La Riscossione tributaria a mezzo ruolo: atti impugnabili, mancata costituzione ed onere probatorio dell'Ente fiscale
23 Aprile 2020
Premessa
Il termine “ruolo” viene da rotulus, ove gli amministratori dell'antica Roma elencavano tutti i soggetti appartenenti ad una categoria omogenea per essere destinatari di un medesimo trattamento; tali erano, ad esempio, i soldati -“arruolati” nell'esercito- cui competeva il medesimo trattamento economico; dai tempi di Diocleziano, 284-305, fino al X secolo, nell'Impero Romano d'Oriente, erano pagati con una moneta denominata “solidus” -termine successivamente corrottosi in “soldo”- da cui "soldato", "assoldare" etc.. In passato, dall'unità d'Italia sino al 31 dicembre 1989, il servizio di riscossione dei tributi mediante ruolo è stato affidato -con la legge Sella del 1871- alle esattorie comunali e consorziali; poi, dal 1° gennaio 1990 al 30 settembre 2006, è stato affidato, con concessione amministrativa per ambiti provinciali, a società concessionarie. Il perimetro applicativo della riscossione a mezzo ruolo esattoriale è stato definito dall'art. 17, D.Lgs. 26 febbraio 1999 n. 46 che comprende:
Dal 1° ottobre 2006 – con Legge n. 248/2005 di conversione del D.L. 203/2005- viene soppresso il sistema di affidamento in concessione del servizio nazionale della riscossione ai concessionari-esattori e la riscossione a mezzo ruolo esattoriale ex d.P.R. 602/1973 viene gestita in via esclusiva da una società per azioni a prevalente capitale pubblico: Riscossione SpA, costituita da Agenzia delle Entrate (51%) e Inps (49%), successivamente denominata Equitalia. L'art. 1, D.L. 193/2016, conv. con modif. con L. 225/2016, ha poi disposto che a decorrere dal 1° luglio 2017 le societa' per azioni del Gruppo Equitalia -a esclusione della società Equitalia Giustizia SpA, di cui alla lett. b), c.11, che svolge funzioni diverse dalla riscossione- fossero sciolte, cancellate d'ufficio dal registro delle imprese e contestualmente estinte, senza che fosse esperita alcuna procedura di liquidazione (successione in universum jus). Le funzioni di riscossione nazionale (di cui all'art.3, c.1, d.l. 203/2005, conv. con modif. con L. 248/2005), sono state attribuite all'Agenzia delle Entrate di cui all'art. 62, D.Lgs. n. 300/1999, e svolte dall'ente pubblico, strumentale della stessa Agenzia delle Entrate, denominato: «Agenzia delle Entrate-Riscossione», sottoposto all'indirizzo e alla vigilanza del Ministro dell'economia e delle finanze. Tale ente strumentale subentra, a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali (successione nella legitimatio ad causam), delle cessate società per azioni del Gruppo Equitalia, di cui al c.1, ed assume la qualifica di Agente della Riscossione con i poteri e secondo le disposizioni di cui al titolo I, capo II, e al titolo II, del d.P.R. 602/1973 (successione nel munus pubblicum). La qualificazione quale ente strumentale comporta che il nuovo ente, pur perseguendo fini propri ed esclusivi, è strettamente collegato all'Agenzia delle Entrate dai vincoli di soggezione.
Qualsiasi atto dell'Ente fiscale* -ancorchè adottato in forma non autoritativa- qualora rechi una pretesa tributaria definita è impugnabile dinanzi al Giudice tributario ex art. 2, d.lgs.546/1992, (cfr. ex multis, Cass., SS.UU., sentenze nn. 16293/2007 e 3773/2014). La concezione sincretistica della giustizia tributaria prevede la tutela di un diritto soggettivo e/o di un interesse legittimo** (plena cognitio ratione materiae) del cittadino-contribuente attraverso il “prisma” dell'atto impositivo/sanzionatorio/esattivo che lo abbia leso, la cui impugnazione è veicolo d'accesso al giudizio cognitorio sul rapporto obbligatorio tributario. Si tratta, quindi, di un “giudizio sull'atto” esteso al “rapporto sotteso”, esperendo un'azione di cognizione tributaria -tripartita in: d'accertamento, costitutiva e di condanna - il cui oggetto va individuato nella pretesa tributaria avanzata con l'atto lesivo, che si impugna principalmente con un'azione di accertamento negativo, invertendo i ruoli di attore in senso formale (Cittadino contribuente-ricorrente) e sostanziale (Ente fiscale-resistente), con conseguente riparto dell'onere probatorio processuale. Anche una sentenza di rigetto nel merito dell'obbligazione tributaria, emessa per l'impugnazione di un atto non contemplato nel catalogo di cui all'art. 19, c.1, D.lgs. n. 546/1992, è idonea a passare in giudicato (vds. Cass. Ss.Uu. sent. 19704 del 02.10.2015).
L'iscrizione del credito al ruolo, che manifesta un esercizio compiuto di potestà impositiva, a prescindere dello strumento conoscitivo adottato è ex se idonea a costituire presupposto di un imminente pregiudizio economico nella sfera giuridica del destinatario. Come per l'azione civile ex art. 100 c.p.c., in virtù del rinvio dinamico di cui all'art. 1, c.2, D.lgs. 546/1992, anche il ricorso tributario è subordinato alla sussistenza di una legittimazione ad agire (i.e. legitimatio ad causam), intesa come proiezione processuale della titolarità di un interesse legittimo o diritto soggettivo*; a ciò si accompagna una seconda condizione generale dell'azione processuale: l'interesse ad agire, inteso come tutela processuale di un bene della vita (i.e. interesse protetto) da una lesione diretta ed attuale. Secondo sia la giurisprudenza sia la dottrina, devono coesistere i caratteri: della personalità (la diretta riferibilità dell'utilità da conseguire all'attore/ricorrente); dell'attualità (la lesione dedotta in giudizio deve essere presente e non passata o futura); della concretezza (l'utilità del petitum mediato non deve essere astratta). [La carenza di attualità della pretesa riscossiva impugnata e, dunque, l'inidoneità dell'atto impugnato (ad esempio, l'estratto del ruolo, l'avviso di presa in carico o la comunicazione di irregolarità a seguito del controllo automatizzato) ad integrare una delle tre condizioni generali dell'azione (relativamente all'attualità dell'interesse ad agire e, quindi, della c.d. “provocatio ad opponendum”), esonera il contribuente da una difesa avanzata perché non viene pregiudicata l'impugnazione di atti successivi (fermo, ipoteca, pignoramento, etc.) a valere anche per gli specifici atti presupposti, ove non notificati. Sotto tale profilo, rileva l'art 19, c.3, d.lgs. 546/1992, secondo cui “la mancata notifica degli atti autonomamente impugnabili adottati precedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo”].
L'estratto di ruolo* (mero documento rappresentativo) può essere oggetto di ricorso -in quanto (in toto o in parte) riproduzione del ruolo**(provvedimento amministrativo) che è autonomamente impugnabile (vds. art. 19, c.1, lett. d) ed anche art. 21, c.1, secondo alinea, d.lgs. 546/1992)- nella misura in cui rappresenta una pretesa tributaria foriera di “effetti che comunque il contribuente ha interesse a contrastare” (Cass. SS.UU. sent. 19704 del 02.10.2015). “L'interesse ad agire, quale condizione dell'azione, integra un requisito di fondatezza della domanda soltanto ipotetica, consistente nell'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile altrimenti senza l'intervento del Giudice (Cass., Sez. L, sent. n. 22724 del 4/10/2013). Quindi, secondo la Suprema Corte, sussiste l'interesse ad agire ex art 100 c.p.c., per l'impugnazione dell'estratto di ruolo in quanto veicolo di conoscenza del ruolo, qualora il contribuente-debitore alleghi la mancata legale conoscenza degli atti presupposti: titolo e precetto della pretesa tributaria ivi rappresentata (ciò, ovviamente, vale anche nell'analogo caso per gli avvisi di accertamento esecutivi (ex art. 29 D.L. n. 78/2010, conv. in Legge n. 122/2010, c.d. atti impoesattivi), riconoscendo al contribuente la possibilità di ricorrere contro l'”avviso di presa in carico” della pretesa riscossiva, notificato dall'Agente della Riscossione.), in superamento della teoria del numerus clausus, riferito alla catalogazione degli atti impugnabili indicata nell'art. 19, c.1, d.lgs. 546/1992. (vds. Cass. Ss.Uu. sent. 19.704 del 02.10.2015).
A proposito dell'impugnabilità dell'estratto di ruolo, la Cassazione si è espressa favorevolmente con Ordinanza 03 gennaio 2019, n. 54: “alla luce del condivisibile orientamento, espresso da questa Corte, secondo cui il contribuente può impugnare la cartella di pagamento della quale – a causa dell'invalidità della relativa notifica – sia venuto a conoscenza solo attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione; a ciò non osta l'ultima parte del comma 3 dell'art. 19 del D.lgs. n. 546/1992, in quanto una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere che l'impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato – impugnabilità prevista da tale norma – non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque venuto legittimamente a conoscenza e quindi non escluda la possibilità di far valere l'invalidità stessa anche prima, giacché l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo, rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione”. Quoad effectum, quindi e con i limiti già indicati, l'estratto di ruolo (atto non recettizio) è implicito nella previsione normativa di cui agli artt. 19, c.2, lett. d) e 21, c.1, ultimo alinea, D.Lgs. n. 546/1992, secondo il quale la notifica della cartella di pagamento esattoriale (atto recettizio) equivale a notifica del ruolo. Pertanto, nel momento in cui l'Agente della Riscossione consegna formalmente al contribuente l'estratto documentale del suo ruolo (che è un provvedimento amministrativo perfetto, liberamente accessibile* all'interessato, richiedente motu proprio), questo cittadino-contribuente ne avrà avuta legale scienza, con effetti interruttivi sulla prescrizione del proprio debito e decadenziali iniziali per ogni eventuale sua impugnazione (tempus ad impugnationem); sarà pertanto legittimato ad impugnare, attraverso il “prisma” dell'estratto documentale, il provvedimento di ruolo nei limiti di quanto rappresentato nell'estratto medesimo, atteso che il ruolo costituisce l'unico valido e legittimo titolo per la riscossione dei tributi (ex plurimis, Cass., S.U. n. 16412/07; cfr. anche Cass., sez. 6, Ordinanza n. 2248 del 3/02/2014 e S.U., Sent. n. 19704 del 2/10/2015 e n. 724/2010).
Tuttavia, "va rigettata l'azione di accertamento negativo del credito avverso l'estratto di ruolo volta a far valere la prescrizione della pretesa allorquando non siano stati posti in essere atti esecutivi" (Cass. sent. 20.618/2016. Cfr Cass. ord. 22.946/2016) e "deve escludersi, perché estranea all'operatività giudiziale e oppositiva della prescrizione come fatto estintivo del credito, che essa possa esser fatta valere in via di azione, a mezzo […] di un'azione di mero accertamento" Pertanto, "è' ammissibile l'impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza [equiparabile alla medesima legale scienza, effetto delle comunicazioni/notificazioni. N.d.R.] attraverso l'estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell'ultima parte del terzo comma dell'art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, posto che una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione". (Cass. Ss.Uu. sent. 19.704/2015). Trattasi, in buona sostanza, di una difesa avanzata dall'esecuzione esattoriale (il procedimento di opposizione all'esecuzione esattoriale è di rito civile ordinario (cfr. Cass. Civ., Sez. Unite, sent. 13 luglio 2000, n. 489) poiché trattasi di domanda d'accertamento negativo della pretesa riscossiva del creditore procedente, contestandone l'an o il quantum dell'esecuzione, per difetto originario o sopravvenuto del titolo esecutivo ovvero della pignorabilità dei beni aggrediti (cfr. Cass. Civ., Sez. III, sent. 6 aprile 2006, n. 8112)), volta a contestare l'omessa notifica degli atti presupposti e, quindi, la mancanza di titolo e/o precetto legittimanti l'iscrizione al ruolo e ciò che ne consegue. Sarà onere dell'Agente della riscossione e/o dell'Ente impositore, provare il diverso ed antecedente momento in cui il ricorrente avrebbe avuto legale scienza del ruolo** e degli atti presupposti o conseguenti (l'avviso di intimazione ad adempiere al pagamento, di cui all'art.50, cc. 2 e 3, d.P.R. 602/1973, è un atto prodromico all'esecuzione forzata, la cui impugnazione appartenente alla giurisdizione tributaria (Cass.Sez.Un.31.3.2008 n.8279); assume funzione interruttiva della prescrizione (precetto) senza incidere sul ruolo (titolo esecutivo) e può essere impugnata solo per vizi propri.) per contestare la tardività della impugnazione e, quindi, l'inammissibilità del ricorso ex art. 21, c.1, primo e secondo alinea, d.lgs. 546/1992.
Quando si impugna l'estratto di ruolo, o anche l'avviso di presa in carico o la comunicazione di irregolarità* (c.d. avviso bonario) o le varie comunicazioni** ufficiali dell'Agenzia delle entrate-Riscossione, ciascuna impugnazione è anche veicolo processuale d'accesso alla contestazione del ruolo; pertanto, ancorché manchi l'interesse ad impugnare l'estratto di ruolo, l'avviso di presa in carico o la comunicazione di irregolarità etc., sussiste certamente l'interesse mediato ad impugnare il "contenuto" di tali documenti, ossia gli atti ivi riportati a fondamento della pretesa riscossiva avanzata nei confronti del contribuente. Il dies a quo del termine decadenziale di tali impugnazioni non può che coincidere con il giorno di conoscenza di tali documenti (la data di rilascio dell'”estratto di ruolo”, la data di ricezione dell'”avviso di presa in carico” o della “comunicazione di irregolarità” etc.), pur non verificandosi alcuna definitività per mancata impugnazione, essendo tutti -quelli non indicati nell'art. 19, c.1, D.lgs.546/1992- atti non recettizi, inidonei ex lege a costituire “provocatio ad opponendum”.
Legittimate passive (L'immedesimazione (c.d. rappresentanza) organica, consente di assumere la veste processuale di parte nel processo tributario, come manifestazione della propria capacità giuridica ad essere titolare di posizioni giuridiche soggettive sia sostanziali che processuali), secondo l'art. 10, primo alinea, d.lgs. 546/1992, “sono [le] parti del processo dinanzi alle commissioni tributarie oltre al ricorrente, l'ufficio dell'agenzia delle entrate e … l'agente della riscossione … che hanno emesso l'atto impugnato ...”. Nel giudizio sul ricorso avverso l'avviso d'accertamento esecutivo il soggetto che emette l'atto è l'Agenzia delle entrate, mentre per le cartelle esattoriali e gli altri atti c.d. esattivi (come le intimazioni di pagamento) tale soggetto è l'Agente della riscossione. Per l'atto impo-esattivo*, a differenza dei precedenti atti impo-sanzionatori** non esecutivi -cui seguiva il passaggio a ruolo e l'emissione della cartella esattoriale- tutta la conseguente attività procedimentale è volta esclusivamente alla esecuzione forzata, che resta esclusa dalla giurisdizione tributaria ex art. 2, c. 1, secondo alinea, d.lgs. 546/1992.
Legittimato passivo nel giudizio su impugnazione dell'estratto di ruolo è l'Agente della Riscossione, non solo - ex art. 10, c.1, D.Lgs. n. 546/1992- perché l'atto (non recettizio) immediatamente impugnato è stato da lui emesso, ma anche perché, con la trasmissione del ruolo formato e vistato dall'Ente impositore, tutto il seguito a praticare è di sua esclusiva competenza. L'Ente impositore creditore può, comunque, intervenire volontariamente o essere chiamato in giudizio ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 14, c. 3, D.lgs. 546/1992. Trattasi di intervento adesivo dipendente (Cass. 20803/2013), nel quale l'interventore conserva la propria posizione processuale secondaria e subordinata, non avendo autonoma facoltà di proporre impugnazione, ma potendo soltanto aderire all'impugnazione della parte adiuvata (Cass. 5744/2011; Cass.17644/2007).
Ove oggetto del giudizio non fosse il ruolo consegnato e vistato dall'Ente impositore, ma il presupposto atto impoesattivo emesso autonomamente dall'Agenzia delle Entrate (la sola, quindi, legittimata ad causam ex art. 10, ad processum ex art. 11, D.Lgs. 546/1992 e nei cui confronti va proposto il ricorso introduttivo ex art. 18, c.2, lett. c), stesso decreto) il ricorso introduttivo del giudizio sarebbe inammissibile - ai sensi degli artt. 21, c.1, e 22, c.2, D.lgs. 546/1992, ove fosse stato depositato nella segreteria della commissione tributaria privo della notificazione all'ufficio emittente l'atto impugnato, a nulla rilevando la costituzione della parte resistente. Tuttavia, a seguito della sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite n. 16412/2007, si è consolidato il diverso indirizzo interpretativo secondo cui "il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della riscossione per motivi che attengono alla mancata notificazione, ovvero anche alla invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell'ente impositore quanto del concessionario; senza che sia tra i due soggetti configurabile alcun litisconsorzio necessario. Resta peraltro fermo, in presenza di contestazioni involgenti il merito della pretesa impositiva, l'onere per l'agente della riscossione di chiamare in giudizio l'ente impositore, ex art. 39 D.lgs 112/99; così da andare indenne dalle eventuali conseguenze negative della lite".
Tutto ciò ritenendo incompatibile (vds. art. 1, c.2, d.lgs.546/1992) il divieto di far valere in giudizio diritti altrui in nome proprio, sancito dall'art. 81 del c.p.c; la “litis denuntiatio” prevista dall' art. 39 d.lgs 112/1999, non è esercitabile in via officiosa dal Giudice ma solo in via dispositiva dalla parte, che dovrebbe comunque costituirsi e chiedere al Giudice l'integrazione del procedimento con la chiamata dell'Ente impositore ex art. 14, c.3, d.lgs.546/1992. Ciò al fine di rendere opponibile la sentenza, che definisce il giudizio, all'Ente impositore, terzo chiamato in causa quale creditore, titolare del rapporto sostanziale controverso, la cui riscossione coattiva è affidata ex lege all'Agente della riscossione, mero “adiectus solutionis causa”. L'erronea individuazione del legittimato passivo, quindi, non determina l'inammissibilità della domanda (Cass. n. 97/2015) e l'omessa chiamata in causa (attesane la natura sostanziale –e non processuale- consegue che l'adiectus solutionis causa, parte processuale resistente, possa comunicare all'ente impositore, creditore sostanziale, la pendenza della lite ed i motivi di ricorso con qualunque modalità idonea, in via extraprocessuale, volta a consentirgli la resistenza con un intervento volontario ex art. 14, c.3, d.lgs. 546/1992, entrando nel processo con tutte le preclusioni eventualmente già maturate) dell'Ente impositore non incide affatto sul processo in corso (Corte di cassazione, Sezioni Unite, sentenze 16412/2007e 5791/2008; ex multis anche Cass. 12223/2010 e 22314/2014) ma solo sull'obbligo di risarcimento del danno all'Ente impositore creditore.
Nel processo tributario* non è prevista la contumacia e non è applicabile quella di cui al libro II, titolo I, capo VI, artt. 290 e ss. c.p.c., perchè la relativa valutazione di compatibilità -prescritta come criterio di applicazione del rinvio dinamico di cui agli artt. 1, c.2, e 49, d.lgs.546/1992- non la consente; la specialità del processo tributario relega le norme processuali civili ad un ruolo di mera chiusura dell'ordinamento giuridico. Si versa, quindi, nella mera ipotesi di omessa o tardiva costituzione in giudizio, che non comporta alcun tipo di nullità, poichè ne manca (vds. principio di tassatività ex art. 156 c.p.c.). la previsione normativa.
Quanto agli effetti tributari, mentre per il ricorrente non costituito la sanzione processuale tributaria è solo quella dell'inammissibilità del ricorso, ex art. 22 (o dell'appello ex art. 53, c.2, e 61) d.lgs. 546/1992, il successivo art. 23 (o, per l'appello gli artt. 54 e 61) si limita ad escludere la parte resistente non costituita dall'avviso (ex art. 31, c.1, d.lgs. cit.) di trattazione della controversia, dalla comunicazione (ex art. 28, c.1, stesso decreto) dei provvedimenti presidenziali di cui all'art.27, e dalla comunicazione (ex art. 37, c.2, stesso decreto) del dispositivo recato dalla sentenza, pubblicata dal segretario dopo il deposito del presidente in segreteria. Quando la prova grava sulla parte non costituita, opera il sistema delle preclusioni; per cui essa non può essere parte attiva nell'allegazione delle prove, così come nella produzione di documenti. Nel processo tributario, previa costituzione tardiva, ai sensi dell'art. 32,d.lgs. 546/1992, “le parti possono depositare documenti fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione …” ed il successivo art. 58, c.2, (e 61) fa “salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti” in appello (Cfr. Cass. 6734/2015). Trascorso il termine di 60 giorni -previsto dall'art. 23 e 54, d.lgs. 546/1992- si forma tuttavia, a carico della parte resistente non costituita, una preclusione alla proposizione delle eccezioni in senso stretto, della richiesta di chiamata di terzi e delle controdeduzioni che, ove tardivamente prodotte sono tamquam non essent.
La Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità dell'art. 23, d.lgs. 546/1992, con ordinanza 7.4.2006 n. 144, ha stabilito che la costituzione tardiva del resistente nel processo tributario, può “dare luogo, se così prevede la legge e nei limiti in cui lo preveda, a decadenze sia di tipo assertivo che probatorio, ma mai a una irreversibile dichiarazione di contumacia, del tutto sconosciuta all'ordinamento”. Per la Consulta, la costituzione tardiva non configura un ingiustificato privilegio per la parte resistente; ciò per la diversa posizione che assumono, in un processo di tipo impugnatorio -come quello tributario- il ricorrente ed il resistente*.
La giurisprudenza di legittimità (Cass. nn. 21059/2007 e 20952/2008) ha chiarito che la costituzione tardiva comporta la "decadenza dalla facoltà di chiedere o svolgere attività processuali eventualmente precluse, dovendo in tal caso il convenuto o appellato accettare il processo nello stato in cui si trova”. (Cfr Cass. nn.21212/2004; 5645, 6380 e 22010 del 2006). Cass. nn. 7329/2003, 5191/2008 e 12363/2010 ha puntualizzato che la costituzione tardiva comporta la preclusione a poter sollevare eccezioni -processuali e di merito- non rilevabili d'ufficio. Cass. nn. 5191 e 13079 del 2008 (argomentando ex art. 167 c.p.c.) ha stabilito che l'onere di contestazione deve essere assolto nella prima difesa utile; l'onere di contestazione, perimetrando il thema probandum, è sottoposto agli stessi limite temporali delle allegazioni e la contestazione cd. tardiva potrebbe essere ammessa solo ricorrendo allo strumento della rimessione in termini, ex art. 153, c.2, c.p.c. (o ex art. 345, c.3, c.p.c. per l'appello). Cass. 12363/2010 muove, invece, dal rilievo che la contestazione sarebbe un'eccezione in senso proprio e quindi soggetta a preclusioni. Secondo Cass. 24381/2010: “Esaurita la fase dell'ammissione delle prove, la non contestazione diventa tendenzialmente irreversibile*”; il Giudice può –comunque- acquisire la prova del fatto non contestato, superando la questione sulla pregressa mancata contestazione che ne avrebbe comportato l'esclusione dal "thema probandum". (vds. Cass. 3951/2012).
Inoltre, al resistente -non costituito in prime cure ma successivamente costituitosi in appello non resta precluso contestare i fatti costitutivi e giustificativi già allegati dal ricorrente a sostegno della domanda introdotta con il ricorso, perché la "non contestazione" deve trovare fondamento sulla inequivocabile volontà negativa della parte costituita e non sulla oggettiva impossibilità a contestare della parte contumace (o non costituita). (Cass. 4161/2014). I fatti dedotti possono essere oggetto dell'onere di contestazione specifica solo se sono nella sfera di conoscenza e di disponibilità del contestatore*. Il diritto di negare i fatti costitutivi della pretesa o di contestare l'applicabilità delle norme invocate da controparte, nonchè di produrre documenti ai sensi degli artt. 24 e 32 – ed art. 58 (e 61), per l'appello- d. lgs. 546/1992, è garantito dall'art. 24 Cost. (vds. Cass. 8862/2009).
L'Agente della riscossione ex art. 26, c.5, d.P.R. 602/1973 “deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell'avvenuta notificazione o l'avviso di ricevimento ed ha l'obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente …”; ciò si correla all'onere processuale per l'Agente della riscossione di produzione in giudizio degli originali* delle relate di notifica delle cartelle di pagamento - e degli altri atti contestati per omessa notifica- come affermato da Cass. n. 5077 del 28 febbraio 2017: “l'art. 2719 cod. civ. esige l'espresso disconoscimento della conformità con l'originale delle copie fotografiche o fotostatiche e si applica tanto al disconoscimento della conformità della copia al suo originale quanto al disconoscimento dell'autenticità di scrittura o di sottoscrizione, dovendosi ritenere, in assenza di espresse indicazioni, che in entrambi i casi la procedura sia soggetta alla disciplina di cui agli artt. 214 e 215 cod. proc. civ.. Ne consegue che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all'originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, ove la parte comparsa non la disconosca** in modo specifico e non equivoco alla prima udienza ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione, mentre il disconoscimento onera la parte della produzione dell'originale, fatta salva la facoltà del Giudice di accertare tale conformità anche aliunde” (cfr. Cass. nn. 13425/2014, 19680/2008 e 1525/2004). In altri termini, secondo Cass. civ., 15 ottobre 2009, n. 21914, “… il disconoscimento delle copie fotostatiche, a differenza di quello della scrittura privata, non pone una preclusione formale al riconoscimento e alla utilizzazione delle scritture, ma è diretto unicamente ad impedire la conferma della rispondenza all'originale, così da non consentire l'utilizzazione della copia come mezzo di prova. Ne consegue che, mentre la preclusione derivante dal disconoscimento formale della scrittura privata è superabile attraverso l'esperimento della procedura di verificazione, quella derivante dall'art. 2719 c.c. per le copie delle scritture non esclude, invece, la possibilità di desumere altrimenti la dimostrazione, ricorrendo ad altri mezzi di prova e anche a presunzioni semplici” (cfr. Cassazione civile, sez. III, sentenza 10/11/2010 n. 22837). Il disconoscimento ex art. 214 c.p.c. (dell'originale) è ex se idoneo a rendere inutilizzabile tale prova documentale in mancanza della richiesta di verificazione del deducente, con esito positivo. Invece, il disconoscimento effettuato ai sensi dell'art. 2719 c.c. (della copia) non è idoneo ad escluderne il valore probatorio in mancanza della richiesta di verificazione e del relativo esito positivo, bensì atto soltanto ad onerare il deducente di provarne la conformità all'originale. Anche se il disconoscimento di conformità della copia prodotta al suo originale va distinto dal disconoscimento dell'autenticità di scrittura o di sottoscrizione del medesimo originale, l'attuale giurisprudenza di legittimità considera i termini previsti dagli artt. 214 e 215 c.p.c. applicabili ad entrambi i casi. Quindi, il disconoscimento del documento/copia deve eccepirsi -a pena di decadenza- entro il primo atto processualmente rilevante dopo la relativa produzione in giudizio. Cass. civ., sez. V, 28 gennaio 2004, n. 1525, infatti, considera che: “nel silenzio della norma sulle modalità e sui termini entro cui i diversi disconoscimenti devono avvenire ed in assenza della previsione di un distinto regime processuale, deve ritenersi applicabile ad entrambi la disciplina dettata dagli artt. 214 e 215 c.p.c., con la conseguenza che la copia fotostatica non autenticata, anche nella normativa anteriore alle modifiche apportate all'art. 345 c.p.c. dalla legge del 1990, si deve avere per riconosciuta – sia nella sua conformità all'originale, sia nella scrittura e nella sottoscrizione – se la parte comparsa non la disconosca, in modo formale, alla prima udienza, ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione”. (cfr Cass. civ., sez. I, 27 ottobre 2006, n. 23174 e Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2009, n. 4476 e Cass. ordinanza n.7465/2018).
Anche Cass. civ., sez. V, 4 maggio 2016, n. 8861, è intervenuta sulla questione, precisando che “la produzione dell'avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia dell'atto processuale spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale, ai sensi dell'art. 149 cod. proc. civ., richiesta dalla legge in funzione della prova dell'avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio, può avvenire anche mediante l'allegazione di fotocopie non autenticate” solo “ove manchi contestazione in proposito, poiché la regola posta dall'art. 2719 cod. civ. -per la quale le copie fotografiche o fotostatiche hanno la stessa efficacia di quelle autentiche, non solo se la loro conformità all'originale è attestata dal pubblico ufficiale competente, ma anche qualora detta conformità non sia disconosciuta dalla controparte, con divieto per il Giudice di sostituirsi nell'attività di disconoscimento alla parte interessata, pure se contumace- trova applicazione generalizzata per tutti i documenti.” Inoltre “il disconoscimento della conformità di una copia fotografica o fotostatica all'originale di una scrittura, ai sensi dell'art. 2719 c.c., non ha gli stessi effetti del disconoscimento della scrittura privata previsto dall'art. 215 c.c., comma 1, n. 2), giacchè mentre quest'ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione, preclude l'utilizzabilità della scrittura, la contestazione di cui all'art. 2719 c.c. non impedisce al Giudice di accertare la conformità all'originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni”. Infatti “l'avvenuta produzione in giudizio della copia fotostatica di un documento, se impegna la parte contro la quale il documento è prodotto a prendere posizione sulla conformità della copia all'originale, tuttavia, non vincola il Giudice all'avvenuto disconoscimento della riproduzione, potendo egli apprezzarne l'efficacia rappresentativa (cfr. Cass. n. 9439 del 21/04/2010 e Cass. n. 2419 del 03/02/2006)” Vds. anche Cass. civ. Sez. V, 11 novembre 2016, n. 23046.
Tale giurisprudenza di legittimità è stata recentemente ribadita da Cass.sent. 1792 del 23/01/2019: “come questa Corte ha già ritenuto, (Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 23902 del 11/10/2017), in tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi del d.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, la prova del perfezionamento del procedimento di notifica e della relativa data è assolta mediante la produzione della relazione di notificazione e/o dell'avviso di ricevimento, recanti il numero identificativo della cartella, non essendo necessaria la produzione in giudizio della copia della cartella stessa; ritenendo quindi necessaria l'acquisizione al fascicolo processuale di tal documento, la CTR è incorsa nell'errore di diritto denunciato; – ritiene questa Corte che la contestazione di conformità agli originali degli atti di notifica – che non necessita di particolari formule o di specificità ad hoc – può consistere anche, implicitamente ma inequivocamente, nella richiesta, diretta al Giudice, di ordinare al concessionario l'esibizione o la produzione in giudizio degli originali di tali atti, e segnatamente dell'originale dell'avviso di ricevimento. Ciò è del tutto implicito anche in quella giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (Cass Sez. 5, Ordinanza n. 1974 del 26/01/2018), l'agente della riscossione, parte di un giudizio nel quale è richiesto di dare prova dell'espletamento di una attività notificatoria, non ha il potere di attribuire autenticità agli avvisi di ricevimento degli atti notificati, che costituiscono documenti di provenienza dell'ufficiale postale, poichè l'autenticazione della copia può essere fatta esclusivamente dal pubblico ufficiale dal quale l'atto è stato emesso o presso il quale è depositato l'originale e trovando, pertanto, applicazione la regola generale di cui all'art. 2719 c.c.. nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha cassato la decisione impugnata che aveva ritenuto sussistente il potere del concessionario di autenticazione degli avvisi di ricevimento delle cartelle notificate); – la CTR quindi è incorsa nell'errore di diritto denunciato, avendo trattenuto la causa in decisione senza prima disporre la produzione o l'esibizione – che appariva possibile, stante la posizione delle parti, concorde sul punto – degli originali in parola; sul punto questa Corte ha chiarito come (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23902 del 11/10/2017) in tema di notifica della cartella esattoriale, laddove l'agente della riscossione produca in giudizio copia fotostatica della relata di notifica o dell'avviso di ricevimento (recanti il numero identificativo della cartella), e l'obbligato contesti la conformità delle copie prodotte agli originali, ai sensi dell'art. 2719 c.c., il Giudice, che escluda, in concreto, l'esistenza di una rituale certificazione di conformità agli originali, non può limitarsi a negare ogni efficacia probatoria alle copie prodotte, in ragione della riscontrata mancanza di tale certificazione, ma deve valutare le specifiche difformità contestate alla luce degli elementi istruttori disponibili, compresi quelli di natura presuntiva, attribuendo il giusto rilievo anche all'eventuale attestazione, da parte dell'agente della riscossione, della conformità delle copie prodotte alle riproduzioni informatiche degli originali in suo possesso; in ogni caso, poi (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8446 del 27/04/2015) in tema di contenzioso tributario, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22, comma 4, la produzione, da parte del ricorrente, di documenti in copia fotostatica costituisce modalità idonea per introdurre la prova nel processo, atteso che, ai sensi dell'art. 2712 c.c., è onere dell'Amministrazione finanziaria contestarne la conformità all'originale, in presenza della quale il Giudice è tenuto a disporre la produzione del documento in originale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 22, comma 5; dispone in tal senso, invero, quale disposizione speciale riguardante la notifica degli atti della riscossione, il D.P.R. n. 602, art. 26, penultimo comma, che impone al concessionario l'obbligo di fare esibizione della documentazione probante la notifica su richiesta del contribuente e dell'Amministrazione; a fortiori detto obbligo certamente incombe sul riscossore nei rapporti con il Giudice, di fronte al quale penda la controversia riguardante tal notifica; – in conclusione, se la valutazione della vis probatoria può e deve operarsi su quanto in atti, ove sia necessario per il raggiungimento della prova di un determinato fatto processualmente rilevante, il Giudice deve esperire anche la via consistente nell'ordine di esibizione degli originali degli atti rilevanti al fine di decidere; ciò a maggior ragione ove le parti siano sostanzialmente d'accordo in ordine a tal approfondimento probatorio, ma anche ove esso indipendentemente dalle allegazioni delle parti stesse – possa essere dirimente ai fini del decidere”. (Per una migliore comprensione sul punto Vds. in Il Tributario, Focus di S. Labruna: Le prove atipiche onere della prova ed onere di contestazione)
Le Agenzie fiscali, che hanno personalità giuridica di diritto pubblico ed autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria ex art. 61, c.1, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, stanno in giudizio a mezzo del Direttore Generale, che ne ha la rappresentanza organica (artt. 67 e 68, d.lgs.300/1999), con l'eventuale assistenza tecnica esterna dell'Avvocatura dello Stato. Cass. n. 674/1973: “nel linguaggio dei codici vigenti, sia sostanziale che di rito, con il termine “rappresentanza” viene designato non soltanto il fenomeno rappresentativo in senso proprio, contemplato dagli artt. 1387 e seguenti c.c., ma anche quello della cosiddetta immedesimazione organica, alla quale è quindi applicabile la disciplina positiva dettata per la rappresentanza, in difetto di una contraria indicazione letterale della legge o di una ragione di incompatibilità intrinseca tra questo fenomeno e tale disciplina.”. L'art. 9, d.lgs. 156/2015 - in vigore dal 01/01/2016 – ha così modificato l'art. 11, d.lgs. 546/92: 1) il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. L'ufficio dell'Agenzia delle entrate e dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300nonchè dell'agente della riscossione, nei cui confronti è proposto il ricorso, sta in giudizio* direttamente o mediante la struttura territoriale sovraordinata**. “L'art. 11, comma 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, concernente la costituzione in giudizio 'diretta' avanti alle commissioni tributarie... ha esteso... l'inammissibilità della rappresentanza processuale volontaria, oltre che espressamente agli uffici dell'Agenzia delle Entrate ed a quelli dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli (come già si riteneva) ed alle cancellerie o segreterie dell'ufficio giudiziario (come già previsto dal comma 3-bis), anche all'ufficio dell'agente della riscossione, il quale quindi deve stare in giudizio – in particolare, solo nel giudizio di merito – direttamente (o mediante la struttura territoriale sovraordinata), cioè in persona dell'organo che ne ha la rappresentanza verso l'esterno o di uno o più suoi dipendenti dallo stesso organo all'uopo delegati, e non può farsi rappresentare in giudizio da un soggetto esterno alla sua organizzazione, tranne che nelle ipotesi in cui può avvalersi della difesa dell'avvocatura dello Stato, come espressamente previsto dall'art. 1 comma 8° del citato decreto legge, sebbene detto ente non appartenga propriamente all'ambito delle Amministrazioni dello Stato trattandosi di ente pubblico economico - alle quali normalmente si riferisce la previsione circa la rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio per il tramite dell'Avvocatura dello Stato (art. 1 del R.D. n. 1611/1933)” (Cass. Civ., n. 28684/2018).
Cass. sent. n. 2681/1993. “La disciplina del negozio concluso da un rappresentante senza poteri ( ex art. 1399 c.c. ) si applica anche alla rappresentanza organica degli enti pubblici”.Cass. Ss. Uu. 24179/2009 : “In tema di rappresentanza processuale, il potere rappresentativo, con la correlativa facoltà di nomina dei difensori e conferimento di procura alla lite, può essere riconosciuto soltanto a colui che sia investito di potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, con la conseguenza che il difetto di poteri siffatti si pone come causa di esclusione anche della legitimatio ad processum del rappresentante, il cui accertamento, trattandosi di presupposto attinente alla regolare costituzione del rapporto processuale, può essere compiuto in ogni stato e grado del giudizio e quindi anche in sede di legittimità, con il solo limite del giudicato sul punto, e con possibilità di diretta valutazione degli atti attributivi del potere rappresentativo”. (Cnf.Cass. Ss. Uu. 24883/2008 e4248/2016 ,Cass. civ. nn. 23035/2009 ,28078/2011 ,24813/2013 ,16274/2015 e20408/2016 ).Sul punto Vds. in Il Tributario, S. Labruna: La vexata quaestio degli avvocati in libero foro che assistono l'Agente della riscossione nelle controversie tributarie
L'efficacia in senso stretto (attitudine a produrre gli effetti giuridici prefissati voluti) costituisce presupposto dell'esecutività (attitudine a porre in essere tutte le attività materiali necessarie alla concreta esecuzione del provvedimento, senza alcun intervento giudiziario) alla quale, ove espressamente prevista, si accompagna l'esecutorietà (attitudine all'esecuzione coattiva anche contro la volontà dell'esecutato). La notifica del “titolo esecutivo tributario” abilita l'Agente della riscossione ad avviare, decorsi inutilmente 60 giorni, l'esecuzione forzata a carico del contribuente-debitore per un credito certo (non controverso al momento della formazione del titolo), liquido (determinato nell'ammontare) ed esigibile (per eventuale condizione sospensiva già avveratasi o termine scaduto); decorso un anno dalla notificazione della cartella, ex art.50, cc. 2 e 3, d.P.R. 602/1973, segue l'avviso di intimazione ad adempiere al pagamento entro cinque giorni, decorsi inutilmente i quali, il creditore può procedere in executivis ex art. 480 c.p.c.. L'avviso di intimazione ad adempiere cessa di efficacia dopo 180 giorni dalla notifica. L'art. 49, c.2, d.P.R. 602/1973 prevede che «il procedimento di espropriazione forzata tributario è regolato dalle norme ordinarie applicabili in rapporto al bene oggetto di esecuzione, in quanto non derogate dalle disposizioni del presente capo e con esso compatibili...»; la deroga fondamentale consiste nell'attribuire all'Agente della riscossione l'iniziativa autoritativa e la gestione diretta dell'esecuzione forzata tributaria, svincolandola dall'intervento dell'Ufficiale giudiziario e del Giudice dell'esecuzione. Tuttavia, il contribuente esecutato -ex art. 617 c.p.c.- può rivolgersi al Giudice dell'esecuzione per l'opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell'art. 57, c.1, lett. b), d.P.R. 602/1973, sia eccependo i vizi propri della procedura, sia quelli derivati dagli atti presupposti. (Cfr. Cass. civ., Sez. III, 7 maggio 2015 n. 9246). |