Sulla competenza per territorio nel reato di truffa online compiuto mediante accredito su carta postepay

29 Maggio 2020

Nel delitto di truffa, quando il profitto è conseguito mediante accredito su carta di pagamento ricaricabile (nella specie “postepay”), il tempo e il luogo di “consumazione” del reato sono…
Massima

Nel delitto di truffa, quando il profitto è conseguito mediante accredito su carta di pagamento ricaricabile (nella specie “postepay”), il tempo e il luogo di “consumazione” del reato sono quelli in cui la persona offesa ha provveduto al versamento del denaro sulla carta. Pertanto, ai fini della competenza per territorio dell'organo giudicante, si deve considerare il luogo in cui la vittima ha effettuato il pagamento.

Il caso

Nella vicenda in esame, l'imputato veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di truffa (art. 640 c.p.), avendo posto in vendita sul sito internet “Ebay” una consolle “PSP slim elettronica”, ricevendo dalla persona offesa la somma di Euro 130,00 attraverso una ricarica su carta Postepay, senza poi inviare il bene a quest'ultima.

Il processo di primo grado si svolgeva davanti al Tribunale di Cremona che, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, ha pronunciato nei confronti dell'imputato (rimasto assente) sentenza di condanna.

In secondo grado, la Corte d'appello di Brescia confermava le precedenti statuizioni, rigettando anche l'eccezione proposta dal nuovo difensore nominato dall'imputato relativa all'incompetenza per territorio del Tribunale di Cremona per il reato in contestazione.

Tale doglianza veniva ripresa anche nel ricorso per Cassazione proposto dalla difesa, con cui si sottolineava la violazione di legge, con riferimento alla competenza per territorio, per essere stato l'imputato erroneamente giudicato dal Tribunale di Cremona, in base al criterio della “residenza della persona offesa”, quando invece detta competenza andava determinata, ai sensi dell'art. 8 c.p.p., in considerazione del luogo in cui il reato è stato consumato.

La questione

Per meglio comprendere i termini della questione interpretativa sottoposta al vaglio della Suprema Corte di Cassazione, occorre partire dal reato in contestazione e, in particolare, dal suo momento “consumativo”, necessario a delineare anche la competenza per territorio dell'organo giudicante.

Va infatti ricordato che l'art. 8 c.p.p. prevede alcune “regole generali” in materia di competenza per territorio.

Il criterio primario è dato proprio dal “luogo in cui il reato è stato consumato” (comma 1).

Se però dal fatto è derivata la morte di una o più persone, è competente il giudice del “luogo in cui è avvenuta l'azione o l'omissione” (comma 2). La norma prevede poi che se si tratta di reato permanente, la competenza per territorio si radica tenendo conto del “luogo in cui ha avuto inizio la consumazione”, ciò anche “se dal fatto è derivata la morte di una o più persone” (comma 3). Infine, se si tratta di delitto tentato, è competente il giudice del “luogo in cui è stato compiuto l'ultimo atto diretto a commettere il delitto” (comma 4).

Accanto alle regole generali, vi sono anche alcune “regole suppletive” indicate dall'art. 9 c.p.p.

Pertanto, qualora la competenza non possa essere determinata in base all'art. 8 c.p.p., ad occuparsi della causa penale sarà il giudice “dell'ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione o dell'omissione” (comma 1). Se però non è noto tale luogo, la competenza appartiene al giudice del luogo di residenza, dimora o domicilio dell'imputato (comma 2). Se nemmeno in tale modo è possibile determinare la competenza, si avrà riguarda al luogo in cui ha sede l'ufficio del Pubblico Ministero che ha provveduto per primo ad iscrivere la notizia di reato nel registro degli indagati (comma 3).

Fatte queste premesse, si è visto che il reato oggetto di contestazione è quello di truffa, previsto e sanzionato dall'art. 640 c.p.

Quanto al momento “consumativo”, occorre prendere in esame i due distinti orientamenti che si sono delineati e che hanno riconosciuto un significato differente alla nozione di “danno”.

Più in particolare, secondo una concezione “giuridica”, il danno nel reato di truffa corrisponde a una limitazione o perdita di un diritto soggettivo ovvero all'assunzione, per effetto della condotta decettiva, di un obbligo prima inesistente, prescindendo quindi dalla effettiva circolazione economica e dal verificarsi di una deminutio patrimoniale.

Tale concezione è stata oggetto di critiche serrate da parte della dottrina, che ha sottolineato come in questo caso si rischi, da un lato, di riconoscere tutela penale anche a diritti riguardanti beni privi di valore economico, dall'altro di escludere situazioni formalmente non riconducibili a diritti soggettivi, ma che nondimeno possono assumere rilevanza giuridica, come le aspettative e gli interessi legittimi. È stato inoltre precisato che, accedendo a concezione “giuridica” del danno, si finisce per realizzare un'eccessiva anticipazione di tutela, rendendo punibile anche la mera assunzione di un obbligo, a prescindere dalla sua concreta esecuzione, in questo modo trasformando la truffa da “reato di danno” a “reato di pericolo” (S. MOCCIA, Tutela penale del patrimonio e principi costituzionali, Padova, 1988, p. 54).

Secondo una concezione “economica”, il reato di truffa si consuma solo in presenza di una effettiva diminuzione del patrimonio, che rappresenta quindi il vero danno da sottoporre a tutela in sede penale.

Detta soluzione è stata maggiormente apprezzata in dottrina perché assolve a una funzione più garantista, nel rispetto del principio di offensività. Ciò non toglie però che, in taluni casi, si rischia di non incriminare quei fatti che, pur non intaccando il patrimonio complessivo del soggetto passivo, ne alterano la “strumentalità” rispetto al soddisfacimento dei suoi bisogni.

Per questo motivo, alla concezione economica sono stati aggiunti alcuni “correttivi”, che consentono di relativizzare il danno, richiamando anche su criteri di natura soggettiva quale appunto il caratterestrumentale” del bene oggetto di atto dispositivo.

La giurisprudenza ha accolto con maggior favore la concezione economica del danno. Si è affermato infatti che, nel delitto di truffa, l'elemento del “danno” deve avere necessariamente un contenuto patrimoniale ed economico, consistendo in una lesione concreta, consistente nella perdita definitiva del bene da parte della vittima, indotta in errore dall'autore materiale del reato (Cass.pen., Sez. Un.,16.12.1998,n.17, Cellammare).

Non va però trascurato che, nello specifico caso della truffa contrattuale, oltre a pronunce che richiedono uno squilibrio patrimoniale tra le prestazioni, ve ne sono altre che recepiscono i “correttivi” indicati in dottrina, al punto da dematerializzare il danno. Ciò avviene nei casi in cui viene riconosciuta tutela anche a colui che, indotto in errore attraverso gli artifizi o raggiri, abbia stipulato un contratto che, in mancanza delle condizioni sopra indicate, non avrebbe mai concluso.

A titolo esemplificativo, la giurisprudenza ha riconosciuto la configurazione del reato di truffa, nonostante da tale situazione possa anche non essere derivata una deminutio patrimoniale (Cass. pen., Sez. II, 08.02.2011, n. 2100). Si è così affermato che, nella truffa contrattuale, il danno può consistere anche nell'assunzione di obbligazioni che non avrebbero trovato giustificazione, se la realtà fattuale non fosse stata dissimulata dalle false prospettazioni del soggetto agente (Cass. pen., Sez. V, 07.03.2013, n. 22003).

Ciò posto, è evidente allora che dall'accoglimento dell'una o dell'altra concezione discendono conseguente rilevanti in punto di individuazione del momento “consumativo” del reato di truffa.

Pertanto, riprendendo la tesi maggioritaria, per valutare il momento consumativo si deve tener conto delle circostanze di tempo e di luogo in cui si realizzi il danno patrimoniale con conseguente ingiusto profitto a favore del reo.

Ciò che rileva, anche ai fini della competenza per territorio ex art. 8 c.p.p., è il luogo in cui si verifica l'effettivo conseguimento del bene da parte del soggetto agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato (Cass. Pen. Sez. Un., 21.06.2000 n. 18).

Tale questione interpretativa diventa però più complessa quando la truffa si “consuma” a distanza.

È quanto normalmente accade con le truffe online, che traggono origine da una contrattazione tra agente e persona offesa che potrebbe avvenire a distanza, mediante l'utilizzo di strumenti telematici (siti internet, email, chat, messaggistica ecc.) o attraverso la combinazione di mezzi diversi, a volte coadiuvati dall'uso del telefono.

In questi casi, l'atto dispositivo della vittima e il conseguimento dell'ingiusto profitto da parte del reo possono avvenire in luoghi diversi. Può capitare infatti che il raggirato decida di pagare mediante spedizione postale di un assegno circolare oppure effettuando un bonifico o un'altra forma di pagamento online.

Tra i sistemi di pagamento telematico, quello senza dubbio più insidioso e maggiormente ricorrente nel fenomeno delle truffe online è la ricarica. Come è noto, esso si determina attraverso la creazione di una provvista che il beneficiario può utilizzare mediante uno strumento di pagamento (solitamente una carta di credito ricaricabile, come può essere la “Postepay”).

In questo caso, ai fini dell'individuazione del momento consumativo del reato (necessario a definire la competenza per territorio dell'organo giudicante), appaiono dirimenti non tanto le modalità mediante le quali si realizzano gli artifizi o raggiri, quanto le modalità inerenti all'atto dispositivo e il conseguimento del bene da parte del soggetto attivo del reato.

Le soluzioni giuridiche

Sul punto, la giurisprudenza di merito e di legittimità, nel prendere in esame le specifiche situazioni in cui il pagamento da parte del raggirato avviene “a distanza”, hanno posto alcune significative distinzioni.

Così, nell'ipotesi in cui il pagamento avviene a mezzo posta, corriere e simili, il momento consumativo corrisponde a quello dell'acquisizione della res da parte dell'autore del reato.

Tale principio vale anche nel caso in cui l'oggetto materiale reato (costituente l'ingiusto profitto) sia costituito da titolo di credito, in ordine al quale diventa necessaria la riscossione o utilizzazione. Si evidenzia infatti che solo in questo modo si attua il vantaggio patrimoniale a favore del soggetto agente e al contempo la definitiva lesione patrimoniale a carico della persona offesa (Cass. pen., Sez. II, 28.04.2017, n. 31652).

Qualora il pagamento avvenga mediante assegno circolare, il reato si configura nel luogo in cui ha sede la banca trattaria perché in esso avviene l'acquisizione della relativa valuta da parte dell'autore del reato (Cass. Pen. Sez. II, 07.01.2014, n. 3221).

Nel caso della cambiale, invece, il reato di truffa si consuma attraverso il pagamento della stessa e non con la semplice consegna del titolo, in quanto solo nel primo caso si determina l'effettivo conseguimento materiale del bene economica e la sua correlativa perdita (Cass. Pen. Sez. II, 25.09.2014, n. 40582).

Una particolare attenzione è stata prestata dalla giurisprudenza con riferimento alle restanti modalità di pagamento.

Si prenda in considerazione il pagamento tramite bonifico o rimessa in conto corrente. Si tratta, a ben vedere, di modalità che non presentano le caratteristiche di immediata irreversibilità per il disponente e contestuale arricchimento a favore del soggetto agente; questo perché chi effettua il pagamento subisce la perdita del denaro ma, fin tanto che il beneficiario non lo riscuote, è ancora possibile revocare l'ordine, recuperando così il denaro.

A questo proposito, è stato infatti evidenziato che il momento in cui la persona offesa ha impartito l'ordine di pagamento alla propria banca non è contestuale a quello della ricezione della somma da parte del destinatario, avendo il denaro come destinazione un conto corrente diverso da quello dell'ordinante, in luogo differente e potendo il bonifico essere revocato nelle more della trattazione, impedendo così al reato di giungere a consumazione.

In altre parole,la semplice disposizione impartita all'istituto bancario, non consolidando l'operazione, non determina quindi la consumazione del reato, almeno fino a quando il soggetto attivo non ha acquisito la valuta (Cass. Pen. Sez. Fer., 30.08.2016, n. 37400).

Si ritiene, pertanto, che quando il pagamento è effettuato mediante bonifico con accredito su conto corrente, il reato si consuma nel luogo ove l'agente ha conseguito l'ingiusto profitto tramite riscossione della somma.

Tale luogo può corrispondere alla sede dell'ufficio bancario o postale dove ha acceso il conto corrente sul quale la somma è stata accreditata oppure presso una filiale (ad esempio quando si è verificato un prelievo dallo sportello automatico) (Cass. pen. Sez. II, 16.11.2017, n. 54948).

Quest'ultimo aspetto appare rilevante dal punto di vista pratico, tenuto conto che – qualora non si sia in grado di dimostrare in che luogo è avvenuta l'acquisizione della somma di denaro da parte del reo – per la determinazione della competenza per territorio, si dovranno applicare i c.d. criteri suppletivi stabiliti dall'art 9 c.p.p.

In buona sostanza, qualora dagli atti di causa non risulti noto il luogo del conseguimento del profitto, in base all'art. 9 c.p.p., si dovrà guardare all'ultimo luogo in cui è avvenuta una parte di azione od omissione da parte del soggetto agente. Qualora anche quest'ultimo sia ignoto, verrà in soccorso il criterio della residenza, domicilio o dimora dell'imputato (C. App. Ancona, sent. 25.02.2020; Cass. pen., Sez. I, 17.02.2019, n. 10265).

Del tutto differente è il percorso argomentativo sviluppato dalla giurisprudenza maggioritaria nell'ipotesi in cui il pagamento da parte della vittima sia effettuato tramite ricarica su postepay.

Si è già ricordato che la ricarica consiste nella creazione di una provvista che il beneficiario potrà utilizzare come strumento di pagamento. Nello specifico, la postepay è una carta prepagata che consente al titolare di effettuare operazioni sia di prelievo sia di pagamento nei limiti del saldo disponibile, che non accede necessariamente ad un conto corrente. Essa può essere utilizzata presso qualunque ufficio postale o in via telematica e, aspetto questo rilevante, non consente la revocabilità dell'accredito.

A questo proposito, come ha efficacemente sottolineato la giurisprudenza di merito (Trib. Napoli, Sez. IV, sent. 30.09.2019), la carta postepay non è necessariamente abbinata ad un conto corrente, sicché è difficile ricondurla ad una filiale fisica presso la quale il conto è stato attivato, che consentirebbe di radicare la competenza nel luogo in cui è stato conseguito il profitto. Inoltre, a differenza del bonifico, la ricarica non consente la revocabilità dell'accredito, sicché il semplice pagamento da parte del disponente diventa irreversibile e determina il contestuale arricchimento per l'agente. Pertanto, per effetto del versamento da parte della persona offesa sulla carta postepay del soggetto agente, si realizza il contestuale ed effettivo conseguimento del bene, ottenendo l'immediata disponibilità della somma versata.

Sulla scorta di tali argomentazioni, si è affermato il principio che, nel delitto di truffa contrattuale, quando il profitto è conseguito mediante accredito su carta di pagamento ricaricabile (“postepay”), il tempo e il luogo di consumazione del reato sono quelli in cui la persona offesa ha provveduto al versamento del denaro sulla carta del reo.

Del resto, è questa l'operazione con cui la vittima ha provocato sia l'effettivo conseguimento del profitto a favore dell'agente (che ha ottenuto l'immediata disponibilità della somma) sia la definitiva diminuzione patrimoniale in suo danno (Cass. pen. Sez. II, 29.09.2017 n. 939; Cass. pen. Sez. II, 25.10.2016, n. 49321; Cass. pen. Sez. I, 13.03.2015, n. 25230).

Tale considerazione consente quindi di comprendere che, ai fini della competenza per territorio dell'organo giudicante, si debba considerare il luogo in cui la vittima ha effettuato il pagamento.

Non v'è dubbio infatti che il profitto ingiusto si sia realizzato con l'accredito delle somme, non essendo necessario il successivo materiale reperimento del contante attraverso il prelievo o l'acquisto di beni, rappresentando questo al più un post factum irrilevante ai fini dell'integrazione del reato e dell'individuazione del giudice territorialmente competente (Tribunale di Nola del 22.07.2019).

Tutto ciò chiarito, la vicenda in premessa è incentrata sulla competenza per territorio del giudice chiamato ad occuparsi di una truffa online, che si è consumata attraverso una ricarica effettuata sulla postepay dell'imputato.

Si tratta dunque di capire se competente è il giudice del luogo in cui l'imputato ha ricevuto il pagamento oppure del luogo in cui la persona offesa ha materialmente effettuato tale versamento.

Investita della suddetta questione, la Seconda Sezione Penale ha ribadito l'operatività della seconda soluzione interpretativa.

In particolare, nel richiamare un suo precedente in materia (Cass. pen. Sez. II, 10.01.2017, n. 14730), ha affermato il principio secondo cui:

- nel delitto di truffa, quando il profitto è conseguito mediante accredito su carta di pagamento ricaricabile (nella specie “postepay”), il tempo e il luogo di “consumazione” del reato sono quelli in cui la persona offesa ha provveduto al versamento del denaro sulla carta;

- tale operazione ha realizzato infatti in modo contestuale sia l'effettivo conseguimento del bene da parte del soggetto agente, che ottiene l'immediata disponibilità della somma versata, e non un mero diritto di credito, sia la definitiva perita dello stesso da parte della vittima.

- pertanto, ai fini della competenza per territorio dell'organo giudicante, si deve considerare il luogo in cui la vittima ha effettuato il pagamento.

È stata quindi ritenuta corretta l'individuazione del Tribunale di Cremona quale giudice territorialmente competente a trattare il procedimento, atteso che la vittima aveva provveduto a ricaricare la carta postepay dell'imputato in quel circondario.

Inoltre, l'eccezione difensiva risultava tardiva, perché proposta per la prima volta in grado di appello, in violazione dell'art. 491 c.p.p. che impone invece che la questione sulla competenza per territorio venga proposta in primo grado prima dell'apertura del dibattimento.

Osservazioni

La pronuncia della Suprema Corte si pone nel solco dell'orientamento giurisprudenziale prevalente in materia, che attribuisce rilievo primario alle modalità di pagamento al fine di valutare il momento “consumativo” del reato e la stessa competenza per territorio dell'organo giudicante.

Si è visto, in particolare, che nell'ipotesi di pagamento tramite bonifico bancario su conto corrente, il riferimento al luogo in cui avviene la riscossione da parte dell'autore materiale del reato, può risultare a volte complesso da accertare, rendendo di fatto operative le regole suppletive dettate dall'art. 9 c.p.p.

Diversamente, nel caso della truffa compiuta mediante ricarica su carta postepay, la giurisprudenza privilegia il luogo in cui la vittima ha effettuato il pagamento, senza dover quindi verificare se e dove detta somma, ormai confluita in modo irrevocabile nella carta ricaricabile dell'imputato, sia stata prelevata.

Tale puntualizzazione non appare priva di rilievo pratico se si considera che la vittima di reato potrebbe essere maggiormente incentivata a denunciare il comportamento criminoso dell'agente, laddove infatti l'instaurando procedimento andrebbe a radicarsi nel Tribunale del circondario in cui materialmente aveva effettuato tale pagamento e non nel luogo in cui detta somma è stata riscossa dal soggetto agente.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.