Assegno divorzile e convivenza more uxorio

26 Maggio 2020

Solo l'instaurazione da parte del divorziato di una nuova famiglia, pur se di fatto, esclude ogni residua solidarietà post-matrimoniale con l'altro coniuge, con la conseguenza che...
Massima

Solo l'instaurazione da parte del divorziato di una nuova famiglia, pur se di fatto, esclude ogni residua solidarietà post-matrimoniale con l'altro coniuge, con la conseguenza che la convivenza di diversa natura - come quella con un parente o un amico - non rileva al fine di escludere in radice il riconoscimento dell'assegno, ma, eventualmente, solo in ordine alla sua quantificazione.

Il caso

La Corte di appello di Genova ha confermato la decisione di primo grado che, nell'ambito di un giudizio per ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato tra I.G. e V.F., aveva riconosciuto alla moglie un assegno divorzile.

Ha proposto ricorso per cassazione I.G., sulla base di otto motivi, cui V.F. ha resistito con controricorso.

La questione

Ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile, quale rilevanza ha la convivenza del richiedente con un'altra persona che, però, non si traduca nell'instaurazione di una nuova famiglia, ancorché di fatto?

Le soluzioni giuridiche

La giurisprudenza della Corte di cassazione, fin dalla sentenza n. 6855/2015 (confermata dall'ordinanza Cass. civ., sez. VI-I, n. 2466/2016), ha affermato che l'instaurazione da parte del divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la convivenza matrimoniale, fa venire meno i presupposti per la riconoscibilità dell'assegno divorzile a carico dell'altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma è definitivamente escluso. Infatti, la formazione di una famiglia di fatto - costituzionalmente tutelata exart. 2 Cost. - è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l'assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto ed esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale.

Prima della decisione del 2015, invece, la Suprema Corte (Cass. civ., sez. I, n. 17195/2011) aveva ritenuto che la formazione, da parte dell'ex coniuge, di una famiglia, pur se di fatto, comportasse la cessazione del diritto all'assegno divorzile, ma non in via definitiva, potendo la nuova convivenza terminare, con reviviscenza del diritto al detto assegno, rimasto in stato di quiescenza.

La giurisprudenza anteriore aveva un approccio al problema ancora differente.

Infatti, per la sentenza della I Sez. civile della Corte di cassazione n. 24056/2006, il diritto all'assegno divorzile non poteva essere negato perché il suo titolare aveva instaurato una convivenza more uxorio con altra persona, influendo tale convivenza solo sulla misura del contributo, ove l'ex coniuge onerato avesse provato che essa - pur se non assistita da garanzie giuridiche di stabilità, ma, di fatto, consolidata e protraentesi nel tempo - influiva in melius sulle condizioni economiche dell'avente diritto, a seguito di un contributo al suo mantenimento da parte del convivente o di apprezzabili risparmi di spesa dovuti alla convivenza.

La dimostrazione del miglioramento delle condizioni economiche del detto avente diritto poteva essere data dall'onerato anche con presunzioni, soprattutto con riferimento ai redditi e al tenore di vita della persona con la quale il titolare dell'assegno conviveva, dai quali poteva desumersi che dalla convivenza more uxorio derivassero benefici economici idonei a giustificare la revisione del contributo. Questi benefici, avendo natura precaria, incidevano limitatamente alla parte dell'assegno divorzile che, in relazione alle condizioni economiche dell'avente diritto, era destinata ad assicurargli le condizioni minime di autonomia economica che l'art. 5 della legge sul divorzio intendeva tutelare.

L'ordinanza in esame ha applicato l'indirizzo più recente espresso dalla sentenza n. 6855/2015 della I Sez. civile della S.C. e lo ha precisato, poiché ha escluso che sia invocabile in presenza di ogni tipologia di convivenza instaurata dal titolare dell'assegno.

Essa ha chiarito che la convivenza rilevante è quella more uxorio, che riproduce lo schema del rapporto di coniugio, mentre tipologie di convivenza differenti, ad esempio con parenti od amici, non caducano il diritto all'assegno, ma giustificano solo richieste di riduzione dello stesso.

Osservazioni

La sentenza n. 6855/2015 dellaI Sez. civile della Suprema Corte ha innovato il diverso orientamento giurisprudenziale all'epoca esistente in materia.

La motivazione di quest'ultima decisione muoveva dalla rilevanza, anche costituzionale, della famiglia di fatto, che era considerata fonte di responsabilità per i componenti, fra cui quello che potrebbe godere o gode (in forza di pregresso matrimonio) di un assegno divorzile.

La S.C. aveva introdotto una nuova ipotesi di irreversibile cessazione del diritto all'assegno divorzile, desunta non dall'art. 5 l.div., ma dal sistema, anche costituzionale, realizzando un revirement giurisprudenziale perché, in passato, la giurisprudenza (che, come evidenziato, si era a sua volta discostata da un orientamento che negava rilievo alla convivenza per quanto qui interessa) affermava che la convivenza more uxorio dell'avente diritto all'assegno determinava la sospensione, non la cessazione, della corresponsione del relativo importo, uno stato di quiescenza che veniva meno (con reviviscenza del diritto prima vantato) alla fine della convivenza stessa.

La pronuncia della Corte di cassazione del 2015 non era del tutto coerente con la lettera dell'art. 5, comma 10, l. div., che ricollega la definitiva caducazione del diritto all'assegno divorzile alla sola ipotesi del titolare che contragga nuove nozze. Essa è stata accolta, comunque, con favore, perché riconsiderava il problema del mantenimento della parte economicamente debole alla luce delle recenti modificazioni della disciplina del rapporto genitori-figli nell'ambito della famiglia non fondata sul matrimonio, dando rilievo al principio dell'autoresponsabilità, già affermatosi in altri ordinamenti europei e di common law.

L'ordinanza della Sez. civile 6-I della Corte di cassazione n. 29317/2019 ha, però, posto un limite alle conseguenze delle situazioni di convivenza che coinvolgano il beneficiario di un assegno divorzile.

Infatti, l'indirizzo di cui alla sentenza n. 6855/2015 della I Sez. civile della S.C. non si presta ad essere interpretato in senso estensivo perché, come detto, è in parte non rispettoso dell'art. 5, comma 10, l. div.

La decisione in commento ha precisato, quindi, che la sola convivenza rilevante, per revocare l'assegno divorzile, è quella more uxorio, non quella con parenti, amici o persone con le quali non vi sia un rapporto paragonabile, in concreto, a quello di coniugio.

Il principale problema che ancora si pone è di accertare quando sussista una vera famiglia di fatto.

Indubbiamente, per la giurisprudenza “la stabilità del rapporto di convivenza (...) non può rapportarsi ad una mera formula temporale, ma dipende principalmente da una valutazione relativa al livello di compenetrazione delle scelte di vita effettuate dalla nuova coppia” (Cass. civ., sez. I, n. 11975/2003).

Inoltre, occorre distinguere “tra semplice rapporto occasionale e famiglia di fatto”, dovendo tale differenziazione basarsi sul carattere di stabilità e di certezza del rapporto di fatto sussistente tra gli interessati (Cass. civ., sez. I n. 17195/2011).

È difficile determinare se una convivenza sia muro uxorio, in particolare se riguardi persone che non hanno figli comuni. Al contrario, ove la coppia non coniugata abbia prole, è più agevole escludere che la famiglia non fondata sul matrimonio si risolva in un rapporto occasionale ed affermare che essa abbia i caratteri di certezza e stabilità necessari per parlare di una formazione familiare autonoma e stabile.

Questa conclusione si basa sulla diffusione della famiglia non fondata sul matrimonio nell'attuale tessuto sociale e, soprattutto, sulle profonde modificazioni del sistema normativo che hanno reso unica la condizione dei figli, con l'effetto di inserirli nelle relazioni di parentela dei genitori a prescindere dal matrimonio di questi ultimi, sancendo la portata generale della regola dell'esercizio condiviso della responsabilità genitoriale e dell'irrilevanza del tipo di unione esistente fra i genitori e della sua sorte.

Oggi, l'ordinamento ha creato intorno al fatto della filiazione un nucleo di diritti del figlio e di responsabilità dei genitori indipendenti dall'esistenza di un'unione stabile di questi ultimi e dalla circostanza che sia fondata sulla convivenza o sul matrimonio. I doveri richiesti ai genitori verso il figlio, infatti, impongono la definizione concordata di un indirizzo della vita familiare persino a coloro che non hanno mai formato una coppia unita.

Pertanto, colui che assume, assieme al nuovo partner, la veste di genitore ed una responsabilità nei confronti del figlio pone in essere un atto di autoresponsabilità incompatibile con il persistente godimento di diritti che scaturiscono dalla solidarietà postconiugale riferita ad un precedente matrimonio.

Guida all'approfondimento

G. Casaburi, Nota a Corte cass., I civile, n. 6855 del 2015, in Foro.it, 2015, 1529

E. Al Mureden, Formazione di una nuova famiglia non matrimoniale ed estinzione definitiva dell'assegno divorzile, NGCC, 2015, 683

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