La revoca della delibera assembleare invalida non pone al riparo il condominio dalla condanna alle spese processuali

Katia Mascia
03 Giugno 2020

La pronuncia del Tribunale di Roma offre lo spunto per analizzare il tema della revoca delle delibere assembleari all'interno di un condominio. La giurisprudenza consolidata ritiene applicabile la regola dettata in àmbito societario dall'art. 2377, comma 8, c.c., deviando dalla stessa, tuttavia, in merito alle spese processuali, le quali andranno liquidate dal giudice secondo il principio della soccombenza virtuale.
Massima

In caso di impugnazione di delibera condominiale, adottata invalidamente e revocata sic et simpliciter nelle more del giudizio, il giudice adìto - dichiarata la cessazione della materia del contendere, essendo venuto meno l'interesse delle parti alla definizione del giudizio - liquiderà le spese del giudizio applicando il principio della soccombenza virtuale.

Il caso

Nel 2017 una condomina, proprietaria esclusiva di un'unità immobiliare sita al piano rialzato dello stabile, impugnava, dinanzi al Tribunale di Roma, una delibera dell'assemblea condominiale che aveva approvato, con la maggioranza dei presenti, pari a 587 millesimi, la modifica del vigente regolamento di condominio in tema di condizioni di utilizzo degli appartamenti. Chiedeva che venisse dichiarata la nullità o l'annullabilità della stessa, lamentando sia la mancanza del quorum deliberativo richiesto in relazione all'oggetto della votazione, sia la genericità e conseguente inadeguatezza dell'avviso di convocazione.

Il Condominio si costituiva in giudizio facendo presente che l'attrice era pienamente consapevole dell'argomento - posto all'ordine del giorno - che sarebbe stato oggetto di discussione in sede assembleare, ed eccepiva la cessazione della materia del contendere, considerato che l'assemblea medesima aveva provveduto, nelle more, alla revoca della deliberazione oggetto di impugnativa, al fine di risolvere la controversia tra le parti.

La questione

Si trattava di stabilire se, nella fattispecie in esame, dichiarata cessata la materia del contendere per la revoca della delibera assembleare approvata invalidamente, il Condominio fosse ugualmente tenuto al pagamento delle spese di lite.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Roma dichiara cessata la materia del contendere e condanna il convenuto Condominio a rimborsare integralmente, in favore della parte attrice, le spese sostenute per il giudizio.

Osservazioni

Nell'ambito dei rapporti societari, si evidenzia una particolare disciplina - ispirata alle esigenze di stabilità e certezza dei rapporti facenti capo alla società di capitali e al contempo di tutela della posizione del socio - che prevede la sostituzione delle delibere assembleari. Infatti, ai sensi dell'art. 2377, comma 8, c.c. l'annullamento della deliberazione non può aver luogo se quella impugnata è sostituita con altra deliberazione presa in conformità della legge e dello statuto. La sostituzione non si atteggia però in termini di convalida, in quanto comporta l'eliminazione del vizio della delibera precedente e la rende conforme alla legge e all'atto costitutivo, mentre la convalida non sana il vizio del contratto ma rende definitivi i suoi effetti, anche se le anomalie che lo inficiano restano ferme.

Nella fattispecie in esame, il giudice romano ritiene applicabile, analogicamente, in ambito condominiale, la disposizione citata di cui all'art. 2377 c.c., benché dettata in materia societaria, in quanto pacificamente ritenuta di carattere generale e, come tale, sussistendo identità di ratio, applicabile anche in materia di assemblee dei condomini negli edifici. In tale àmbito, dunque, la sostituzione della delibera impugnata, con altra adottata dall'assemblea in conformità della legge e del regolamento condominiale, facendo venire meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere (Cass. civ., sez. II, 21 novembre 2019, n. 30479; App. Genova, 15 gennaio 2019; Cass. civ., sez. II, 6 aprile 2018, n. 8515; Cass. civ., sez. VI, 11 agosto 2017, n. 20071; Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 2010, n. 2999; Trib. Milano, 19 luglio 2017; Trib. Ivrea, 7 febbraio 2017; Trib. Torino, 17 giugno 2011; Trib. Torino, 16 maggio 2011).

Al verificarsi di tali situazioni, dunque, il giudice adìto perde il potere di decidere la causa nel merito - essendo venuto meno l'interesse ad agire della parte impugnante - e si limiterà a dare atto della cessata materia del contendere.

La cessazione della materia del contendere è un istituto non disciplinato dal codice di rito ma che, tuttavia, può dirsi pienamente esistente nel nostro ordinamento processuale in forza di un ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, quale “diritto vivente”, che la considera forma di definizione del processo a cui ricorrere ogni qual volta viene meno la stessa ragione d'essere della lite, per la sopravvenienza di un fatto suscettibile di privare le parti di ogni interesse alla prosecuzione del giudizio e alla sua definizione in punto di merito (v., ex plurimis, Cass. civ., sez. lav.,10 luglio 2001, n. 9332; Cass. civ., sez. un., 28 settembre 2000, n. 1048; Trib. Lamezia Terme 21 febbraio 2013).

La pronuncia va emessa, in particolare, d'ufficio o su istanza di parte, quando i contendenti si diano reciprocamente atto dell'intervenuto mutamento della situazione evocata in giudizio, tale da eliminare totalmente ed in ogni suo aspetto la posizione di contrasto tra le parti e da far venir meno del tutto la necessità di una decisione sulla domanda originariamente proposta e sottopongano al giudice conclusioni conformi, intese, appunto, a sollecitare l'adozione di una declaratoria della cessazione della materia del contendere (Cass. civ., sez. III, 1 aprile 2004, n. 6395; Cass. civ., sez. III, 1 aprile 2004, n. 6403; Cass. civ., sez. III, 8 giugno 2005, n. 11962).

Il venir meno dell'interesse ad agire e ad ottenere una pronuncia lascia, tuttavia, spazio alla richiesta di condanna alle spese di lite, le quali andranno liquidate - come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza - secondo il principio della soccombenza virtuale, ossia secondo una "prognosi postuma" consistente nel valutare, in via sommaria, quale sarebbe stato l'esito del giudizio se non fosse intervenuta la nuova deliberazione. In definitiva, tale soccombenza dovrà essere individuata in base ad una ricognizione della “normale” probabilità di accoglimento della pretesa della parte su criteri di verosimiglianza o su indagine sommaria di delibazione del merito. Pertanto, in merito alle spese processuali, la soluzione adottata nelle cause condominiali devia da quella prevista dall'art. 2377 c.c. (Trib. Catania, 9 maggio 2019). Infatti - a differenza di quanto statuito dal comma 8 dell'art. 2377 c.c., nel testo successivo al d.lgs. n. 6/2003, secondo il quale il giudice provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società - nell'àmbito dell'impugnazione contro la delibera dell'assemblea condominiale la pronuncia finale sulla distribuzione delle spese di lite rimane affidata a una valutazione di soccombenza virtuale. In virtù di tale soccombenza virtuale - che è espressione del principio di causalità (Cass. civ., sez. III, 30 marzo 2010, n. 7625) - in forza del criterio generale di cui all'art. 91 c.p.c., le spese del processo vanno poste a carico della parte che, azionando una pretesa accertata come infondata o resistendo ad una pretesa fondata, abbia dato causa al processo o alla sua protrazione e che debba qualificarsi tale in relazione all'esito finale della controversia. Causare un processo significa anche costringere alla proposizione di un'iniziativa giudiziaria che poteva essere evitata grazie ad un comportamento esigibile della parte nei cui confronti la domanda è proposta. Non è, quindi, esente dall'onere delle spese la parte che, con un suo comportamento antigiuridico, dovuto alla trasgressione di norme di diritto sostanziali, abbia provocato la necessità del processo.

Deve precisarsi, altresì, che la pronuncia in ordine alle spese può condurre, non soltanto alla condanna del soccombente virtuale, bensì, anche ad una compensazione, se ricorrono i presupposti di legge (Cass. civ., sez. VI, 9 ottobre 2017, n. 23618). In tal senso si è espressa anche la Corte Costituzionale (Corte cost., sent. 12 luglio 2005, n. 274), la quale ritenendo che, nel caso di cessazione della materia del contendere, non sia legittima la compensazione, ope legis, delle spese - perchè renderebbe inoperante il principio generale di responsabilità per le spese del giudizio cui è ispirato il processo - ha correttamente riportato la condanna al rimborso delle spese di giudizio al suo sostanziale fondamento: essa non ha natura sanzionatoria, nè avviene a titolo di risarcimento dei danni, ma è conseguenza oggettiva della soccombenza (in questo caso solo virtuale). Comunque, anche per la Corte Costituzionale, rimane sempre possibile, per il giudice che dichiari estinto il giudizio per cessata materia del contendere, non pronunciare condanna alle spese e disporre invece, in tutto o in parte, la compensazione delle stesse, purchè ricorrono i presupposti di legge e purchè, ai sensi dell'art. 92 c.p.c., vi sia soccombenza reciproca o ricorrono gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione.

Nella fattispecie esaminata, il Tribunale romano emette una pronuncia, in rito, di cessazione della materia del contendere e fa derivare la condanna del Condomino convenuto al rimborso integrale delle spese di lite dall'evidente invalidità della delibera assembleare impugnata, comportante la modifica di una clausola incidente su un diritto individuale della parte attrice - così come attribuitole dal regolamento di condominio, avente natura contrattuale - che poteva attuarsi soltanto con il consenso unanime dei partecipanti al condominio e non a maggioranza semplice.

Ad avviso della giurisprudenza, quanto alle clausole del regolamento che abbiano natura contrattuale, l'esigenza della forma scritta è imposta dalla circostanza che esse incidono, costituendo oneri reali o servitù, sui diritti immobiliari dei condomini sulle loro proprietà esclusive o sulle parti comuni oppure attribuiscono ad alcuni di loro diritti maggiori rispetto agli altri. Ne discende che il requisito della forma scritta ad substantiam deve reputarsi necessario anche per le modificazioni del regolamento di condominio, perché esse, in quanto sostitutive delle clausole originarie del regolamento, non possono non avere i medesimi requisiti delle clausole sostituite, dovendosi, conseguentemente, escludere la possibilità di una modifica per il tramite di comportamenti concludenti dei condomini (Cass. civ., sez. II, 16 settembre 2004, n. 18665).

Guida all'approfondimento

Gisolfi

, La sostituzione di delibere invalide ed altre questioni in tema di società, in Riv. notar., 2002, 1307

Piazza

, L'impugnativa delle delibere nel nuovo diritto societario: prime riflessioni di un civilista, in Corr. merito, 2003, fasc. 7, 965

Revigliono

, La sostituzione delle deliberazioni (e decisioni) invalide nelle società di capitali, in Riv. dir. comm., 2005, I, 913

Sassani

, voce Cessazione della materia del contendere, I, in Enc. giur. Treccani, VI, Roma, 1988

Scala

, La cessazione della materia del contendere nel processo civile, Torino, 2001

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