Le misure del Governo a sostegno delle imprese nell'emergenza Covid-19

08 Maggio 2020

Dalle prime stime gli effetti economici connessi all'emergenza Covid-19, anche se ancora incerti, sembrano dirompenti: il calo improvviso della produzione in maniera improvvisa e diffusa rischia di innescare effetti “distruttivi” sull'economia reale. Per scongiurare questo scenario di recessione, il Governo italiano ha messo a punto – con il c.d. Decreto Cura Italia e il c.d. Decreto Liquidità - una serie di interventi a sostegno dei redditi e della produzione. Le misure a favore delle imprese sono molteplici e tutte accomunate dall'intento di salvaguardare, attraverso adeguati livelli di liquidità, la continuità delle filiere industriali e dei servizi di mercato.
Premessa

L'Italia è leader europeo per numero di imprese. In base ai dati forniti dall'Istat, quelle attive sono circa 4 milioni e mezzo, di cui più del 90% sono piccole e medie imprese. Occupano oltre 16 milioni di addetti (più dell'80% della forza lavoro in Italia). Rappresentano in media più del 50% della produzione italiana, con picchi più alti nelle Regioni meridionali.

Questi pochi dati permettono di cogliere il ruolo da protagonista che nel sistema economico italiano giocano le imprese: l'impatto in termini economici (e non) di queste realtà è notevole, atteso che quest'ultimo per essere correttamente valutato deve considerare il loro coinvolgimento diretto e indiretto, cioè in chiave di filiera.

L'inevitabile calo (o blocco) della produzione, connesso alle misure di “distanziamento sociale” introdotte per contenere l'emergenza sanitaria Covid-19, porta inevitabilmente con sé la riduzione dei ricavi e della liquidità e rischia di mettere a dura prova la “ripresa” del tessuto produttivo.

Gli effetti negativi dal punto di vista economico sono innegabili e connessi ad una congiunta contrazione della domanda dell'offerta: è stata stimata la perdita di quasi 50 miliardi al mese, pari a circa 7-8 punti di PIL (cfr. Rapporto Svimez sull'impatto economico e sociale del Covid-19).

La centralità delle imprese e la volontà dal governo di procedere una iniezione di risorse e scongiurare lo shock dell'economia nazionale, si rinviene sia nel primo decreto messo in campo dal governo per arginare gli effetti dell'emergenza sanitaria Covid-19 con D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. Decreto Cura Italia) convertito nella L. 24 aprile 2020, n. 27, sia nel secondo intervento predisposto con il D.L. 8 aprile 2020 n. 23 (c.d. Decreto Liquidità) che introducono diverse misure a sostegno della liquidità delle imprese che si andranno sinteticamente ad analizzare.

Le garanzie dello Stato sui prestiti: il Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese

Una direttrice dei richiamati decreti-legge è quella di introdurre forme di garanzia pubblica per i prestiti alle imprese. In particolare, vengono predisposti due diversi livelli di “controgaranzia”: uno attuato mediante il Fondo per le piccole e medie imprese e l'altro attraverso l'intervento di SACE s.p.a.. Entrambi i programmi hanno ricevuto l'avallo della Commissione alla luce del “Temporary Framework Covid-19”. Quest'ultimo individua le condizioni che dovranno essere rispettate dagli Stati membri nell'erogare misure a favore delle imprese per contrastare gli impatti economici connessi all'emergenza sanitaria. Più in dettaglio, la Commissione (sul modello della Temporary Framework adottata nel 2009 per arginare la crisi economico-finanziaria) ha individuato una serie di misure per sostenere le imprese dell'UE, sulla base dell'art. 107(3) lett. b) TFUE, che consente aiuti di Stato per rimediare a un grave turbamento dell'economia degli Stati membri.

Il primo canale privilegiato per l'accesso al credito, è il Fondo di garanzia per le PMI, di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della Legge 23 dicembre 1996, n. 662.

Dapprima con il Decreto Cura Italia (art. 49),poi con il Decreto Liquidità (art. 13 che sostituisce integralmente l'art. 49 del D.L. 19/2020, poi definitivamente abrogato dalla legge di conversione), il governo incrementa gli interventi del Fondo di garanzia per le PMI attraverso una temporanea deroga alla disciplina ordinaria. In sostanza, come chiarito espressamente dal MISE, si è “deciso di trasformare il Fondo di Garanzia per le Pmi in uno strumento capace di garantire fino a 100 miliardi di euro di liquidità, potenziandone la dotazione finanziaria ed estendendone l'utilizzo anche alle imprese fino a 499 dipendenti” (c.d. Midcap)

Dunque, il Fondo PMI viene implementato sia in termini di risorse che di operatività. Sotto il primo profilo si segnala che il Fondo di garanzia per l'anno 2020 è rifinanziato di 1,5 milioni di euro (in aggiunta alle risorse già disponibili per il Fondo, pari a 1,1 miliardi di euro e agli “incassi” relativi alle rate scadute, pari a 1 miliardo di euro)

Fino al 31 dicembre 2020, il Fondo per le PMI opera secondo le regole che si andranno sinteticamente a richiamare. In particolare, potranno accedere alla garanzia del Fondo, beneficiando di una copertura al 100% sia in garanzia diretta che in riassicurazione, i nuovi finanziamenti ottenuti dalle PMI e dai professionisti possessori di partita IVA la cui attività è stata danneggiata dall'emergenza sanitaria (il danno subìto dovrà essere autocertificato) in presenza delle seguenti condizioni: a) prevedano l'inizio del rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall'erogazione del finanziamento; b) abbiano una durata di 72 mesi; c) siano di importo non superiore a 25.000 euro e, comunque, non superiore al 25% dell'ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario, come risultante dall'ultimo bilancio depositato o dall'ultima dichiarazione fiscale presentata ovvero, per i soggetti beneficiari costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da altra idonea documentazione. In questi casi la garanzia statale è concessa automaticamente – vagliando solo la presenza dei requisiti - senza valutazione del merito creditizio. In questa ipotesi è previsto un tasso di interesse stimabile tra 1,2 e 2%. Per le imprese con ricavi non superiori a 3,2 milioni di euro, che occupino fino a 499 dipendenti e autocertifichino i danni subiti a causa del Covid-19, i prestiti possono arrivare a 800.000 euro e, comunque non possono essere superiori al 25% dei ricavi per l'anno 2019 e sono assistiti da una garanzia statale del 90% a carico del Fondo e del 10% a carico dei confidi o di altri fondi, in modo da garantire una copertura totale dell'importo stanziato. L'importo massimo dei finanziamenti erogabili a ogni singola impresa è elevato a 5 milioni di euro con garanzia del Fondo PMI pari al 90% delle somme erogate.

A livello operativo l'intervento del Fondo è concesso a titolo gratuito, non essendo dovuta la commissione d'ingresso (“una tantum”) che dovrebbe essere versata, pena decadenza, entro tre mesi dalla data della delibera di ammissione del Consiglio di gestione. Sempre in tema di commissioni, anche quella di mancato perfezionamento delle operazioni finanziarie a seguito della concessione della garanzia, prevista dalla disciplina ordinaria del Fondo, non è dovuta.

Vengono notevolmente allargate le maglie per beneficiare del Fondo, introducendo un'istruttoria “semplificata” per l'accesso ai fondi garantiti – superiori a 25.000 euro- in virtù della quale la probabilità di inadempimento viene valutata esclusivamente sulla base del modulo economico finanziario, che fornisce una misura del profilo di rischio patrimoniale, economico e finanziario, e non anche su quello andamentale, il quale permette di apprezzare il profilo di rischio di credito, approfondendo la dinamica dei rapporti del beneficiario finale con le istituzioni finanziarie. La sospensione della verifica del modulo andamentale – come chiarisce il governo - è giustificata dall'esigenza eccezionale di non escludere dall'accesso al credito imprese che registrano “tensioni” col sistema bancario classificate come "scaduti" o "sconfinamenti".

Infatti, è lo stesso D.L. 23/2020 a precisare che possono beneficiare della misura in esame anche le imprese che alla data della richiesta della garanzia presentano esposizioni nei confronti del soggetto finanziatore classificate come “inadempienze probabili” o “scadute o sconfinanti deteriorate", purché la predetta classificazione non sia precedente alla data del 31 gennaio 2020. Al contrario vengono, escluse le imprese che, già prima del 31 gennaio 2020, presentano “sofferenze” o “inadempienze probabili” in base alla disciplina bancaria o che rientrino nel concetto di “impresa in difficoltà”, ai sensi della disciplina europea sugli aiuti di stato. Sono, altresì, ricomprese nell'ambito soggettivo di operatività del Fondo le imprese che, in data successiva al 31 dicembre 2019, sono state ammesse alla procedura del concordato con continuità aziendale, hanno stipulato accordi di ristrutturazione o hanno presentato un piano attestato di risanamento.

Il Fondo PMI viene esteso anche ai finanziamenti a fronte di operazioni di rinegoziazione del debito del soggetto beneficiario, purché il nuovo finanziamento preveda l'erogazione al medesimo beneficiario di credito aggiuntivo in misura pari ad almeno il 10% del debito residuo in essere del finanziamento oggetto di rinegoziazione. Si segnala che la misura, sino ad oggi circoscritta alle sole garanzie di portafoglio, è volta a sopperire alle prevedibili e immediate esigenze di liquidità a cui potrebbero essere esposte imprese che sono considerate dal sistema bancario affidabili.

Inoltre, la durata della garanzia del Fondo è estesa automaticamente per le operazioni in relazione a cui le banche o gli intermediari finanziari hanno accordato - anche di propria iniziativa e al fine di ridurre gli effetti indotti dalla diffusione del COVID-19- la sospensione del pagamento delle rate di ammortamento o della sola quota capitale. La disciplina prevista dal Decreto Liquidità semplifica nettamente la possibilità di accedere prolungamento della durata della garanzia che, a regime, è ammesso a seguito del prolungamento della durata di finanziamenti relativi a beneficiari finali in stato di temporanea e preclude un nuovo intervento del Fondo PMI fino alla regolare estinzione dell'operazione che ha beneficiato dell'estensione della garanzia. Sotto questo profilo, tuttavia, il D.L. 23/2020 “dimentica” di chiarire esplicitamente se l'automatico prolungamento della garanzia abbia o meno un effetto preclusivo all'apertura di nuovi interventi fino all'estinzione del debito sospeso.

… e il programma “Garanzia Italia” di SACE s.p.a

Il Decreto Liquidità potenzia ulteriormente il sostegno pubblico alla liquidità delle imprese e le misure di rilancio dell'economia introducendo un secondo meccanismo per“trasmettere” alle imprese la garanzia statale, il quale fa perno su SACE s.p.a., del gruppo Cassa Depositi e Prestiti (c.d. Garanzia Italia).

In particolare, il D.L. 23/2020 (art. 1) prevede che la società SACE concede garanzie, in via temporanea fino al 31 dicembre, in favore di banche, istituzioni finanziarie e degli altri soggetti abilitati all'esercizio del credito per i finanziamenti erogati (sotto qualsiasi forma) alle imprese italiane per favorire la continuità produttiva.

In particolare, sulle obbligazioni assunte da SACE s.p.a. è accordata una garanzia pubblica a prima richiesta e senza diritto di regresso, esplicita, incondizionata e irrevocabile a copertura sia del capitaleche degli interessi, erogata mediante un apposito Fondo a copertura,istituito presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze.

Il prestito garantito in esame è destinato – a differenza del Fondo PMI -a tutte le imprese senza limiti di fatturato, purché non siano state qualificate al 31 dicembre 2019 tra le “imprese in difficoltà” ai sensi del Regolamento (UE) n. 651/2014. Tuttavia, si precisa che per le piccole e medie imprese -nozione nella quale vengono inseriti anche lavoratori autonomi e liberi professionisti con partita IVA- l'accesso è subordinato, al preventivo esaurimento della loro capacità di utilizzo della garanzia che può essere loro rilasciata dal Fondo centrale di garanzia.

Il tetto massimo degli impegni garantiti da SACE è pari a 200 miliardi di euro, dei quali almeno 30 miliardi sono destinati alle piccole e medie imprese. Viene individuato, altresì, un valore massimo per l'importo del singolo prestito assistito da garanzia, pari al maggiore valore tra il 25% del fatturato annuo dell'impresa e il doppio dei costi annuali del personale.

Sono, inoltre, previste tre soglie di garanzia calcolate sulla base del numero di dipendenti e del valore del fatturato, con l'intento di – chiarisce la Relazione illustrativa- “trovare un punto di equilibrio tra importo massimo del finanziamento garantito e percentuale di copertura di quest'ultimo”. In particolare, la garanzia dello stato copre il 90% del prestito per le aziende con meno di 5.000 dipendenti e 1,5 miliardi di fatturato; l'80% per le imprese con più di 5.000 dipendenti e fatturato fino a 5 miliardi e il 70% per quelle con valore del fatturato superiore a 5 miliardi. Se l'impresa beneficiaria fa parte di un gruppo, ai fini del calcolo si considerano tutte le imprese appartenenti al gruppo e, ai fini dell'individuazione dell'importo massimo garantito, si considerano le imprese del gruppo che hanno sede in Italia.

La durata della garanzia non può eccedere i sei anni, con possibilità per le imprese di avvalersi di 24 mesi di preammortamento. Le commissioni dovute dalle imprese variano a seconda che si tratti o meno di piccole e medie imprese, prevedendo un importo inferiore per queste ultime. Più in dettaglio, le commissioni per le PMI, in rapporto all'importo garantito, sono pari a 0,25% il primo anno, 0,5% il secondo e terzo, 1% dal quarto al sesto; per le imprese più grandi sono, invece, pari a 0,5% dell'importo garantito il primo anno, 1% secondo e terzo, 2% dal quarto al sesto.

Le commissioni, tuttavia, devono essere limitate al recupero dei costi e il costo dei finanziamenti coperti dalla garanzia deve essere inferiore a quello che viene ordinariamente richiesto dai soggetti finanziatori per operazioni con le medesime caratteristiche, ma prive di garanzie. In questo modo, chiarisce lo stesso esecutivo, si mira a “mitigare gli effetti speculativi e assicurare che i vantaggi della garanzia siano trasferiti all'economia reale”.

Vengono, altresì, indicate specifiche condizioni per il rilascio della garanzia. In particolare, l'impresa destinataria assume l'impegno: a) di non procede alla distribuzione dei dividendi nei dodici mesi successivi all'erogazione del finanziamento, per assicurare che il finanziamento sia destinato principalmente a investimenti produttivi; b) di gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali; c) di utilizzare il finanziamento per sostenere costi del personale, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali che siano localizzati in Italia (c.d. clausola a tutela del made in Italy).

Quanto alle concrete modalità per ottenere il “prestito garantito” se il prestito è destinato a favore di imprese con meno di 5000 dipendenti e con valore del fatturato inferiore a 1,5 miliardi di euro, si applica la procedura semplificata. Quest'ultima è articolata nei seguenti passaggi: l'impresa presenta la domanda al soggetto finanziatore; se sussistono i presupposti il finanziatore emette parere positivo che viene trasmesso a SACE s.p.a. per l'istruttoria e l'eventuale emissione del codice unico identificativo del finanziamento e il rilascio della garanzia, a cui segue l'erogazione del finanziamento stesso. Invece, per le imprese di più grandi dimensioni il Decreto Liquidità subordina il rilascio delle garanzie alla decisione del Ministro dell'Economia e delle Finanze, sentito il Ministero dello Sviluppo Economico, sulla base dell'istruttoria di SACE, che può anche elevare le percentuali di copertura della garanzia alla soglia immediatamente superiore a quella prevista a fronte di specifici impegni e condizioni in capo all'impresa beneficiaria, in relazione ad aree e profili di operatività dell'impresa di particolare interesse pubblico.

I termini e le condizioni per l'operatività del programma gestito da SACE sono stati ulteriormente dettagliati nel disciplinare siglato da SACE e ABI. In particolare, le garanzie a favore dei soggetti finanziatori sono “concesse” in modalità telematica attraverso il portale “Garanzia Italia” in cui gli istituti di credito inseriscono le richieste e ottengono le relative garanziein tempi brevi. Per la procedura semplificata e per i finanziamenti di importo fino a 375 milioni di euro il termine massimo è fissato in 48 ore dalla richiesta.

Le garanzie di Cassa Depositi e Prestiti

Il decreto Cura Italia si preoccupa, altresì, di fornire strumenti per facilitare l'accesso al credito alle imprese di più grandi dimensioni che hanno subito una “caduta” dei ricavi a causa della pandemia. In particolare, l'articolo 57 del D.L. 18/2020 consente alle banche, con il supporto di Cassa Depositi e Prestiti (CDP), di erogare più agevolmente finanziamenti (in qualsiasi forma) alle imprese che hanno sofferto una riduzione del fatturato a causa dell'emergenza Covid-19 e non sono in possesso dei requisiti per l'accesso al Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese. Le esposizioni assunte da Cassa Depositi e Prestiti in favore delle banche e degli altri soggetti autorizzati all'esercizio del credito possono essere garantite, a condizioni di mercato, dallo Stato fino a un massimo dell'80% dell'esposizione assunta “con un evidente effetto moltiplicativo delle risorse a disposizione del sistema”. La garanzia statale viene rilasciata a favore di CDP a prima domanda; è orientata a parametri di mercato, esplicita, incondizionata e irrevocabile e conforme alla normativa di riferimento dell'Unione europea. A tal fine viene istituito uno specifico Fondo nello stato di previsione del MEF a copertura delle garanzie che viene dotato per il 2020 di 500 milioni di euro. È lo stesso esecutivo a precisare che detta garanzia non si sovrappone al Fondo PMI quanto a operatività, atteso che lo strumento in esame dal punto di vista soggettivo, come accennato, opera per le imprese che non possono accedere al Fondo PMI (ovvero le imprese con più di 499 dipendenti), mente sotto il profilo oggettivo coinvolge “portafogli già esistenti, differenziandosi così dall'operatività del Fondo che, invece, opera garantendo unicamente nuovi portafogli”.

La trasformazione delle imposte anticipate in credito d'imposta

Tra le misure previste ad hoc per le imprese, al fine di neutralizzare (o almeno ridurre) la crisi di liquidità che si potrebbe innescare a causa del Covid-19, emerge il meccanismo introdotto dall'art. 55 del D.L. 18/2020 che incentiva la cessione di crediti deteriorati, di natura commerciale e di finanziamento, con la possibilità di trasformare in credito d'imposta una quota di attività per imposte anticipate (Deferred Tax Assets - DTA) proporzionalmente al valore dei crediti deteriorati ceduti. In altre parole, si introduce una nuova forma di “monetizzazione” delle attività per imposte anticipate che si affianca a quella già esistente introdotta dall'art. 2, commi da 55 a 58, del D.L. 225/2010 avente a oggetto la possibilità di trasformare le attività per imposte anticipate inerenti alle svalutazioni e perdite relative a crediti, avviamento e altre immobilizzazioni immateriali.

La ratio della disposizione – come spiega l'esecutivo – si rinviene nella necessità di “spingere” le imprese a cedere crediti deteriorati accumulati negli ultimi anni, complice anche la crisi finanziaria, con l'obiettivo di sostenerle sotto il profilo della liquidità, nel fronteggiare l'attuale contesto caratterizzato da forti incertezze economiche.

In particolare, viene sostituito il testo dell'art. 44-bis del D.L. 34/2019 (che originariamente si occupava della tematica degli incentivi fiscali per promuovere la crescita dell'Italia meridionale) prevedendo che, nel caso in cui una società ceda a titolo oneroso, entro il 31 dicembre 2020, crediti pecuniari vantati nei confronti di debitori inadempienti,può trasformare in credito d'imposta le attività per imposte anticipate riferite alle perdite fiscali non ancora computate in diminuzione del reddito imponibile e all'importo del rendimento nozionale eccedente il reddito complessivo netto non ancora dedotto, né fruito tramite credito d'imposta alla data della cessione. Ai fini della trasformazione in credito d'imposta, i predetti componenti possono essere considerati per un ammontare massimo non eccedente il 20% del valore nominale dei crediti ceduti. I crediti ceduti possono essere considerati per un valore nominale massimo pari a 2 miliardi di euro, determinato tenendo conto di tutte le cessioni effettuate entro il 31 dicembre 2020 dalle società legate da rapporti di controllo e dalle società controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto.

La trasformazione in credito d'imposta è ammessa anche se le DTA non sono state iscritte in bilancio, tenendo in considerazione il fatto che in relazione a queste posizioni soggettive le imprese potrebbero, in via prudenziale, aver evitato di rilevare in bilancio le relative imposte anticipate, ad esempio in caso del probability test, ovvero in assenza della ragionevole previsione del conseguimento di redditi imponibili in misura idonea ad assorbirle.

Inoltre, la norma chiarisce che la trasformazione si realizza alla data di efficacia della cessione dei crediti, quindi, il credito d'imposta sorgerà per l'intero ammontare dal momento della cessione. Dalla suddetta data per il cedente non sono computabili in diminuzione le perdite relative alle DTA complessivamente trasformabili in credito d'imposta e non sono deducibili le eccedenze del rendimento nozionale.

L'incentivo all'utilizzo dello strumento in esame deriva, altresì, dal fatto che, i crediti d'imposta derivanti dalla trasformazione non sono produttivi di interessi e possono essere utilizzati, senza limiti d'importo in compensazione, possono essere ceduti o chiesti a rimborso. I suddetti crediti di imposta, inoltre, anche se devono essere indicati in dichiarazione dei redditi, non concorrono alla formazione del reddito di impresa, né della base imponibile a fini dell'IRAP.

Tuttavia, non possono beneficiare delle trasformazione le società per le quali sia stato accertato lo stato di dissesto o il rischio di dissesto, ovvero lo stato di insolvenza e alle cessioni di crediti tra società che sono tra loro legate da rapporti di controllo ai sensi dell'art. 2359 c.c. e alle società controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto.

Il meccanismo appena richiamato permette di utilizzare anticipatamente i crediti d'imposta relativi alle DTA salvaguardando – come chiarisce la Relazione illustrativa al Decreto Cura Italia- “la coerenza complessiva del sistema fiscale posto che, a fronte di tale anticipazione, viene meno il meccanismo ordinario di riporto in avanti dei componenti oggetto di trasformazione”.In questo modo si garantisce alle imprese una riduzione del fabbisogno di liquidità connessa con la necessità di far fronte al carico fiscale, incrementando le disponibilità di cassa da utilizzare nel periodo di emergenza sanitaria. L'impatto economico secondo le stime del governo (sulla base dei dati forniti dagli operatori del settore) è notevole, atteso che si valuta che i crediti deteriorati ceduti complessivamente da società finanziarie e non finanziarie nel corso del 2020 si assesteranno attorno ai 20 miliardi di euro. (SI veda anche, sulla misura di cui all'art. 55, Gallio, La trasformazione in crediti d'imposta delle imposte anticipate relative a perdite e eccedenze ACE).

La moratoria straordinaria del credito per le piccole e medie imprese danneggiate dal Covid-19

Un ulteriore strumento a sostegno della liquidità è previsto dall'art. 56 del Decreto Cura Italia che introduce a favore delle imprese di più piccole dimensioni una moratoria, ovvero una sospensione dei pagamenti, in relazione a diverse tipologie di esposizioni debitorie. La norma è volta a fornire un aiuto agli operatori economici per superare la caduta di produttività innescata dall'emergenza Covid-19, riconosciuta espressamente, “come evento eccezionale e di grave turbamento dell'economia, ai sensi dell'articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea”, il quale rende ammissibili gli aiuti di Stato “destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali”.

La norma è indirizzata alle micro, piccole e medie imprese danneggiate a seguito dell'epidemia che possono avvalersi in relazione alle esposizioni debitorie nei confronti di banche, di intermediari finanziari e degli altri soggetti abilitati alla concessione di credito delle misure di sostegno finanziario che si andranno sinteticamente a richiamare.

Più in dettaglio, fino al 30 settembre:

a) non possono essere revocate in tutto o in parte (sia per la parte utilizzata sia per quella non ancora utilizzata) le aperture di credito a revoca e i prestiti accordati a fronte di anticipi su crediti esistenti alla data del 29 febbraio 2020 o, se successivi, a quella del 17 marzo 2020;

b) sono prorogati i contratti relativi a prestiti non rateali con scadenza contrattuale antecedente a detta data unitamente ai rispettivi elementi accessori,senza alcuna formalità e alle medesime condizioni;

c) è sospeso per i mutui e gli altri finanziamenti a rimborso rateale il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre 2020 e il piano di rimborso è dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità,secondo modalità che assicurino l'assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti (in questo caso le imprese possono anche optare per la sospensione dei soli rimborsi in conto capitale).

La moratoria straordinaria può riguardare, altresì, finanziamenti erogati (in tutto o in parte) attraverso fondi di soggetti terzi, in questo caso si realizza senza preventiva autorizzazione di tali soggetti. Si procede, dunque, automaticamente e alle stesse condizioni del contratto originario, all'allungamento del contratto di provvista in relazione al prolungamento del finanziamento. Nel caso in cui coinvolga finanziamenti agevolati, le misure si attuano previa comunicazione all'ente incentivante, che entro 15 giorni dalla comunicazione può fornire integrazioni alle modalità operative.

A livello economico l'importo complessivo dei prestiti alle piccole e medie imprese che ricorreranno alla moratoria risulterebbe pari a circa 219 miliardi di euro. Il governo stesso spiega che “sarebbero congelate per 97 miliardi le linee di credito in conto corrente (attualmente utilizzate per 66 miliardi), e per 60 miliardi i finanziamenti per anticipi su titoli di credito (attualmente utilizzati per 35 miliardi). Inoltre, si stima un allungamento delle scadenze di prestiti a breve per 29 miliardi e la sospensione delle rate dei prestiti e dei canoni in scadenza per 33 miliardi”.

I benefici appena analizzati, come chiarisce la Relazione illustrativa al Decreto Cura Italia, sono destinati a imprese che non presentando posizioni debitorie deteriorate hanno subìto, a causa dell'epidemia, una carenza di liquidità che non incide, tuttavia, sulla capacità di adempiere alle proprie obbligazioni. Proprio per tale motivo, alla moratoria si accede tramite mera comunicazione (da inviare tramite PEC) al soggetto creditore corredata da autocertificazione dell'impresa che attesti la mancanza improvvisa di cassa a seguito dell'emergenza in atto.

Dalla sintetica analisi delle linee generali della moratoria straordinaria emerge chiaramente che quest'ultima, per il breve periodo di operatività, non permette alle banche di valutare autonomamente se acconsentire o meno a modifiche alle condizioni contrattuali, tenendo conto della condizione economico-finanziaria dei debitori.

Per attenuare gli effetti economici di un possibile peggioramento nella qualità del credito al termine del periodo di moratoria il legislatore del Cura Italia prevede specifiche disposizioni inerenti la garanzia a valere sul Fondo di garanzia per le PMI, introducendo, quindi, una forma di garanzia pubblica – sussidiaria e a titolo gratuito- a parziale copertura delle esposizioni interessate.

In particolare, si dispone che le operazioni oggetto delle misure di sostegno siano ammesse, senza valutazione, alla garanzia mediante apposita sezione speciale del Fondo di garanzia, a cui è attribuita una dotazione di 1,73 miliardi di euro. La garanzia, limitando fortemente il moral hazard, copre solo parzialmente i danni subiti dalle banche a seguito dell'epidemia e del conseguente turbamento dell'economia, e si estende a una quota degli importi definita dal decreto-legge stesso. In particolare, la suddetta quota è pari al 33%:

a) del maggiore credito utilizzato tra la data dell'entrata in vigore del decreto e il 30 settembre 2020 su ciascuna linea di credito proroga;

b) dei prestiti in scadenza che hanno beneficiato di un allungamento della durata;

c) delle singole rate dei mutui e degli altri finanziamenti a rimborso rateale che siano stati sospesi.

Quanto all'escussione della garanzia, questa può essere richiesta dai soggetti finanziatori al Fondo quando, nei 18 mesi successivi alla conclusione delle misure di sostegno, siano state avviate le procedure esecutive in relazione alle esposizioni oggetto di moratoria. Valutata la legittimità della richiesta di garanzia il Fondo provvede a liquidare in favore della banca, entro 90 giorni, un anticipo pari al 50% del minor importo tra la quota massima garantita e il 33% della perdita stimata a carico del Fondo. Il creditore può, dunque, richiedere la liquidazione dell'importo residuo entro 180 giorni dall'esaurimento delle procedure esecutive e il Fondo provvede nei successivi 30 giorni.

In conclusione

Le misure volte a garantire adeguati livelli di liquidità predisposte dal governo che sono state analizzate si inseriscono nell'ambito di un più ampio piano di interventi che – coinvolgendo imprese, famiglie e lavoratori- cerca di far fronte all'emergenza che in breve tempo da sanitaria rischia di trasformarsi in economica e sociale. E la necessità di puntare su misure economiche a sostegno al sistema produttivo è connessa alla consapevolezza che solo arginando gli effetti della pandemia sul cuore pulsante dell'economia nazionale si evita il collasso dell'intero sistema Paese. Quanto all'adeguatezza degli strumenti, è innegabile che si dovrà attendere la concreta implementazione e, in particolare, le tempistiche con cui verranno rese operative le singole misure per vagliarne l'idoneità e l'efficacia a contrastare il rischio di crisi economica.

Tuttavia,preme sottolineare che il Fondo Monetario internazionale nel Fiscal Monitor di Aprile 2020, nonostante affermi che gli interventi diretti siano stimabili in “solo” 20 miliardi di euro, pari a poco più dell'1 % del Pil – tra i valori più bassi nei Paesi del G20- nella valutazione globale del pacchetto predisposto dal governo include anche il valore delle garanzie pubbliche offerte sui prestiti per aumentare la liquidità alle imprese, pari a 550 miliardi di euro, più del 30% del Pil. Così l'Italia diviene il primo paese del G20 per entità degli interventi in risposta alla pandemia Covid-19.

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