Decreto sicurezza: i moniti del Garante nazionale per le persone detenute in ordine al prolungamento della durata massima del trattenimento dello straniero

06 Maggio 2020

Con il d.l. 113/2018 il Governo italiano ha apportato una serie di rilevanti modifiche al Testo unico sull'immigrazione. Assecondando il binomio immigrazione-perdita di sicurezza…
Le osservazioni del Garante nazionale per le persone detenute o private della libertà personale

Con il d.l. 113/2018 recante Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata il Governo italiano ha apportato una serie di rilevanti modifiche al Testo unico sull'immigrazione. Assecondando il binomio immigrazione-perdita di sicurezza, quest'ultima peraltro avvertita prevalentemente come “decoro delle strade e monitoraggio di oziosi e vagabondi”, le misure intraprese hanno segnato un netto passo indietro in tema di diritto di asilo e cittadinanza, anche perché accompagnate da una sensibile diminuzione dei fondi per la gestione del fenomeno migratorio e da un aumento delle risorse per la gestione dei rimpatri.

È particolarmente eloquente quanto sostenuto nel parere del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, laddove si afferma che tali disposizioni “non sembrano trovare giustificazione in un'effettiva esigenza di sistema né sembrano idonee al raggiungimento dello scopo che si prefiggono”, in particolare con riferimento all'intensivo incremento del ricorso alla misura della privazione della libertà personale mediante il prolungamento della durata massima del trattenimento dello straniero nei Centri di permanenza per il rimpatrio e all'introduzione di una nuova ipotesi di trattenimento del richiedente asilo.

Il giudizio tranchant del Garante è supportato da una puntuale analisi sui dati dei rimpatri e dalla considerazione che non esiste alcun nesso tra l'aumento di questi ultimi ed il prolungamento del periodo di detenzione.

Il periodo di detenzione amministrativa degli stranieri in cerca di protezione è stato oggetto di frequenti modifiche da parte del Legislatore. Con la Legge cd. Turco-Napolitano (legge 6 marzo 1998, n. 40) si prevedeva un periodo massimo di detenzione di 30 giorni; con la Legge cd. Bossi-Fini (legge 30 luglio 2002, n. 189) tale termine veniva portato a 60 giorni. Con l'approvazione del cd. Pacchetto sicurezza 2008 (decreto legge 23 maggio 2008 n.92) il termine si ampliava a 180 giorni, fino ad arrivare ai 18 mesi del Decreto legge del 23 giugno 2011 n. 89 ed, infine, ai 90 giorni della legge 30 ottobre 2014, n. 161, recentemente riformati. Il primo dato che può evincersi è l'assenza di nesso tra la percentuale dei rimpatri e l'ampiezza del termine di detenzione amministrativa. Ciò che è oggetto di critica, infatti, non è tanto il prolungamento del periodo detentivo in termini assoluti, quanto la inadeguatezza della misura rispetto al fine perseguito. L'analisi del rapporto tra persone rimpatriate e persone trattenute (Cfr. il Documento della Commissione diritti umani del Senato, dal Documento programmatico CIE del Ministero dell'Interno 2013 e dalla Relazione al Parlamento del Garante Presidente Nazionale del 2018) mostra che, a prescindere dai tempi di trattenimento, la media dei rimpatri effettuati rispetto alle persone trattenute si è sempre attestata attorno al 50%. Il Garante, prendendo in considerazione solo le ultime annualità, interessate da discipline di diversa ispirazione, evidenzia che i tassi percentuali annuali non variano al variare del tempo massimo di trattenimento: 2011: 50 % (max sei mesi/18 mesi) 2012: 50,6 % (max 18 mesi) 2013: 50% (max 18 mesi) 2014: 55 % (max 18 mesi/90 gg) 2015: 52 % (max 90 gg) 2016: 44% (max 90 gg) 2017: 59 % (max 90 gg). Per tale motivo si afferma che “i dati indicano come l'efficacia del sistema del trattenimento non sia direttamente correlata all'estensione dei termini massimi di permanenza nei Centri ma segua un andamento proprio. Molto, ovviamente, dipende dal livello di cooperazione offerto da ciascun Paese di provenienza dei cittadini stranieri” (sebbene si debba evidenziare che -nel caso lo straniero richieda asilo politico- gli obblighi internazionali impediscono di interpellare il Paese di provenienza), aggiungendo condivisibilmente che l'ampliamento del campo di applicazione della misura, con evidenti ricadute sul diritto fondamentale alla libertà dei cittadini stranieri irregolari, non sembra trovare un adeguato bilanciamento in effettive esigenze di sistema. Desta peraltro perplessità il dato che ad un prolungamento dei tempi di trattenimento non corrisponda una adeguata copertura finanziaria, posto che -come anticipato- gli incrementi di risorse hanno riguardato esclusivamente il settore dei rimpatri e non quello della permanenza sul suolo nazionale. Appare dunque difficile che i centri di accoglienza per il rimpatrio, già in condizioni precarie ed in perenne emergenza per il susseguirsi di nuovi arrivi, possano garantire, senza un adeguato stanziamento di nuovi fondi, una gestione che consenta di tutelare il decoro personale e che non obblighi i detenuti sine titulo a permanere in situazioni degradanti e lesive della dignità personale.

Il contrasto con le norme internazionali e costituzionali

Con riferimento alle modifiche introdotte con l'art. 3 d.l. 113/2018, relativo alla nuova ipotesi di trattenimento dei richiedenti asilo, le perplessità si moltiplicano. Una prima osservazione attiene al presupposto della mancanza di documenti di identità in corso di validità, che appare una condizione costante degli stranieri che chiedono protezione internazionale. Com'è logico, coloro che hanno titolo per richiedere asilo non hanno con sé documenti perché non possono o non ritengono opportuno farlo (si pensi al caso di un rifugiato politico in fuga). Malgrado il trattenimento sia concepito formalmente come una facoltà e come una extrema ratio, peraltro finalizzata esclusivamente alla verifica e alla identità della cittadinanza del richiedente, la mancata tipizzazione dei presupposti di applicazione della misura rischia di delinearsi come uno strumento per applicare in maniera indistinta e indiscriminata la misura di privazione della libertà personale.

D'altro canto, La Corte costituzionale (sent. n. 105 del 2001) ha avuto modo di affermare che il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea e assistenza è “misura incidente sulla libertà personale” essendo caratterizzato da “quella mortificazione della dignità dell'uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all'altrui potere e che è indice sicuro dell'attinenza della misura alla sfera della libertà personale”. Si può dunque ipotizzare, con un certo grado di certezza, il contrasto della disciplina con l'art. 5 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e con l'art. 13 della Costituzione.

La Corte di Strasburgo, d'altronde, con la celebre sentenza Khalaifia e altri c. Italia, ha avuto modo di sancire alcuni punti di primario interesse che supportano tale ipotesi. Il caso, come noto, riguardava la situazione di alcuni migranti tunisini, in fuga in ragione dei tumulti legati alla cd. primavera araba, che erano stati trattenuti in condizioni disagiate per un lungo periodo di tempo sull'isola di Lampedusa in un Centro di soccorso e prima accoglienza e poi -a seguito di una rivolta nel centro dove erano trattenuti- a bordo di una nave nel porto di Palermo. I cittadini tunisini vennero raggiunti da una serie di decreti di respingimento individuali in base ad un accordo bilaterale tra l'Italia e la Tunisia il cui testo non era stato diffuso, ma semplicemente richiamato in un comunicato stampa pubblicato su internet dal Ministero dell'interno italiano, che si limitava a menzionare un potenziamento del controllo delle frontiere e la possibilità di espulsioni immediate con una procedura semplificata. La Corte europea ha avuto modo di riscontrare una violazione dell'art. 5 CEDU, osservando come tale “ambiguità legislativa” abbia “dato luogo a numerose situazioni di privazione della libertà nella pratica sprovviste di un controllo giurisdizionale”.

Si è, così, stabilito che ogniqualvolta si abbia riguardo alla privazione della libertà personale è fondamentale il rispetto del principio generale della certezza del diritto e a tal fine è essenziale che le norme interne chiariscano in maniera precisa quali sono le condizioni per la limitazione di tale bene fondamentale.

Si profila inoltre un contrasto della nuova normativa con l'articolo 8 della Direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, disciplinante l'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, che, pur riconoscendo agli Stati la possibilità di trattenere i richiedenti asilo per «[…] determinarne o verificarne l'identità o la cittadinanza», impone agli Stati membri di specificare i «motivi del trattenimento». È tuttavia evidente che la normativa interna debba in ogni caso essere compatibile con gli artt. 10, commi 2 e 3, e 13, comma 3, della Costituzione. Osserva pertanto il Garante che la legge italiana non dovrebbe “limitarsi a trasporre nell'ordinamento la generica previsione europea di trattenimento del richiedente asilo «per la determinazione o la verifica dell'identità e della cittadinanza» ma dovrebbe indicare puntualmente i presupposti per l'applicazione della misura”.

Le perplessità sulla compatibilità del Decreto sicurezza con l'art. 13 della Costituzione si estendono anche ai luoghi di trattenimento, ovvero agli hotspot o i regional hub, posto che la regolazione delle condizioni persone trattenute in questi luoghi è disciplinata esclusivamente da soft law e da circolari interne, in aperta violazione del principio di riserva di legge in materia di privazione della libertà personale. I dubbi si estendono anche alle caratteristiche strutturali di tali luoghi di trattenimento, concepiti per permanenze brevissime e destinati dalla normativa, senza alcun progetto di adeguamento alle nuove e differenti esigenze, a trattenimenti di massa di lungo periodo.

Il tema cruciale delle modifiche apportate in questo settore dal decreto sicurezza attiene al presupposto della detenzione amministrativa: l'assenza di attestazioni documentali circa la nazionalità e la provenienza del richiedente asilo. Appare tuttavia evidente che tale circostanza non è imputabile a una scelta personale dello straniero in cerca di protezione internazionale e non può essere confusa con la fattispecie - prevista come presupposto di altro tipo di trattenimento nell'art. 6, comma 2 lett. d) d.lgs. n. 142/2015 - dello straniero che attesti dolosamente o colposamente di rientrare nelle categorie dei richiedenti asilo. Si profila dunque il contrasto della disposizione con gli artt. art. 3, comma 1 e 117, comma 1 Cost., stante il contrasto con l'art. 15 della direttiva rimpatri 2008/115/CE, che limita i casi di trattenimento al pericolo di fuga e al compimento di condotte che ostacolano il rimpatrio, sia con l'art. 9. comma 1 della Direttiva 2013/33 CE. È evidente inoltre la disparità di trattamento rispetto alla analoga situazione disciplinata dall'art. 11 l. n. 191/1978, che consente il fermo di identificazione solo per 24 ore nel caso in cui, dolosamente o colposamente, il soggetto fermato non consenta alle forze di polizia di procedere all'identificazione ovvero esibisca documenti falsi.

In conclusione

Tali criticità hanno portato parte della dottrina ad affermare condivisibilmente che il decreto sicurezza ha introdotto una privazione della libertà degli stranieri ancora più allarmante di quelle già presenti nel sistema e che “l'unico pregio che le si può riconoscere è quello di evitare qualunque ipocrisia: essa rivela con estrema chiarezza l'intento del Governo di scoraggiare a priori ogni tentativo di sbarcare in Italia e di domandare l'asilo, anche al costo di pregiudicare chi avrebbe pieno diritto a domandare protezione internazionale” (Manganaro).

La riforma di questo settore specifico non risponde ad alcuna specifica esigenza nella gestione del fenomeno migratorio, anzi, in un certo senso contravviene alle indicazioni degli operatori di polizia sulle difficoltà di identificazione dei soggetti in cerca di protezione internazionale. Si potrebbe ipotizzare che la lunga detenzione amministrativa possa in qualche modo agevolare la Pubblica amministrazione per gli ottenimenti dei nulla osta al rimpatrio. Al contrario, stando alle valutazioni che é possibile operare sul tema, parrebbero sussistere delle difficoltà oggettive in questo senso. Il timore è che in realtà la misura sia un mero deterrente all'ingresso nel Paese e che il risultato finale di tale modifica possa esclusivamente finire con il pregiudicare ulteriormente lo straniero in cerca di protezione, destinato a vivere nella illegalità, senza alcun meccanismo di integrazione, al termine di un lungo periodo di detenzione sine titulo.

Il tema del prolungamento della durata massima degli stranieri al momento dell'ingresso del Paese, infatti, rende chiaro, forse più d'ogni altra misura, che il principio ispiratore della riforma in commento é esclusivamente quello della esclusione. Dal complesso sistema di norme che regolano l'ingresso degli stranieri in Italia, emerge un quadro di particolare farraginosità e di ultra-regolamentazione, che restituisce una visione particolarmente illogica e che -oltre ad esporre l'ordinamento ad una serie di gravi violazioni degli obblighi internazionali e della carta costituzionale- sembra aspirare unicamente a soddisfare un sentimento di paura nei confronti del diverso.

Guida all'approfondimento

In dottrina, sul tema, v. (in ordine alfabetico): A. ALGOSTINO, Il decreto “sicurezza e immigrazione” (decreto legge n. 113 del 2018): estinzione del diritto di asilo, repressione del dissenso e diseguaglianza, in costituzionalismo.it n. 2/2018; V. G. CAMPESI – G. FABINI, La detenzione della “pericolosità migrante”, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2017, n. 2, 517 ss.; A. CIERVO, L'art. 3 della legge n.132/2018: l'introduzione del trattenimento a fini identificativi del richiedente protezione internazionale, in G. SANTORO (a cura di ), I profili di illegittimità costituzionale del Decreto Salvini, 2018; M.DANIELE, La detenzione come deterrente dell'immigrazione nel Decreto sicurezza 2018, in Diritto penale contemporaneo, n. 11/2018; F. MANGANARO, L'organizzazione dell'accoglienza delle persone migranti, in corso di pubblicazione; A. MARLETTA, Detenzione “amministrativa” dello straniero e riserva di giurisdizione in materia di libertà personale, in Criminalia, 2012, 605 ss.; L. RISICATO, “Il confine e il confino: uno sguardo d'insieme alle disposizioni penali del “decreto sicurezza”, in Diritto Penale e Processo, n. 1/2019; E. VALENTINI, Detenzione amministrativa dello straniero e diritti fondamentali, ed. provv., Giappichelli, 2018, 99 ss.

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