794 del 28 novembre 2018) la notifica per gli avvisi di accertamento (e, quindi per ogni atto impo/esattivo/sanzionatorio) non ne è requisito di giuridica esistenza e di perfezionamento, bensì mera condizione integrativa d'efficacia; quindi, l'inesistenza o invalidità della notifica non può determinare ex se la nullità dell'atto nella misura in cui risulti in modo inequivoco che il contribuente ne abbia avuto aliunde tempestiva conoscenza. Inoltre, secondo precedente giurisprudenza di legittimità (ex plurimis: Cassazione ordinanza n. 29191 del 6 dicembre 2017), anche per le notifiche vale il principio sanante del raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c., atteso che la funzione della notificazione è quella di garantire il diritto di difesa al destinatario, assicurandogli la conoscibilità dell'atto con l'uso dell'ordinaria diligenza e non l'effettiva conoscenza. Pertanto, non può esserne dichiarata la nullità per mera irritualità della notificazione, atteso che l'eccezione di un vizio meramente procedimentale, senza alcuna prospettazione delle ragioni per le quali l'erronea applicazione della regola processuale abbia comportato per il destinatario una lesione al diritto di difesa (art. 24, c.2, Cost.), od altro pregiudizio processuale, sarebbe inammissibile (Cass. Civ. SS.UU. n. 7665/2016).

Quando si impugna l'estratto di ruolo, o anche l'avviso di presa in carico o la comunicazione di irregolarità* (c.d. avviso bonario) o le varie comunicazioni** ufficiali dell'Agenzia delle entrate-Riscossione, ciascuna impugnazione è anche veicolo processuale d'accesso alla contestazione del ruolo; pertanto, ancorché manchi l'interesse ad impugnare l'estratto di ruolo, l'avviso di presa in carico o la comunicazione di irregolarità etc., sussiste certamente l'interesse mediato ad impugnare il "contenuto" di tali documenti, ossia gli atti ivi riportati a fondamento della pretesa riscossiva avanzata nei confronti del contribuente. Il dies a quo del termine decadenziale di tali impugnazioni non può che coincidere con il giorno di conoscenza di tali documenti (la data di rilascio dell'”estratto di ruolo”, la data di ricezione dell'”avviso di presa in carico” o della “comunicazione di irregolarità” etc.), pur non verificandosi alcuna definitività per mancata impugnazione, essendo tutti -quelli non indicati nell'art. 19, c.1, D.lgs.546/1992- atti non recettizi, inidonei ex lege a costituire “provocatio ad opponendum”.

* In evidenza
Trattasi di controllo automatizzato della dichiarazione sui redditi (ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973), di liquidazione dell'IVA in base alla dichiarazione (ex art.54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972), di liquidazione dell'imposta sui redditi a tassazione separata (ex art. 1, comma 412, della legge n. 311 del 2004) e di recupero di somme erroneamente rimborsate (ex art. 43, comma 1, del D.P.R. n. 602 del 1973). Il contraddittorio tra Ente fiscale e Contribuente normalmente si costituisce con la “comunicazione dell'irregolarità” (c.d. avviso bonario di pagamento) che è un atto amministrativo istruttorio, non necessario, relativo a somme non ancora iscritte a ruolo. Ove dall'esito del controllo di una dichiarazione non emerga la necessità di rettifiche sostanziali a quanto dichiarato, la cartella esattoriale può essere emessa senza la previa comunicazione di irregolarità. (Cass. civ., Sez. V, 25 maggio 2012 n. 8342 e Cass. civ., Sez. V-VI, 17 febbraio 2015 n. 3154). In questo caso la giurisprudenza attribuisce alla cartella una ancipite funzione: quella di esercizio del potere impositivo, essendo la prima definizione autoritativa della pretesa fiscale, necessaria ed equivalente al titolo, e quella di intimazione al contribuente del pagamento del liquidato, equivalente al precetto; pertanto, il contribuente ricorrente, oltre a farne valere i vizi propri, deve formulare anche i motivi di merito, perché tale cartella ha anche natura di autonomo atto impositivo. (Cass. civ., Sez. V, 22 gennaio 2014 n. 1263). Analogamente, il contribuente che lamenti la notifica della cartella non preceduta dalla notifica dell'atto presupposto, ha l'onere di impugnarli entrambi per non decadere dall'impugnazione congiunta (Cass. civ., Sez. V, 4 maggio 2012 n. 6721). Invece, in caso di controllo ex art. 36-ter, c.4, d.P.R. 600/1973, deve in ogni caso esperirsi il preventivo contraddittorio endoprocedimentale (Cass. 19861/2016) perché trattasi di controlli su dati e documenti esterni al mero contenuto documentale della dichiarazione. L'esito del controllo deve essere preventivamente comunicato al contribuente od al sostituto di imposta, a pena di nullità della cartella, con l'indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili, delle imposte e/o delle ritenute alla fonte, al fine di consentire ogni eventuale segnalazione di dati ed elementi non considerati od erroneamente valutati in sede di controllo formale (Cass. civ., Sez. V, 4 novembre 2015 n. 22489).

**In evidenza

Riepilogo delle comunicazioni di sollecito, preavviso e avviso ufficiali dell'Agenzia delle entrate-Riscossione

https://www.agenziaentrateriscossione.gov.it/it/Per-saperne-di-piu/documenti-della-riscossione/avvisi-e-solleciti/

  • Sollecito

Il sollecito, spedito per posta semplice, è una sorta di “promemoria” che viene inviato al debitore con l'invito a mettersi in regola con i pagamenti. Per i debiti fino a mille euro non si procede alle azioni cautelari ed esecutive prima di 120 giorni dall'invio, mediante posta ordinaria, di una comunicazione contenente il dettaglio del debito.

  • Preavviso di fermo

Il preavviso di fermo amministrativo è un atto con cui si invita il debitore a mettersi in regola con i pagamenti nei successivi 30 giorni, con l'avvertenza che, in caso di mancato pagamento, si procederà all'iscrizione del fermo amministrativo sul veicolo a motore di sua proprietà. Il fermo non viene iscritto se il debitore dimostra, entro i suddetti 30 giorni, che il bene mobile è strumentale all'attività di impresa o della professione (decreto legge n.69/2013 cd. "decreto del fare" convertito con modificazioni dalla legge n. 98/2013).

  • Preavviso di ipoteca

Il preavviso di ipoteca invita il debitore proprietario di un immobile a pagare le somme dovute entro 30 giorni, dopo i quali si procederà all'iscrizione di ipoteca vera e propria.

  • Avviso di presa in carico

Quando l'Agenzia delle entrate-Riscossione riceve in carico le somme dell'accertamento esecutivo dall'Agenzia delle entrate è tenuta a comunicarlo al cittadino tramite raccomandata semplice o posta elettronica. Tale obbligo viene meno quando esiste un fondato pericolo per il buon esito della riscossione: in questo caso la legge consente di procedere senza informativa.

  • Avviso di intimazione

L'avviso di intimazione ad adempiere al pagamento viene notificato prima di iniziare l'espropriazione forzata qualora sia passato un anno dall'invio della cartella di pagamento. Dalla data di notifica dell'avviso il debitore ha 5 giorni di tempo per effettuare il versamento di quanto dovuto. Resta ferma la possibilità di chiedere la rateizzazione delle somme a debito o la sospensione legale della riscossione nei casi e nei termini previsti dalla legge.



Legittimazione ad causam dell'Ente fiscale

Legittimate passive (L'immedesimazione (c.d. rappresentanza) organica, consente di assumere la veste processuale di parte nel processo tributario, come manifestazione della propria capacità giuridica ad essere titolare di posizioni giuridiche soggettive sia sostanziali che processuali), secondo l'art. 10, primo alinea, d.lgs. 546/1992, “sono [le] parti del processo dinanzi alle commissioni tributarie oltre al ricorrente, l'ufficio dell'agenzia delle entrate e … l'agente della riscossione … che hanno emesso l'atto impugnato ...”. Nel giudizio sul ricorso avverso l'avviso d'accertamento esecutivo il soggetto che emette l'atto è l'Agenzia delle entrate, mentre per le cartelle esattoriali e gli altri atti c.d. esattivi (come le intimazioni di pagamento) tale soggetto è l'Agente della riscossione. Per l'atto impo-esattivo*, a differenza dei precedenti atti impo-sanzionatori** non esecutivi -cui seguiva il passaggio a ruolo e l'emissione della cartella esattoriale- tutta la conseguente attività procedimentale è volta esclusivamente alla esecuzione forzata, che resta esclusa dalla giurisdizione tributaria ex art. 2, c. 1, secondo alinea, d.lgs. 546/1992.

*In evidenza
La felice definizione è di Cesare Glendi. L'avviso di accertamento esecutivo, (ex art. 29, d.l. 78/2010, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, modificato dall'art. 5 D.lgs. n. 159/2015, per gli accertamenti sulle Imposte sul Reddito, IRAP ed IVA) è emesso dall'Ente impositore per concentrare in sé le tre funzioni di accertamento, titolo esecutivo (pretesa fiscale) e precetto (intimazione a pagare), relativamente alle imposte sul reddito, l'IRAP e l'IVA. Si distinguono atti impoesattivi c.d. “primari” (al contribuente viene notificata la pretesa impositiva e la contestuale intimazione ad adempiere) ed atti impoesattivi c.d. “secondari” (al contribuente viene notificata, anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento, la rideterminazione di una pretesa già nota e la contestuale intimazione ad adempiere). Tali atti divengono esecutivi decorsi sessanta giorni dalla notifica e sono affidati all'Agente della riscossione per l'esecuzione forzata decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, ove non eseguito nella misura prevista (frazionata in caso di ricorso). Il versamento (per intero o frazionato) dovrà essere effettuato direttamente dal contribuente entro il termine di presentazione del ricorso; in caso contrario, decorsi centottanta giorni dall'affidamento in carico, senza alcuna notifica della cartella di pagamento (manca la fase dell'iscrizione a ruolo), l'Agente della riscossione avvierà l'esecuzione forzata.

**In evidenza
Per ogni titolo esecutivo diverso dagli atti impoesattivi, la funzione di precetto è assolta dalla cartella esattoriale di cui all'art. 25, d.P.R. 602/1973, emessa sulla base di un ruolo formato e vistato dall'Ente impositore, notificata dall'Agente della riscossione. «La mancanza delle formule rituali e degli «avvertimenti» al debitore, lo privano dei requisiti essenziali che ne legittimano la «trasformazione» da atto soltanto di accertamento ad atto anche della riscossione. Pertanto, nella fattispecie prospettata l'esazione delle somme a debito non potrà che seguire il «vecchio» schema procedimentale e dunque muovere dalla loro iscrizione a ruolo e dalla successiva notificazione della cartella di pagamento» (A. Giovannini «Riscossione in base al ruolo e agli atti d'accertamento», in Rassegna Tributaria, n.1/2011).

Legittimato passivo nel giudizio su impugnazione dell'estratto di ruolo è l'Agente della Riscossione, non solo - ex art. 10, c.1, D.Lgs. n. 546/1992- perché l'atto (non recettizio) immediatamente impugnato è stato da lui emesso, ma anche perché, con la trasmissione del ruolo formato e vistato dall'Ente impositore, tutto il seguito a praticare è di sua esclusiva competenza. L'Ente impositore creditore può, comunque, intervenire volontariamente o essere chiamato in giudizio ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 14, c. 3, D.lgs. 546/1992. Trattasi di intervento adesivo dipendente (Cass. 20803/2013), nel quale l'interventore conserva la propria posizione processuale secondaria e subordinata, non avendo autonoma facoltà di proporre impugnazione, ma potendo soltanto aderire all'impugnazione della parte adiuvata (Cass. 5744/2011; Cass.17644/2007).

Ove oggetto del giudizio non fosse il ruolo consegnato e vistato dall'Ente impositore, ma il presupposto atto impoesattivo emesso autonomamente dall'Agenzia delle Entrate (la sola, quindi, legittimata ad causam ex art. 10, ad processum ex art. 11, D.Lgs. 546/1992 e nei cui confronti va proposto il ricorso introduttivo ex art. 18, c.2, lett. c), stesso decreto) il ricorso introduttivo del giudizio sarebbe inammissibile - ai sensi degli artt. 21, c.1, e 22, c.2, D.lgs. 546/1992, ove fosse stato depositato nella segreteria della commissione tributaria privo della notificazione all'ufficio emittente l'atto impugnato, a nulla rilevando la costituzione della parte resistente. Tuttavia, a seguito della sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite n. 16412/2007, si è consolidato il diverso indirizzo interpretativo secondo cui "il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della riscossione per motivi che attengono alla mancata notificazione, ovvero anche alla invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell'ente impositore quanto del concessionario; senza che sia tra i due soggetti configurabile alcun litisconsorzio necessario. Resta peraltro fermo, in presenza di contestazioni involgenti il merito della pretesa impositiva, l'onere per l'agente della riscossione di chiamare in giudizio l'ente impositore, ex art. 39 D.lgs 112/99; così da andare indenne dalle eventuali conseguenze negative della lite".

Tutto ciò ritenendo incompatibile (vds. art. 1, c.2, d.lgs.546/1992) il divieto di far valere in giudizio diritti altrui in nome proprio, sancito dall'art. 81 del c.p.c; la “litis denuntiatio” prevista dall' art. 39 d.lgs 112/1999, non è esercitabile in via officiosa dal Giudice ma solo in via dispositiva dalla parte, che dovrebbe comunque costituirsi e chiedere al Giudice l'integrazione del procedimento con la chiamata dell'Ente impositore ex art. 14, c.3, d.lgs.546/1992. Ciò al fine di rendere opponibile la sentenza, che definisce il giudizio, all'Ente impositore, terzo chiamato in causa quale creditore, titolare del rapporto sostanziale controverso, la cui riscossione coattiva è affidata ex lege all'Agente della riscossione, mero “adiectus solutionis causa”. L'erronea individuazione del legittimato passivo, quindi, non determina l'inammissibilità della domanda (Cass. n. 97/2015) e l'omessa chiamata in causa (attesane la natura sostanziale –e non processuale- consegue che l'adiectus solutionis causa, parte processuale resistente, possa comunicare all'ente impositore, creditore sostanziale, la pendenza della lite ed i motivi di ricorso con qualunque modalità idonea, in via extraprocessuale, volta a consentirgli la resistenza con un intervento volontario ex art. 14, c.3, d.lgs. 546/1992, entrando nel processo con tutte le preclusioni eventualmente già maturate) dell'Ente impositore non incide affatto sul processo in corso (Corte di cassazione, Sezioni Unite, sentenze 16412/2007e 5791/2008; ex multis anche Cass. 12223/2010 e 22314/2014) ma solo sull'obbligo di risarcimento del danno all'Ente impositore creditore.

Mancata o tardiva costituzione dell'Ente fiscale

Nel processo tributario* non è prevista la contumacia e non è applicabile quella di cui al libro II, titolo I, capo VI, artt. 290 e ss. c.p.c., perchè la relativa valutazione di compatibilità -prescritta come criterio di applicazione del rinvio dinamico di cui agli artt. 1, c.2, e 49, d.lgs.546/1992- non la consente; la specialità del processo tributario relega le norme processuali civili ad un ruolo di mera chiusura dell'ordinamento giuridico. Si versa, quindi, nella mera ipotesi di omessa o tardiva costituzione in giudizio, che non comporta alcun tipo di nullità, poichè ne manca (vds. principio di tassatività ex art. 156 c.p.c.). la previsione normativa.

*In evidenza
Nel rito tributario la “vocatio in jus” del rito civile è sostituita dalla “vocatio iudicis”; trattasi di un giudizio d'impugnazione-merito nel quale il resistente –ancorché non costituito- si è già pronunciato motivando l'atto impugnato.

Quanto agli effetti tributari, mentre per il ricorrente non costituito la sanzione processuale tributaria è solo quella dell'inammissibilità del ricorso, ex art. 22 (o dell'appello ex art. 53, c.2, e 61) d.lgs. 546/1992, il successivo art. 23 (o, per l'appello gli artt. 54 e 61) si limita ad escludere la parte resistente non costituita dall'avviso (ex art. 31, c.1, d.lgs. cit.) di trattazione della controversia, dalla comunicazione (ex art. 28, c.1, stesso decreto) dei provvedimenti presidenziali di cui all'art.27, e dalla comunicazione (ex art. 37, c.2, stesso decreto) del dispositivo recato dalla sentenza, pubblicata dal segretario dopo il deposito del presidente in segreteria. Quando la prova grava sulla parte non costituita, opera il sistema delle preclusioni; per cui essa non può essere parte attiva nell'allegazione delle prove, così come nella produzione di documenti. Nel processo tributario, previa costituzione tardiva, ai sensi dell'art. 32,d.lgs. 546/1992, “le parti possono depositare documenti fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione …” ed il successivo art. 58, c.2, (e 61) fa “salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti” in appello (Cfr. Cass. 6734/2015). Trascorso il termine di 60 giorni -previsto dall'art. 23 e 54, d.lgs. 546/1992- si forma tuttavia, a carico della parte resistente non costituita, una preclusione alla proposizione delle eccezioni in senso stretto, della richiesta di chiamata di terzi e delle controdeduzioni che, ove tardivamente prodotte sono tamquam non essent.

La Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità dell'art. 23, d.lgs. 546/1992, con ordinanza 7.4.2006 n. 144, ha stabilito che la costituzione tardiva del resistente nel processo tributario, può “dare luogo, se così prevede la legge e nei limiti in cui lo preveda, a decadenze sia di tipo assertivo che probatorio, ma mai a una irreversibile dichiarazione di contumacia, del tutto sconosciuta all'ordinamento”. Per la Consulta, la costituzione tardiva non configura un ingiustificato privilegio per la parte resistente; ciò per la diversa posizione che assumono, in un processo di tipo impugnatorio -come quello tributario- il ricorrente ed il resistente*.

*In evidenza
Nel processo tributario, le parti pubbliche (attrici sostanziali del giudizio) non possono disporre dell'obbligazione tributaria; pertanto, la loro mancata contestazione acquisirebbe il diverso gradiente di qualsiasi altro argomento di prova, se a tale principio non fosse indistintamente riconosciuto carattere generale dall'art. 115 c.p.c., in virtù del rinvio dinamico di cui all'art. 1, c. 2, d.lgs. 546/1992; ne va riconosciuta, quindi, l'applicazione anche al processo tributario, nonostante non sia ivi espressamente prevista la condizione contumaciale. (vds. Cass. 5488/2006).

La giurisprudenza di legittimità (Cass. nn. 21059/2007 e 20952/2008) ha chiarito che la costituzione tardiva comporta la "decadenza dalla facoltà di chiedere o svolgere attività processuali eventualmente precluse, dovendo in tal caso il convenuto o appellato accettare il processo nello stato in cui si trova”. (Cfr Cass. nn.21212/2004; 5645, 6380 e 22010 del 2006). Cass. nn. 7329/2003, 5191/2008 e 12363/2010 ha puntualizzato che la costituzione tardiva comporta la preclusione a poter sollevare eccezioni -processuali e di merito- non rilevabili d'ufficio.

Cass. nn. 5191 e 13079 del 2008 (argomentando ex art. 167 c.p.c.) ha stabilito che l'onere di contestazione deve essere assolto nella prima difesa utile; l'onere di contestazione, perimetrando il thema probandum, è sottoposto agli stessi limite temporali delle allegazioni e la contestazione cd. tardiva potrebbe essere ammessa solo ricorrendo allo strumento della rimessione in termini, ex art. 153, c.2, c.p.c. (o ex art. 345, c.3, c.p.c. per l'appello). Cass. 12363/2010 muove, invece, dal rilievo che la contestazione sarebbe un'eccezione in senso proprio e quindi soggetta a preclusioni. Secondo Cass. 24381/2010: “Esaurita la fase dell'ammissione delle prove, la non contestazione diventa tendenzialmente irreversibile*; il Giudice può –comunque- acquisire la prova del fatto non contestato, superando la questione sulla pregressa mancata contestazione che ne avrebbe comportato l'esclusione dal "thema probandum". (vds. Cass. 3951/2012).

*In evidenza
L'“irreversibilità” della originaria mancata contestazione, che ha consentito la qualificazione del fatto non contestato come fatto provato (secondo dottrina, come fatto pacifico o, secondo giurisprudenza, come ammissione implicita), acquistando l'efficacia tipica della circostanza ammessa dalla controparte, è tratta in via di interpretazione sistematica perchè la legge non prevede espressamente alcuna decadenza dalla facoltà di contestazione.

Inoltre, al resistente -non costituito in prime cure ma successivamente costituitosi in appello non resta precluso contestare i fatti costitutivi e giustificativi già allegati dal ricorrente a sostegno della domanda introdotta con il ricorso, perché la "non contestazione" deve trovare fondamento sulla inequivocabile volontà negativa della parte costituita e non sulla oggettiva impossibilità a contestare della parte contumace (o non costituita). (Cass. 4161/2014). I fatti dedotti possono essere oggetto dell'onere di contestazione specifica solo se sono nella sfera di conoscenza e di disponibilità del contestatore*. Il diritto di negare i fatti costitutivi della pretesa o di contestare l'applicabilità delle norme invocate da controparte, nonchè di produrre documenti ai sensi degli artt. 24 e 32 – ed art. 58 (e 61), per l'appello- d. lgs. 546/1992, è garantito dall'art. 24 Cost. (vds. Cass. 8862/2009).

*In evidenza

L'onere di contestazione può essere considerato effetto naturale della effettiva facoltà di contestazione, per le parti che possono liberamente disporre del diritto. Pertanto, l'onere di contestazione non trova applicazione nei processi relativi a:

  1. contumacia, poiché la ficta confessio è incompatibile con il nostro sistema processuale civile (peraltro non prevista in quello d'impugnazione-merito tributario).
  2. contratti per cui è richiesta la forma scritta ad substantiam, poiché il potere del giudice di rilevare d'ufficio la nullità prevale (ed eventualmente inibisce) l'efficacia vincolante della non contestazione.
  3. diritti indisponibili, poichè le parti, con il loro comportamento processuale, non possono vincolare la decisione del giudice.

Onere probatorio dell'Ente fiscale

L'Agente della riscossione ex art. 26, c.5, d.P.R. 602/1973 “deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell'avvenuta notificazione o l'avviso di ricevimento ed ha l'obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente …”; ciò si correla all'onere processuale per l'Agente della riscossione di produzione in giudizio degli originali* delle relate di notifica delle cartelle di pagamento - e degli altri atti contestati per omessa notifica- come affermato da Cass. n. 5077 del 28 febbraio 2017: “l'art. 2719 cod. civ. esige l'espresso disconoscimento della conformità con l'originale delle copie fotografiche o fotostatiche e si applica tanto al disconoscimento della conformità della copia al suo originale quanto al disconoscimento dell'autenticità di scrittura o di sottoscrizione, dovendosi ritenere, in assenza di espresse indicazioni, che in entrambi i casi la procedura sia soggetta alla disciplina di cui agli artt. 214 e 215 cod. proc. civ.. Ne consegue che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all'originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, ove la parte comparsa non la disconosca** in modo specifico e non equivoco alla prima udienza ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione, mentre il disconoscimento onera la parte della produzione dell'originale, fatta salva la facoltà del Giudice di accertare tale conformità anche aliunde” (cfr. Cass. nn. 13425/2014, 19680/2008 e 1525/2004). In altri termini, secondo Cass. civ., 15 ottobre 2009, n. 21914, “… il disconoscimento delle copie fotostatiche, a differenza di quello della scrittura privata, non pone una preclusione formale al riconoscimento e alla utilizzazione delle scritture, ma è diretto unicamente ad impedire la conferma della rispondenza all'originale, così da non consentire l'utilizzazione della copia come mezzo di prova. Ne consegue che, mentre la preclusione derivante dal disconoscimento formale della scrittura privata è superabile attraverso l'esperimento della procedura di verificazione, quella derivante dall'art. 2719 c.c. per le copie delle scritture non esclude, invece, la possibilità di desumere altrimenti la dimostrazione, ricorrendo ad altri mezzi di prova e anche a presunzioni semplici” (cfr. Cassazione civile, sez. III, sentenza 10/11/2010 n. 22837). Il disconoscimento ex art. 214 c.p.c. (dell'originale) è ex se idoneo a rendere inutilizzabile tale prova documentale in mancanza della richiesta di verificazione del deducente, con esito positivo. Invece, il disconoscimento effettuato ai sensi dell'art. 2719 c.c. (della copia) non è idoneo ad escluderne il valore probatorio in mancanza della richiesta di verificazione e del relativo esito positivo, bensì atto soltanto ad onerare il deducente di provarne la conformità all'originale. Anche se il disconoscimento di conformità della copia prodotta al suo originale va distinto dal disconoscimento dell'autenticità di scrittura o di sottoscrizione del medesimo originale, l'attuale giurisprudenza di legittimità considera i termini previsti dagli artt. 214 e 215 c.p.c. applicabili ad entrambi i casi. Quindi, il disconoscimento del documento/copia deve eccepirsi -a pena di decadenza- entro il primo atto processualmente rilevante dopo la relativa produzione in giudizio. Cass. civ., sez. V, 28 gennaio 2004, n. 1525, infatti, considera che: “nel silenzio della norma sulle modalità e sui termini entro cui i diversi disconoscimenti devono avvenire ed in assenza della previsione di un distinto regime processuale, deve ritenersi applicabile ad entrambi la disciplina dettata dagli artt. 214 e 215 c.p.c., con la conseguenza che la copia fotostatica non autenticata, anche nella normativa anteriore alle modifiche apportate all'art. 345 c.p.c. dalla legge del 1990, si deve avere per riconosciuta – sia nella sua conformità all'originale, sia nella scrittura e nella sottoscrizione – se la parte comparsa non la disconosca, in modo formale, alla prima udienza, ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione”. (cfr Cass. civ., sez. I, 27 ottobre 2006, n. 23174 e Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2009, n. 4476 e Cass. ordinanza n.7465/2018).

*In evidenza

C.T.R. Lomb. sent. 3831/1/2016, considera, in particolare, che“… nonostante la richiesta da parte del contribuente sin dal ricorso introduttivo del giudizio di produzione degli originali (o valide copie) degli atti e della documentazione inerente la rituale notifica delle cartelle, con contestazione ex art. 2719 c.c. della conformità all'originale delle fotocopie eventualmente prodotte, la società Equitalia non ha prodotto anche in questa sede alcun atto originale relativo sia alle cartelle (non prodotte anche in mera fotocopia) che alla loro notificazione; che, quindi, non vi è alcuna prova in atti della notifica di questi atti; che, pertanto, devono ritenersi infondate le deduzioni dell'appellante circa la tardività dell'impugnazione avanzata dal contribuente in primo grado che si fondano solo sull'errato presupposto della corretta notifica delle cartelle; che. d'altra parte, l'art. 26 d.P.R. 602/1973, intitolato "notificazione delle cartelle di pagamento, al quinto comma. prevede che "il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell'avvenuta notificazione o l'avviso di ricevimento, ed ha l'obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell'amministrazione", così ponendo in evidenza la stretta correlazione tra la cartella e la procedura inerente la sua notificazione; che, invero, senza la produzione quantomeno della copia o della matrice non è possibile mettere in correlazione la cartella con l'eventuale documentazione di notifica prodotta; che, ancora, il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 5410/2015, ha affermato che costituisce <<precipuo interesse dell'esattore, nonché preciso onere improntato a diligenza, conservare, in caso di mancata riscossione dei ruoli nel quinquennio e in occasione di rapporti giuridici ancora aperti e non definiti, la copia della cartella di pagamento oltre i cinque anni, per tutto il periodo in cui il credito portato ad esecuzione non sia stato recuperato, in modo da conservarne prova documentale ostensibile, anche a richiesta dei soggetti legittimati, nella varie fasi di definizione del rapporto, onde poter compiutamente esercitare le prerogative esattoriali>>; che da questo principio, autorevolmente espresso, emerge il diritto del contribuente a verificare la cartella onde potere esercitare i propri diritti anche per contestare la ritualità della notifica dell'atto e, quindi, la validità della pretesa di pagamento esercitata dalla controparte”. Cass. 6887/2016: “gravava sull'esattore l'onere di provare la regolare notificazione delle cartelle di pagamento poste a base dell'iscrizione ipotecaria contestata, tale onere doveva essere assolto mediante produzione in giudizio della "relata" di notificazione, ovvero dell'avviso di ricevimento <<essendo esclusa la possibilità di ricorrere a documenti equipollenti, quali, ad esempio, registri o archivi informatici dell'Amministrazione finanziaria o attestazioni dell'ufficio postale>>. (Cass. 23213/2014). […] In assenza di tali produzioni, corretta deve dunque ritenersi l'affermazione della commissione tributaria regionale di manca assolvimento dell'onere probatorio relativo da parte di Equitalia. Nè quest'ultima potrebbe fondatamente avvalersi del disposto di cui alla D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 5, di cui si lamenta la violazione o falsa applicazione. Questa disposizione, nello stabilire che <<l'esattore deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell'avvenuta notificazione o l'avviso di ricevimento ed ha l'obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell'amministrazione>> non enuclea un'ipotesi di esenzione, oltre il quinquennio, dall'onere della prova a vantaggio del concessionario, limitandosi a stabilire che quest'ultimo conservi la prova documentale della cartella notificata a soli fini di esibizione al contribuente o all'amministrazione. Ciò non toglie che, per le esigenze connaturate al contenzioso giurisdizionale, trovino pieno e continuativo vigore - se necessario, anche oltre i cinque anni - le disposizioni generali sul riparto e sul soddisfacimento dell'onere probatorio; con la conseguenza che il concessionario sarà comunque tenuto, indipendentemente dal suddetto obbligo di conservazione nel quinquennio, a fornire in giudizio la prova della notificazione della cartella: una cosa essendo l'obbligo di conservazione a fini amministrativi, organizzativi ed ispettivi, e tutt'altra l'osservanza dell'art. 2697 c.c., non derogato dalla norma speciale. Si tratta di soluzione armonica con quanto più volte affermato - in diversa materia, ma in analoga fattispecie legale di tenuta documentale obbligatoria - in ordine all'obbligo di conservazione decennale delle scritture contabili ex art. 2220 c.c.; obbligo non idoneo a sollevare l'imprenditore, successivamente al decorso dei dieci anni, dall'onere della prova posto a suo carico nel giudizio secondo le regole generali (Cass.26683/09; 1842/11; 19696/14 ed altre). Sicchè non appare esatto sostenere che nella sentenza impugnata la commissione tributaria regionale abbia posto a carico di Equitalia l'obbligo di conservare la prova documentale dell'avvenuta notifica per un termine eccedente quello legale (chè in questo sarebbe consistita la violazione lamentata); vero è, invece, che la commissione tributaria regionale ha valutato la fattispecie secondo l'ordinario regime dell'onere della prova, correttamente escludendo che, in virtù del mero decorso del quinquennio di conservazione obbligatoria, la prova in giudizio della regolare notificazione della cartella non fosse più necessaria, ovvero dovesse essere posta a carico della contribuente”. Vds. Cass. 8446/2015; Cass. 22770/2006, Cass. 10942/2010, Cass. 7615/2016.

**In evidenza

A differenza dell'ipotesi di cui all'art 115, c.1, c.p.c. e fatta salva l'ipotesi di cui al terzo comma del successivo art. 293, la mancata contestazione opera come relevatio ab onere probandi per il deducente anche nel caso di contumacia della controparte, ex art 215, c.2, c.p.c.. Il disconoscimento non può esprimersi con una generica formula di stile, con la quale si impugnano i documenti prodotti in copia (ex plurimis, Cass. civ., 1° luglio 2014, n. 14893). Trattasi dell'unico caso normativamente previsto in cui ad una mera copia (digitale, fotografica o xerografica) viene riconosciuto lo stesso valore probatorio di una copia autentica, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 2714 e ss. c.c.. Vds. Cass. Ss.Uu. Sent. 12244/2009, secondo cui “le copie fotografiche o fotostatiche di un documento hanno, a norma dell'art. 2719 c.c., lo stesso valore probatorio degli originali quando la loro conformità è attestata dal pubblico ufficiale, ovvero non è espressamente disconosciuta dalla parte contro cui sono prodotte, con la conseguenza che, in caso di disconoscimento della copia non autenticata, questa non può essere utilizzata come prova dei fatti in essa rappresentati né dell'esistenza stessa della scrittura riprodotta”.

Anche Cass. civ., sez. V, 4 maggio 2016, n. 8861, è intervenuta sulla questione, precisando che “la produzione dell'avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia dell'atto processuale spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale, ai sensi dell'art. 149 cod. proc. civ., richiesta dalla legge in funzione della prova dell'avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio, può avvenire anche mediante l'allegazione di fotocopie non autenticate” solo “ove manchi contestazione in proposito, poiché la regola posta dall'art. 2719 cod. civ. -per la quale le copie fotografiche o fotostatiche hanno la stessa efficacia di quelle autentiche, non solo se la loro conformità all'originale è attestata dal pubblico ufficiale competente, ma anche qualora detta conformità non sia disconosciuta dalla controparte, con divieto per il Giudice di sostituirsi nell'attività di disconoscimento alla parte interessata, pure se contumace- trova applicazione generalizzata per tutti i documenti.” Inoltre “il disconoscimento della conformità di una copia fotografica o fotostatica all'originale di una scrittura, ai sensi dell'art. 2719 c.c., non ha gli stessi effetti del disconoscimento della scrittura privata previsto dall'art. 215 c.c., comma 1, n. 2), giacchè mentre quest'ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione, preclude l'utilizzabilità della scrittura, la contestazione di cui all'art. 2719 c.c. non impedisce al Giudice di accertare la conformità all'originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni”. Infatti “l'avvenuta produzione in giudizio della copia fotostatica di un documento, se impegna la parte contro la quale il documento è prodotto a prendere posizione sulla conformità della copia all'originale, tuttavia, non vincola il Giudice all'avvenuto disconoscimento della riproduzione, potendo egli apprezzarne l'efficacia rappresentativa (cfr. Cass. n. 9439 del 21/04/2010 e Cass. n. 2419 del 03/02/2006)” Vds. anche Cass. civ. Sez. V, 11 novembre 2016, n. 23046.

Tale giurisprudenza di legittimità è stata recentemente ribadita da Cass.sent. 1792 del 23/01/2019: come questa Corte ha già ritenuto, (Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 23902 del 11/10/2017), in tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi del d.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, la prova del perfezionamento del procedimento di notifica e della relativa data è assolta mediante la produzione della relazione di notificazione e/o dell'avviso di ricevimento, recanti il numero identificativo della cartella, non essendo necessaria la produzione in giudizio della copia della cartella stessa; ritenendo quindi necessaria l'acquisizione al fascicolo processuale di tal documento, la CTR è incorsa nell'errore di diritto denunciato; – ritiene questa Corte che la contestazione di conformità agli originali degli atti di notifica – che non necessita di particolari formule o di specificità ad hoc – può consistere anche, implicitamente ma inequivocamente, nella richiesta, diretta al Giudice, di ordinare al concessionario l'esibizione o la produzione in giudizio degli originali di tali atti, e segnatamente dell'originale dell'avviso di ricevimento. Ciò è del tutto implicito anche in quella giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (Cass Sez. 5, Ordinanza n. 1974 del 26/01/2018), l'agente della riscossione, parte di un giudizio nel quale è richiesto di dare prova dell'espletamento di una attività notificatoria, non ha il potere di attribuire autenticità agli avvisi di ricevimento degli atti notificati, che costituiscono documenti di provenienza dell'ufficiale postale, poichè l'autenticazione della copia può essere fatta esclusivamente dal pubblico ufficiale dal quale l'atto è stato emesso o presso il quale è depositato l'originale e trovando, pertanto, applicazione la regola generale di cui all'art. 2719 c.c.. nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha cassato la decisione impugnata che aveva ritenuto sussistente il potere del concessionario di autenticazione degli avvisi di ricevimento delle cartelle notificate); – la CTR quindi è incorsa nell'errore di diritto denunciato, avendo trattenuto la causa in decisione senza prima disporre la produzione o l'esibizione – che appariva possibile, stante la posizione delle parti, concorde sul punto – degli originali in parola; sul punto questa Corte ha chiarito come (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23902 del 11/10/2017) in tema di notifica della cartella esattoriale, laddove l'agente della riscossione produca in giudizio copia fotostatica della relata di notifica o dell'avviso di ricevimento (recanti il numero identificativo della cartella), e l'obbligato contesti la conformità delle copie prodotte agli originali, ai sensi dell'art. 2719 c.c., il Giudice, che escluda, in concreto, l'esistenza di una rituale certificazione di conformità agli originali, non può limitarsi a negare ogni efficacia probatoria alle copie prodotte, in ragione della riscontrata mancanza di tale certificazione, ma deve valutare le specifiche difformità contestate alla luce degli elementi istruttori disponibili, compresi quelli di natura presuntiva, attribuendo il giusto rilievo anche all'eventuale attestazione, da parte dell'agente della riscossione, della conformità delle copie prodotte alle riproduzioni informatiche degli originali in suo possesso; in ogni caso, poi (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8446 del 27/04/2015) in tema di contenzioso tributario, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22, comma 4, la produzione, da parte del ricorrente, di documenti in copia fotostatica costituisce modalità idonea per introdurre la prova nel processo, atteso che, ai sensi dell'art. 2712 c.c., è onere dell'Amministrazione finanziaria contestarne la conformità all'originale, in presenza della quale il Giudice è tenuto a disporre la produzione del documento in originale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 22, comma 5; dispone in tal senso, invero, quale disposizione speciale riguardante la notifica degli atti della riscossione, il D.P.R. n. 602, art. 26, penultimo comma, che impone al concessionario l'obbligo di fare esibizione della documentazione probante la notifica su richiesta del contribuente e dell'Amministrazione; a fortiori detto obbligo certamente incombe sul riscossore nei rapporti con il Giudice, di fronte al quale penda la controversia riguardante tal notifica; – in conclusione, se la valutazione della vis probatoria può e deve operarsi su quanto in atti, ove sia necessario per il raggiungimento della prova di un determinato fatto processualmente rilevante, il Giudice deve esperire anche la via consistente nell'ordine di esibizione degli originali degli atti rilevanti al fine di decidere; ciò a maggior ragione ove le parti siano sostanzialmente d'accordo in ordine a tal approfondimento probatorio, ma anche ove esso indipendentemente dalle allegazioni delle parti stesse – possa essere dirimente ai fini del decidere”.

(Per una migliore comprensione sul punto Vds. in Il Tributario, Focus di S. Labruna: Le prove atipiche onere della prova ed onere di contestazione)


Legittimazione ad processum ed assistenza processuale dell'Ente fiscale

Le Agenzie fiscali, che hanno personalità giuridica di diritto pubblico ed autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria ex art. 61, c.1, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, stanno in giudizio a mezzo del Direttore Generale, che ne ha la rappresentanza organica (artt. 67 e 68, d.lgs.300/1999), con l'eventuale assistenza tecnica esterna dell'Avvocatura dello Stato. Cass. n. 674/1973: “nel linguaggio dei codici vigenti, sia sostanziale che di rito, con il termine “rappresentanza” viene designato non soltanto il fenomeno rappresentativo in senso proprio, contemplato dagli artt. 1387 e seguenti c.c., ma anche quello della cosiddetta immedesimazione organica, alla quale è quindi applicabile la disciplina positiva dettata per la rappresentanza, in difetto di una contraria indicazione letterale della legge o di una ragione di incompatibilità intrinseca tra questo fenomeno e tale disciplina.”.

L'art. 9, d.lgs. 156/2015 - in vigore dal 01/01/2016 – ha così modificato l'art. 11, d.lgs. 546/92: 1) il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. L'ufficio dell'Agenzia delle entrate e dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300nonchè dell'agente della riscossione, nei cui confronti è proposto il ricorso, sta in giudizio* direttamente o mediante la struttura territoriale sovraordinata**. “L'art. 11, comma 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, concernente la costituzione in giudizio 'diretta' avanti alle commissioni tributarie... ha esteso... l'inammissibilità della rappresentanza processuale volontaria, oltre che espressamente agli uffici dell'Agenzia delle Entrate ed a quelli dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli (come già si riteneva) ed alle cancellerie o segreterie dell'ufficio giudiziario (come già previsto dal comma 3-bis), anche all'ufficio dell'agente della riscossione, il quale quindi deve stare in giudizio in particolare, solo nel giudizio di merito direttamente (o mediante la struttura territoriale sovraordinata), cioè in persona dell'organo che ne ha la rappresentanza verso l'esterno o di uno o più suoi dipendenti dallo stesso organo all'uopo delegati, e non può farsi rappresentare in giudizio da un soggetto esterno alla sua organizzazione, tranne che nelle ipotesi in cui può avvalersi della difesa dell'avvocatura dello Stato, come espressamente previsto dall'art. 1 comma 8° del citato decreto legge, sebbene detto ente non appartenga propriamente all'ambito delle Amministrazioni dello Stato trattandosi di ente pubblico economico - alle quali normalmente si riferisce la previsione circa la rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio per il tramite dell'Avvocatura dello Stato (art. 1 del R.D. n. 1611/1933)” (Cass. Civ., n. 28684/2018).

*In evidenza
La rappresentanza (stricto sensu) processuale è una manifestazione della capacità d'agire del soggetto giuridico a stare in giudizio (legitimatio ad processum, ex art.11, c.2 e 3, d.lgs.546/92); per i soggetti pubblici, essa trova fondamento nella legge (Cost. art.97: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, … Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. …”). Ai sensi degli artt. 10 (legitimatio ad causam) ed 11 (legitimatio ad processum) del d.lgs. 546/1992, nonché dell'art. 37 d.lgs. 545/92 (attività d'indirizzo attribuita agli uffici regionali), gli Enti fiscali sono parte processuale con accesso diretto alla propria difesa tecnica davanti alle Commissioni tributarie attraverso la rappresentanza organica del proprio Capo dell'ufficio, che può delegare per iscritto personale dipendente. Cass. sent. n. 3058/2008: "Gli uffici locali dell'Agenzia, esplicazione territoriale dell'Agenzia centrale, sono, quindi, legittimati ad agire ed essere convenuti nei giudizi davanti alle Commissioni tributarie ed in questi sono rappresentati dal Direttore nominato, avente funzione dirigenziale, che per la gestione e l'adempimento dei compiti ad esso demandati può delegare suoi diretti collaboratori a scopi determinati". (Nello stesso senso, Cass. sent. n. 13908/2008). L'assistenza processuale ex art. 12, D.lgs.546/92 (nel processo tributario non esiste il “ministero” di cui all'art. 82 cpv e III comma, c.p.c.) attiene alle competenze tecniche, anche di soggetti terzi abilitati, necessarie per le parti private al fine di un ordinato svolgimento del processo.

**In evidenza
L'avocazione gerarchica é un istituto amministrativo per il quale un soggetto di rango superiore esercita un potere attribuito alla competenza non esclusiva di altro soggetto di rango inferiore. La sostituzione gerarchica, invece, è un istituto amministrativo per il quale un soggetto di rango superiore esercita un potere attribuito alla competenza non esclusiva di altro soggetto di rango inferiore, ingiustificatamente inerte in attività vincolata nonostante formale diffida del superiore ad adempiere.

Cass. sent. n. 2681/1993. “La disciplina del negozio concluso da un rappresentante senza poteri (

ex art. 1399 c.c.

) si applica anche alla rappresentanza organica degli enti pubblici”.

Cass. Ss. Uu. 24179/2009

: “In tema di rappresentanza processuale, il potere rappresentativo, con la correlativa facoltà di nomina dei difensori e conferimento di procura alla lite, può essere riconosciuto soltanto a colui che sia investito di potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, con la conseguenza che il difetto di poteri siffatti si pone come causa di esclusione anche della legitimatio ad processum del rappresentante, il cui accertamento, trattandosi di presupposto attinente alla regolare costituzione del rapporto processuale, può essere compiuto in ogni stato e grado del giudizio e quindi anche in sede di legittimità, con il solo limite del giudicato sul punto, e con possibilità di diretta valutazione degli atti attributivi del potere rappresentativo”. (Cnf.

Cass. Ss. Uu. 24883/2008

e

4248/2016

,

Cass. civ. nn. 23035/2009

,

28078/2011

,

24813/2013

,

16274/2015

e

20408/2016

).

Sul punto Vds. in Il Tributario, S. Labruna:

La vexata quaestio degli avvocati in libero foro che assistono l'Agente della riscossione nelle controversie tributarie


L'esecuzione forzata tributaria

L'efficacia in senso stretto (attitudine a produrre gli effetti giuridici prefissati voluti) costituisce presupposto dell'esecutività (attitudine a porre in essere tutte le attività materiali necessarie alla concreta esecuzione del provvedimento, senza alcun intervento giudiziario) alla quale, ove espressamente prevista, si accompagna l'esecutorietà (attitudine all'esecuzione coattiva anche contro la volontà dell'esecutato). La notifica del “titolo esecutivo tributario” abilita l'Agente della riscossione ad avviare, decorsi inutilmente 60 giorni, l'esecuzione forzata a carico del contribuente-debitore per un credito certo (non controverso al momento della formazione del titolo), liquido (determinato nell'ammontare) ed esigibile (per eventuale condizione sospensiva già avveratasi o termine scaduto); decorso un anno dalla notificazione della cartella, ex art.50, cc. 2 e 3, d.P.R. 602/1973, segue l'avviso di intimazione ad adempiere al pagamento entro cinque giorni, decorsi inutilmente i quali, il creditore può procedere in executivis ex art. 480 c.p.c.. L'avviso di intimazione ad adempiere cessa di efficacia dopo 180 giorni dalla notifica. L'art. 49, c.2, d.P.R. 602/1973 prevede che «il procedimento di espropriazione forzata tributario è regolato dalle norme ordinarie applicabili in rapporto al bene oggetto di esecuzione, in quanto non derogate dalle disposizioni del presente capo e con esso compatibili...»; la deroga fondamentale consiste nell'attribuire all'Agente della riscossione l'iniziativa autoritativa e la gestione diretta dell'esecuzione forzata tributaria, svincolandola dall'intervento dell'Ufficiale giudiziario e del Giudice dell'esecuzione. Tuttavia, il contribuente esecutato -ex art. 617 c.p.c.- può rivolgersi al Giudice dell'esecuzione per l'opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell'art. 57, c.1, lett. b), d.P.R. 602/1973, sia eccependo i vizi propri della procedura, sia quelli derivati dagli atti presupposti. (Cfr. Cass. civ., Sez. III, 7 maggio 2015 n. 9246).

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