Appropriazione indebita mediante sottrazione definitiva dei dati informatici. A proposito della qualificabilità del file come “cosa mobile”

Andrea Nocera
07 Maggio 2020

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte affronta la questione relativa alla possibilità di qualificare i dati informatici - o i singoli file che li contengono - come cose mobili ai sensi delle disposizioni della legge penale, e la conseguente
Massima

Integra il delitto di appropriazione indebita la sottrazione definitiva di “dati informatici” o “file” mediante duplicazione e successiva cancellazione da un personal computer aziendale, affidato all'agente per motivi di lavoro e restituito “formattato”, in quanto i "file" sono qualificabili come cose mobili ai sensi della legge penale quanto alla struttura, alla possibilità di misurarne l'estensione e capacità di contenere dati, alla trasferibilità da un luogo ad un altro, anche senza l'intervento di strutture fisiche direttamente apprensibili dall'uomo ed al suo indiscusso valore patrimoniale, pur nel limite del difetto del requisito della "fisicità" della detenzione.

IL CASO

La Corte di appello di Torino affermava la penale responsabilità in ordine al delitto di cui all'art. 646 c.p. per la sottrazione di dati informatici societari da parte di un dipendente. Nella specie, l'imputato, all'atto delle dimissioni dalla società presso la quale svolgeva servizio e l'assunzione in una nuova compagine societaria concorrente, si impossessava dei dati informatici presenti nel notebook aziendale, a lui affidato in ragione del rapporto di lavoro, estraendo copia dei file – poi ritrovati nella sua disponibilità su altri apparati personali - e restituendo il personal computer con l'hard disk formattato, così da provocare, secondo l'editto accusatorio, il malfunzionamento del sistema informatico aziendale.

La difesa dell'imputato denunciava, tra gli altri motivi, il vizio di violazione di legge in riferimento all'art. 646 c.p., per avere il giudice di merito ritenuto erroneamente che i dati informatici siano suscettibili di appropriazione indebita, non potendo gli stessi essere qualificati come cose mobili per la loro natura immateriale.

La questione

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte affronta la questione relativa alla possibilità di qualificare i dati informatici - o i singoli file che li contengono - come cose mobili ai sensi delle disposizioni della legge penale, e la conseguente suscettibilità che essi costituiscano oggetto di condotte di appropriazione indebita o, più generalmente di reati contro il patrimonio.

Nel nostro ordinamento penale sostanziale la nozione di cosa mobile trova una indiretta definizione positiva nell'art. art. 624, comma 2, c.p.Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l'energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico»), che comprende nel novero del genus “cose mobili” ogni tipologia di energia che sia suscettibile di valutazione economica. La possibilità che i file rappresentino l'oggetto materiale dei reati contro il patrimonio involge, senza dubbio, profili ermeneutici di estensibilità del dato normativo sullo stretto crinale dell'esegesi testuale e sistematica e del rispetto dei principi fondamentali di stretta legalità e tassatività delle norme incriminatrici.

Le soluzioni giuridiche

I dati informatici come elementi immateriali, estranei al concetto normativo di “cosa mobile”. La Suprema Corte affronta la questione proponendo, attraverso una rivisitazione della scarna giurisprudenza di legittimità e il richiamo ai contributi della dottrina sul tema, una interpretazione evolutiva del concetto di “cosa mobile”, quale oggetto materiale dei delitti contro il patrimonio, ed in particolare di quello di appropriazione indebita.

L'art. 646 c.p., al pari della norma incriminatrice in tema di furto (624 c.p.), individua l'oggetto materiale del reato nel "denaro od altra cosa mobile". La giurisprudenza della S.C. interpreta il concetto di "cosa mobile" in materia penale secondo un criterio di fisicità o materialità, quale res suscettibile di «fisica detenzione, sottrazione, impossessamento od appropriazione, e che a sua volta possa spostarsi da un luogo ad un altro o perché ha l'attitudine a muoversi da sé oppure perché può essere trasportata da un luogo ad un altro o, ancorché non mobile ab origine, resa tale da attività di mobilizzazione ad opera dello stesso autore del fatto, mediante sua avulsione od enucleazione» (in tal senso, Cass pen. Sez. II, n. 20647 del 11/05/2010, Corniani che afferma la configurabilità del reato di appropriazione indebita dei documenti riproducenti disegni e progetti coperti da segreto e non della proprietà industriale). Tale caratteristica strutturale esclude in via generale dalla nozione ogni tipologia di entità immateriale, quali le idee, le opere dell'ingegno, le informazioni, non suscettibili di apprensione fisica e, dunque, di appropriazione, salvo che costituiscano energie, normativamente equiparate alle cose mobili ex art. 624, comma 2, c.p.

Analogamente, Cass. pen., Sez. II, n. 36592 del 26/9/2007, Vittucci, ha escluso la configurabilità del reato di cui all'art 646 c.p. nel caso di appropriazione delle quote di una società a responsabilità limitata, ossia del complesso dei diritti e facoltà spettanti al soggetto che delle quote stesse risulti essere titolare, che non possono rientrare nel concetto di “cosa”, quale porzione del mondo esterno ed entità materiale idonea a soddisfare un bisogno umano - individuale o collettivo, materiale o spirituale - ed in grado di formare oggetto di un diritto di natura patrimoniale.

Il necessario ricorso al dato naturalistico nella definizione penalistica di “cosa mobile”, ai fini della configurabilità del furto o della appropriazione indebita, trova il proprio fondamento nella possibilità di fisica detenzione, sottrazione ed impossessamento od appropriazione. Cose mobili, dunque, non solo perché in sé amovibili e trasportabili, ma anche suscettibili di essere mobilizzate ad opera dello stesso autore del fatto, mediante la loro avulsione od enucleazione o analoghe attività materiali (cfr. Cass. pen., Sez. II, n. 9802 del 07/05/1984, Dagrada, in tema di furto di protesi dentaria da un cadavere, bene materialmente mobilizzabile ad opera dell'autore).

La nozione penalistica di cosa mobile, secondo il significato che è venuto ad assumere il termine nella elaborazione giurisprudenziale, non coincide con quella civilistica, divergendone proprio nei casi in cui il diritto civile assimila, attraverso una finzione giuridica, alcune categorie di beni agli immobili od ai mobili, mutuandone il regime giuridico. Se la nozione penalistica è più ristretta per le opere dell'ingegno e i diritti soggettivi, assimilati ex art. 813 cod. civ. ai beni mobili ma non suscettibili di appropriazione fisica, di contro, questa può presentarsi più ampia laddove vi ricomprende beni che, originariamente immobili o costituenti pertinenze di un complesso immobiliare (come tale assoggettate al medesimo regime ex art. 818 cod. civ.), siano mobilizzati, divenendo quindi asportabili e suscettibili di sottrazione (cfr. Cass. pen., Sez. I, n. 8514 del 12/2/74, Rossi, in relazione al furto di un cancello che, seppur pertinenza di un immobile, che la legge civile per una funzione giuridica assoggetta al regime immobiliare, rientra nella nozione di cose mobili, oggetto materiale del reato).

Si esclude, del pari, la configurabilità della appropriazione indebita per la natura immateriale del bene con riguardo all'omesso versamento alla società di assicurazioni, da parte di un suo agente, dei premi assicurativi riscossi dai subagenti ma a lui non versati, trattandosi di crediti di cui si abbia disponibilità per conto d'altri (Cass. pen., Sez. II, n. 33839 del 12/07/2011, Simone), salvo che la condotta di appropriazione abbia ad oggetto il supporto (documenti o apparati di registrazione) in cui sono contenuti o rappresentati i beni immateriali (Cass. pen., Sez. V, n. 47105 del 30/09/2014, Capuzzimati ed altro, che ha ravvisato il delitto di appropriazione indebita nell'essersi procurato – mediante la stampa - dei dati bancari di una società riproducendoli su un supporto cartaceo, in quanto, se questi costituiscono bene immateriale insuscettibile di detenzione fisica, l'entità materiale su cui tali dati sono trasfusi ed incorporati attraverso la stampa del contenuto del sito di home banking acquisisce il valore di questi, assumendo la natura di documento originale e non di mera copia; conf. Cass. pen. n. 20647 del 2010, Cormiani, cit.).

La natura immateriale dei file o dei documenti informatici rappresenta, dunque, un ostacolo logico alla realizzazione dell'elemento oggettivo del reato di appropriazione indebita, non essendo configurabile la condotta tipica della sottrazione del dato, ma del solo supporto documentale che lo rappresenta (in forma di stampa cartacea) o lo contiene (hardware).

Dalla natura di bene immateriale si fa derivare, nel delitto di furto, la non realizzabilità dell'elemento oggettivo dello spossessamento del bene, atteso che l'appropriazione dei file non può che realizzarsi con la loro duplicazione, ciò che non comporta la sottrazione della disponibilità degli stessi al legittimo possessore (Cass. pen., Sez. IV, n. 44840 del 26/10/2010, Petrosino, con riferimento alla condotta di copiatura non autorizzata di file contenuti in un supporto informatico altrui, in cui si è ritenuto non realizzatasi la perdita del possesso della res da parte del legittimo detentore; Cass. pen., Sez. V, 8 luglio 2008, n. 37322, P.C. in proc. Bassani e altro, che ha ravvisato il delitto ex art. 615-ter c.p. con riferimento alla condotta di due commercialisti che avevano copiato i file dello studio ove in precedenza avevano lavorato, prima di costituire un autonomo e concorrente studio professionale; Cass. pen., Sez. IV, n. 3449/2004 del 13/11/2003, Grimoldi, con riferimento al reato di furto di file di progetti di prodotti industriali da parte del dipendente che li aveva elaborati, per poi utilizzarli a favore di una società concorrente, della quale egli, subito dopo le dimissioni, era diventato co-amministratore, ove si equipara la copiatura dei file da CD o da HD ad “un procedimento fotografico”, se pure tecnicamente diverso). La sottrazione di dati, quando non si estenda ai supporti materiali su cui i dati sono impressi (nel qual caso si configura, appunto, il reato di furto), realizza una mera "presa di conoscenza" di notizie segrete o riservate, ferma restando la punibilità delle condotte strumentali, come, ad esempio, l'abusivo acceso a sistemi informatici ex art. 615-terc.p.

Si è ritenuto, inoltre, configurabile il delitto di ricettazione di supporti contenenti dati informatici (floppy-disk contenente una creazione letteraria o una ricerca scientifica), in quanto “cosa mobile” perché oggetto di diritti patrimoniali, diversamente dai dati informatici (es. software) - considerati autonomamente, ovvero scissi dal supporto materiale che li incorpora tutelati autonomamente ex art. art. 171-bis I. n. 633 del 1941, come mod. con I. n. 248 del 2000 (Cass. pen., Sez. II, n. 21596 del 18/02/2016, Tronchetti Provera, con riferimento alla ricezione di file e dati illegalmente intercettati, sottratti dai sistemi informatici di una società e memorizzati su CD Rom).

Un primo segnale di apertura è quello di Cass. pen., Sez. V, n. 32383 del 19/02/2015, Castagna, che ha ritenuto configurabile la fattispecie di furto (e non quella di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in ragione della finalità di profitto) nella condotta di un avvocato che, dopo aver comunicato la propria volontà di recedere da uno studio associato, si era impossessato di alcuni file cancellandoli dal server dello studio, oltre che di alcuni fascicoli processuali in ordine ai quali aveva ricevuto in via esclusiva dai clienti il mandato difensivo, al fine di impedire agli altri colleghi dello studio un effettivo controllo sulle reciproche spettanze. In realtà, nella citata pronuncia la Corte non fornisce una chiara indicazione in merito alle ragioni che consentono il superamento della materiale carenza di naturale fisicità del dato informatico, se non la circostanza della sottrazione cumulativa di documentazione e dati relativi a fascicoli di clienti e parcelle, queste ultime cancellate dal server dello studio legale.

L'interpretazione estensiva che riconosce la possibilità di una condotta appropriativa di dati informatici. La Secondo Sezione, con la sentenza Carluccini, rivede l'approdo tradizionale muovendo da una nuova considerazione della natura e della struttura del dato informatico, affermando il seguente principio di diritto: “i dati informatici (file) sono qualificabili cose mobili ai sensi della legge penale e, pertanto, costituisce condotta di appropriazione indebita la sottrazione da un personal computer aziendale, affidato per motivi di lavoro, dei dati informatici ivi collocati, provvedendo successivamente alla cancellazione dei medesimi dati e alla restituzione del computer "formattato".”

La Corte condivide la proposta dei più accorti contributi dottrinali secondo cui i dati informatici, lungi dall'essere entità astratte, trovano la propria dimensione fisica nella estensione, ossia in una dimensione dipendente dalla quantità di dati contenuti e che occupa una porzione quantificabile di memoria. Sono, inoltre, suscettibili di operazioni tecniche realizzabili attraverso il sistema operativo, quali la creazione, la copiatura e l'eliminazione. L'analisi della nozione scientifica del dato informatico consente, dunque, una assimilazione del file alla nozione cosa mobile, di cui condivide la caratteristica di fisicità, anche se non materialmente percepibile all'esterno.

Secondo le c.d. specifiche ISO, infatti, il file costituisce un insieme di dati, archiviati o elaborati, identificabile attraverso una specifica denominazione, architrave principale per la loro memorizzazione digitale. In quanto “insieme” di dati (bit) elaborati secondo il sistema binario e dotato di una dimensione fisica determinata dal numero delle componenti raccolte, necessarie per la loro archiviazione e lettura, attraverso le apparecchiature informatiche, dimensionati in spazi (byte).

L'entità digitale, inoltre, ha un valore patrimoniale quando è oggetto di diritti penalmente tutelati, può essere trasferito da un supporto informatico ad un altro, mantenendo le proprie caratteristiche strutturali, sia fisicamente che attraverso un canale digitale sul web, da un sistema o dispositivo ad un altro sistema, a distanze rilevanti, oppure per essere "custodito" in ambienti "virtuali" (c.d. cloud) corrispondenti a luoghi fisici in cui gli elaboratori conservano e trattano i dati informatici. Tutte caratteristiche (struttura, estensione, capacità e trasferibilità con collegamenti virtuali) che attestano sul piano logico la possibilità del dato informatico di formare oggetto di condotte di sottrazione e appropriazione, prescindendo dalla relazione fisica con il bene tipica della detenzione materiale e della conseguente apprensione, esternamente percepibile solo se fissato su un supporto digitale che lo contenga.

Il riconoscimento di una propria fisicità ai dati informatici, soggetti ad elaborazione, archiviazione, cancellazione e trasferimento mediante apparecchiature informatiche consente di rivedere anche la suscettibilità di costituire oggetto materiale delle condotte tipiche di sottrazione e impossessamento (o appropriazione) di cose mobili, come forme di aggressione all'altrui patrimonio.

La Corte supera, quindi, per via interpretativa l'ostacolo del dato testuale rappresentato dalla limitata e specifica estensione dell'oggetto materiale alle energie ex art. 624, comma 2, c.p. ed alla voluntas legis espressa nella relazione disegno di legge n. 2773, prodromico alla approvazione della legge 23 dicembre 1993, n. 547, recante modificazioni ed integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura penale in tema di criminalità informatica, laddove si afferma che «la condotta di sottrazione di dati, programmi, informazioni di tal genere non è riconducibile alla norma incriminatrice sul furto, in quanto i dati e le informazioni non sono comprese nel concetto, pur ampio, di "cosa mobile" in essa previsto».

La prospettiva di una interpretazione evolutiva di criteri ed elementi descrittivi della fattispecie penale, condotta secondo i criteri orientativi elaborati dalla Corte Costituzionale, consente di salvaguardare il principio di legalità, nel suo principale corollario del rispetto del principio di tassatività e determinatezza della norma penale incriminatrice. La Corte, in particolare, esclude che sia ipotizzabile un vulnus dei suddetti parametri costituzionali quando l'interpretazione di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero di clausole generali o concetti "elastici", conservi le finalità perseguite dall'incriminazione, nel rapporto con gli altri elementi della condotta tipica, consentendo un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta secondo canoni ermeneutici verificabili (Corte cost., n. 25 del 2019, riprendendo le enunciazioni delle precedenti decisioni n. 172 del 2014, n. 282 del 2010, n. 21 del 2009, n. 327 del 2008 e n. 5 del 2004).

In tal modo la S.C. riconosce nell'interpretazione della nozione di cosa mobile, contenuta nell'art. 646 c.p., in relazione alle caratteristiche del dato informatico come sopra individuate, gli estremi di una formula descrittiva che rinvia a nozioni giuridiche extrapenali, la cui evoluzione consente l'accesso ad una «interpretazione logico-sistematica, assiologica e per il principio dell'unità dell'ordinamento, non in via analogica».

Una moderna interpretazione della nozione di cosa mobile, agli effetti della legge penale, comprende anche il dato informatico ed il suo valore patrimoniale. Del resto, anche il denaro, che è espressamente contemplato quale oggetto materiale dalla fattispecie di cui all'art. 646 c.p., pur fisicamente suscettibile di diretta apprensione materiale, può essere oggetto di operazioni contabili e di trasferimenti giuridicamente efficaci, attuati mediante disposizioni inviate in via telematica, ìin assenza di una materiale apprensione delle unità fisiche trasferite.

Infine, dal punto di vista della concreta realizzabilità della condotta appropriativa di dati informatici, l'effetto di definitiva sottrazione del bene patrimoniale al titolare del diritto di godimento ed utilizzo del bene stesso può manifestarsi quando vi sia una sottrazione definitiva dei dati informatici, previamente duplicati e acquisiti autonomamente nella disponibilità del soggetto agente, mediante la loro cancellazione, che fa venir meno la disponibilità materiale e giuridica del titolare.

Osservazioni

La Corte di cassazione, con la sentenza in commento, opera una rivisitazione della qualificazione giuridica del dato informatico, quale entità digitale, dotata di propria fisicità strutturale e dimensionabile nel proprio ambiente, classificabile in ambito penale nel genus della cosa mobile, all'interno del quale sono essere rappresentate informazioni o notizie che, prima dell'avvento dei computer, erano affidate essenzialmente alla cognizione (password, nomi di login, coordinate di accesso ad un sistema). La Corte pende atto dell'evoluzione tecnologica, che consente operazioni di trattamento di tali dati (elaborazione, conservazione, duplicazione, trasmissione, anche a fini commerciali) su strumentazione hardware, ma anche su piattaforme virtuali come i cloud, senza che debba necessariamente sussistere un rapporto fisico immediato tra il legittimo possessore ed i dati informatici.

L'abusiva appropriazione di file, il cui contenuto informativo ha un intrinseco valore economico, profila un comportamento delittuoso che, se commesso senza l'ausilio di un computer, avrebbe potuto consistere nell'appropriazione di documenti (che ne rappresentano la stampa o riproduzione in cartaceo) pacificamente inquadrabile nella fattispecie di cui all'art. 646 c.p. La realizzazione della condotta per via digitale con l'ausilio di un sistema operativo rappresenta, dunque, una forma di aggressione al bene giuridico tutelato dai delitti contro il patrimonio, suscettibile di rilevanza penale.

La formulazione delle norme non individua autonomamente il dato informatico, suscettibile di essere oggetto di una condotta digitale illecita di interazione con un sistema operativo, ma, si osserva, non è necessario che questo sia distinto dal fatto materiale, compiuto nella realtà delle cose. Di qui la necessità di un intervento ermeneutico – contenuto nei limiti di verificabilità indicati dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale – che ricomprenda nel concetto di “bene mobile” anche elementi digitali, al fine di impedire le aberranti conseguenze di una ingiustificata disparità di tutela rispetto a forme di aggressione di beni patrimoniali che si connotano per la particolare invasività. Resta fermo, ovviamente, la necessità che la condotta appropriativa o di spossessamento dei dati informatici sia realizzata in forma definitiva, ossia il titolare del diritto di godimento ed utilizzo ne perda la disponibilità materiale e giuridica, come nel caso di cui alla sentenza in commento, attraverso l'operazione di cancellazione non ripristinabile del dato dal personal computer (“formattazione” dell'hard disk).

Guida all'approfondimento

Dottrina

S. Corbetta, Furto di file, inDir. Pen. Proc., 2011, 2, 160.

C. Parodi, Accesso abusivo, frode informatica, rivelazione di documenti informatici segreti: rapporti da interpretare, in Dir. Pen. Proc., 1998, 1038 e ss.

C. Pecorella, Dieci anni di giurisprudenza sui reati informatici: i principali problemi interpretativi sollevati dalle nuove disposizioni, in G. Cocco (a cura di), Interpretazione e precedente giudiziale in diritto penale, Padova, 2005, 241 ss

L. Scopinaro, Furto di dati e frode informatica, in Dir. Pen. Proc., 2007, 3, 363

Giurisprudenza

Cass. pen., Sez. II, n. 11959 del del 07/11/2019, dep. 10/04/2020, Carluccini

Cass. pen., Sez. II, n. 21596 del 18/02/2016, Tronchetti Provera

Cass. pen., Sez. V, n. 32383 del 19/02/2015, Castagna

Cass. pen. Sez. V, n. 47105 del 30/09/2014, Capuzzimati

Cass. pen., Sez. II, n. 33839 del 12/07/2011, Simone

Cass. pen. Sez. IV, n. 44840 del 26/10/2010, Petrosino

Cass pen. Sez. II, n. 20647 del 11/05/2010, Corniani

Cass. pen., Sez. V, 8 luglio 2008, n. 37322, P.C. in proc. Bassani e altro

Cass. pen., Sez. II, n. 36592 del 26.9.2007, Vittucci

Cass. pen., Sez. IV, n. 3449/2004 del 13/11/2003, Grimoldi

Cass. pen., Sez. II, n. 9802 del 07/05/1984, Dagrada

Cass. pen., Sez. I n. 8514 del 12/02/1974, Rossi

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