Carcere e possesso di riviste pornografiche: la tutela della sessualità effimera del detenuto

Lorenzo Cattelan
07 Maggio 2020

L'ordinanza in commento si iscrive nel vasto tema delle relazioni affettive del detenuto e, ancor più in generale, nella possibilità (sublimata) del soggetto ristretto di manifestare le proprie pulsioni sessuali.
Massima

La fruizione di materiale pornografico da parte del detenuto, sottoposto al regime ordinario, è tutelato dagli artt. 8 e 11 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali nonché dagli artt. 15 e 21 della Costituzione e contempla la possibilità per il soggetto ristretto di acquistare riviste erotiche, in libera vendita all'esterno del circuito carcerario, mediante abbonamento da effettuarsi tramite la Direzione dell'istituto di pena.

Il caso

L'ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Verona, Andrea Mirenda, trae origine da un reclamo presentato ai sensi dell'art. 35 legge 26 luglio 1975, n. 354 (di seguito “ord. pen.”) da S.M., detenuto in regime ordinario presso la Casa Circondariale di Vicenza in espiazione di una condanna definitiva, con fine pena previsto per il 2031.

I fatti posti all'attenzione del competente organo giudiziario si riferiscono al sequestro, avvenuto nel dicembre 2019 per ordine del Comandante di reparto della polizia penitenziaria, di una lettera indirizzata a S.M. e spedita da un suo vecchio compagno di detenzione, contenente una missiva accompagnatoria oltreché alcune foto ritraenti immagini pornografiche. Il trattenimento del materiale erotico, dopo essere stato confermato dalla Direzione, si è protratto sino alla data dell'udienza monocratica innanzi al Magistrato di Sorveglianza (12 febbraio 2020).

Le doglianze del reclamante, inoltre, si estendono nell'evidenziare l'anomala – a suo dire – realtà del carcere di Vicenza, in cui le riviste pornografiche non sono in libera vendita, così come non è dato rinvenire calendari di nudi femminili, a differenza delle prassi penitenziarie constatate nei plurimi istituti carcerari in cui il medesimo interessato è stato ristretto.

Tanto premesso, S.M. chiede in primo luogo la riconsegna del contenuto della lettera trattenuta dalla Direzione dal dicembre 2019 nonché la possibilità, per il futuro, di poter acquistare riviste pornografiche in sopravvitto presso lo spaccio ovvero direttamente dall'esterno.

Le questioni giuridiche

L'ordinanza in commento si iscrive nel vasto tema delle relazioni affettive del detenuto e, ancor più in generale, nella possibilità (sublimata) del soggetto ristretto di manifestare le proprie pulsioni sessuali.

La rilevanza del caso di specie non è data dalla sua unicità, attesi i numerosi casi analoghi in precedenza risolti dai giudici di sorveglianza, bensì dalla conferma della portata applicativa generalizzata delle soluzioni di diritto adottate.

Su un piano ancora precedente, le questioni affrontate dal dott. Mirenda sono le seguenti:

  • se il trattenimento della corrispondenza contenente immagini erotiche, unitamente alla missiva accompagnatoria, configuri una legittima condotta della Direzione dell'istituto di pena e, di conseguenza, rientri fra le legittime ipotesi che giustificano la compressione del diritto ex art. 18-ter, comma primo, ord. pen. ovvero ex art. 38 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 (di seguito “reg. esec.”);
  • se la circolazione di riviste pornografiche all'interno delle mura carcerarie possa trovare tutela nella valorizzazione nell'art. 8 CEDU, laddove viene assicurata la “protezione dei caratteri personali” dell'individuo.
Le soluzioni giuridiche

La decisione in commento spicca per chiarezza espositiva e per il convincente ragionamento giuridico prospettato.

In primis, si afferma che le pretese avanzate dal detenuto, avendo riguardo a fattispecie astratte ed attuali rientranti nell'ambito dell'art. 35 ord. pen., sono riconducibili al disposto contenuto nell'art. 69, comma 6, lett. b), ord. pen., dal momento che si discute dell'inosservanza da parte dell'Amministrazione di disposizioni previste dalla legge sull'ordinamento penitenziario e dal relativo regolamento, dalla quale derivi al detenuto o all'internato un attuale grave pregiudizio all'esercizio dei diritti.

Ciò posto, si passa ad esaminare il merito della vicenda.

I fatti esposti dal reclamante, da ritenersi conformi al vero in quanto non debitamente contestati, esprimono un evidente disagio nell'affrontare il contenimento della sessualità, assunto peraltro il non imminente fine pena dell'interessato che, in tal senso, lo espone ad una pena che “si sostanzia, si fa corpo” e si fa “castigo” (FORTUNA, RE).

L'inquadramento giuridico su cui il magistrato di sorveglianza pone le successive argomentazioni è costituito dall'istituto della corrispondenza del detenuto in entrata e in uscita. Data la chiarezza dell'analisi prospettata, di seguito si riporta il panorama normativo di inquadramento individuato dall'ordinanza de qua.

Oltre agli artt. 15 e 21 della Carta Fondamentale, regolano la fattispecie concreta in esame:

  • l'art. 18, comma primo, ord. pen., che prevede che “i detenuti e gli internati sono ammessi ad avere […] corrispondenza con i congiunti e con altre persone […] (omissis)”. L'ampiezza assoluta del permesso viene indirettamente confermata dal successivo art. 18-ter, comma primo, ord. pen., che contempla, in via eccezionale e con misura di sei mesi prorogabile per tre: lett. a) la possibilità di introdurre limitazioni della corrispondenza epistolare e telegrafica e della ricezione della stampa; lett. b), di sottoporre la corrispondenza a visto di controllo; lett. c), di controllare il contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza (senza sua lettura), esclusivamente per ragioni di indagini o investigative, per prevenire reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine interno all'istituto.
  • l'art. 18, comma sesto, ord. pen., che prevede, a sua volta, che i detenuti e gli internati sono autorizzati a tenere presso di sé i quotidiani, i periodici e i libri in libera vendita all'esterno e di avvalersi di altri mezzi di informazione.

Il trattenimento della lettera indirizzata al detenuto ad opera dalla Direzione dell'istituto di pena, pertanto, involge un diritto primario costituzionalmente tutelato: il diritto alla corrispondenza. Il substrato costituzionale di riferimento è costituito dall'art. 15 Cost., che tutela la libertà e la segretezza della corrispondenza limitabile col solo atto motivato dell'autorità giudiziaria, nonché dall'art. 21 Cost., il quale, com'è noto, garantisce la libertà di espressione e vieta la sottoposizione della stampa a visti e censure. In questo contesto, la normativa penitenziaria ha recepito i dettami della Grundnorm, contemplando la possibilità per il detenuto, specie se ristretto in regime ordinario (ossia al di fuori delle ipotesi di sottoposizione alla sorveglianza particolare o al carcere duro di cui agli artt. 14-bis e 41-bisord. pen.), di fruire in modo pieno e assoluto della possibilità di esprimersi e scambiare idee attraverso le immagini, supporti visivi che siano oggetto di interscambio, ovvero qualsiasi altro mezzo di manifestazione del proprio pensiero che sia compatibile con le esigenze contentive tipiche dell'ambiente intramurario.

Nel caso di specie, in particolare, il Magistrato di Sorveglianza rileva che il trattenimento subito dall'interessato è stato senz'altro pregiudizievole, non potendo dirsi integrate le eccezionali ipotesi idonee legittimarlo ex art. 18-ter, comma primo, ord. pen., ovvero ex art. 38 reg. esec.

Invero, la ricezione di immagini erotiche per mezzo di corrispondenza non può di certo integrare la nozione di pregiudizio all'ordine interno dell'istituto, richiamata dalla lett. c) dell'art. 18-ter, comma primo, ord. pen.

Semmai, la possibilità per il detenuto di idealizzare i propri desideri sessuali attraverso la visione di immagini erotiche, consente al medesimo soggetto di contenere i propri agiti aggressivi e di trovare sfogo (seppur sublimato ed effimero) rispetto a bisogni affettivi che, in ambiente penitenziario, rimangono volutamente repressi ed ignorati.

Dopo aver esposto le premesse sin qui evocate, il Magistrato di Sorveglianza di Verona accoglie il principio di diritto già espresso dalla giurisprudenza (si cita Magistrato di Sorveglianza di Udine, 10 dicembre 2015, in Questa Rivista, con nota di POLIDORO, L'"oggetto del desiderio" conteso tra direzione penitenziaria e detenuto, 22 febbraio 2016) secondo cui attraverso la fruizione di materiale erotico il detenuto realizza quel diritto alla sessualità “effimera” che, in prospettiva evolutiva, trova tutela nell'art. 8 CEDU, nel punto in cui si assicura la protezione dei dati di carattere personale, tra cui – si afferma – non ancillare è quello alla pratica sessuale.

Da qui, il parallelo con la stampa pornografica.

Come ha avuto modo di valutare anche la giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., 11 febbraio 1999, n. 26), trattandosi pur sempre di stampa in libera vendita esterna, le riviste erotiche possono essere legittimamente inoltrate al detenuto e, quindi, trattenute dal medesimo. La ratio funzionale risiede proprio nel riconoscimento al soggetto ristretto del diritto di esercitare la propria sessualità, seppur in maniera effimera (Cass. pen., sez. I, 30 giugno 2011, n. 45410; Mag. Sorv. L'Aquila, 5 settembre 2018).

Da ultimo, le conclusioni normative poste a supporto del parziale accoglimento del condannato sono fondate anche sulla porta dell'art. 11 CEDU, per il quale il diritto alla libertà di espressione include la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee, tali dovendosi intendere anche quelle veicolate mediante immagini.

La decisione, a questo punto, prende posizione in merito alle richieste avanzate dal detenuto.

Nel dettaglio, il reclamo viene giudicato fondato, ad eccezione della richiesta di acquisto presso lo spaccio del carcere (cioè il luogo, all'interno del carcere, in cui è possibile acquistare il cd. sopravvitto) di riviste per adulti, avendosi riguardo a bene esulante dalla nozione di oggetto di indispensabile utilizzo, come tale includibile nell'elenco dei beni acquistabili all'esterno per il tramite di imprese convenzionate con la struttura penitenziaria. Richiamando la Cass. n. 45410/2011, si sostiene che l'amministrazione penitenziaria non è tenuta ad esaudire la richiesta di acquisto di determinate riviste o determinati periodici quando i medesimi non siano previsti fra i generi e gli oggetti inclusi nell'elenco di quelli acquistabili all'esterno con l'impresa convenzionata. Invero, il detenuto potrà sempre farsi inviare la rivista richiesta, acquistandola direttamente dalla casa editrice, vale a dire facendosela spedire per posta dai familiari che l'acquisteranno per lui all'esterno.

In conclusione, aderendo a quanto deciso dal Magistrato di Sorveglianza de L'Aquila con ordinanza, già citata, del 5 settembre 2018, si statuisce che il detenuto potrà acquistare riviste pornografiche in libera vendita esterna mediante abbonamento tramite la Direzione, sulla falsariga dell'art. 19 della Circolare del DAP 2 ottobre 2017 che tale facoltà contempla per i detenuti sottoposti al regime di cui all'art. 41-bisord. pen.

Osservazioni

Dietro alla specificità del caso di specie si racchiude un tema quanto mai delicato e, come tale, meritevole di essere posto in luce: l'affettività del detenuto.

Com'è intuibile, l'incidenza Goffmaniana sull'attuale assetto fenomenico ha condotto parte della dottrina (PUGIOTTO, PULVIRENTI) a sostenere che in quanto aggiuntiva pena corporale, la forzata astensione sessuale del detenuto configura trattamento inumano, il cui divieto è sancito quale vincolo negativo direttamente dall'art. 27, comma terzo, Cost. ed indirettamente dall'art. 117, comma primo, Cost. per il tramite del disposto di cui all'art. 3 CEDU.

Al di là di questa – a mio avviso – estrema posizione, vi è un dato di fondo sicuramente non trascurabile: la sessualità è espressione di una posizione soggettiva riconosciuta dalla Carta Fondamentale (artt. 2, 3) a qualsiasivoglia persona fisica, in quanto coessenziale elemento della personalità di ciascun individuo. Ciononostante, non si può non tenere conto della particolare condizione in cui si trovano i soggetti inseriti nel circuito carcerario. In questo senso, allora, è ben necessaria un'opera di bilanciamento che tenga conto delle esigenze di ordine e sicurezza interna all'istituto di pena e, amplius, di quelle afferenti all'ordine pubblico esterno.

Ecco quindi che servirà «una disciplina che stabilisca termini e modalità di esplicazione del diritto di cui si discute: in particolare, occorrerebbe individuare i relativi destinatari, interni ed esterni, definire i presupposti comportamentali per la concessione delle “visite intime”, fissare il loro numero e la loro durata, determinarne le misure organizzative» (Corte Cost., 11 dicembre 2012 (dep. 19 dicembre 2012), n. 301).

Invero, nel tempo si sono susseguite svariate iniziative legislative in materia, basti pensare alle proposte elaborate ai Tavoli 6 e 14 degli Stati Generali dell'Esecuzione penale o al lavoro della Commissione ministeriale incaricata di elaborare il decreto legislativo delegato per la riforma all'ordinamento penitenziario in attuazione della cd. Legge Orlando (l. 23 giugno 2017, n. 123). Ancora, doveroso richiamo deve farsi all'originaria formulazione dell'art. 61 reg. esec. che prevedeva un particolare tipo di permesso autorizzabile dal Direttore dell'istituto che, nell'intenzione del legislatore, aveva come scopo quello di far trascorrere al detenuto fino a ventinquattr'ore in apposite unità abitative – da realizzarsi all'interno del carcere – con i propri familiari, seppur con sorveglianza esterna da parte degli agenti di polizia penitenziaria. Com'è noto, questa proposta venne bocciata dal Consiglio di Stato (Sezione consultiva, ad. 17 maggio 2000, n. 61) a causa del riscontrato vizio di eccesso di potere regolamentare.

Tratto comune di questi lodevoli stimoli legislativi pare essere rappresentato dalla valorizzazione dell'istituto dei permessi - seppur sui generis e, pertanto, slegati dagli odierni 30 e 30-bis ord. pen. - finalizzato a creare l'occasione in incontri intimi fra il soggetto ristretto e il suo partner. Tale strumento, inoltre, verrebbe a porsi in continuità con la disposizione programmatica di cui all'art. 28 ord. pen., in cui si afferma che particolare cura deve essere dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie.

Secondo un primo orientamento, dalla accentuazione della coessenzialità fra diritto alla personalità e sessualità deriva che il riconoscimento della sua esternazione anche in ambito penitenziario debba essere sganciato da logiche premiali, da intendersi quali strumenti atti alla risocializzazione in senso stretto del reo.

Altro indirizzo, al contrario, sostiene che attraverso l'operazione di riconoscimento della pratica sessuale anche all'interno delle mura carcerarie, si verrebbe a degradare il detenuto da essere morale-razionale a uomo-animale, in quanto considerato incapace di contenere le proprie pulsioni sessuali. Inoltre, l'obbligo di astinenza sessuale in realtà non rappresenterebbe davvero una mutilazione funzionale della personalità dell'individuo.

La più convincente posizione intermedia, invece, prende le mosse dalla suesposta esigenza di bilanciamento fra interessi confliggenti e dal dettato della Corte costituzionale, la quale già nel 1999, ha statuito che «l'idea che la restrizione della libertà personale possa comportare per conseguenza il disconoscimento delle posizioni soggettive attraverso un generalizzato assoggettamento all'organizzazione penitenziaria è estranea al vigente ordinamento costituzionale, il quale si basa sul primato della persona e dei suoi diritti» (Corte Cost., 8 febbraio 1999 (dep. 11 febbraio 1999), n. 26). In altri termini, questa impostazione valorizza l'inopportunità di una sovrapposizione fra i concetti di affettività e di sessualità.

Del resto, un approccio pragmatico e consapevole della vigente realtà penitenziaria, non può fare a meno di considerare come impraticabile un prossimo intervento legislativo che, de iure condendo, preveda la pur semplice possibilità per gli istituti penitenziari di istituire unità abitative familiari quali luoghi adatti alla realizzazione personale ed affettiva (e non solo, dunque, all'incontro fisico). Di primaria importanza, nell'attuale contesto storico, infatti, paiono porsi le esigenze di ristrutturazione degli edifici penitenziari già esistenti che, oltre ad essere sovraffollati a dismisura, presentano delle carenze strutturali che insistono quotidianamente a discapito della salute dei detenuti, degli agenti di polizia penitenziaria e di tutti coloro che ruotano nell'ambiente carcerario.

Ciò posto, al singolo soggetto ristretto, oggi, non rimane che serbare un comportamento propositivo e conforme alle direttive penitenziarie, di modo da poter fruire dell'esperienza premiale presso l'abitazione familiare (laddove presente).

In alternativa, si può auspicare un intervento additivo di principio della Consulta che – sulla base degli artt. 18, comma secondo, e 28ord. pen. – accerti l'incostituzionalità della disciplina penitenziaria nella parte in cui non consente alle persone detenute in regime ordinario la fruizione di incontri prolungati e riservati, sottratti al controllo a vista del personale di custodia, ai fini di tutelare il diritto all'intimità affettiva e sessuale del detenuto e dell'internato. Solamente una simile presa di posizione dei giudici costituzionali, infatti, pare in grado di sollecitare il Parlamento ad una regolamentazione compiuta della materia. Peraltro, la dichiarazione d'illegittimità introdurrebbe nell'ordinamento un principio cui fare riferimento in sede applicativa, specie in sede di ottemperanza ex art. 35-bis, comma 6, lett. a), ord. pen. (“il magistrato di sorveglianza, se accoglie la richiesta, ordina l'ottemperanza, indicando modalità e tempi di adempimento, tenuto conto del programma attuativo predisposto dall'amministrazione al fine di dare esecuzione al provvedimento, sempre che detto programma sia compatibile con il soddisfacimento del diritto”).

Dunque, bollata come concretamente inesigibile – allo stato – la prospettiva per i soggetti di ristretti di avere incontri sessuali all'interno del contesto carcerario, ben diverso discorso può essere impostato con riferimento alle manifestazioni afferenti alla cd. sessualità effimera, di cui la fruizione di riviste erotiche è un esempio lampante.

La negazione (e, dunque, la relativa punizione di) simili manifestazioni, oltre a porsi in palese antinomia con gli artt. 8 e 11 CEDU nonché dagli artt. 15 e 21 Cost., contrasta con il generale principio di non manifesta sproporzionalità delle esigenze preventive rispetto a quelle rieducative della pena.

In definitiva, quindi, l'intimità sublimata del soggetto privato della libertà trova una tutela diretta nei richiamati parametri normativi interni e convenzionali e, pertanto, l'eventuale controversia con l'Amministrazione penitenziaria ben può essere risolta dalla magistratura di sorveglianza attraverso i noti poteri di ottemperanza di cui all'art. 35-bisord. pen.

Guida all'approfondimento

F. MAISTO, Afflittività e affettività, in S. ANASTASIA, F. CORLEONE, e L. ZEVI (a cura di), Il Corpo e lo spazio della pena. Architettura, urbanistica e politiche penitenziarie, Roma, 2011;

A. PUGIOTTO, Della castrazione di un diritto. La proibizione della sessualità in carcere come problema di legalità costituzionale, in Giurisprudenza Penale Web, 2019, 2-bis.

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