Le misure adottate dal Governo contro le scarcerazioni dei boss

18 Maggio 2020

Con il d.l. 28/2020, si introduce l'obbligo di preventivo interpello delle D.D.A. e della D.N.A., quando si debba decidere su istanze di detenzione domiciliare in surroga al differimento pena o di permessi di necessità avanzate da detenuti per reati di mafia e terrorismo o sottoposti a regime di detenzione speciale. Il modello è costituito dal previgente obbligo di acquisire informazioni...

Con il d.l. 28/2020, si introduce l'obbligo di preventivo interpello delle D.D.A. e della D.N.A., quando si debba decidere su istanze di detenzione domiciliare in surroga al differimento pena o di permessi di necessità avanzate da detenuti per reati di mafia e terrorismo o sottoposti a regime di detenzione speciale. Il modello è costituito dal previgente obbligo di acquisire informazioni dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica e dalle comunicazioni della procura nazionale antimafia previste dall'art. 4-bis ord. pen., ma il contesto normativo è del tutto eterogeneo. Il d.l. 29/2020 prevede, poi, l'obbligo di periodiche continue rivalutazioni dei provvedimenti che abbiano concesso la detenzione domiciliare o il differimento pena o che abbiano sostituito la custodia cautelare con gli arresti domiciliari per motivi collegati all'emergenza virale nei confronti di detenuti appartenenti alle stesse categorie: provvedimenti manifesto che rischiano di paralizzare la magistratura di sorveglianza.

Motivi e ispirazione dell'intervento normativo

L'art. 2 d.l. 30 aprile 2020, n. 28, sotto la rubrica Disposizioni urgenti in materia di detenzione domiciliare e permessi, interviene sull'ordinamento penitenziario interpolando gli artt. 30-bis e 47-ter.

Si tratta della risposta offerta dall'Esecutivo alle polemiche sollevate dall'adozione, nei giorni immediatamente antecedenti, di provvedimenti implicanti la scarcerazione di condannati per gravi reati di criminalità organizzata motivati dalle loro condizioni di salute, in conseguenza (per la verità non sempre diretta) dell'emergenza virale legata al rischio di contagio da covid-19.

Il protrarsi della medesima polemica, sfociata nelle dimissioni del Capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, è all'origine anche del successivo d.l. 10 maggio 2020, n. 29, quasi interamente dedicato all'argomento, come denota la dettagliatissima rubrica: Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell'esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso, terroristico e mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione mafiosa, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall'art. 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati.

Si tratta dunque di interventi normativi di cui è chiara l'ispirazione politica e la finalità comunicativa: mentre altri avvertivano l'esigenza di richiamare al rispetto per la delicatezza e complessità del ruolo della magistratura di sorveglianza, nonché – in ultima analisi – per l'autonomia e indipendenza della magistratura tutta (cfr., in particolare, L'umanità smarrita, comunicato dell'Osservatorio Carcere dell'Unione delle Camere Penali Italiane, nonché il comunicato del Coordinamento Nazionale dei Magistrati di Sorveglianza del 28 aprile 2020), il Governo non solo marcava la massima distanza possibile, ma addirittura faceva ricorso, per ben due volte, nel giro di pochi giorni, alla decretazione di urgenza, prima per porre un freno all'adozione di ulteriori analoghi provvedimenti, poi per rimettere in discussione quelli già adottati.

Inutile rimarcare che la materia, la tutela del diritto alla salute di persone detenute per reati di particolare gravità, è notoriamente spinosa, tanto da avere costituito occasione di una recente condanna dell'Italia da parte della Corte EDU (sent. 25 ottobre 2018, Provenzano c/ Italia).

L'ambito operativo del d.l. 28/2020

La novella operata dal d.l. 28/2020 interessa, anzitutto, la detenzione domiciliare c.d. umanitaria, che l'art. 47-ter, comma 1-ter, ord. pen. consente di disporre, in presenza dei presupposti del rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 c.p., in alternativa rispetto a quest'ultimo, senza limiti di pena né preclusioni correlate alla tipologia del reato commesso.

È, questa, infatti la misura concretamente adottata in alcuni dei più eclatanti casi di cronaca assunti a motivo dell'intervento normativo (per l'analisi dei due più noti, v. Della Bella, Emergenza covid e 41-bis: tra tutela dei diritti fondamentali, esigenze di prevenzione e responsabilità politica, in Sistema penale, 1° maggio 2020).

Per ragioni di omogeneità, in quanto anch'essi concedibili senza limiti di pena, nei confronti di detenuti e internati per qualsiasi reato, con finalità di umanizzazione dell'esecuzione, sono trattati analogamente anche i c.d. permessi di necessità, così denominati (andando oltre la rubrica dell'art. 30, che li definisce permessi tout court) per distinguerli dai permessi premio di cui al successivo art. 30-ter ord. pen.

Si tratta dei permessi concedibili in caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente ovvero, eccezionalmente, per eventi familiari di particolare gravità.

Entrambi gli istituti rientrano fra le pochissime ipotesi di interruzione dello stato detentivo applicabili anche nei confronti di chi sia sottoposto al regime speciale previsto dall'art. 41-bis, comma 2, ord. pen.

Analoghe considerazioni avrebbero potuto suggerire l'estensione dell'intervento anche alle ipotesi di detenzione domiciliare previste dall'art. 47-ter, comma 1, lett. a) e b), ord. pen. ovvero alla detenzione domiciliare speciale prevista dall'art. 47-quinquiesord. pen. ovvero, ancora, alle visite previste dall'art. 21-ter ord. pen., tutti esempi di ulteriori provvedimenti adottabili per esigenze di umanizzazione della pena e svincolati dalla disciplina prevista dall'art. 4-bis ord. pen., anche se non sempre esenti da limiti di pena. Sfugge, in certa misura, il perché ci si sia concentrati solo sui due già menzionati istituti, peraltro con evidente incongruenza nel non avere contemplato, quanto meno, l'ipotesi di adozione del differimento dell'esecuzione della pena senza contestuale applicazione della detenzione domiciliare.

(Segue). Contenuti ed eterogeneità dei precedenti

In concreto le modifiche introdotte dal d.l. 28/2020 si sostanziano nella previsione di un'istruttoria rafforzata. Se la decisione riguarda detenuti per uno dei delitti previsti dall'art. 51, comma 3-bis e 3-quater, c.p.p., sia che si tratti di concedere un permesso di necessità ovvero la detenzione domiciliare, è obbligatoria l'acquisizione del parere preventivo del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto in cui è stata emessa la sentenza di condanna, in ordine all'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata e alla pericolosità del soggetto. Va inoltre richiesto analogo parere anche al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo se si tratti di provvedere nei confronti di detenuti sottoposti al regime speciale di cui all'art. 41-bis ord. pen.

In realtà, l'acquisizione di informative, sebbene in questo caso impropriamente denominate come pareri (Gianfilippi, Emergenza sanitaria in carcere, provvedimenti a tutela di diritti fondamentali delle persone detenute e pareri sui collegamenti con la criminalità organizzata nell'art. 2 del dl 30 aprile 2020 n. 28, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 5, 7), in vista dell'adozione di decisioni riguardanti condannati per reati di criminalità organizzata, dagli uffici giudiziari requirenti specializzati nel settore, non costituisce per nulla un inedito. Analoghe informative sono usualmente veicolate dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, cui vanno necessariamente richieste dettagliate informazioni, ai sensi dell'art. 4-bis, comma 2, ord. pen., in vista della concessione di benefici ai condannati per i reati previsti dal precedente comma 1. Ed ancora, il comma 3-bis della stessa disposizione contempla l'ipotesi di comunicazioni della procura nazionale antimafia o della procura distrettuale, d'iniziativa o su segnalazione del richiamato comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, sempre sul tema dell'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata.

Dunque, la novella, pur richiamando un diverso catalogo di reati, quello del codice di rito penale, per evocare la cornice di mafia e terrorismo (per certi versi oggi più appropriato, dopo l'inclusione di fattispecie eterogenee all'interno dell'art. 4-bis ord. pen., per effetto della l. 9 gennaio 2019, n. 3), sembrerebbe connotarsi per l'estensione della necessaria interlocuzione informativa con le D.D.A. e con la D.N.A. anche per l'adozione di decisioni che, per la loro estraneità al novero di quelle indicate dall'art. 4-bis, comma 1, ord. pen., avrebbero potuto prescinderne.

Tuttavia, in quel diverso contesto, l'attualità o la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata riveste una rilevanza specifica, attribuitagli dalle previsioni dei commi 1-bis e 1-ter dell'art. 4-bis ord. pen. che vi annettono precise implicazioni in relazione all'adozione dei provvedimenti ivi contemplati.

Questi ultimi possono essere, infatti, concessi, nel caso previsto dall'art. 4-bis, comma 1-bis, ord. pen., solo ove siano stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva; mentre è necessario, ai sensi del comma 1-ter della stessa disposizione, che non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata terroristica o eversiva.

Sono, insomma, casi in cui l'indagine su quella tipologia di collegamenti è imposta dai presupposti della decisione che deve essere adottata ed è di immediata evidenza che una simile indagine non possa prescindere da un'adeguata interlocuzione con i soggetti, di polizia o della magistratura inquirente, che meglio possono contribuirvi grazie al patrimonio conoscitivo di cui sono in possesso in ragione delle loro attribuzioni.

Diversamente, nelle tipologie di provvedimenti cui si riferisce l'odierno intervento normativo, in quanto finalizzati alla tutela di interessi costituzionali estranei alla funzione rieducativa della pena, per quanto possa essere richiesto, alla stregua di tutte le decisioni proprie della magistratura di sorveglianza, un bilanciamento con le esigenze di sicurezza correlate con il pericolo di recidiva (talvolta anche solo sul quomodo, piuttosto che sull' an, della decisione), il dato dell'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata non rileva in sé. Anzi, è perfino scontato nel caso in cui la decisione interessi persone sottoposte all'art. 41-bis, visto che è presupposto per l'adozione (e la permanenza) del regime speciale e di norma già ampiamente indagato nell'ambito del relativo procedimento di applicazione e proroga (Gianfilippi, op. cit., 10).

Non è tanto il contenuto delle informazioni e la loro diretta rilevanza ai fini della adottanda decisione che viene in rilievo, per l'odierno legislatore, ma evidentemente la qualità dei soggetti interpellati, ai quali si attribuisce – a quanto sembra sottintendersi – una maggiore attitudine a corrispondere alle esigenze della giurisdizione speciale che si vuole sia esercitata nello specifico ambito.

Non è, dunque, un caso che tale contributo venga qualificato impropriamente come parere, anziché alla stregua di un apporto informativo, come per accentuarne l'aspetto di influenza sul merito della decisione.

Né sembra essere stata tenuta in alcuna considerazione, sul piano sistematico, l'anomalia costituita dalla previsione di un parere da parte di un organo requirente diverso da quello chiamato a svolgere le funzioni di pubblico ministero nel procedimento (di cui, quando si procede nelle forme previste dagli artt. 666 e 678 c.p.p., saranno regolarmente acquisite le conclusioni), identificato con quello cui esse sono attribuite solo fino alla sentenza di primo grado, ai sensi dell'art. 51, comma 1, lett. a), c.p.p.

(Segue). Concrete ricadute processuali

Nella realtà, è lecito attendersi che l'incidenza sulle decisioni sia tanto più probabile quanto maggiore sarà la quantità di concrete informazioni pertinenti, piuttosto che di apodittici giudizi.

Certamente non potranno ravvisarsi vincoli.

Per pacifica giurisprudenza, anche costituzionale (cfr. Corte cost. n. 271/1992 e Corte cost. n. 350/1992), le informative del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica non sono vincolanti neppure in relazione all'accertamento dell'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata (v., ampiamente, Marandola, in Fiorentin – Siracusano, L'esecuzione penale, 78; nonché Caraceni, in Della Casa – Giostra, Ordinamento penitenziario commentato, 83); né lo sono le comunicazioni della D.N.A. previste dall'art. 4-bis, comma 3-bis, ord. pen. (Marandola, op. cit., 81 – 82; Caraceni, op. cit., 85). A fortiori non potranno esserlo i contributi informativi oggi previsti rispetto all'adozione di provvedimenti il cui thema decidendum è ben più esteso e complesso del loro oggetto.

L'omissione dell'interpello (da ritenersi doveroso anche nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della novella, con esclusione di quelli già trattenuti in decisione all'esito dell'udienza ex artt. 666 – 678 c.p.p.) si tradurrà in una causa di nullità intermedia della decisione, così come l'eventuale intervento di quest'ultima prima della decorrenza dei termini assegnati per la sua evasione, 24 ore nel caso dei permessi, 2 o 15 giorni in caso di detenzione domiciliare, rispettivamente rimessa al magistrato (in via provvisoria) o al tribunale di sorveglianza.

Opportunamente i detti termini potranno essere disattesi qualora ricorrano esigenze di motivata eccezionale urgenza, ipotesi auspicabilmente da ritenere tutt'altro che residuale, a dispetto del pleonasmo linguistico, vista la peculiarità delle situazioni solitamente sottese: il pensiero non può non andare alle tante volte in cui, già adesso, la richiesta di partecipare alle esequie di un familiare avanzata ai sensi dell'art. 30 ord. pen. venga decisa ad avvenuta sepoltura.

Dubbi potrebbero sorgere sull'individuazione dell'ufficio requirente distrettuale da interpellare. La norma – che non brilla certo per chiarezza - indica il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza (formula identica sia nell'art. 30-bis, sia nell'art. 47-ter ord. pen. novellati). A parte l'ipotesi di permesso di necessità riguardante detenuto in attesa di giudizio di primo grado, nella quale la D.D.A. da interpellare coinciderebbe con l'ufficio del pubblico ministero sedente presso il giudice chiamato a decidere, non è contemplato il caso in cui il titolo esecutivo cumuli più sentenze di condanna. Potrebbe, quindi, doversi fare ricorso ad un'applicazione analogica degli artt. 655 - 665 c.p.p., orientandosi verso il procuratore della Repubblica presso il capoluogo del distretto ove ha sede il giudice (tribunale o corte d'assise) che ha pronunciato l'ultima sentenza divenuta irrevocabile, oppure – con maggior dispendio di energie ma più in linea con la finalità informativa perseguita – doversi propendere per l'inoltro della richiesta a tutte le D.D.A. coinvolte, come avviene oggi usualmente, ad esempio, negli accertamenti ex art. 58-ter, comma 2, ord. pen.

È appena il caso di sottolineare che il coinvolgimento di tali uffici requirenti non incide sull'individuazione di quello che esercita le funzioni di pubblico ministero, che resta quello sedente presso il decidente, con conseguente esclusione, in particolare, di eventuali concorrenti facoltà di proporre impugnazione delle D.D.A. o della D.N.A. interpellate.

Il d.l. 29/2020

La disciplina introdotta dal d.l. 29/2020, a differenza di quella fin qui trattata, è in gran parte dettata a termine, in quanto applicabile solo ai provvedimento adottati per motivi connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19 (secondo quanto precisato sia all'art. 2 che all'art. 3), laddove il riferimento all'emergenza sembra dover necessariamente alludere alla relativa formale dichiarazione, intervenuta con la delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 (Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili), per la durata di sei mesi.

Fa eccezione l'art. 1, che modifica il comma 7 dell'art. 47-ter ord. pen., dove si prevede la revoca della detenzione domiciliare per il venir meno dei presupposti applicativi. Il testo originario non contemplava l'ipotesi in cui la detta misura fosse stata disposta in luogo del differimento dell'esecuzione della pena, ai sensi dell'art. 47-ter, comma 1-ter, ord. pen., evidentemente in considerazione del fatto che si tratta di misura a termine, fisiologicamente destinata ad operare per un limitato arco temporale, prorogabile solo previa rivalutazione dei presupposti.

Ammesso che non fosse già insito nella natura di ordinanza del provvedimento applicativo e nel suo regime di stabilità, dunque, l'effetto è quello di legittimare la revoca anticipata per il venir meno dei presupposti in un arco temporale ridotto rispetto a quello preventivato all'atto dell'adozione.

Le restanti disposizioni del d.l. 29/2020 non intervengono con la tecnica della novella sui testi normativi dell'ordinamento penitenziario e del codice di rito, ma si limitano a impartire disposizioni derogatorie.

L'ambito operativo, oltre che dal riferimento alla richiamata emergenza, è anche qui delimitato – come nel d.l. 28/2020 - da un catalogo di reati volto ad identificare la criminalità organizzata di stampo mafioso o eversivo, nella fattispecie non mutuato da nessuno dei testi normativi previgenti, ma autonomamente redatto, ciò che certamente non giova all'armonia sistematica (basti pensare che non vi è coincidenza con l'oggetto dell'intervento normativo, in gran parte speculare, di pochi giorni prima). In compenso, va salutata favorevolmente la limitazione della rilevanza dell'associazione finalizzata al narcotraffico ai soli casi di condotte aggravate dal ruolo di capo o promotore.

La deroga rispetto all'ordinaria disciplina dell'ordinamento penitenziario e del codice di rito penale riguarda, ancora una volta, la detenzione domiciliare succedanea al differimento dell'esecuzione della pena (art. 2), alla quale – stavolta – è equiparato il differimento tout court, e la sostituzione della custodia cautelare con gli arresti domiciliari (art. 3), quando siano state adottate per motivi connessi alla già citata emergenza sanitaria. Da notare che la connessione dovrà intendersi in senso lato, come riferita non solo al rischio di contagio da coronavirus, se non se ne vuole escludere l'operatività proprio in uno dei casi che maggiormente hanno ispirato il legislatore (il riferimento è all'ord. Trib. Sorv. Sassari, 23 aprile 2020, Zagaria, in Sistema Penale, 1° maggio 2020, originata dall'esigenza di sottoporre a chemioterapia per una patologia tumorale un condannato che ne usufruiva in una struttura clinica penitenziaria convertita a reparto COVID-19).

Nel caso della detenzione domiciliare e del differimento pena, si stabilisce la necessaria rivalutazione, entro 15 giorni dall'adozione (o dall'entrata in vigore del decreto legge, se successiva) e in seguito con cadenza mensile, dei presupposti per la sua applicazione e segnatamente della permanenza dei motivi legati all'emergenza sanitaria, con particolare riguardo sia allo stato della situazione sanitaria locale, sia alla disponibilità di strutture penitenziarie o reparti di medicina protetta ove la detenzione o l'internamento possano riprendere senza pregiudizio per la salute dell'interessato. É questo l'oggetto su cui vanno preventivamente sentiti, rispettivamente, il Presidente della giunta regionale, nella sua veste di massima autorità sanitaria territoriale, e il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.

La rivalutazione è imposta anche prima dei detti termini qualora il D.A.P. comunichi la menzionata disponibilità.

Si tratta, comunque, di una rivalutazione straordinaria e concorrente con quella prevista in via ordinaria allo scadere del termine di durata della misura stabilito all'atto della sua adozione, in caso si debba contemplare l'ipotesi di prorogarla. Non è dato comprendere il perché di tale complesso intreccio, che avrebbe potuto essere agevolmente evitato limitandosi a predeterminare nella misura auspicata i termini di durata e di proroga. Sembra, anzi, doversi ritenere che l'obbligo di rivalutazione sussista anche in capo al magistrato di sorveglianza che abbia adottato il provvedimento in via di urgenza (inequivoco il riferimento al magistrato di sorveglianza o al tribunale di sorveglianza), quanto meno nel caso in cui, nel termine previsto, non intervenga il provvedimento definitivo del tribunale.

Non è inoltre prevista, a differenza di quanto avviene quando si procede alla proroga in via ordinaria, alcuna interlocuzione con la difesa, cosa che solleva evidenti dubbi di costituzionalità in relazione all'art. 24, commma 2, Cost.

Ogni rivalutazione dovrà invece essere preceduta dal parere del Procuratore distrettuale antimafia e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo qualora la persona interessata fosse già sottoposta (presumibilmente al momento dell'adozione del provvedimento che si debba rivalutare) al regime speciale di cui all'art. 41-bis ord. pen.

Sono quindi ben quattro (e comunque almeno 3) gli scambi informativi che dovranno essere curati dalla cancelleria prima di ogni decisione, con un flusso di comunicazioni che, tenuto conto degli ordinari tempi richiesti per l'evasione, prefigura scambi continui, ciascuno dei quali dovrebbe seguire quasi immediatamente la risposta al precedente.

Quanto al contenuto dell'interlocuzione con D.D.A. e D.N.A., sebbene il d.l. 29/2020 si limiti ad indicarla come parere, omettendo le specificazioni contenute nel testo normativo di pochi giorni prima, è logico ritenere che sia del tutto analoga, essendo entrambe rivolte al compimento delle medesime valutazioni, in prima battuta o in revisione periodica.

Anche il Procuratore distrettuale da interpellare, questa volta, è indicato in quello del distretto del locus commissi delicti e non più in quello del giudice che ha pronunciato condanna, ma le due figure tendenzialmente coincidono, ferme restando anche le già accennate problematiche connesse alla mancata considerazione delle probabili ipotesi di condanne e – tanto più – reati concorrenti.

Del tutto speculare la disciplina dettata all'art. 3 d.l. 29/2020, con la – non trascurabile – differenza che, nel caso di imputati nei cui confronti sia stata sostituita la custodia cautelare con gli arresti domiciliari, l'onere di procedere alla verifica periodica della permanenza dei presupposti grava sull'ufficio del pubblico ministero, cui è demandato di sollecitare il ripristino della carcerazione in caso di mutamento del quadro.

Il giudice dovrà comunque interpellare il Presidente della Giunta regionale e il D.A.P., prima di decidere, in teoria anche ove la richiesta di aggravamento fosse scaturita proprio da informazioni fornite al pubblico ministero dagli stessi soggetti.

In conclusione

Sarebbe interessante disporre di una statistica sul numero delle decisioni richieste alla magistratura di sorveglianza, in questi mesi di emergenza virale, in merito ai rischi sanitari correlati allo stato detentivo: certamente numerosissime.

Molte sono state decise; molte altre – invece – attendono ancora una decisione mentre la pandemia volge ormai – speriamo – al termine.

Il legislatore non è stato solo latitante, poiché è intervenuto in modo velleitario e contraddittorio con l'art. 123 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, che ha introdotto deroghe restrittive alla possibilità di accedere all'esecuzione della pena presso il domicilio, in evidente eterogenesi dei fini, con l'intento dichiarato di favorire un moderato alleggerimento della popolazione penitenziaria (cfr. Relazione illustrativa al d.l. 17 marzo 2020, n. 18, pag. 25).

Ha lasciato interamente ad altri la responsabilità di fronteggiare l'emergenza, ma ha, comunque, colto l'occasione per scrivere una pagina imbarazzante, con quella disposizione, negli annali della legislazione italiana.

Trova, infine, oggi motivo, con i due decreti legge in commento, per unirsi al coro di coloro che puntano il dito nei confronti di chi se ne è fatto carico, in spregio alla separazione dei poteri (e anche un po' al buon gusto istituzionale), dettando disposizioni che destano più di una perplessità.

Spiace, innanzi tutto, che l'ansia di assegnare un sistema di controllo alla magistratura di sorveglianza, ispirandosi a disposizioni del tutto eterogenee, peraltro di per sé discutibili e criticate (cfr. Caraceni, op. cit., 87), porti a dilatare le attribuzioni di uffici a spiccata vocazione investigativa, nell'ambito della giurisdizione di sorveglianza, la cui specifica natura, rispetto al giudizio di merito, richiederebbe competenze sempre più specializzate.

Preoccupa la disinvoltura con cui si assegnano ruoli informativi, qualificandoli come pareri, a organi dell'apparato giudiziario ulteriori e diversi rispetto a quelli istituzionalmente demandati all'esercizio delle funzioni giudiziarie in quei procedimenti, senza alcuna attenzione (né consapevolezza) per le potenziali ricadute sull'architettura dei sistemi processuali.

Preoccupa, infine, soprattutto la leggerezza con cui si prevedono significativi aggravi del carico, anche di cancelleria, di uffici giudiziari impegnati in un ambito delicatissimo della tutela di diritti fondamentali, per finalità – in ultima analisi – praticamente solo comunicative.

Guida all'approfondimento

Bitonto, in Fiorentin – Siracusano, L'esecuzione penale, 2019, 407 ss.

Caraceni, in Della Casa – Giostra, Ordinamento penitenziario commentato, 2019, 38 ss.

Della Bella, Emergenza covid e 41 bis: tra tutela dei diritti fondamentali, esigenze di prevenzione e responsabilità politica, in Sistema penale, 1° maggio 2020.

Fiorentin, in Della Casa – Giostra, Ordinamento penitenziario commentato, 2019, 404 ss.

Gialutz, L'emergenza nell'emergenza: il decreto-legge n. 28 del 2020, tra ennesima proroga delle intercettazioni, norme manifesto e “terzo tempo” parlamentare, in Sistema penale, 1° maggio 2020.

Gianfilippi, Emergenza sanitaria in carcere, provvedimenti a tutela di diritti fondamentali delle persone detenute e pareri sui collegamenti con la criminalità organizzata nell'art. 2 del dl 30 aprile 2020 n. 28, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 5.

Manca, Umanità della pena, diritto alla salute ed esigenze di sicurezza sociale: l'ordinamento penitenziario a prova di (contro)riforma, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 5.

Marandola, in Fiorentin – Siracusano, L'esecuzione penale, 2019, 39 ss.

Menghini, in Fiorentin – Siracusano, L'esecuzione penale, 2019, 605 ss.

Presutti, in Della Casa – Giostra, Ordinamento penitenziario commentato, 2019, 655 ss.

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