In caso di reati tributari sono sequestrabili le somme costituenti attivo fallimentare?

Enrico Fontana
28 Maggio 2020

La misura ablatoria reale, in virtù del suo carattere obbligatorio, da riconoscere sia alla confisca diretta che a quella per equivalente, è destinata a prevalere su eventuali diritti di credito gravanti sul medesimo bene, a prescindere dal momento in cui intervenga la dichiarazione di fallimento, non potendosi attribuire alla procedura concorsuale che intervenga prima del sequestro effetti preclusivi rispetto all'operatività della cautela reale disposta nel rispetto dei requisiti di legge e ciò a maggior ragione nell'ottica della finalità evidentemente sanzionatoria perseguita dalla confisca espressamente prevista in tema di reati tributari.

La Cassazione con la pronuncia in commento (sentenza n. 15776/20, depositata il 25 maggio) chiarisce i rapporti tra la procedura fallimentare e la misura ablatoria del sequestro adottata in conseguenza di reati tributari commessi dall'imprenditore, poi dichiarato fallito.

Alle origini: interessi in conflitto. La sentenza in commento trae origine dal ricorso proposto da un curatore fallimentare che si era visto sequestrare, sui conti correnti intestati alla procedura concorsuale, una somma di denaro assai significativa in conseguenza di indebite compensazione ex art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000, commesse dal fallito ben prima della dichiarazione di fallimento.

Avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP ed eseguito in danno della curatela aveva proposto impugnazione il curatore della procedura, che di fronte alla risposta negativa del tribunale del riesame non aveva esitato a proporre ricorso per cassazione avverso il provvedimento reiettivo. Con diversi e articolati motivi, deduceva il curatore come il denaro nella disponibilità della procedura non potesse più considerarsi in alcun modo pericoloso, siccome destinato inevitabilmente al solo soddisfacimento dei creditori nel rispetto della procedura concorsuale, attraverso l'operato del curatore, sotto la vigilanza e controllo del Giudice delegato. Inoltre, il provvedimento ablatorio incideva pesantemente sui diritti di credito dei terzi creditori della procedura e finanche sui professionisti che avevano lavorato per la procedura e che vedevano le proprie competenze, pur spettanti loro in sede di prededuzioni, irrimediabilmente compromesse dal sequestro e dal successivo provvedimento di confisca. L'interesse del Fisco, che aveva mosso il provvedimento di sequestro preventivo, peraltro, osservava il ricorrente, era invero già e a monte tutelato dalla domanda di ammissione al passivo che il Fisco stesso aveva ritualmente avanzato nei confronti della procedura concorsuale. Né, invero, la natura sanzionatoria della confisca, proseguiva la difesa del curatore, poteva incidere su beni dei quali la disponibilità ora apparteneva alla curatela e non più a chi aveva commesso il reato, né alla società nell'interesse della quale era stato commesso.

Il contrasto giurisprudenziale. La presenza di stringenti e contrapposti interessi è, come osserva la stessa Cassazione, plasticamente comprovata da accesi e tuttora attuali contrasti giurisprudenziali.

Sul punto, un risalente orientamento giurisprudenziale era giunto a negare in radice al curatore fallimentare la legittimazione attiva ad impugnare provvedimenti di sequestro di natura penale, atteso che la procedura concorsuale non è terzo proprietario dei beni colpiti dal provvedimento ablatorio, ma terzo che ha la semplice disponibilità di detti beni. Detto orientamento è stato definitivamente superato sulla base del rilievo che non può revocarsi in dubbio come la procedura sia soggetto terzo avente dirittoalla eventuale restituzione dei beni sottoposti a sequestro e che, dunque, alla stessa vada riconosciuta la legittimazione attiva, anche qualora detti beni fossero stati sottoposti a sequestro prima della sentenza dichiarativa di fallimento. Ben più radicato ed invero ancora irrisolto il contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione centrale posta dal ricorrente.

Secondo un primo orientamento, richiamato proprio in sede di ricorso, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca previsto dall'art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000 non potrebbe essere adottato su beni già assoggettati alla procedura fallimentare, in quanto la dichiarazione di fallimento importa il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito, attribuendo al curatore il potere di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento. Di fatto, la società fallita è spossessata dei beni, che rimangono nella disponibilità del curatore e del giudice delegato al fine di soddisfare, nel rispetto della par condicio, le pretese creditorie.

Secondo altro e invero più corposo orientamento, per contro, il sequestro del profitto dei reati tributari, sia esso diretto o per equivalente, prevale sui diritti di credito vantati sui medesimi beni per effetto della ammissione alla procedura concorsuale, attesa l'obbligatorietà della misura ablativa alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro preventivo. Prevale, infatti, sull'interesse dei creditori l'esigenza di inibire l'utilizzazione di un bene oggettivamente e intrinsecamente pericoloso, in vista della sua definitiva acquisizione al patrimonio dello Stato.

Osservano i Giudici della S. Corte, nella pronuncia in commento, come ad una più attenta analisi, invero, il contrasto interpretativo riguardi la sola ipotesi in cui, come nel caso di specie, la dichiarazione di fallimento sia intervenuta prima del provvedimento di sequestro.

La soluzione proposta. Precisa la Cassazione come il criterio della priorità temporale non pare possa assurgere a canone interpretativo dirimente, dovendosi per contro aver riferimento al diverso ambito operativo della procedura concorsuale rispetto alla misura cautelare adottata. Se la prima, infatti, è destinata a soddisfare i creditori dell'impresa, la seconda è volta a sottrarre alla disponibilità dell'indagato i proventi di un determinato reato. In tale contesto, ferma la riconosciuta legittimazione del curatore ad impugnare i provvedimenti di sequestro, pare evidente che la misura ablatoria reale, per il suo carattere obbligatorio, è destinata a prevalere su eventuali diritti di credito gravanti sul medesimo bene. Ciò a prescindere dal momento in cui intervenga la dichiarazione di fallimento, stante la finalità evidentemente sanzionatoria perseguita dalla confisca espressamente codificata in tema di reati tributari.

Il giusto correttivo. Osserva la Cassazione come la soluzione sopra tratteggiata sia imposta dalla stessa disciplina normativa, che prevede come unico limite alla confisca diretta o per equivalente ex art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000 solo l'appartenenzadel bene a persone estranee al reato. Proprio in virtù di detto limite, il giudice penale, in sede di merito, dovrà valutare l'esistenza di diritti di terzi in buona fede sui beni oggetto del provvedimento ablativo. Il giudice dovrà, dunque, attentamente perimetrare l'area del profitto confiscabile, valutando, in tema di reati tributari, se l'Erario abbia già proceduto al recupero delle somme non versate, anche in maniera parziale. Così come non potrà prescindersi dal verificare gli effetti di una eventuale ammissione al passivo dello stesso Erario, onde evitare una indebita duplicazione e, dunque, una indebita locupletazione del Fisco in danno degli altri creditori. Ed invero è proprio sullo specifico e da ultimo individuato correttivo che la pronuncia del tribunale del riesame, siccome carente, trova censura, da parte dei Giudici della S.Corte, che procedono sul punto ad annullare con rinvio perché si proceda a nuovo giudizio su tale aspetto.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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