Il reddito di cittadinanza è pignorabile e può essere oggetto dell'ordine di pagamento diretto emesso dal giudice ex art. 156, comma 4 c.c.

Paola Silvia Colombo
14 Maggio 2020

È ammissibile l'ordine di pagamento diretto al coniuge di una quota del reddito di cittadinanza erogato all'altro, inadempiente agli obblighi scaturenti dalla separazione.
Massima

Deve ritenersi pignorabile, senza l'osservanza dei limiti di cui all'art. 545 c.p.c., il reddito di cittadinanza, stante l'assenza nel testo del decreto istitutivo di qualunque riferimento alla natura alimentare di detto reddito ed il carattere predominante di misura di politica attiva dell'occupazione. Risulta, quindi, ammissibile l'ordine di pagamento diretto al coniuge di una quota del reddito di cittadinanza erogato all'altro, inadempiente agli obblighi scaturenti dalla separazione

Il caso

Nell'ambito di un giudizio di separazione giudiziale, il Presidente ha assunto i provvedimenti provvisori disponendo l'obbligo del marito, beneficiario del reddito di cittadinanza, di contribuire al mantenimento delle due figli minori versando alla moglie la somma di € 360,00 mensili. Quest'ultima ha lamentato il mancato versamento dell'assegno a lei spettante e ha presentato, pertanto, ricorso al Giudice ai sensi dell'art. 156 comma 4 c.c., affinché fosse ordinato al Ministero e/o all'Inps il pagamento diretto in suo favore della somma di € 360,00 da prelevare dal reddito di cittadinanza (pari a € 869,00 mensili) percepito dal marito, nonché il sequestro della quota di proprietà del marito della casa familiare che le era stata assegnata.

Il marito si opponeva all'accoglimento della richiesta eccependo l'impignorabilità del reddito di cittadinanza e chiedendo il rigetto della domanda di sequestro, attesta la sproporzione fra il valore della quota di proprietà detenuta sull'immobile e l'ammontare del debito maturato nei confronti della moglie.

La questione

La pronuncia in commento costituisce un precedente significativo volto a dirimere in prima battuta i dubbi più volte sollevati dagli operatori del diritto sulla natura del reddito di cittadinanza e sulla possibilità di sottoporlo a pignoramento.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Trani onde poter valutare l'ammissibilità della richiesta di emissione nei confronti dell'Inps dell'ordine di pagamento diretto avanzata dal coniuge che ha lamentato l'inottemperanza dell'altro agli obblighi economici posti a suo carico per il mantenimento della prole, ha dovuto effettuare preliminarmente un'attenta disamina del sussidio del reddito di cittadinanza introdotto dal d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito in l. 28 marzo 2019, n. 26, per verificare se quest'ultimo potesse considerarsi o meno un credito alimentare e fosse pertanto soggetto ai limiti di pignorabilità previsti espressamente dall'art. 545 c.p.c.

L'ordine di pagamento diretto previsto dall'art. 156, comma 6, c.c. costituisce, come noto, misura volta a garantire l'effettivo pagamento dell'assegno di mantenimento attribuendo al Giudice il potere di disporre, su istanza della parte, che i terzi, tenuti al pagamento di somme al debitore principale, versino direttamente all'avente diritto all'assegno le somme a questi dovute in forza di un pregresso provvedimento giudiziale.

Il carattere intrinsecamente coattivo che connota l'ordine di pagamento lo rende assimilabile, in senso lato, ad un'assegnazione forzata («la preesistenza di un ordine di pagamento diretto gravante sulla retribuzione va qualificata alla stregua di un vincolo di natura espropriativa…»Trib. Milano, 22 maggio 2001).

Da qui, quindi, la necessità di verificare preliminarmente , per poter valutare l'ammissibilità della richiesta ex art. 156 c.c., se il credito vantato (nel caso di specie il reddito di cittadinanza) dal coniuge inadempiente alle obbligazioni economiche poste a suo carico per il mantenimento della prole abbia o meno natura alimentare (sia cioè destinato a soddisfare i bisogni primari ed essenziali della persona) e sia, quindi, soggetto ai limiti quantitativi di pignorabilità previsti dall'art. 545 c.p.c.

Il Giudice, assumendo che il reddito di cittadinanza non rientra tra i crediti impignorabili e richiamando l'orientamento giurisprudenziale in base al quale il limite della impignorabilità dei redditi di lavoro del coniuge obbligato oltre il quinto non opera con riferimento all'esecuzione promossa dal creditore in tema di contributo al mantenimento dei figli, ha accolto l'istanza avanzata dalla moglie e pertanto ha ordinato all'Inps di pagare direttamente a quest'ultima le somme dovute disponendo contestualmente il sequestro della quota di proprietà immobiliare detenuta dal marito

Nell'ordinanza in commento il Tribunale ha ricordato in prima battuta che in materia di separazione personale dei coniugi, l'ordine ai terzi di pagare al coniuge creditore quanto dovuto al coniuge obbligato presuppone solamente l'accertamento dell'inadempimento, mentre non deve tenersi conto delle esigenze dell'obbligato, né della gravità dell'inadempimento o dell'intenzionalità dello stesso.

Il presupposto, unico, per l'emissione del provvedimento ex art 156, Vi comma c.c. è, quindi, il semplice inadempimento a uno qualsiasi degli obblighi economici previsti da un provvedimento dell'Autorità giudiziaria

Il Giudice ha evidenziato, inoltre, che il reddito di cittadinanza può essere utilizzato «per i bisogni primari delle persone cui il titolare ha l'obbligo di prendersi cura», e pertanto ne ha dedotto la piena pignorabilità, senza l'osservanza dei limiti previsti per i crediti alimentari di cui all'art. 545 c.p.c., valorizzando i seguenti aspetti:

1) Il tenore letterale delle disposizioni normative che hanno introdotto il “RDC”: il Tribunale rileva in particolare che il decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 che ha previsto tale sussidio lo definisce semplicemente come “misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà , alla disuguaglianza e all'esclusione sociale,” e non contiene al suo interno alcun riferimento alla natura alimentare del reddito”. Quindi, a parere del Giudice, la natura alimentare dell'RDC sarebbe da escludersi per stessa previsione normativa.

2) La natura delle disposizioni previste dall'art. 545 c.p.c: che impongono limiti stringenti, anche quantitativi, alla pignorabilità dei crediti. Per il Tribunale tali norme avrebbero carattere eccezionale e non possono certo derogare al principio generale del nostro ordinamento previsto dall'art 2740 c.c. in forza del quale «il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri» (Cfr. Cass. 8 ottobre 1996, n. 8789, in Foro it. 1997, I,1908.)

3) L'orientamento dominante della giurisprudenza di legittimità secondo cui il limite della impignorabilità dei redditi di lavoro del coniuge obbligato oltre il quinto non opera con riferimento all'esecuzione promossa dal creditore in tema di contributo al mantenimento dei figli, avendo questo natura alimentare.

Dalla ammissione della piena pignorabilità del reddito di cittadinanza il Tribunale ha, quindi, riconosciuto conseguentemente anche l'ammissibilità dell'ordine di pagamento diretto al coniuge di una quota del reddito di cittadinanza erogato all'altro coniuge inadempiente a quanto stabilito con provvedimento.

Osservazioni

La questione giuridica sottoposta all'esame del Tribunale di Trani è stata fonte anche di divergenti interpretazioni.

Vi è infatti anche chi sostiene la necessità di contemperare l'interesse del creditore con quello del titolare del sussidio a non perdere la cifra riconosciuta per il sostentamento dei bisogni primari.

Per alcuni il reddito di cittadinanza sarebbe, quindi, istituto volto – perlomeno nelle intenzioni – non solo a favorire la reimmissione nel mercato del lavoro della persona che ne beneficia ma va intesa anche come prestazione di natura assistenziale e di contrasto al bisogno e alla miseria per i nuclei familiari più fragili e marginalizzati, privi di reali prospettive di occupabilità nel breve periodo

Secondo tale interpretazione, quindi, la pignorabilità integrale del reddito di cittadinanza contrasterebbe con l'art. 2 Cost, secondo cui «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» nonché con l'art. 36 Cost., secondo cui «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa».

Certo è che in mancanza di riferimenti legislativi certi e vista la questione dibattuta sulla natura del Reddito di Cittadinanza, non si può tuttavia escludere tout court a priori la pignorabilità del reddito di cittadinanza

In realtà, Il reddito di cittadinanza prospettato inizialmente come una forma di affronto della povertà in seguito ha visto prevalere inevitabilmente la sua dimensione di misura di politica attiva dell'occupazione.

Lo stesso Governo Conte lo ha definito del resto una misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro. Il suo scopo primario non è infatti quello di offrire assistenza nel soddisfacimento dei bisogni primari dell'individuo ma di migliorare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro e aumentare l'occupazione

Non è un caso, del resto, che l'istituto s'incentri eminentemente sull'obbligo della dichiarazione d'immediata disponibilità al lavoro da parte dei componenti il nucleo familiare che abbiano conseguito la maggiore età, nonché sull'adesione coatta a percorsi appositi di reinserimento.

È poi significativo che chi è completamente inabile al lavoro non possa percepire il reddito di cittadinanza: ciò sottolinea ancor di più di uno scopo non rivolto, in principalità, a sostenere soggetti indigenti.

La natura di misura attiva per il lavoro è confermata, altresì, anche dal fatto che la legge prevede considerevoli sgravi fiscali in favore delle aziende private che assumono i beneficiari del reddito di cittadinanza.

Ed un'ulteriore riprova si scorge nel comma 3 dell'art. 2 della nuova disciplina, laddove è previsto che non hanno diritto al reddito di cittadinanza i nuclei familiari che annoverano soggetti disoccupati a seguito di dimissioni volontarie: nei dodici mesi successivi alla data delle dimissioni non per giusta causa è precluso l'accesso al beneficio.

Dunque analizzando a fondo gli aspetti portanti di questa misura, che di fatto ambisce a gestire le dinamiche della disoccupazione e a riavviare nel marketplace del lavoro coloro che per congiuntura ne siano loro malgrado fuoriusciti, pare difficile poterla ritenere un sussidio per il sostentamento a favore dei non abbienti, connotandosi, piuttosto, alla stregua di misura di politica attiva del lavoro.

E se la sua basilare funzione è quella di sorreggere i beneficiari durante la ricerca di un'occupazione può ben escludersi, come sostenuto anche dal Tribunale di Trani nell'ordinanza in commento, la sua natura assistenziale e quindi l'impignorabilità ai sensi dell'art. 545 c.p.c..

Va da sé che il giudice dovrà comunque sempre tenere conto delle condizioni economiche del beneficiario del reddito di cittadinanza valutando se il credito da pignorare sia destinato a soddisfare in tutto o in parte le esigenze indispensabili del beneficiario. Sicché ogni qualvolta il credito assolva la soddisfazione in tutto o in parte bisogni vitali, limitatamente alla quota caratterizzata da questa finalità, si paleserebbe pignorabile soltanto per cause di alimenti.

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