Ascensore ed abbattimento di barriere architettoniche: confermati i limiti dell'intervento

Adriana Nicoletti
30 Aprile 2020

Dalla giurisprudenza di merito, ancora una decisione avente ad oggetto l'eliminazione delle barriere architettoniche mediante l'installazione dell'ascensore in edificio condominiale. La sentenza, infatti, ha ribadito principi generali, oramai consolidati, sui limiti che devono essere rispettati per non rendere l'intervento illegittimo. Il giudicante, tuttavia, non sembra del tutto convincente nelle argomentazioni che lo hanno portato a dichiarare la nullità della delibera impugnata, poiché la motivazione sembra affetta da carenze in relazione a questioni rilevanti legate alla domanda stessa.
Massima

L'installazione di un ascensore con sacrificio dei diritti individuali anche di un solo condomino costituisce innovazione vietata e la relativa delibera è affetta da nullità: pertanto, l'impugnazione non è neppure soggetta al termine di decadenza e non ha rilievo che lo stesso condomino interessato abbia espresso voto favorevole.

Il caso

Una condomina impugnava due delibere condominiali chiedendo che, previa sospensione dell'esecutività delle stesse, il Tribunale ne dichiarasse l'annullabilità e/o la nullità. L'oggetto del contendere riguardava l'installazione nel condominio di un ascensore ubicato di fronte all'immobile dell'attrice ed a una distanza minima dalla stessa, con danno e pregiudizio: alla proprietà individuale, sotto il profilo del pacifico godimento del bene; al cortile comune ed al decoro architettonico dello stabile. L'attrice chiedeva, altresì, che il giudice adìto si pronunciasse sulla possibilità di porre in essere una soluzione alternativa (servo scala) che, nel rispetto del principio solidaristico, potesse salvaguardare anche gli interessi di essa attrice. Il tutto con condanna del condominio al risarcimento dei danni.

Si costituiva in giudizio il convenuto, che chiedeva il rigetto delle domande avversarie, ivi compresa l'inibitoria, opponendosi alle richieste di esibizione della documentazione amministrativa ex art. 210 c.p.c. e di espletamento di prove testimoniali. Il Tribunale accoglieva la domanda.

La questione

L'argomento oggetto della controversia, più volte portato all'esame dei giudici ed ormai oggetto di orientamento giurisprudenziale convergente, è un'occasione per esaminare le modalità con le quali il primo giudice è arrivato a dichiarare la nullità della delibera impugnata tramite il proprio dissenso rispetto alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale ha dichiarato la nullità delle delibere impugnate nella parte in cui avevano previsto la realizzazione di un impianto di ascensore dinanzi alla proprietà dell'attrice e nella stessa posizione individuata nella consulenza tecnica d'ufficio; ha rigettato la domanda di risarcimento danni e non si è pronunciato sulla ulteriore domanda avente ad oggetto la possibilità di adottare, nel contemperamento dei contrapposti interessi, una soluzione alternativa quale l'installazione del servo scala.

Il giudicante, nel richiamare gli elementi di fatto emersi dalla perizia (ovvero le distanze dell'impianto dalle due finestre del bagno e della cucina dell'attrice, per mt. 1.50, e da quella della camera da letto di mt. 2,80), per un profilo di carattere generale si è appellato ai consolidati principi dettati dalla giurisprudenza in materia, che ha ribadito il divieto delle innovazioni che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso ed al godimento anche di un solo condomino, con conseguente nullità della delibera assembleare che, anche se adottata con regolare maggioranza, sia lesiva dei diritti del condomino sulle parti di sua proprietà esclusiva (Cass. civ., sez. II, 24 luglio 2012, n. 12930).

A questo si è aggiunta la questione inerente alla lesione dei diritti individuali del condomino determinati - come risulta nella motivazione - da una forte limitazione del godimento del cavedio comune con riferimento all'afflusso di aria e di luce all'immobile dell'attrice e conseguente evidente decremento di valore dell'immobile stesso. In relazione a tale problematica, il Tribunale ha richiamato altra decisione della Suprema Corte, che aveva ribadito la nullità di una delibera assembleare che, in caso analogo, aveva dato l'assenso per l'installazione di un ascensore in violazione di detti diritti (Cass. civ., sez. II, 26 settembre 2018, n. 23076).

Sulla base di tali principi, il Tribunale ha così ritenuto di dover assumere una decisione difforme dalle conclusioni formulate dalla CTU in ordine alle limitazioni che si sarebbero prodotte a carico della proprietà individuale dell'attrice ed ha dichiarato la nullità della delibera assembleare.

Osservazioni

Analizzando la motivazione del giudice meneghino, sono venuti alla luce alcuni punti critici della sentenza che meritano un approfondimento, mentre scontati appaiono i richiami al consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di installazione nel condominio di un impianto di risalita che, in ogni caso, deve adattarsi al caso concreto.

In primo luogo, l'attrice aveva aperto il thema decidendum ad una ulteriore domanda precisa: ritenere e dichiarare la sussistenza di possibilità alternative per soddisfare i principi solidaristici di alcuni condomini (risulta, infatti, che nello stabile abitavano persone in età avanzata o con problemi motori), indicando espressamente nell'installazione di un servo scala la soluzione idonea a salvaguardare i propri interessi e dimostrando di avere compreso la problematica posta a fondamento delle delibere poi oggetto di impugnativa.

La questione, presumibilmente, doveva essere stata oggetto di quesito posto al CTU, ma dalla motivazione nulla risulta di tutto questo, tanto è vero che a tale domanda non è stata data risposta. Su tale aspetto occorre fare due considerazioni.

In primo luogo, va richiamato l'art. 2, comma 2, della l. n. 13/1989 secondo il quale i soggetti disabili, in caso di rifiuto dell'assemblea, possono installare, a proprie spese, servo scala nonché strutture mobili e strutture facilmente rimovibili anche modificando l'ampiezza delle porte di accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garage purché con il rispetto di quanto disposto dagli artt. 1120, comma 2 e 1121, ultimo comma, c.c.

Anche se non è questo il caso (l'assemblea, infatti, aveva deliberato in senso positivo), va osservato che la disposizione sembra avere un oggetto limitato, nel senso che la struttura dovrebbe interessare solo parzialmente lo stabile (per intenderci il superamento della barriera costituita dalla scala di collegamento tra il piano strada e l'androne, quale punto di partenza dell'ascensore, ovvero il piano interrato dove sono situate le autorimesse).

Un'interpretazione tanto restrittiva, tuttavia, finirebbe nel porre nel nulla la finalità dell'intero impianto della legge in questione, che è intervenuta nel tessuto normativo preposto ad assicurare l'utilizzazione degli spazi edificati, ed a quelli ad essi accessori, a una sempre più allargata fascia di individui, con particolare riferimento a chi, permanentemente o temporaneamente, soffre di una ridotta o impedita capacità motoria (Circ. n. 1669/U esplicativa della l. n. 13/1989).

La sentenza non contiene riferimenti ai principi solidaristici, che devono governare i rapporti tra i condomini, e posti dall' attrice a fondamento della domanda alternativa. Non è di poco conto che, pur nel rispetto dei limiti di legge più volte richiamati, si deve tenere conto del principio di solidarietà condominiale, che implica il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all'eliminazione delle barriere architettoniche, trattandosi di un diritto fondamentale che prescinde dall'effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati e che conferisce comunque legittimità all'intervento innovativo, purché lo stesso sia idoneo, anche se non ad eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell'abitazione (per tutte vedi Cass. civ., sez. VI/II, 9 marzo 2017, n. 6129).

Sul punto, pertanto, sommessamente, si ritiene che il giudicante avrebbe dovuto spendere qualche parola e con ciò avrebbe anche spiegato perché la domanda attrice non poteva essere accolta.

Altro punto debole della sentenza è rappresentato dall'essersi il giudicante dissociato dagli esisti della consulenza d'ufficio, esercitando sì il suo pieno potere di valutarne le conclusioni in modo difforme, ma senza una precisa motivazione in questo senso. E', infatti, pacifico che quando il giudice intende dissentire dalle conclusioni dell'ausiliario ha l'obbligo di chiarire il suo dissenso in modo preciso ed adeguatamente motivato (Cass. civ., sez. lav., 7 agosto 2014, n. 17757).

Analizzando la sentenza, non sembra che l'operato del primo giudice sia andato in questo senso, poiché si ha l'impressione che la decisione sia stata presa più sull'onda della giurisprudenza che, in via generale, ha dettato i principi in materia di installazione dell'ascensore, piuttosto che sull'esame del caso concreto. In quest'ottica, la generica citazione della giurisprudenza corrente in tema di eliminazione delle barriere architettoniche non cancella la circostanza che il giudice si sia limitato a dissentire rispetto alle conclusioni della CTU, senza indicare le ragioni di tale dissenso (in questo senso si ritiene di interpretare l'accertata impossibilità di realizzare l'impianto senza pronunciarsi sulla possibilità di realizzare una struttura alternativa).

Parimenti significativa ai fini delle nostre osservazioni, poi, appare l'affermazione (priva di motivazione) secondo la quale, a prescindere dall'applicabilità in ambito condominiale dell'art. 907 c.c. in materia di distanze legali (Cass. civ., sez. II, 16 maggio 2014, n. 10852; Cass. civ., sez. II, 3 agosto 2012, n. 12096), l'intervento avrebbe limitato fortemente il godimento del cavedio da parte dell'attrice, omettendo di spiegare quale fosse l'effetto della vicinanza del futuro impianto sulle finestre dell'appartamento di parte attrice. Se tali rilievi fossero fondati la sentenza di primo grado rischierebbe di essere riformata in sede di appello.

Da ultimo, la solidità del principio enucleato dalla motivazione, rende ultroneo qualsivoglia ulteriore commento poiché è fatto notorio che a differenza dell'annullabilità della delibera, che soggiace all'applicabilità dell'art. 1137 c.c. in relazione ai soggetti ed ai termini per l'impugnativa stessa, la nullità non conosce limiti temporali per la proposizione della relativa domanda, né preclusioni soggettive.

Tuttavia, non guasta una duplice precisazione: da un lato, il condomino che abbia espresso voto conforme alla deliberazione deve dimostrare di avere interesse a fare valere la nullità nel senso che la deliberazione gli arrecherebbe un apprezzabile pregiudizio (Cass. civ., sez. II, 3 maggio 1993, n. 5125) e, dall'altro, l'attore con il voto favorevole non deve aver assunto o riconosciuto una sua personale obbligazione verso il condominio (Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2002, n. 5626).

Guida all'approfondimento

Meo, L'installazione del servoscala negli edifici condominiali, in Immobili & diritto, 2007, fasc. 10, 120

Pianezze, Impugnazione delle delibere assembleari: tracciato il confine tra nullità e annullabilità, in Il civilista, 2008, fasc. 4, 6

Sicchiero, Dalla solidarietà costituzionale alla solidarietà condominiale, in Giur. it., 2018, 72

Tortorici., L'invalidità delle delibere condominiali, in Amministrare immobili, 2018, fasc. 229, 14

Triola, Superamento delle barriere architettoniche e distanze legali, in Amministrare immobili, 2017, fasc. 218, 10

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