L'impatto del decreto legge “Cura Italia” sulle controversie individuali di lavoro e previdenziali: in particolare la “trattazione scritta ”

Luigi Pazienza
28 Aprile 2020

Il presente lavoro si pone lo scopo di esaminare l'impatto dell'emergenza epidemiologica derivante dal coronavirus sul servizio giustizia ed in particolare sul processo del lavoro alla stregua del d.l. 8 marzo 2020, n. 11, del successivo d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “Cura Italia”) e del recentissimo d.l. 8 aprile 2020 n. 23 (art. 36).
Premessa metodologica

Il presente lavoro si pone lo scopo di esaminare l'impatto dell'emergenza epidemiologica derivante dal coronavirus sul servizio giustizia ed in particolare sul processo del lavoro alla stregua del d.l. 8 marzo 2020, n. 11, del successivo d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “Cura Italia”) e del recentissimo d.l. 8 aprile 2020 n. 23 (art. 36).

Balza subito agli occhi la circostanza che in alcuno dei provvedimenti normativi citati è presente una previsione che riguardi le controversie individuali di lavoro ed il processo del lavoro.

Appare pertanto auspicabile una opzione interpretativa che non comporti una disapplicazione implicita delle norme emergenziali ogni qual volta si rilevi una incompatibilità della disposizione normativa con l'impianto codicistico del processo del lavoro. Se il legislatore, in modo poco condivisibile data la peculiarità del rito del lavoro in termini di oralità e di speditezza della procedura, ha introdotto una disciplina strutturata secondo il binomio processi civili-processi penali, occorre applicare tout court la disciplina d'urgenza relativa ai procedimenti civili cercando, nei limiti delle possibilità concesse dalla norma, gli opportuni adattamenti. Pur essendo il rito del lavoro un rito speciale, in questa ipotesi per una precisa scelta del legislatore la specialità del rito si assottiglia in nome del carattere emergenziale della legislazione d'urgenza. In sostanza l'interprete dovrà adattare il rito del lavoro al c.d. rito dell'emergenza disapplicando soprattutto tutte quelle disposizioni processuali concepite con particolare riferimento al principio della oralità.

I procedimenti urgenti

Le norme emergenziali prevedono un determinato periodo tra il 9 marzo e il 15 aprile 2020, periodo prolungato sino al 11 maggio 2020, in cui tutte le udienze, con la eccezione dei procedimenti urgenti vengono rinviate d'ufficio e tutti i termini processuali sono sospesi (art. 83, commi 1 e 2, d.l. 18/2020) ed un ulteriore periodo tra il 12 maggio e il 30 giugno 2020 (originariamente il 31 maggio), in cui viene attribuito ai capi degli uffici giudiziari un ampio ventaglio di possibilità di strumenti derogatori all'impianto processuale nella gestione delle udienze (art. 83, comma 6, d.l. 18/2020).

La normativa in esame pone numerose questioni interpretative.

I rinvii automatici previsti ex lege nel periodo cuscinetto e quelli determinati dai capi ufficio nel periodo 16 aprile (poi 12 maggio)-30 giugno, nonché la sospensione dei termini non operano in relazione ai procedimenti “urgenti” indicati nell'art. 83, comma 3, d.l.n. 18/2020 .

Stupisce sicuramente la assenza di alcuna previsione in termini di tipizzazione espressa dei procedimenti lavoristici caratterizzati dalla indifferibilità se si pensa che in alcuni tribunali le controversie individuali di lavoro e le cause previdenziali e/o assistenziali rappresentano di gran lunga il contenzioso pendente più cospicuo. Ad esempio non si comprende affatto la ratio di un legislatore che riconosce la urgenza ex lege delle controversie civili in materia di alimenti e di procedimenti di adozione dimenticando del tutto in particolare le controversie assistenziali, ossia le cause in materia di indennità di accompagnamento, assegni e pensioni di invalidità: si tratta di prestazioni che vengono riconosciute, all'esito di un procedimento rapido per accertamento tecnico preventivo, a soggetti bisognosi di assistenza continuativa e soprattutto a soggetti caratterizzati da patologie fortemente invalidanti. Peraltro, una calibrata tipizzazione delle stesse avrebbe evitato una diversità di provvedimenti giudiziali in termini di valutazione in concreto del requisito della urgenza che saranno verosimilmente presenti nelle prossime settimane sul territorio nazionale.

Il testo comprende alcune fattispecie tipiche non riconducibili al contenzioso lavoristico e due categorie generali: i «procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona», per i quali l'esclusione delle sospensione dei termini e dei rinvii d'udienza opera automaticamente ex lege ed i «procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti», per i quali invece l'esclusione opera solo sulla base di una espressa dichiarazione d'urgenza fatta dal capo dell'ufficio giudiziario o dal giudice, con provvedimento non impugnabile.

Ed allora occorre capire quali procedimenti, in materia di lavoro e previdenza, possono rientrare in queste due ipotesi derogatorie.

Considerato che il diritto al lavoro rappresenta sicuramente un diritto fondamentale della persona, appare difficile allo stato prevedere delle ipotesi di ricorsi cautelari caratterizzati da una urgenza ex lege, in quanto i ricorsi in materia di licenziamento per gli assunti in data antecedente al 7 marzo 2015 devono essere presentati necessariamente con il rito Fornero (rito sommario ma non cautelare), mentre per quelli assunti in data successiva al 7 marzo 2015 è previsto il ricorso ex art. 414 c.p.c.: quindi solo in questa ultima ipotesi è ammissibile un ricorso ex art. 700 c.p.c. da parte del lavoratore che rivendica una reintegrazione in forza della applicazione della tutela reale. Tuttavia, occorre sempre valutare nel caso concreto la sussistenza di un pregiudizio irreparabile che è poi il presupposto di ammissibilità del ricorso ex art. 700 c.p.c.: in sintesi la locuzione normativa non elide del tutto una valutazione in concreto da parte del Giudice. Infatti, non avrebbe alcun senso trattare un procedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. in materia di trasferimento individuale o licenziamento se lo stesso difetta del tutto della prova del pregiudizio irreparabile. In materia di tutela dei diritti fondamentali della persona si possono far rientrare tutti quei procedimenti nei quali si controverte ad esempio sulla tutela della salute sul posto di lavoro. Recentemente il Tribunale di Firenze con decreto cautelare del 2 aprile 2020 ha applicato l'istituto della udienza figurata nella ipotesi di un ricorso cautelare proposto da un rider nei confronti di una nota società che gestisce piattaforme informatiche nell'ambito della distribuzione di cibo a domicilio.

Inoltre si potrebbe ipotizzare la urgenza ex lege in alcuni procedimenti lavoristici modellati sulla base del procedimento cautelare come nella ipotesi della repressione della condotta antisindacale, ove connessa a “diritti fondamentali” della persona: si pensi alle violazioni delle procedure in materia di licenziamenti collettivi

L'urgenza presupposta dal “grave pregiudizio” potrebbe ravvisarsi, invece, in tutti i procedimenti (anche in quelli cautelari non aventi ad oggetto prospettive di tutela di diritti fondamentali della persona) in cui si controverta del diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro ( licenziamenti con tutela reale e/o riammissione in servizio nell' ambito dei contratti a termine) in quelle ipotesi in cui il lavoratore non abbia reperito alcuna altra occupazione o non disponga di tutele previdenziali, come nel caso in cui appare vicina la fine dei trattamenti di disoccupazione ovvero in caso di estromissione di collaboratori formalmente autonomi o irregolari che, in quanto tali, sono privi di copertura previdenziale, oppure nelle ipotesi di opposizioni a decreti ingiuntivi, cartelle esattoriali o avvisi di addebito nelle quali ditte individuali o società di persone o di capitali reclamano la trattazione immediata di istanze di sospensione in ragione di comprovati pericoli di danno alla capacità imprenditoriale delle proprie imprese.

È stato sostenuto, in relazione all'urgenza prevista ex lege per i procedimenti cautelari, che anche il rito Fornero, pur non potendosi qualificare tecnicamente come procedimento cautelare, presenta le ragioni poste a fondamento della eccezione alla previsione del rinvio e che, quindi, le relative udienze della fase sommaria non possano essere differite. Appare preferibile l'opinione di chi ritiene che tali procedimenti siano da annoverare nell'ambito dei casi di urgenza ope iudicis occorrendo quindi un provvedimento del giudice. Del resto, non sarebbe ammissibile una disparità di trattamento processuale tra le domande di reintegrazione promosse con il rito Fornero e quelle promosse con ricorso ex art. 414 c.p.c. dai lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015.

Il giudice deve quindi individuare caso per caso quali procedimenti possono essere rinviati. E' indubbio che il disposto normativo rimanda ad un potere officioso del Giudice che deve verificare la sussistenza del “grave pregiudizio” ex ante sulla base delle allegazioni contenute negli atti giudiziali e della documentazione prodotta, grave pregiudizio che sicuramente si atteggia come un minus rispetto al pregiudizio irreparabile che rappresenta il presupposto di ammissibilità del procedimento cautelare: la gravità del danno si connota in termini decisamente più sfumati rispetto al concetto di irreparabilità. Tuttavia nulla vieta che la parte interessata ( e forse sarebbe auspicabile soprattutto perché le norme emergenziali sono sopravvenute rispetto alla data di instaurazione delle varie controversie) possa depositare una istanza di trattazione immediata della causa allegando e provando la sussistenza di un danno grave derivante dal rinvio. È evidente che un lavoratore privo di coperture previdenziali e che non ha reperito una adeguata occupazione alternativa oppure un lavoratore che, pur in presenza di un reddito di qualsiasi tipo, riesce a dimostrare, soprattutto quando ha un nucleo familiare da mantenere, la sussistenza di un grave pregiudizio avrà diritto alla trattazione immediata del proprio procedimento. Ed in questo caso rientrerebbero anche le controversie aventi un contenuto esclusivamente economico quando il lavoratore dimostra una situazione di assoluto bisogno oppure un rischio concreto di insolvenza da parte del datore di lavoro. Meno convincente appare la allegazione in termini di pregiudizio al benessere psico-fisico, dal momento che tale profilo implicherebbe una valutazione di carattere medico-legale difficile da effettuare in modo approfondito senza la instaurazione di un adeguato contraddittorio.

La “udienza figurata”

Come già evidenziato, il potere del capo dell'ufficio in merito allo svolgimento delle udienze riservato dal codice di procedura civile al magistrato ovvero al presidente del collegio riguarda sia la possibilità di disciplinarne il rinvio, sia la possibilità di disciplinarne le modalità di svolgimento e partecipazione.

L'art. 83 D.L. n. 18/2020, comma 7, lettera g) consente al dirigente «la previsione del rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020 nei procedimenti civili e penali». La lettera d) attribuisce al capo dell'ufficio «l'adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze”. La lettera e) consente «la celebrazione a porte chiuse…ai sensi dell'articolo 128 del codice di procedura civile, delle udienze civili pubbliche». La lettera f) disciplina «la previsione dello svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Lo svolgimento dell'udienza deve in ogni caso avvenire con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione delle parti. Prima dell'udienza il giudice fa comunicare ai procuratori delle parti ed al pubblico ministero, se è prevista la sua partecipazione, giorno, ora e modalità di collegamento. All'udienza il giudice dà atto a verbale delle modalità con cui si accerta dell'identità dei soggetti partecipanti e, ove trattasi di parti, della loro libera volontà. Di tutte le ulteriori operazioni è dato atto nel processo verbale».

La lettera h) consente «lo svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice».

La modalità di svolgimento dell'udienza che appare più rilevante è quella che consente al Giudice di tenere un'udienza figurata con partecipazione in forma scritta delle parti a mezzo dei soli difensori (lettera h). Laddove non sussistano i presupposti per ricorrere a questa modalità, ovvero sia necessaria la presenza sia di parti che di difensori, rileva lo strumento della partecipazione da remoto (lettera f). Nel caso in cui non sussistano le condizioni per l'utilizzo delle due modalità, l'udienza segue il modello codicistico con la possibilità di escluderne la pubblicità e di prevedere in modo specifico l'orario e le modalità di trattazione (lettere d-e). Dalla lettura delle disposizioni normative si evince la possibilità per il capo dell'ufficio di prevedere una combinazione delle varie possibilità.

In linea generale e partendo dall'esame del rito ordinario, va ricordato che la trattazione della causa richiede la comparizione delle parti. L'art. 181 c.p.c. indica che la comparizione si concretizza nella presenza effettiva all'udienza della parte costituita, a mezzo di difensore. La presenza del procuratore è espressione dell'onere di partecipazione all'udienza, per la trattazione della causa, il cui riferimento normativo è nell'art. 176, comma 2, c.p.c. L'art. 180 c.p.c. statuisce che la trattazione della causa è orale. Per trattazione il codice intende tutta l'attività che conduce al giudizio, dalla prima udienza sino a quella di precisazione delle conclusioni, ad esclusione della eventuale fase istruttoria.

Nel sistema codicistico, l'onere della partecipazione all'udienza è soddisfatto con la comparizione reale della parte

La lettera h) rappresenta una radicale innovazione di tale impianto, in quanto l'onere della partecipazione può essere soddisfatto con una trattazione della causa in forma scritta. A tal fine assume una peculiare importanza l'art. 83-bis disp. att. c.p.c., secondo cui il giudice «quando autorizza la trattazione scritta della causa, a norma dell'articolo 180 primo comma del codice può stabilire quale delle parti deve comunicare per prima la propria comparsa, ed il termine entro il quale l'altra parte deve rispondere».

Stante la totale assenza nel decreto legge di riferimenti al rito del lavoro, si pone il problema della applicabilità di tali disposizioni alle controversie individuali di lavoro. Occorre ricordare che il rito del lavoro è informato ai principi di oralità, concentrazione ed immediatezza. Considerando che ciascuna udienza dovrebbe essere preceduta dalle note dei procuratori delle parti con le rispettive richieste, si potrebbe pensare che l'istituto della udienza figurativa sia totalmente incompatibile con il rito del lavoro. Tuttavia tale tesi non convince perché porterebbe alla conclusione che per le controversie di lavoro rimarrebbe l'alternativa tra la udienza tradizionale, ovviamente con le opportune precauzioni ( opzione alquanto remota dato il persistere di una situazione epidemiologica grave) e la udienza video che presenta allo stato diverse criticità soprattutto sotto il profilo logistico-funzionale in termini di tutela della riservatezza e della assenza di una adeguata e pronta assistenza nelle ipotesi di problematiche tecniche afferenti la piattaforma telematica durante lo svolgimento delle udienze. Peraltro, va ricordato che il principio della oralità non assurge al rango di canone costituzionale: quindi, tenendo anche conto del passaggio al Giudice del lavoro di tutte le controversie di pubblico impiego che presentano un connotato prevalentemente discorsivo e tecnico-giuridico e delle cause previdenziali, si può ben ipotizzare che la trattazione scritta potrà avere una discreta possibilità di successo.

Ed allora occorre ragionare nel senso della ricerca degli elementi di compatibilità del rito emergenziale con il rito del lavoro. Considerata la assenza della previsione di riferimenti al rito del lavoro e ritenuto che si tratta di un rito speciale rispondente alla situazione eccezionale creatasi a causa dell'epidemia da coronavirus, non vi è alcun dubbio che la udienza figurata sarà applicata anche alle controversie individuali di lavoro ed alle controversie previdenziali. Il criterio ermeneutico che dovrà seguire l'interprete sarà quello della elisione di tutte quelle disposizioni codicistiche ancorate al profilo della oralità.

Sicuramente le udienze escluse dalla possibilità di partecipazione scritta sono le udienze di escussione dei testimoni e di espletamento dell'interrogatorio formale; le udienze di giuramento del CTU, quelle in cui il CTU comunque interviene su disposizione del giudice ai sensi dell'art. 197 c.p.c. e comunque tutte quelle udienze che necessitino, ex lege o per ordine del giudice, la partecipazione di soggetti ulteriori rispetto ai difensori della parti muniti di valida procura ad litem.

Secondo la quasi maggioranza degli interpreti sarebbe esclusa la udienza per il tentativo di conciliazione. Tale tesi, tuttavia, non appare condivisibile, in quanto, su sollecitazione del Giudice con il decreto che dispone la applicazione dell'istituto della udienza figurata, i procuratori delle parti, muniti di apposita procura speciale ex art. 185 c.p.c., possono con le note scritte precedenti alla prima udienza di comparizione formulare delle proposte conciliative. Il Giudice con specifico provvedimento ai sensi dell'art. 185-bisc.p.c. formulerà, nella ipotesi di assenza uno spontaneo accordo tra le parti, una sua proposta conciliativa rinviando la causa ad una successiva udienza figurata. I procuratori delle parti, in caso di accordo conciliativo potranno sottoscrivere un accordo stragiudiziale ( essendo allo stato e, salvo auspicabili interventi normativi di modifica del codice di rito, irrinunciabile la udienza tradizionale per la sottoscrizione del verbale di conciliazione innanzi al Giudice), chiedendo sempre con note scritte la cessazione della materia del contendere oppure, spiegando le ragioni della mancata accettazione della proposta del Giudice, potranno chiedere la ammissione dei mezzi istruttori oppure la fissazione della udienza per la discussione e la decisione della causa.

Se il o i convenuti non si costituiscono entro il giorno fissato per l'udienza, il giudice provvede a dichiarare la contumacia congiuntamente ai provvedimenti necessari per l'ulteriore corso del giudizio.

Le regole generali per la trattazione scritta

L'attività propria dell'udienza figurata avviene «mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte».

Il legislatore non ha specificato le modalità con le quali deve concretizzarsi questo scambio.

Al fine di attribuire un qualche contenuto a questo riferimento allo “scambio”, si può ritenere che la disposizione inviti il Giudice a concedere alle parti termini sfalsati in modo da garantire una più efficace interlocuzione tra le parti.

Le note devono necessariamente prevedere scritti «contenenti le sole istanze e conclusioni». Nel concetto di istanze possono intendersi incluse ovviamente le domande e le eccezioni. La norma circoscrive il contenuto delle note, vietando così che le stesse possano integrare le allegazioni del ricorso introduttivo del giudizio o della comparsa di risposta.

Sempre nell'ottica ermeneutica di depurare il rito esclusivamente da quelle disposizioni legate al profilo orale nulla impedisce al Giudice, su richiesta delle parti, di concedere ai procuratori ex art. 420 c.p.c. un termine, anche sfalsato, per il deposito di “note conclusionali”. In questo caso con un solo scritto i procuratori avranno la possibilità di prendere posizione su tutte le questioni processuali e di merito della vicenda giudiziale formulando contestualmente le richieste finali al Giudice.

La data di udienza è quella fissata a norma di legge per la prima comparizione o quella giudizialmente stabilita per il rinvio.

Il giudice, prima della data di udienza, con provvedimento d'ufficio, ovvero nel decreto di differimento, oppure nel decreto di fissazione a seguito di assegnazione del ricorso invita le parti al deposito di note scritte congiunte per l'udienza entro un determinato termine prima della stessa, oppure assegna alle parti termini sfalsati per il deposito delle note scritte dispensando ovviamente i procuratori dal partecipare alle udienze. Le parti entro i termini assegnati provvedono al deposito telematico delle note scritte.

Il mancato deposito della nota scritta entro il termine stabilito equivale alla non comparizione: pertanto, qualora nessuna delle parti abbia depositato le note scritte, il Giudice potrà procedere ai sensi dell'art. 181 o 309 c.p.c. al rinvio della causa sempre con note scritte e nella ipotesi di ulteriore mancato deposito di note scritte alla cancellazione della controversia.

Il provvedimento finale del Giudice: dispositivo o sentenza?

Una volta assicurato il deposito delle note scritte, il Giudice emette il provvedimento.

La lettera h) parla di «adozione fuori udienza del provvedimento»: tuttavia si può ritenere che il provvedimento del giudice possa anche avvenire in udienza ossia il giorno stesso fissato per l'udienza alla stregua delle note scritte depositate dalle parti. In via alternativa, il giudice, riservandosi, potrà statuire sulle istanze e sulle eccezioni depositando successivamente alla udienza figurativa il suo provvedimento. Infatti, il provvedimento fuori udienza è sicuramente un provvedimento che sarà depositato successivamente allo svolgimento della udienza figurata. È evidente che il deposito immediato risponde meglio alle esigenze di rapidità del processo decisionale ed è, pertanto, più rispettoso delle caratteristiche del rito del lavoro.

Un rilevante problema interpretativo si pone con riferimento alla locuzione «…successiva adozione fuori udienza del provvedimento» e cioè occorre capire se tale “provvedimento” debba necessariamente essere rappresentato dal dispositivo o dalla sentenza.

Secondo una prima disamina dell'art. 83 lett. h) D.L. 18/2020 non vi sarebbe alcuno spazio per la redazione del dispositivo, in quanto il legislatore impone la “trattazione scritta” e quindi rimanda alla applicazione integrale della disciplina prevista per il settore civile. La tesi della lettura e dell'immediato deposito del dispositivo rappresenterebbe una caratteristica irriducibile del rito del lavoro. Infatti, sia l'art. 429 comma 1 c.p.c.All'udienza, il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione»), sia l'art. 437, comma 1, c.p.c.Nell'udienza il giudice incaricato fa la relazione orale della causa. Il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo nella stessa udienza»), stabiliscono, rispettivamente per il primo grado e per l'appello, che la lettura del dispositivo dopo la discussione è adempimento da svolgersi nell'udienza. Considerato che la lettura in udienza del dispositivo è preclusa dalla disciplina della lettera h), ne consegue che anche la sua materiale redazione, nell'udienza a trattazione scritta, non è prospettabile.

In tale prospettiva si afferma che il provvedimento con cui si dispone la trattazione scritta determina, in ragione della esigenza, motivata dall'emergenza epidemiologica in atto, di sacrificare transitoriamente il principio dell'oralità che informa il processo del lavoro, un implicito, sia pure delimitato temporalmente, mutamento del rito, anche se per ragioni diverse da quelle enunciate nell'art. 427 c.p.c. Tale conclusione sarebbe confermata dall'orientamento giurisprudenziale secondo cui per il passaggio dal rito del lavoro al rito ordinario non è necessario un provvedimento formale (Cfr. Cass. civ., 5 luglio 2019 n. 18048). Diversamente opinando, laddove ci si orientasse per la redazione del dispositivo, si finirebbe secondo questa corrente di pensiero con il forzare il dato letterale dell'art. 83 comma 7 lettera h), norma che intende sostituire all'attività d'udienza la trattazione scritta.

A mio avviso invece occorre sposare una tesi finalizzata a stravolgere il meno possibile il rito del lavoro cercando ovviamente di cogliere nel migliore dei modi la ratio dell'intervento emergenziale che è quella di evitare il più possibile gli spostamenti fisici delle parti e dei difensori. Ed in tale ottica il deposito del dispositivo ovviamente senza la lettura in presenza delle parti, mantenendo il riferimento temporale all'udienza figurata di discussione, consente di armonizzare meglio le disposizioni del rito emergenziale con le peculiarità del processo del lavoro. L'esplicitazione immediata della decisione soddisfa pienamente le esigenze di concentrazione e di definizione rapida del giudizio, che escludono qualsiasi soluzione di continuità tra la discussione della causa e la deliberazione della sentenza. In particolare vi è un chiaro elemento letterale che depone nel senso della ammissibilità della redazione del dispositivo, ossia la utilizzazione da parte dell' art. 83 comma 7 lettera h) della locuzione “provvedimento”: non vi è alcun dubbio che il dispositivo sia un atto pienamente autonomo rispetto alla sentenza sia pur correlato alla stessa, atto che deve essere necessariamente depositato nel corso della udienza. In tal modo il lavoratore vittorioso fruirebbe con immediatezza, nella ipotesi di dispositivo di condanna, del titolo esecutivo e comunque le parti in linea generale verrebbero a conoscenza in tempi rapidi della decisione del Giudice. L'ostacolo rappresentato dalla imperatività della lettura del dispositivo, caratteristica peculiare del rito del lavoro, è agevolmente superato in nome della ratio emergenziale dell'intervento normativo: il rito speciale del lavoro va preservato il più possibile con la ovvia depurazione di tutte quelle norme che richiedono la presenza fisica delle parti nella aula di udienza.

Altra questione che la nuova disciplina pone è quella legata al termine per il deposito del provvedimento da rendersi “fuori udienza”, in quanto la normativa emergenziale sul punto non fornisce alcuna indicazione specifica. La soluzione appare ovviamente differente in relazione alle due impostazioni adottate. Nel caso di deposito del solo dispositivo al termine dell'udienza a trattazione scritta fissata in prima battuta o rifissata occorre richiamare la disciplina degli artt. 429 o 430 c.p.c. Peraltro lo stesso art. 429 c.p.c. va richiamato nella ipotesi di adozione da parte del Giudice della sentenza contestuale. Seguendo invece il diverso indirizzo favorevole al deposito “fuori udienza” della sentenza per esteso, ovviamente va esclusa l'applicazione delle disposizioni citate. In tale prospettiva, si afferma da parte di taluni che la disposizione dell'art. 430 c.p.c., che fa riferimento per il primo grado e per l'appello (cfr. art. 438 comma 1) ad una sentenza da depositarsi entro quindici giorni dalla “pronuncia”, per tale intendendosi quella adottata, appunto, mediante lettura del dispositivo, non sarebbe utilmente richiamabile. Secondo tale orientamento sarebbe più pertinente il rinvio alla disciplina civilistica, e segnatamente all'art. 281-quinquies c.p.c. (per il primo grado) e all'art. 352 c.p.c. (per l'appello), e ai relativi termini, rispettivamente di trenta o sessanta giorni, i quali inizierebbero a decorrere una volta spirati quelli assegnati alle parti per le note scritte a sensi della lettera h). Non sembra, infine, percorribile la strada di considerare, per il deposito della sentenza “fuori udienza”, il termine di dieci giorni previsto per il rito Fornero nella ipotesi di opposizione alla ordinanza emessa nella preliminare fase sommaria. Si tratta, infatti, di sentenza pronunciata dopo l'udienza in un procedimento applicabile alle sole ipotesi di licenziamento previste e disciplinate dall'art. 1, comma 47, legge n. 92/2012.

Conclusioni: un auspicabile ritorno alla imperatività della legge ordinaria

Nel valutare complessivamente l'intervento emergenziale non può non evidenziarsi che l'esigenza di graduazione della disciplina processuale non possa essere demandata alle valutazioni dei dirigenti degli uffici: appare preferibile una disciplina unitaria di carattere nazionale. Non può essere rimessa alle diverse statuizioni locali la scelta di quali tipologie processuali trattare al termine della sospensione dei termini e sino al 30 giugno 2020, in quanto tale opzione implica bilanciamenti tra contrapposti valori di rilievo costituzionale. Occorre allora che il legislatore si assuma la responsabilità politica della disciplina processuale valevole sul territorio nazionale. A tale esito concorrono soprattutto le esigenze di unitarietà dell'ordinamento e di pari trattamento tra i cittadini. Si corre effettivamente il rischio di una parcellizzazione del codice di procedura civile in base ai vari tribunali e corti di appello. Sicuramente è indispensabile rimettere alla discrezionalità dei dirigenti dei singoli uffici giudiziari l'adozione di misure organizzative idonee ad evitare assembramenti e contatti ravvicinati tra le persone, in quanto l'individuazione di soluzioni efficaci dipende dalla quantità e dalla grandezza dei locali disponibili e dal conseguente calcolo del numero di persone che possono accedere contemporaneamente, con le prescritte distanze e senza pericolo, in un determinato palazzo di giustizia. Tuttavia l'attuale delega in bianco conferita ai presidenti, nonché la natura vincolante delle linee guida che gli stessi possono adottare in relazione alle modalità di gestione delle udienze si pongono probabilmente in contrasto con l'art. 3 Cost., dal momento che il livello di tutela giudiziaria è rimesso, senza alcuna uniformità, alle loro decisioni, oltre che al precetto di cui all'art. 101, comma 2, Cost., ai sensi del quale “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”, in una materia che, come stabilito dall'art. 117, comma 2, lett. l) Cost. appartiene alla legislazione esclusiva statale. Risulta, dunque, indispensabile studiare nuove soluzioni ed in primo luogo selezionare con legge ordinaria quelle attività che possono essere svolte in modo uniforme, senza pericolo per la salute, in tutti gli uffici giudiziari dell'intero territorio italiano. Inoltre, considerata la necessità di limitare, quanto più possibile, l'accesso delle persone negli uffici giudiziari, da un lato, si potrebbe tendenzialmente escludere nei prossimi mesi lo svolgimento di quelle udienze che richiedono la presenza indispensabile di testimoni, consulenti, periti, udienze da rinviare in blocco a date in cui è realisticamente prevedibile la fine della situazione emergenziale, e, dall'altro lato, si potrebbero trasformare quelle udienze che richiedono la presenza dei soli difensori in trattazioni scritte con il deposito di note.

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