I file informatici sono suscettibili di appropriazione: la Suprema Corte ci spiega perchè
27 Aprile 2020
Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Seconda Penale, con la sentenza n. 11959/20, depositata il giorno 10 aprile.
Il colpo di spugna: oggi si direbbe “resettare”. I lettori ci perdoneranno: purtroppo quando si entra nel mondo dell'informatica bisogna imparare a masticarne il linguaggio. E', quest'ultimo, un idioma un po' curioso, frutto dell'imbastardimento di vocaboli italiani con altri anglosassoni. Dalla loro unione impura scaturiscono figli del peccato che farebbero inorridire i puristi dell'Italiano con la “I” maiuscola, ma che inevitabilmente fanno ormai parte del linguaggio parlato. Dicesi “resettare” per indicare il ripristino di un'unità informatica. Ancor meglio dicesi “formattare” per fare riferimento alla cancellazione più o meno irreversibile di tutti i dati contenuti in un supporto di memoria. Nel caso che ci occupa, l'imputato aveva – prima di dimettersi dal suo posto di lavoro - “formattato” il computer aziendale che gli era stato affidato al momento dell'assunzione. Risultato: i dati ivi contenuti sono andati irrimediabilmente persi. Ne venivano rinvenute le copie, però, in un altro computer in suo possesso. Denunciato, veniva condannato in primo grado per appropriazione indebita. Il ricorso per cassazione è principalmente incentrato sulla impossibilità di far rientrare nella nozione legale di “cosa mobile” - oggetto materiale del reato di appropriazione indebita – i file informatici.
Tassatività e determinatezza della fattispecie penale: due baluardi contro l'arbitrio. Davvero notevole la motivazione della sentenza della Suprema Corte, con la quale, prima di affermare, in controtendenza con altro precedente orientamento, che i file possono essere considerati “cose mobili”, si fa larghissimo riferimento a fondamenti concettuali del diritto penale troppo spesso messi da parte nella quotidiana prassi applicativa (per non parlare di quella legislativa). Il problema ermeneutico nasce dalla formulazione della disposizione incriminatrice che, come è noto, punisce l'interversio possessionis operata su denaro o cose mobili altrui. L'unica norma che estende espressamente il significato di “cosa mobile” - tradizionalmente legato a oggetti di cui è possibile la materiale apprensione e il loro spostamento fisico – si rinviene nella fattispecie di furto, laddove si equipara l'energia elettrica e le altre energie aventi valore economico alla cosa mobile tradizionalmente intesa. Come considerare, allora, i file? La domanda non trova risposta nel testo del codice, nato fra l'altro in un momento storico in cui l'informatica era al di là da venire. Il principio di stretta interpretazione del diritto penale e la necessità che la norma venga considerata tassativa e non esemplificativa nell'indicazione delle condotte suscettibili di risposta penale hanno ispirato un certo filone interpretativo che ha negato la “appropriabilità” dei file informatici. Queste decisioni, risalenti a un decennio fa circa, pongono tutte l'accento sul fatto che l'appropriazione non può realizzarsi su di un bene – il file – immateriale.
Una visione approfondita: il file è davvero un bene immateriale? Ecco che, a questo punto, la Suprema Corte entra più a fondo nella questione principale, ossia la qualificazione da attribuire alla res oggetto di appropriazione. Il file, viene detto, è un insieme di informazioni costituito da cifre binarie (0 e 1) suscettibili di occupare uno spazio di memoria. Questo insieme di dati, cioè di informazioni, può anche essere spostato da un supporto ad un altro – si pensi a quando si effettuano le copie di sicurezza su un hard disk mobile – e può essere veicolato attraverso la rete internet. Possiede, quindi, una sua dimensione fisica reale anche se non percettibile con i quattro sensi di cui è dotato l'essere umano. Considerare il file come un'entità reale e non immateriale non è una operazione ermeneutica irrispettosa del principio di tassatività della fattispecie penale: in fin dei conti il giudizio di corrispondenza tra fatto incriminato e norma incriminatrice – nel caso che ci occupa – passa attraverso un'interpretazione assolutamente prevedibile di un dato normativo chiaramente obsoleto, che viene così adeguato alla realtà fenomenica attuale. Allo stesso modo, anche i consociati possono “prevedere” facilmente il contenuto precettivo della norma: il valore, anche patrimoniale, che rivestono certe informazioni contenute nei file costituisce certamente bagaglio conoscitivo di tutti noi.
L'attualizzazione del diritto penale sostanziale e processuale. Il tema è di grande attualità: abbiamo visto che non è sfuggita alla Suprema Corte la necessità di attualizzare il mondo del diritto penale sostanziale alle realtà tecnologiche di tutti i giorni. Non possiamo dire che altrettanta accortezza nel compiere la difficile opera di “sincronizzazione automatica” del sistema normativo con la realtà quotidiana sia stata compiuta sul versante del sistema processuale penale. Prova ne sia l'enorme resistenza al ricorso ordinario alle notifiche a mezzo PEC degli atti processuali di parte: l'emergenza sanitaria sta forse sfibrando questa resistenza, ma è ancora tutto da vedere. (Fonte: www.dirittoegiustizia.it) |