Associazione per delinquere e responsabilità da reato degli enti: è necessaria l'inclusione dei delitti-scopo nel catalogo dei reati presupposto?

Ciro Santoriello
28 Aprile 2020

Si discute in presenza di una associazione a delinquere posta in essere da soggetti che dirigono una struttura aziendale, della necessità, per riconoscere la responsabilità della persona giuridica…
Massima

In tema di responsabilità da reato degli enti, allorché si proceda per il delitto di associazione per delinquere non è necessario, ai fini della sussistenza della colpevolezza della società, che i reati scopo dell'associazione rientrino fra quelli richiamati dagli artt. 24 ss. d.lgs. n. 231 del 2001, potendosi individuare un vantaggio patrimoniale derivante ex se dal reato associativo, suscettibile di essere oggetto di ablazione anche qualora i delitti-scopo non siano inclusi nei reati-presupposto.

Il caso

In sede di merito, una società veniva ritenuta colpevole dell'illecito amministrativo di cui all'art. 24-ter d.lgs. n. 231 del 2001 in relazione ad un'associazione a delinquere posta in essere da alcuni componenti del suo Consiglio di Amministrazione per la realizzazione di una pluralità di illeciti fiscali, e, riconosciuta l'attenuante di cui all'art. 12, comma 2, lett. b), d.lgs. 231/2001, condannata alla sanzione pecuniaria.

In sede di ricorso per cassazione, la difesa dell'ente, per quanto di interesse in questa sede, lamentava che i giudici a quo avrebbero errato nell'affrontare la questione circa l'inclusione o meno nel catalogo dei "reati presupposto" anche dei c.d. reati scopo, propri dell'associazione per delinquere, allorquando essi siano diversi da quelli indicati dal medesimo testo legislativo, trascurando la portata non solo letterale della rubrica del citato art. 24-ter, ma eludendo anche l'esegesi sulla potenzialità applicativa dell'art. 416 c.p., il quale consente di qualificare come reati associativi anche quelle societas sceleris protese a realizzare c.d. reati nani, ossia illeciti meno gravi e distanti da quelli sui quali la ratio punitiva delle persone giuridiche sarebbe fondata.

La sentenza impugnata inoltre avrebbe utilizzato l'ubi tacuit per rigettare gli argomenti difensivi sull'ampliamento "in maniera del tutto indefinita" del novero dei delitti che sarebbe operato dall'art. 24-ter con il rinvio "a carattere aperto a qualsivoglia reato-fine dell'associazione a delinquere".

Secondo la difesa invece si sarebbe dovuta adottare una stretta interpretazione della norma, dovendosi fare riferimento esclusivamente alle fattispecie concrete configuranti i delitti-scopo della societas riconducibili al contempo a quelli elencati nella sezione III del capo I del d.lgs. n. 231/2001. Una interpretazione meramente letterale dell'art. 24-ter secondo la difesa condurrebbe ad includere qualsivoglia delitto, ancorché estraneo al c.d. catalogo dei delitti-presupposto con vulnus del canone di tassatività e determinatezza.

Inoltre, la motivazione della sentenza sarebbe manifestamente irragionevole in quanto sottoporrebbe al medesimo trattamento giuridico e sanzionatorio fatti delittuosi di diversa gravità, senza alcuna giustificazione razionale ed imporrebbe a ciascuna persona giuridica il ruolo di tutela preventiva di una legalità così estesa ed indeterminata da coincidere con la funzione dei precetti giuridici del neminem laedere e dell'honeste vivere, il che contrasterebbe con i principi di legalità, tassatività e determinatezza della fattispecie penale, dilatando così oltre ogni ragionevole misura i compiti, gli oneri e gli obblighi che debbono essere adempiuti a proposito di realizzazione di modelli di organizzazione dell'ente.

La proposta dei ricorrenti è dunque quella di interpretare l'art. 24-ter escludendo che tale norma richiami qualsivoglia delitto-scopo e imponendo piuttosto che il programma finalistico dell'associazione per delinquere abbia ad oggetto esclusivamente uno o più delitti elencati nella Sez. III, Capo I, del d.lgs. n. 231/2001.

Sempre in quest'ottica nel ricorso per cassazione si denuncia il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 2 e 5 d.lgs. n. 231/2001, laddove il vantaggio ascritto all'ente è fatto derivare da reati-fine estranei al numerus clausus del medesimo testo legislativo con conseguente illegittimità della confisca. In sintesi, i giudici di merito avrebbero individuato il vantaggio di cui all'art. 5 d.lgs. n. 231/2001 in relazione ai reati-fine dell'illecito associativo, il che configurerebbe una violazione dell'art. 24-ter del medesimo decreto, essendosi fatto riferimento a delitti estranei da quelli indicati dal legislatore come presupposto della responsabilità della persona giuridica. Vi sarebbe sul punto una contraddizione interna alla sentenza, tenuto conto che l'affermazione dell'autonomia dell'art. 416 c.p. non si concilierebbe con il contestuale rimando ai reati-fine, rinvenendo in questi una componente della responsabilità dell'ente (il vantaggio) altrimenti non configurabile, fondando la responsabilità dell'ente su reati non previsti tra quelli presupposto, recuperandoli indirettamente, ai fini dell'individuazione del profitto confiscabile, in ragione del loro carattere di delitti-scopo del reato associativo. D'altronde, l'art. 2 d.lgs. n. 231/2001 impone di limitare la confisca al solo profitto derivante dalla commissione di reati ricompresi nell'elenco predisposto dal legislatore, dovendosi individuare nell'art.416 c.p. un reato suscettibile di generare un profitto autonomo e proprio, ma la giurisprudenza ha riconosciuta alla sola associazione mafiosa l'autonoma idoneità di generare ricchezza illecita a prescindere dalla realizzazione di specifici delitti, rientrando tra gli scopi della stessa anche quello di trarre profitti da attività lecite per mezzo del metodo mafioso, mentre tale capacità è dunque stata esclusa per l'associazione semplice.

La questione

La sentenza interviene su un tema, quello della responsabilità da reato delle società per il delitto di associazione a delinquere in relazione all'ipotesi in cui gli organi di vertice dell'ente partecipino ad una associazione a delinquere, già oggetto di diverse pronunce di legittimità. In particolare, si discute in presenza di una associazione a delinquere posta in essere da soggetti che dirigono una struttura aziendale, della necessità, per riconoscere la responsabilità della persona giuridica, che i cd. reati scopo per la cui realizzazione l'associazione criminosa risultava costituita fossero o meno inclusi nel novero dei cd. reati presupposto di cui al d.lgs. n. 231 del 2001.

Come accennato, il profilo è stato già esaminato dalla giurisprudenza della Cassazione che è pervenuta a una risposta negativa asserendo che non può riscontrarsi una responsabilità della società in caso di reati scopo non rientranti fra quelli presupposto, (Cass. pen., Sez. VI, 20 dicembre 2013, n. 3635, secondo cui “in tema di responsabilità da reato degli enti, allorché si proceda per il delitto di associazione per delinquere e per reati non previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, la rilevanza di questi ultimi non può essere indirettamente recuperata, ai fini della individuazione del profitto confiscabile, per il loro carattere di delitti scopo del reato associativo contestato”.

Il fondamento di tale posizione è stato individuato in due ordini di ragioni:

1) il reato di associazione a delinquere è un reato-mezzo autonomo rispetto agli illeciti che la societas sceleris si propone di realizzare, integrandosi la fattispecie al momento della creazione di una organizzazione (di persone e di mezzi) idonea alla concretizzazione del programma criminoso, violandosi la disposizione penale anche ove i sodali non abbiano ancora posto in essere alcun reato-fine. La consumazione del delitto avviene pertanto a prescindere dall'esecuzione concreta degli illeciti programmati;

2) l'art. 2 d.lgs. n. 231/2001 prevede che l'ente non possa essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa, in relazione a quel reato, non è prevista espressamente da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto illecito. Pertanto, l'ente potrà essere imputato per il reato di cui all'art. 416 c.p. qualora vi sia per lo stesso una concomitante imputazione per reati-fine rientranti nel novero di quelli previsti dal suddetto decreto; diversamente l'autore-persona fisica dovrà rispondere per tutti gli illeciti al medesimo imputati, mentre la persona giuridica potrà vedersi contestati solo quelli ricompresi nella elencazione tassativa del d.lgs. n.231/2001.

Secondo la dottrina tuttavia tale conclusione ermeneutica delle Corte sarebbe stata successivamente "aggirata" dalla giurisprudenza mediante la individuazione nel vantaggio conseguito mediante la realizzazione dei reati-fine del profitto confiscabile a carico dell'ente: la "via patrimoniale" avrebbe pertanto consentito di ricondurre in capo alla persona giuridica le conseguenze penali anche di illeciti non inclusi nella "lista nera".

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso è stato rigettato.

La sentenza – pur riconoscendo che l'introduzione del reato di associazione a delinquere fra i reati presupposto della responsabilità da reato delle società ha sollevato alcune perplessità in ordine alla sua compatibilità con il principio di tassatività di cui all'art. 2 del medesimo decreto legislativo oltre alle problematicità che deriverebbero e connesse alla costruzione del Modello di cui al medesimo decreto da parte dell'ente, soprattutto con riferimento alla fase del risk assessment, dovendo in teoria considerare qualsiasi reato-fine suscettibile di essere incluso nel programma criminoso dell'associazione, con la conseguenza di una pressoché impossibile mappatura dei rischi – ritiene infondate le osservazioni della difesa sulla base di un'argomentazione tutta incentrata sulla circostanza che anche il delitto di associazione a delinquere è reato capace di produrre autonomamente, a prescindere cioè dalla commissione dei reati scopo, un profitto in capo agli aderenti.

Il punto centrale della decisione è infatti rappresentato dalla considerazione che, sotto un profilo patrimoniale, il delitto di associazione a delinquere presenta una sua autonomia rispetto ai reati fine, tenuto conto che è il combinato disposto degli artt. 24-terd.lgs. n. 231/2001 e 416 c.p. a determinare la permeabilità della situazione patrimoniale dell'ente all'attingimento dei reati-fine attraverso il filtro della formula associativa, sia su quello sostanziale, in quanto l'ente risponde non già dei reati-fine, ma delle "proiezioni patrimoniali" del programma criminoso, venendo gli illeciti avvinti dal vincolo associativo. In sostanza, secondo la Cassazione, la possibilità di chiamare la società a rispondere per il reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di illeciti non rientranti fra i reati presupposto è giustificata in ragione del fatto che dal solo reato associativo l'ente trae un profitto illecito che deve essere sottratto a mezzo di confisca secondo quanto previsto dall'art. 19 d.lgs. n. 231/2001.

Il punto di partenza per giungere ad attribuire all'ente il conseguimento di un profitto a partire dall'illecito associativo, è rappresentato dalla considerazione che il profitto del reato di associazione per delinquere, sequestrabile ai fini della successiva confisca per equivalente, è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall'insieme dei reati-fine, dai quali è del tutto autonomo e la cui effettiva realizzazione è agevolata dall'organizzazione criminale. Pertanto, a prescindere dal fatto che i reati-fine producano di per sé vantaggi (e siano o meno inseriti nell'elenco di cui agli artt. 24 ss. d.lgs. n. 231 del 2001), l'interprete deve porre l'accento sul reato nel suo "complesso", concentrandosi sull'associazione, la quale manifesta una capacità produttiva di profitto proiettata ad oltrepassare il singolo reato-fine, con accresciuta potenzialità di vantaggio (Cass., Sez. III, 4 marzo 2015, n. 26725: "il delitto di associazione per delinquere è idoneo a generare un profitto, che è sequestrabile ai fini della successiva confisca per equivalente ... in via del tutto autonoma rispetto a quello prodotto dai reati fine, e che è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall'insieme di questi ultimi, siano essi attribuibili ad uno o più associati, anche non identificati, posto che l'istituzione della societas sceleris è funzionale alla ripartizione degli utili derivanti dalla realizzazione del programma criminoso"). I partecipi agiscono nella consapevolezza che le attività sono volte alla realizzazione del comune programma criminale e dei profitti che ne derivano, e dunque dei vantaggi che l'associazione otterrà concretamente e periodicamente in maniera duratura e permanente, anche e soprattutto attraverso la consumazione dei reati programmati, potendosi sempre distinguere quanto ottenuto dal sodale mediante la realizzazione del reato-fine e quanto al medesimo deriva dalla qualità stessa di partecipe all'associazione a delinquere (Cass., Sez. II, 20 gennaio 2015, n. 6507, che ha confermato la legittimità della confisca per equivalente di somme non coincidenti con quelle riferibili ai reati-fine di natura fiscale, erogate ad una società posseduta dall'indagato, a sua volta chiamato a rispondere di partecipazione ad un'associazione per delinquere transazionale fina- lizzata alla commissione di detti reati, affermando che "il delitto di associazione per delinquere può essere considerato in sé idoneo a generare profitto illecito - come tale suscettibile di confisca in via del tutto autonoma da quello conseguito dai reati-fine perpetrati in esecuzione del programma criminoso - con riferimento alle utilità percepite dagli associati per il contributo da essi prestato per assicurare il regolare funzionamento del sodalizio").

Da qui la considerazione che anche in ipotesi di reato associativo è applicabile la confisca di quanto alla medesima societas derivi per il tramite dei reati fine: nelle parole della decisione, “sono i singoli reati a monte a generare materialmente le entrate, ma queste si fanno profitto divisibile solo per il tramite della sovrastruttura costituita dall'associazione per delinquere. Il necessario passaggio dalle casse dell'associazione e dalle decisioni dei suoi vertici rende dunque il profitto dei reati-fine il profitto proprio dell'associazione. In quest'ottica, deve ritenersi che in caso di contestazione del delitto di cui all'art. 24-ter d.lgs. n. 231 del 2001 l'ente risponde nel caso di specie non per i reati-fine (e quindi non rileva se questi siano o meno inclusi in quelli costituenti il presupposto della responsabilità amministrativa da reato), bensì del reato associativo, espressamente previsto all'art. 24-ter citato, mentre la realizzazione del programma criminoso, e dunque degli illeciti effettivamente posti in essere, viene in rilievo non al fine di valutare la responsabilità della persona giuridica per ciascuno di essi, ma solo nei limiti in cui i medesimi abbiano apportato un vantaggio patrimoniale alla societas sceleris e, dunque, possano consentire di individuare il profitto conseguito ai fini della confisca”.

Osservazioni

La sentenza della Cassazione in commento supera il precedente orientamento della giurisprudenza in tema di necessità, per contestare alla società la violazione dell'art. 24-ter d.lgs. n. 231 del 2001 che i cd. reati scopo per la cui realizzazione l'associazione criminosa risulti costituita siano o meno inclusi nel novero dei cd. reati presupposto di cui al d.lgs. n. 231 del 2001.

Il revirement è giustificato richiamando la giurisprudenza in tema di profitto ricavato del responsabile mediante la partecipazione ad una associazione criminosa. In proposito, si ricorda che secondo la giurisprudenza il delitto di associazione per delinquere è idoneo a generare un profitto, che è sequestrabile ai fini della successiva confisca per equivalente - nei casi previsti dalla legge - in via del tutto autonoma rispetto a quello prodotto dai reati fine, e che è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall'insieme di questi ultimi, siano essi attribuibili ad uno o più associati, anche non identificati, posto che l'istituzione della societas sceleris è funzionale alla ripartizione degli utili derivanti dalla realizzazione del programma criminoso (Cass., sez. III, 4 marzo 2015, n. 26721; Cass., sez. V, 25 febbraio 2016, n. 15205. In dottrina può leggersi, ROSSI, Sequestro e confisca dei profitti generati dal delitto di associazione per delinquere: autonomi rispetto a quelli prodotti dai reati-fine, in Cass. Pen., 2016, 584 e BELTRANI, Il profitto confiscabile all'ente del delitto di associazione per delinquere, in questa Rivista, 1-2017, 201).

Secondo la pronuncia in parola, da tale giurisprudenza può ricavarsi l'asserzione secondo cui l'associazione manifesta una capacità produttiva di profitto proiettata ad oltrepassare il singolo reato-fine, con accresciuta potenzialità di vantaggio e ciò consente di individuare un vantaggio patrimoniale derivante ex se dal reato associativo, suscettibile di essere oggetto di ablazione anche qualora i delitti-scopo non siano inclusi nei reati-presupposto. In sostanza, il combinato disposto degli artt. 24-terd.lgs. n. 231/2001 e 416 c.p. determinerebbe “la permeabilità della situazione patrimoniale dell'ente all'attingimento dei reati-fine attraverso il filtro della formula associativa, sia su quello sostanziale, in quanto l'ente risponde non già dei reati-fine, ma delle "proiezioni patrimoniali" del programma criminoso, venendo gli illeciti avvinti dal vincolo associativo”.

A breve commento di questa decisione va evidenziato, in primo luogo, che le argomentazioni della Cassazione, se possono giustificare l'applicazione alla società della sanzione della confisca e ciò in ragione del fatto che il dettame degli artt. 19 e 6, comma 5, prevedono che in ogni caso – anche quando l'ente non è responsabile del reato da cui comunque ha tratto il profitto – l'ablazione del vantaggio economico indebitamente ottenuto dalla società, non altrettanta forza le stesse motivazioni hanno con riferimento alla possibilità di applicare alla società coinvolta in un'associazione a delinquere – i cui reati scopo non rientrano in quelli indicati dagli artt. 24 ss. d.lgs. n. 231 del 2001 – le sanzioni pecuniarie (che sono invece state applicate nel caso di specie). In sostanza, non si comprende se con la argomentazione sopra esposta la Cassazione ha inteso evidenziare come la costituzione di una associazione a delinquere determini in capo ai partecipanti (ed alle società di cui gli stessi eventualmente facciano parte) il maturare di un profitto, il quale va quindi confiscato e tale ablazione deve riguardare anche le persone giuridiche interessate in ogni caso, a prescindere dalla natura dei reati scopo ovvero se, ma in questo caso forse sarebbe stato meglio esplicitare con più ampiezza il concetto, la circostanza che la società ricava un profitto dalla sola appartenenza ad una societas criminale è sufficiente per attribuire in capo alla stessa la responsabilità per l'illecito di cui all'art. 24-ter d.lgs. n. 231 del 2001, a prescindere dalla natura dei reati scopo.

In ogni caso, per il futuro è da ritenere che la tematica perderà di attualità. Infatti, di frequente – ed anche nella vicenda definita dalla decisione in commento – la contestazione del reato di associazione a delinquere era funzionale a coinvolgere la società in vicende attinenti reati fiscali, i quali, come è noto, non erano, a differenza del delitto di cui all'art. 416 c.p., inseriti nei reati presupposto (TARTAGLIA POLCINI, L'inserimento dei delitti tributari nel catalogo dei reati presupposto per la responsabilità degli enti, in questa Rivista, 2 – 2019, 7). Dopo la recente riforma ovviamente questa considerazione non è più attuale.

Guida all'approfondimento

Note a Cass. pen., Sez. VI, 20 dicembre 2013, n. 3635:

PIERGALLINI, Responsabilità dell'ente e pena patrimoniale: la Cassazione fa opera nomofilattica, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2014, 988; SILVESTRI, Questioni aperte in tema di profitto confiscabile nei confronti degli enti: la configurabilità dei risparmi di spesa, la individuazione del profitto derivante dal reato associativo, in Cass. Pen., 2014, 1538; CORSO, Il sequestro/confisca agli enti del profitto del reato tributario, in Corr. Trib., 2014, 922; BELTRANI, Responsabilità degli enti da associazione per delinquere (art. 416 c.p.): una (non condivisibile) decisione di grande rilievo, in Riv. Resp. Amm. Enti, 3-2014, 215; CARBONE – ORZALESI, Il principio di tassatività in materia di responsabilità amministrativa degli enti con riferimento ai reati fine del delitto di associazione per delinquere. Commento ad una recente sentenza della Suprema Corte e ricadute applicative ai fini della costruzione dei Modelli organizzativi, ibidem, 147).

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