La risarcibilità del danno da perdita di chance conseguente all'altrui attività illecita in materia locatizia

06 Maggio 2020

La Corte barese aderisce al più recente orientamento di legittimità, secondo cui il danno da perdita di chance, derivante dall'impossibilità per il proprietario di un'immobile di concederlo in locazione a terzi a causa dell'attività illecita compiuta da un terzo, consistendo nell'impossibilità di ottenere un vantaggio economico, da un lato, consegue solo alla perdita di disponibilità del bene immobile da parte del proprietario, e, dall'altro, non è assumibile in re ipsa, dovendo essere allegato e provato sia nell'an che nel quantum, sia pure sulla scorta di presunzioni riguardanti l'effettiva potenzialità reddituale dell'immobile, per effetto della pregressa redditività dello stesso cespite.
Massima

Il danno da perdita di chance, per non avere potuto il proprietario di un'immobile concederlo in locazione a terzi a causa del mancato funzionamento dell'impianto fognario, non consiste nella perdita di un vantaggio economico ma nella possibilità di conseguirlo, ragione per cui tale forma di danno da un lato, consegue solo dalla perdita di disponibilità del bene da parte del proprietario, e, dall'altro, non è in re ipsa, dovendo essere deve allegato e provato sia nell'an che nel quantum, sia pure sulla scorta di presunzioni riguardanti l'effettiva potenzialità reddituale dell'immobile, per effetto della pregressa redditività dello stesso cespite.

Il caso

Il caso riguarda un cespite posseduto dal proprietario, nei cui confronti rileva l'altrui attività illecita, consistita nell'impedire al primo il pieno uso del servizio igienico, privato della possibilità di scarico nell'impianto fognario comune, per tale ragione, gravato dal relativo diritto di servitù.

La questione

Il danno conseguente all'impossibilità di locare a terzi un'immobile, per effetto della sola tardiva disponibilità dello stesso cespite, conseguente ad un'attività illecita posta in essere da altro soggetto, è assumibile in re ipsa?

La soluzione giuridica

La sentenza emessa dalla Corte di merito barese, di riforma della pronuncia del giudice di prime cure - in senso contrario alla pronuncia in epigrafe, v. Trib. Bari 24 ottobre 2013, in cui si è affermato che il danneggiato, il quale, chieda in giudizio il risarcimento del danno derivante da occupazione abusiva di immobile, è tenuto a provare di avere subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio per non avere potuto locare od altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per avere perso l'occasione di venderlo a prezzo conveniente o per avere sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo avvalersi di presunzioni gravi, precise e concordanti; e Trib. Bari 6 ottobre 2009, in una fattispecie sostanzialmente analoga a quella scrutinata nella pronuncia in commento, in cui mancando la prova che i danni verificatisi all'interno di un'abitazione abbiano comportato la mancata conclusione di un contratto di locazione da parte del proprietario del medesimo immobile, è conseguito il rigetto di tale voce di danno patrimoniale, non potendo lo stesso considerarsi in re ipsa - prescindendo dalla questione recentemente rimessa alla Consulta da due ordinanze di legittimità (Cass. civ., ord., sez. III, 9 dicembre 2019, n.32032; e Cass. civ., sez.III, 9 dicembre 2019, n. 32033), sulla presenza di giudici ausiliari quali componenti dei collegi di Corte d'appello, sposa la più recente rivisitazione del suddetto principio da parte della giurisprudenza di legittimità (ex multis, v. Cass. civ., sez.III, 25 maggio 2018, n.13071, in relazione ad una fattispecie di occupazione sine titulo di immobile nel periodo successivo alla scadenza del contratto di comodato, riaffermando il principio della non predicabilità del danno in re ipsa conseguente all'impossibilità di locarlo a terzi, per effetto della sola tardiva disponibilità del cespite).

Osservazioni

Al riguardo, va detto che nei paesi di common law in cui si applica lo stare decisis attraverso la vincolatività del precedente giudiziario, tale rivisitazione, integrerebbe un overruling giurisprudenziale, non potendo più accordarsi il riconoscimento del danno subito dal proprietario del cespite in re ipsa per effetto del semplice ritardo verificatosi nella messa a disposizione del bene o della perdita di disponibilità di quest'ultimo da parte del proprietario, ed all'impossibilità per il medesimo, di conseguire l'utilità economica di regola ricavabile dalla res anzidetta, muovendo sulla scorta della sua natura normalmente fruttifera.

In effetti, posto che il danno da perdita di chance invocato dal presunto danneggiato, non consiste nella perdita di un vantaggio economico ma nella possibilità di conseguirlo, ciò comporta che anche sotto tale profilo, il danno da mancata locazione di bene immobile non è dunque assumibile in re ipsa - atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno risarcibile con la lesione della pretesa creditoria, secondo l'ormai superata concezione fondata sulla tesi del “danno-evento”, per effetto della risarcibilità del danno fondata sulla diversa tesi del danno-conseguenza - e si presta a configurare un vero e proprio caso di punitive damage, per il quale, non sussiste attualmente una generale copertura normativa (Cass. civ., sez. III, 26 settembre 2019, n.23987, in cui si afferma che il danno derivante dalla mancata disponibilità dell'immobile da parte di chi ne vantava il relativo diritto, non può ritenersi sussistente in re ipsa, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno risarcibile con la lesione della pretesa creditoria ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, per il quale non vi è copertura normativa, atteso che secondo le Sezioni unite, quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, ed il riconoscimento della compatibilità del danno punitivo con l'ordinamento solo nel caso di un'espressa sua previsione normativa, in applicazione dell'art. 23 Cost.; Cass. civ., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601, ha riconosciuto la compatibilità del c.d. punitive damage con l'ordinamento, con il limite della sua espressa previsione normativa ex art. 23 Cost. stante il necessario rispetto del principio desumibile dalla riserva di legge nella materia qui considerata).

Indubbiamente il soggetto il quale chieda il ristoro del danno in questione, può avvalersi di presunzioni per assolvere all'onus probandi ex art. 2697 c.c. dovendo tuttavia contestualmente allegare e dimostrare anche la sussistenza di elementi e circostanze fattuali idonee a fondare le suddette presunzioni, secondo cui, dalla perdita egli abbia tratto un concreto pregiudizio economico, perché, in tale ottica, ad essere presunto è soltanto il “danno” non anche la relativa “prova” dello stesso, in quanto, la presunzione del danno è il risultato finale della sua stessa valutazione che non può essere omessa, e, deve anzi essere verificabile con il necessario rigore, considerando che la stessa adozione del noto criterio di vicinanza causale del danno all'evento dannoso lascia impregiudicata la necessità di distinguere la lesione invocata dal proprietario rispetto alla conseguenza dannosa che ne deriva a carico dello stesso soggetto (Cass. civ., sez.VI, 20 marzo 2019, n.7871 in cui, con specifico riferimento al danno da privazione del possesso, si è ribadito che non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno derivante dalla privazione del possesso di un'immobile nel caso in cui la parte non abbia fornito la prova dell'esistenza ed entità materiale del pregiudizio, e, la domanda non sia limitata alla richiesta della sola pronuncia sull'an debeatur, non essendo ammissibile il ricorso al potere officioso di liquidazione equitativa del danno).

In definitiva, laddove si ritenga di accogliere l'impostazione del danno in re ipsa, ciò comporterebbe la sussistenza di una presunzione in base alla quale, una volta verificatosi l'inadempimento, appartiene alla regolarità causale la realizzazione del danno, per cui la mancata conseguenza di tale pregiudizio, dovrebbe ritenersi come eccezionale, ponendo a carico del soggetto inadempiente l'onere della prova contraria all'esistenza del danno in questione, senza che esso sia stato provato dall'attore, in tale modo, legittimando una presunzione che non soltanto esonera il presunto danneggiato dall'onere probatorio ma altresì impone al preteso danneggiante, per liberarsi dall'avversa pretesa, di fornire la prova negativa (su tale punto, v. Cass. civ., sez. III, 17 giugno 2013, n.15111).

In base alla tesi del danno-evento, il danneggiato che chiede il risarcimento del danno da perdita di chance è invece tenuto a provare di avere subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio per non avere potuto locare ovvero per avere perso l'occasione di vendere a prezzo conveniente il cespite per avere sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice di merito sulla base di elementi diversi dalla mera mancata disponibilità del godimento del bene che devono quindi essere utili per sorreggere adeguatamente il convincimento sia dell'esistenza di tale danno-conseguenza, il quale deve essere allegato e provato, sia del suo collegamento causale con l'evento lesivo (Cass. civ., sez.III, 25 maggio 2018, n.13071, cit.).

L'assioma secondo cui la mancata disponibilità dell'immobile di per sé legittimi - come una sorta di automatismo, in assenza di alcuna altra allegazione circa le oggettive possibilità e le concrete occasioni di sfruttamento del cespite immobiliare di cui trattasi - la presunzione della sussistenza, di un pregiudizio patrimoniale direttamente quantificabile sulla base del semplice valore locativo desumibile dal mercato delle locazioni, comporterebbe una violazione delle norme che presiedono alla stessa valutazione della prova per presunzioni, finendo in buona sostanza, con il fare coincidere il danno risarcibile con lo stesso evento dannoso, così attribuendo alla richiesta di “risarcimento” una funzione non più compensativa ma squisitamente “sanzionatoria”, secondo il sopra richiamato precedente delle Sezioni Unite, ammissibile soltanto laddove esista la relativa copertura normativa.

In tale contesto, va infatti precisato che l'assunto per il quale, sussisterebbe sempre un presumibile godimento diretto od indiretto attraverso i frutti della locazione del cespite, contrasta finanche con l'esperienza collocabile nell'ambito dello stesso mercato delle locazioni, stante l'auto numero di case vuote od inutilizzate da parte dell'avente diritto, dovendosi quindi accertare l'effettiva intenzione del proprietario di concederlo in locazione durante il periodo in cui risulta essere stato di fatto privato del relativo godimento, o di avere sostenuto nello stesso periodo di riferimento spese che altrimenti non avrebbe dovuto affrontare per risiedere egli stesso durante tale periodo in altro immobile, o l'avere avuto la concreta intenzione di venderlo (Cass. civ., sez.III, 24 aprile 2019, n.11203).

In tale ottica, tra l'altro, sarebbe stato ad esempio utile sentire in qualità di testimone lo stesso soggetto - o magari anche più d'uno in caso di ulteriori proposte di locazione acquisite dall'agente immobiliare - che si era candidato ad assumere la qualità di conduttore dell'immobile per cui è causa, il quale avrebbe certamente potuto riferire in ordine alla propria effettiva volontà di non prendere in locazione l'immobile esclusivamente per effetto dell'impossibilità di usufruire del servizio igienico, trattandosi di una circostanza rilevante anche in relazione allo specifico uso a cui sarebbe stata destinata la res.

Il contenuto di tale deposizione, stante il carattere neutro del teste, unitamente a quella resa dall'agente immobiliare - comunque legato al proprietario dal vincolo di mandato a concedere in locazione la res - probabilmente avrebbe potuto incidere maggiormente sulla complessiva valutazione finale della prova inerente l'invocata perdita di chance.

Il suddetto principio - secondo cui, per ottenere il risarcimento del danno occorre sempre fornire la prova di un preciso e quantificabile disagio economicamente valutabile all'attualità, quale diretta conseguenza del pregiudizio derivante dalla diminuita godibilità della res immobiliare nell'arco temporale necessario alle riparazioni - è stato affermato di recente dalla giurisprudenza di legittimità in varie ipotesi, come ad esempio, con specifico riferimento alle conseguenze dannose derivanti dalle infiltrazioni o dall'allagamento dell'appartamento del piano sovrastante, laddove il fatto illecito non costituisca una fattispecie di reato e non leda in modo serio ed apprezzabile i diritti della persona costituzionalmente garantiti (Cass. civ., sez.III, 22 febbraio 2017, n.4534).

In tale ottica, è stato altresì affermato che qualora ai sensi dell'art. 1590 c.c. al momento della riconsegna l'immobile locato presenti danni eccedenti il degrado dovuto al normale uso dello stesso, incombe al conduttore l'obbligo di risarcire tali danni, consistenti non solo nel costo delle opere necessarie per la rimessione in pristino, ma anche nel canone altrimenti dovuto per tutto il periodo necessario per l'esecuzione ed il completamento di tali lavori, senza che, a quest'ultimo riguardo, il locatore sia tenuto a provare anche di avere ricevuto - da parte di terzi - richieste per la locazione, non soddisfatte a causa dei lavori (Cass. civ., sez.III, 7 marzo 2019, n. 6596).

Tuttavia, posto che l'art.1591, comma 1, c.c. prevede l'obbligo risarcitorio riferito al danno da responsabilità contrattuale per la perdita minima del canone locatizio già percepito dal proprietario - la cui sola esistenza è presunta iuris et de jure, non anche la risarcibilità del maggiore danno non essendo possibile ritenerla in re ipsa (Cass. civ., sez. III, 16 luglio 2019, n.18946) - nella fattispecie risolta dal Collegio barese, non esiste invece alcun rapporto contrattuale tra il presunto danneggiato ed il preteso danneggiante.

Inoltre, sempre in relazione alla suddetta questione, la stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez.III, 7 marzo 2019, n. 6596, cit.) ha tenuto a precisare, per maggiore chiarezza, che il risarcimento dovuto al locatore in conseguenza della mancata disponibilità del bene durante il periodo occorrente per il restauro, non costituisce un danno in re ipsa, atteso che il periodo di indisponibilità dell'immobile reso necessario dall'urgenza del restauro, è equiparato quoad effectum alla ritardata restituzione dell'immobile, con la conseguenza che spetterà per tale periodo al proprietario il corrispettivo convenuto, ai sensi dell'art. 1591 c.c., salva la prova del maggiore danno che grava sul locatore.

Nello stesso senso, depone anche l'orientamento della più recente giurisprudenza di merito, laddove si è affermato che nel caso di ritardo nella consegna di immobile, il danno subito dal proprietario non può ritenersi sussistente in re ipsa, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno con l'evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, in contrasto con la tesi giurisprudenziale (Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n.26972), secondo cui quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, essendo il danno in questione, assimilabile a quello di tipo “punitivo” compatibile con l'ordinamento solo nel caso della sua espressa previsione normativa, essendo onere del proprietario provare di avere subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio per non avere potuto locare l'immobile ovvero per avere perso l'occasione di venderlo ad un prezzo conveniente o per avere sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con una valutazione in punto di merito che può avvalersi di presunzioni, ma pur sempre sulla base di elementi indiziari allegati dallo stesso soggetto quale presunto danneggiato, diversi dalla mancata disponibilità o godimento della res(sull'argomento, con specifico riferimento all'ipotesi dell'occupazione abusiva o sine titulo della res, v. Trib. Roma, 12 dicembre 2019; Trib. Lucca, 6 dicembre 2019; App. Torino, 21 febbraio 2019; Trib. Crotone, 11 febbraio 2019; App. Cagliari, 5 febbraio 2019; App. Catanzaro, 28 gennaio 2019; Trib. Pesaro, 22 gennaio 2019).

In ciò la Corte barese ha ritenuto di cogliere l'error in iudicando compiuto dal giudice di prime cure, laddove quest'ultimo ha affermato che il cd. danno figurativo - riferito al valore locativo - lamentato dal proprietario fosse in re ipsa, poiché dovuto al mancato godimento di un bene naturalmente fruttifero (in tale senso, riprendendo l'ormai minoritario orientamento di legittimità, depone recentemente Cass. civ., sez. III, 9 agosto 2016, n.16670), e, che quindi non occorresse dimostrarlo (in realtà, come affermato in Cass. civ., sez. VI, 15 dicembre 2016, n.25898, il riferimento al danno in re ipsa va inteso in senso descrittivo, di normale inerenza del pregiudizio all'impossibilità stessa di disporre del bene, e non fa comunque venire meno l'onere per l'attore in primo luogo quanto meno di allegare, ed anche di provare anche per presunzioni, il fatto-base da cui il pregiudizio discende, ovvero il fatto che ove il proprietario avesse immediatamente recuperato la disponibilità della res l'avrebbe effettivamente impiegata per una finalità produttiva, fosse essa il godimento diretto o la locazione).

In ordine a tale questione, anche la giurisprudenza amministrativa ritiene invece che in caso di occupazione illegittima di un bene immobile, il presunto danneggiato non può ottenerne il risarcimento per il solo fatto che vi sia stata l'altrui occupazione abusiva, occorrendo fornire la prova di un'effettiva lesione del suo patrimonio, quantomeno allegando precisamente le situazioni fattuali dimostrative dell'esistenza del danno-conseguenza (Cons. Stato, sez. V, 15 novembre 2019, n.7845, in cui si afferma che è possibile accedere al risarcimento per equivalente del danno da perdita di chance solo se quest'ultima ha effettivamente raggiunto un'apprezzabile consistenza, di solito indicata dalle formule probabilità seria e concreta od anche elevata probabilità di conseguire il bene della vita sperato, mentre al di sotto dove si colloca la mera possibilità vi è solo un ipotetico danno non meritevole di reintegrazione, poiché in pratica nemmeno distinguibile dalla lesione di una mera aspettativa di fatto), il quale, è dipendente dall'atteggiarsi del godimento al momento dell'altrui illegittima occupazione, nonché dalla perdita di successive occasioni di adibire l'immobile di cui trattasi ad un diverso utilizzo, da cui il titolare avrebbe potuto trarre un'utilità, incombendo sul medesimo avente diritto, l'onere di fornire la prova dell'esistenza di tale suo diritto, atteso che qualora ad esempio, l'avente diritto non svolgeva alcuna attività al momento in cui si è verificata la privazione della disponibilità della res, poichè la situazione di godimento rimane immutata, non potrà in tale ipotesi, configurarsi alcun danno conseguenza risarcibile per effetto della privazione di un godimento di fatto inesistente (Cons. Stato, sez. IV, 27 maggio 2019, n.3428).

Sotto tale aspetto, specificamente considerato, rilevante sul piano squisitamente di merito, acquista rilievo come possibile chiave di lettura l'espressione contenuta nella pronuncia della Corte barese secondo cui il proprietario “non ha mai neppure indicato la destinazione dell'immobile prima che lo spoglio venisse perpetrato e quindi non vi è traccia della pregressa redditività dello stesso, benché lo avesse acquistato quasi vent'anni prima”, passaggio motivazionale rimarcato successivamente nella stessa pronuncia, laddove si evidenzia che in riferimento al periodo successivo al ripristino della funzionalità dell'impianto fognario, il proprietario non ha prodotto alcunché da cui potere ricavare l'effettiva pregressa potenzialità reddituale dell'immobile, a tanto non potendo servire la produzione di lettere di incarico ad un'agenzia immobiliare, per la locazione o la vendita dell'immobile, rimasto senza alcun seguito.

Tale situazione è stata corroborata dall'incertezza mostrata dall'unico teste escusso in qualità di agente immobiliare affidatario dell'incarico a reperire un conduttore per l'immobile anzidetto, il quale, ha dichiarato di non ricordare esattamente quale destinazione d'uso avrebbe dovuto avere il predetto locale, se in particolare, per uso deposito o attività commerciale vera e propria, perché, come esattamente rilevato, prendere in locazione un immobile per svolgervi un'attività economica è un conto, prenderlo per adibirlo semplicemente a deposito è invece tutt'altra cosa, e l'entità del canone, per l'una o l'altra destinazione, non è economicamente indifferente, con le conseguenti importanti ricadute sull'entità del danno economicamente risarcibile.

Come rilevato nella fattispecie scrutinata dai giudici baresi, l'utilità che si può ricavare da un deposito è molto minore di quella che rinviene dall'esercizio di un'attività commerciale, e non si concilia con un canone mensile di 700 euro per un locale che, se pure parzialmente soppalcato, ha una superfice di soli mq. 33, come risulta dall'atto di acquisto presente in atti di causa.

In tale ottica, rilevante sul piano squisitamente di merito, acquista dunque una peculiare rilevanza la non ritenuta credibilità dell'unico teste escusso - agente immobiliare - anche alla luce della condotta difensiva rilevata nella sentenza in commento, secondo cui estremamente significativa è stata ritenuta a parere della Corte, la circostanza che nel nutritissimo scambio di corrispondenza intervenuto tra i legali delle parti, dopo l'emissione del provvedimento di reintegra in possesso, finalizzata a dare attuazione spontanea alla decisione, non vi è alcun accenno alla vicenda all'epoca già compiutamente verificatasi.

Ciò in quanto, nella valutazione del particolare danno da perdita di chance invocato nella fattispecie in esame, considerato nella sua dimensione ontologica non può non valutarsi anche la precedente condizione in cui si trovava l'immobile, prima del verificarsi dell'evento lesivo sulla cui scorta il proprietario, quale presunto danneggiato, assume di non avere potuto trarre un reddito, parametrato a quello legittimamente desumibile da un'immobile avente le stesse caratteristiche, presente sul mercato delle locazioni.

Ciò ha indotto il collegio giudicante a ritenere che il quadro così delineatosi in primo grado sulla possibilità di conseguire vantaggi economici dalla locazione dell'immobile, non presenta quei parametri di apprezzabilità, serietà e consistenza che dovrebbe avere perché possa riconoscersi il diritto ad un risarcimento del danno per perdita di chance (Cass. civ., sez. III, 20 novembre 2018, n.29829).

Guida all'approfondimento

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Franzoni, La lite temeraria e il danno punitivo, in Resp. civ. e prev., 2015, 1063

Gatto, Art. 13, primo e secondo comma, l. 431/98, un'ipotesi di "danno punitivo"?, in Arch. loc. e cond., 2001, 25

La Torre, Un punto fermo sul problema dei “danni punitivi”, in Danno e resp., 2017, 421

Malzani, Obbligo di sicurezza e risarcimento del danno. Quali spazi per una funzione general preventiva della responsabilità civile?, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 1047

Montanari, Del “risarcimento punitivo” ovvero dell'ossimoro, in Europa e diritto privato, 2019, 2, 377

Pardolesi, La camicia di Nesso e il risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, in Foro it., 2017, 996

Spoto, Risarcimento e sanzione, in Europa e diritto privato, 2018, 2, 489

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